• Non ci sono risultati.

Proprietà di continuità

3.3 Applicazioni dei teoremi: proprietà aggiuntive delle misure d

3.3.2 Proprietà di continuità

Si richiama la proprietà di continuità dal basso vista, ma non definita, nel capitolo 2.

Si dice che ρ è continua dal basso se soddisfa la seguente proprietà di continuità sulle successioni non decrescenti di L∞:

Xn% X ⇒ ρ(Xn) → ρ(X), (3.18)

ossia per ogni successione (Xn)n∈N in L∞ non decrescente, la successione

(ρ(Xn))n∈N converge a ρ(X).

Proposizione 3.15. Sia ρ : L∞→ R una misura di rischio quasi-convessa e semicontinua superiormente. Sono fatti equivalenti:

(i) ρ è continua dal basso;

(ii) R(t, Q) = infX∈L∞ρ(X) per ogni (t, Q) ∈ R × (M1,f\M1);

dove con M1,f\M1 si denota la differenza insiemistica tra M1,f e M1.

In tal caso, max Q∈M1,f R(EQ[−X], Q) = max Q∈M1 R(EQ[−X], Q) ∀X ∈ L∞. (3.19)

Dimostrazione. Si definisce infL∞ := infX∈L∞ρ(X) e si considera la seguente

condizione

(iii) {Q ∈ M1,f : R(t, Q) ≥ m} ⊆ M1 per ogni m ∈ (infL∞ρ, +∞] e ogni t ∈ R.

Si prova l’equivalenza tra (i) e (ii) nel seguente modo: (i)⇒ (iii)⇒ (ii)⇒ (i). (i) ⇒ (iii). Siano t ∈ R, m ∈ (infL∞ρ, +∞] e Q0 ∈ {Q ∈ M1,f : R(t, Q) ≥

m}, si deve dimostrare che Q0 ∈ M1. poiché m > infL∞ρ esistono X ∈ L∞

tale che ρ(X) < m e un x ≥ X in R tale che ρ(x) ≤ ρ(X) < m.

Sia (En)n∈N una successione decrescente di elementi di F tale che il

xn = x − k1En % x in L

. Per la continuità dall’alto ρ(x

n) → ρ(x), ossia

esiste Nk ∈ N tale che per ogni n ≥ Nk

m > ρ(x − k1En) = max

Q∈M1,f

R(EQ[k1En− x], Q) = max

Q∈M1,f

R(kQ(En) − x, Q)

grazie alla caratterizzazione di ρ. Ora, se per assurdo, kQ0(En0)−x ≥ t per qualche

n0≥ Nk, dalla monotonìa crescente di R deriva la seguente catena di disuguaglianze

che contiene una contraddizione m > max

Q∈M1,f

R(kQ(En0) − x, Q) ≥ R(kQ0(En0), Q0) ≥ R(t, Q0) ≥ m,

dove l’ultima maggiorazione è verificata dall’appartenenza di Q0 a {Q ∈ M1,f :

R(t, Q) ≥ m} .

Quindi deve necessariamente esser vero che kQ0(En) − x < t per ogni n ≥ Nk,

da cui

Q0(En) <

x + t

k ∀n ≥ Nk, e limn→∞Q0(En) ≤ k−1(x + t). Valendo per ