L‟aspetto bio-antropologico
Questo gruppo di teorie si riferisce a particolari tipi di individui a cui si attribuiscono condotte devianti originarie dal loro scarso controllo sugli impulsi criminali. I teorici difensori di queste idee considerano la componente ambientale, ma le attribuiscono un ruolo molto meno importante di quello bio-antropologico. <<Il compito fondamentale di queste elaborazioni teoriche è quello di determinare il tipo o i tipi “predisposti” alla deviazione ed al comportamento criminale>>.14
Le spiegazione biologiche o fisiologiche della criminalità affermano che i criminali hanno comportamenti devianti per condizionamenti genetici e questa linea di pensiero è dovuta, in gran parte, alle dottrine evoluzioniste, darwiniste, all‟antropologia fisica e alla frenologia, dominanti nel XIX secolo.
L‟aspetto bio-antropologico degli individui come base dell‟analisi del crimine ha avuto il suo massimo esponente in Cesare Lombroso che nel suo famoso libro, L‟Uomo Delinquente del 1876, propone un modello di ricerca bio-antropologico, nell‟intenzione di dimostrare che il criminale poteva essere oggettivamente individuabile attraverso le sue caratteristiche fisiche esterne. Così, i segni fisiologici, costituzionali, genetici, ormonali e neurologici costituirebbero fattori fondamentali nel processo di spiegazione del comportamento criminale di un soggetto.
Alcuni autori hanno probabilmente influenzato il pensiero e avuto importanza nell‟opera di Lombroso. Particolarmente rilevanti sono stati i fondatori dell‟approccio frenologico (studio che relaziona cranio, cervello e azioni sociale), nel XVIII e XIX secolo, Franz Joseph Gall e Johann
Gaspar Spurzheim, sostenitori della teoria secondo la quale gli aspetti fisici determinerebbero i tratti
della personalità di un individuo, riferendosi in speciale a certe regioni del cervello, dove sarebbero localizzabile le facoltà mentali.
Importante influenza ha subito Lombroso anche dal medico e psichiatra francese, Philippe Pinel, psicopatologo del XVIII secolo, che credeva che la fonte della malattia mentale fosse una lesione
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R. Pocaterra, A. Savoldelli, N. Rivera (a cura di), Minori e sostanze psicotrope:analisi e prospettive dei processi
riabilitativi – La total Quality negli interventi sulle tossicodipendenze in ambito penale minorile, op. cit., p. 25.
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del sistema nervoso centrale, allargando il numero dei patrocinatori dell‟idea che la malattia mentale fosse risultato dell‟eredità.
A questi nome si aggiungono Jean Etienne Dominique Esquirol,15 che suggerì che le malattie mentali fossero dovute ad una perturbazione localizzata in un particolare aspetto del comportamento (che chiamava „passioni dell‟anima‟, riferendosi alla follia, tema cui ha dedicato tutta la sua vita e oggetto di una sua profonda attenzione e studi), e Benedict A. Morel, che credeva che la predisposizione della persona alla degenerazione o decadenza provenisse da aspetti esterni.
Nell‟opera di Lombroso, come in quella di coloro che considerano i criminali come un gruppo <<biologicamente inferiore, destinati alla criminalità per eredità o per degenerazione, che portano il segno della loro inferiorità nel corpo o nella mente, manca ovviamente il tentativo di dedurre il comportamento di un dato individuo dalla totalità dei fatti socio-psicobiologici che esistono nello spazio di vita in un determinato momento.>>16
Nonostante ciò è importante ricordare che nessuna teoria sul comportamento umano può ignorare l‟aspetto fisico, bioantropologico e neurologico del soggetto. Questi studi hanno avuto la loro importanza nel far considerare l‟aspetto fisico accanto ad altri fattori della vita dell‟individuo per spiegare un eventuale comportamento criminale e non nel proporre lineari determinismi ambientali, come inizialmente poteva apparire.
Fra i sostenitori di Lombroso, i più notevoli sono rappresentati da Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Il primo, esponente più significativo della Scuola Positiva e fondatore della sociologia criminale, ha elaborato una classificazione dei delinquenti17che cerca di spiegarsi con elenchi e identificazioni più o meno inflessibili sulle cause giustificatorie del crimine. Ferri intanto ha il pregio di avere allargato le considerazione di Lombroso perché, anche se riconosce e ammette le origini organiche e psichiche del comportamento deviante, considera l‟importanza di guardare alle variabili esterne, fisiche e sociali che influiscono sull‟individuo. Importante la „legge‟ elaborata da questo seguace di Lombroso, conosciuta come di saturazione criminosa, che presuppone corrispondenza tra la chimica e il crimine, sostenendo che in un determinato ambiente sociale, con certe condizioni fisiche e individuali si commette un certo numero di delitti, non uno di più e neanche uno di meno, esattamente come a una certa temperatura e volume d‟acqua si scioglie una determinata misura di una sostanza chimica, non un atomo di più e non uno di meno.
15Nel XIX secolo Pinel ed Esquirol hanno introdotto in psichiatria il concetto di “impulso istintivo” coniando il termine di “monomania istintiva”, che includeva l‟alcolismo, la piromania e l‟omicidio.
16 A. Balloni, Criminologia in Prospettiva, op. cit., p. 35. 17
Ferri ha classificato i delinquenti in cinque categorie: pazzi o folli (determinati da malattie mentali), nati (agiscono basati nell‟impulsività e assenza di volontà e senso morale), abituali (condizionati da fattori economici e sociali), d‟occasione (influenzati da fattori esterni), e per passione (condizionati da fattori morali e sociali).
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Garofalo invece, anche se ha considerato inadeguate certi punti della teoria di Lombroso e ritenuto inflessibile ed imprecisa la classificazione di Ferri, ha sostenuto l‟anomalia morale e psicologica del criminale e anche lui, alla fine, ha elaborato il suo „elenco‟ criminale, classificando i delinquenti in tre categorie: delinquente tipico o assassino, violento ed energico, ladro o nevrastenico. Garofalo ha seguito il principio biologico di Darwin in termini di adattamento e ha suggerito l‟eliminazione di quelli che non erano capaci di adeguarsi a una specie di selezione naturale sociale.
A livello internazionale il pensiero bio-antropologico è stato accolto da diversi e autorevoli studiosi, ma il britannico Charles Buckman Goring non condivideva l‟opinione di Lombroso secondo la quale esisteva un tipo fisico dichiaratamente deviante e per questo è stato considerato come oppositore delle idee lombrosiane. Goring sosteneva che solamente le condizioni sociali o quelle fisiche erano insufficienti a determinare il comportamento criminale di un individuo, supponendo invece che le condizioni fisiche sfavorevoli sommate a condizioni svantaggiate a livello psicologico sarebbero i fattori scatenanti della personalità criminale.
Earnest Albert Hooton, antropologo americano e seguace delle teorie lombrosiane contestò Goring
affermando che dalle sue ricerche sui criminali aveva osservato che questi erano diversi ed inferiori in quasi tutte le misurazioni corporee e che questa inferiorità probabilmente era genetica e non derivata dalla situazione. Inoltre, aggiungeva che l‟inferiorità fisica normalmente veniva associata all‟inferiorità mentale, abbracciando la teoria del controllo della riproduzione come unico modo per combattere il crimine.
Un altro tentativo di spiegazione del comportamento criminale è basato sull‟ereditarietà e nasce alla fine del secolo scorso, anche se gli studiosi che l‟hanno difesa non hanno mai raggiunto un accordo su ciò che è geneticamente ereditato (lo stesso comportamento criminale? Una tendenza naturale? Una predisposizione?) e neanche su come avvenga la trasmissione. Tra tutte si distinguono le ricerche sui gemelli delinquenti - monovulari e biovulari - eseguite dallo psichiatra tedesco
Johannes Lange che, comunque, non è riuscito a provare la sua teoria.18
Importanti anche i lavori di Franz Exner, che dichiarava che le azioni di ogni singola persona andrebbero prese in considerazione in forma dinamica e che l‟individuo doveva essere valutato in accordo con il suo carattere e con l‟ambiente circostante nel momento del comportamento deviante, teoria cioè in base alla quale l‟evoluzione del carattere di una persona subisce l‟influenza anche del mondo esterno e il reato è sempre una risposta a stimoli ambientali. Aggiunge Exner: <<ad ogni
18L‟autore non è riuscito sia per il piccolo numero dei casi presi in esame, sia perché la maggior parte dei gemelli monozigoti che aveva preso in considerazione avevano in comune anche lo stesso ambiente di sviluppo, sia, fra l‟altro, perché Lange aveva assunto come dato concordante o discordante fra i gemelli la semplice incarcerazione.
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modo questo è sicuro: dal comportamento di una persona non si può mai con sicurezza dedurre la sua eredità. Così devono essere cercate ulteriori fonti di nozioni>> per tale ricerca.19
Un‟altro modo di interpretazione del comportamento criminale basato sull‟approccio di tipo bio- antropologico è rappresentata dalla scuola chiamata del “tipo corporeo”, che difende appunto l‟esistenza di legame tra tipi corporei e determinate caratteristiche psicologiche. Ha il suo più noto sostenitore in Ernest Kretschmer, psichiatra tedesco, che ha messo in relazione tre tipi costituzionali principali: l‟astenico, l‟atletico e il picnico, che porterebbero specifiche malattie mentali: la schizofrenia e la psicosi maniaco-depressiva. In seguito a Kretschmer altri studiosi hanno voluto dimostrare la relazione tra la forma del corpo e la tendenza alla delinquenza, come lo psicologo e medico americano William H. Sheldon, che nel 1949 studiò i ragazzi di una casa di riabilitazione e che distingueva tre componenti costituzionali fondamentali: l‟endomorfia che indicava rotondità, la mesomorfia caratteristica dei soggetti muscolosi e l‟ectomorfia a cui corrisponderebbe la magrezza e la fragilità. Sheldon ha constatato strette relazioni tra la morfologia e le componenti del temperamento.20
Il comportamento criminale viene esaminato, verso alla metà degli anni Sessanta, analizzando i cromosomi sessuali dopo la scoperta in base alla quale alcuni uomini ereditano un cromosoma sessuale in più, presentando invece della normale coppia XY, una coppia del tipo XXY (sindrome di Klinefelter) o XYY (“sindrome dell‟extra Y”), che gli studiosi di allora hanno collegato ad una tendenza ereditaria all‟aggressività.21
Ci sono tanti altri tentativi di spiegazione del crimine in base all‟ereditarietà, tra cui quelli riscontrati nell‟ospedale scozzese di massima sicurezza a Carstairs, effettuato da Patrizia Jacobs e i dai suoi collaboratori, W.H. Price e P.P.Whatmore con i suoi studi su un gruppo di psicopatici condannati e D.J. Bartlett, W.P.Hurley, C. R. Brand e E. W. Poole, con la loro ricerca sui detenuti maschi nel carcere inglese di Grendon.22Tuttavia nessuna teoria è riuscita ad avere successo collegando la biologia al comportamento criminale in modo così limitato e deterministico, anche se ricerche attuali tentano di dimostrate che l‟instabilità psicomotoria sarebbe collegata a un insieme di fattori neurologici la cui persistenza nella vita dei ragazzi, col tempo, li indurrebbe ad azioni
19A. Balloni, Criminologia in Prospettiva, op. cit., p. 59.
20C‟è chi attribuisce a Sheldon il merito di aver trovato un modo di classificare tutti gli individui, come costituzione e come temperamento, con tre componenti somatiche e tre componenti temperamentali, presenti sempre in proporzioni differenti, affermando che a lui si devono pure le correlazioni più forti trovate tra costituzione e temperamento.
21Il comportamento dei soggetti XYY è stato oggetto di studi e controversie fin dal 1965, i quali hanno sottolineato un alto tasso di aggressività precoce e violenza legata direttamente alla presenza del cromosoma sovrannumerario. I soggetti affetti da tale “sindrome” presentano inoltre, secondo i dati riscontrati in letteratura, altre caratteristiche peculiari quali alta statura e robusta costituzione, un livello intellettivo inferiore alla norma, l‟assenza di sentimenti di colpa, comportamenti manipolativi motivati da desideri di potere, profitto o guadagni materiali e una bassa scolarità. (A. Didonna, A. Lombardo, M. Biondi, P. Cancheri, “Sindrome dell‟extra Y e Disturbo Borderline di Personalità: un caso clinico”, in Riv. del Centro Italiano Sviluppo Psicologia di Roma (CISP), n° 6 e 7, 2006).
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antisociali e violente. Questa ipotesi è presa in considerazione principalmente per spiegare la sindrome del discontrollo episodico23, il danno minimo cerebrale (DMC) e il disturbo della personalità antisociale24.
È opportuno rilevare che non esiste nesso sicuro e convincente fra i centri neurali la cui stimolazione provochi inevitabilmente aggressività. Anche studi e ricerche sulle anomalie cromosomiche non sono riuscite a dimostrare il loro legame con il comportamento criminale. La problematica biologica, quindi, va presa in considerazione in termini interattivi e non in chiave eziologica.
In una posizione di transito tra teorie bio-psicologiche e socio culturale si situano i coniugi Sheldon
e Eleonor Glueck che cercano di spiegare la criminalità basata in un multifattorialismo mettendo in
relazione i tipi somatici di Sheldon con una lista di tratti di personalità e di fattori socio-culturali. <<Quindi, gli autori citati allargano le cause del crimine e possono porsi, in modo adeguato, come studiosi che si orientano verso le teorie multicausali del delitto e quindi, pur privilegiando – per certi aspetti – le relazioni tra costituzione biologica e condotta deviante, tengono presenti temperamento, intelligenza, livello di energia ed altri aspetti di personalità che, a loro volta si collegano a situazioni socio-ambientali…>>25
In sintesi, le teorie bio-antropologiche non sono conclusive riguardo l‟origine del comportamento deviante, anche perché <<l‟uomo, capace di creare e di dare significati, di formulare progetti e piani, si trova costantemente in diversa e complessa relazione con le circostanze, per cui, anche nel comportamento deviante, l‟individuo non può essere considerato un agente passivo, che si comporta secondo schemi innati o condizionanti, ma la condotta umana si realizza anche mediante il bisogno di sentirsi simili, di distinguersi dagli altri e il proprio senso di identità.>>26
L‟aspetto psicodinamico
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Menninger e Mayman, nel 1956, introdussero il termine „discontrollo episodico‟ suddividendo, successivamente, i disturbi del controllo con aggressività e violenza in tre sottogruppi quali: a) comportamenti aggressivi ripetitivi e cronici, tipici della personalità antisociale; b) violenza impulsiva episodica, frequente nella psicosi traumatica, c) violenza episodica disorganizzata, più frequente nei soggetti epilettici e/o con lesioni cerebrali.
24Il dott. Marco Baranello, psicologo e fondatore della psicologia emotocognitiva afferma che il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, IV edizione (DSM-IV, 1994) definisce la personalità antisociale come caratterizzata da un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri che si manifesta fin dall'età di 15 anni. Rispetto agli altri disturbi di personalità, per i quali ai fini di una "diagnosi positiva" è necessario che la sintomatologia compaia nella prima età adulta, il disturbo antisociale prevede sintomi già a partire dall‟adolescenza (15 anni). I criteri fondamentali affinché sia possibile "diagnosticare" un disturbo grave di personalità come quello antisociale, sempre seguendo le linee guida del DSM-IV, sono i seguenti: a) presenza di un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri che si manifesta fin dall'età di 15 anni, b) l'individuo ha almeno 18 anni, c) presenza di un "disturbo della condotta" che sia apparso prima dei 15 anni di età, d) il comportamento antisociale non è presente solamente durante il corso della "schizofrenia" o di un "episodio maniacale". Importante ricordare che tutti i criteri devono essere presenti insieme nel comportamento del soggetto per che sia diagnosticato il disturbo antisociale di personalità.
25A. Balloni, Criminologia in Prospettiva, op.cit., p. 55. 26Ibidem, pp. 67-68.
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Nell‟ambito degli studi psicologici di spiegazione del crimine si inquadra l‟aspetto psicanalitico che si concentra soprattutto sull‟organizzazione e sulla strutturazione dell‟Io e del Super Io. L‟Io immaturo e mal strutturato porta alla irresponsabilità del soggetto davanti al comportamento criminale. Il Super-Io destrutturato, limitato o incompleto porta ad agevolare ed assentire azioni devianti specialmente in età evolutiva.27
Contributo fondamentale in questa sede è quello di Sigmund Freud, padre della psicoanalisi che ha inaugurato la categoria del “criminale per senso di colpa”, secondo cui alcuni delinquenti si servono del reato per attenuare il loro senso di colpa legato alla fantasia inconscia, edipica del parricidio e dell‟incesto con la madre per cui l‟esecuzione del delitto porta alla pena e alla consolazione psichica solo se il reato è scoperto. Freud ha mostrato, scandalizzando la società del suo tempo, come l‟aggressività sia una disposizione universale dell‟animo umano e come qualsiasi individuo abbia in sé i germi della violenza e dell‟assassinio.
La nozione che il senso di colpa sorga in un momento posteriore all‟atto deviante è contraria al pensiero di Freud che afferma, invece, che questo sentimento ha origine talvolta prima del compimento del delitto e che è la sua causa stessa. E da qui sorgono due questioni: qual è l‟origine di questa colpa preesistente al delitto e quanto è presente questa sensazione di colpa „primaria‟ nella produzione del delitto? Rispondendo alla questione, Freud sosteneva che il senso di colpa primario proveniva dal complesso edipico e dalla colpa che provava un soggetto nel constatare che aveva desiderio di uccidere il padre e di avere rapporti intimi con la madre. Il compimento del delitto è un conforto al martirio del soggetto per rappresentare la liberazione da quel sentimento oscuro provato da sempre.
Invece, per spiegare la probabile connessione tra il senso di colpa e la propensione ai comportamenti devianti, Freud sostiene che questo sentimento ha origine dal conflitto tra Super-io e questi desideri oscuri dall‟infanzia (il parricidio e l‟incesto) e, provando questa colpa, il soggetto praticamente cerca la punizione. Anche perché, in paragone al parricidio e all‟incesto <<i crimini commessi per fissare il senso di colpa a qualcosa giungevano come un sollievo per i malati (...). Coi bambini è facile vedere che essi sono spesso „cattivi‟ deliberatamente, proprio per provocare la punizione, e sono quieti e contenti dopo essere stati puniti. L‟ulteriore indagine analitica può spesso metterci sulle tracce del senso di colpa che li ha indotti a cercare la punizione. Tra i criminali adulti dobbiamo senz‟altro eccettuare coloro che commettano crimini senza alcun senso di colpa, i quali o
27Freud considera che la formazione mentale è composta da tre strutture: Es, Io e Super-io, che si collegano. L‟Es e il Super-io, anche se sono fondamentalmente diversi, dicono rispetto entrambi al fatto che si riferiscono al passato: l‟Es rappresenta l‟eredità della persona e il Super-io raffigura quello che ha ricevuto dagli altri. L‟io invece è rappresentato da quello che l‟individuo vive „di persona‟, dunque da fatti attuali e occasionali dalla sua vita.
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non hanno sviluppato inibizioni morali o nel loro conflitto con la società, si considerano giustificati per l‟azione commessa. Ma riguardo alla maggioranza degli altri criminali, colori per cui sono effettivamente destinate le misure punitive, una motivazione del genere potrebbe ben essere presa in considerazione; potrebbe gettar luce su alcuni punti oscuri della loro psicologia, e fornire alla punizione una nuova base psicologica (...). Questa tesi di Freud si collega all‟esistenza di un tabù universale nei riguardi dell‟incesto, un tabù che è evidentemente in accordo con la teoria del complesso di Edipo e che nella determinazione biologica o culturale della personalità pone appunto Freud in una posizione molto vicina al polo biologico.>>28
Basandosi sulle idee freudiane, lo psicanalista Theodor Reik ha difeso l‟idea che la psicoanalisi era utile e importante nel campo della criminologia e del diritto penale. Nel suo saggio Coazione a
confessare e bisogno di punizione, Reik, nel quinto capitolo intitolato „la coazione a confessare in
criminologia‟, sostiene l‟idea che il criminale tende a confessare il delitto cercando, anche se in forma inconscia, l‟auto-accusa. Aggiunge Reik che, pure se a volte può sembrare che il soggetto si sia dimenticato o sia stato negligente nel nascondere od occultare le sue tracce sulla scena del delitto, in verità lo fa perché in fondo desiderava essere scoperto, cercava la punizione.
In allusione a Freud, Reik sostiene che <<l‟intensificarsi della sensazione di colpa (radicata nel conflitto edipico) è il solo movente che spinge l‟uomo a diventare un criminale…il delitto è perpetrato per procurare agli impulsi proibiti un appagamento sostitutivo e per dare una causa e un sollievo all‟inconscio sentimento di colpa…diventato troppo intenso….Da questa conclusione delle indagini di Freud deriva una nuova base psicologica per la punizione, una teoria psicoanalitica del diritto penale>>.29
Questa teoria, alla quale Reik ha dedicato un altro capitolo del suo saggio, viene da lui spiegata prendendo in considerazione il fatto che la teoria della prevenzione (accolta dal diritto penale) è sbagliata nel punto in cui sostiene che la punizione rappresenta un valido impedimento alla pratica del reato. Se il criminoso ha bisogno giustamente di questa sanzione per mitigare il suo senso di colpa, la „minaccia‟ penale rappresentata dalla pena non fa altro che spingerlo verso il comportamento proibito. In questo modo, Reik conclude proponendo l‟uso di misure profilattiche che colmino questo desiderio di punizione, prima ancora che diventi insopportabile per il soggetto (se non fosse proprio possibile eliminare totalmente questa ricerca della sanzione come fonte principale alla pratica del delitto) e mezzi terapeutici diversi della pena che producano la riduzione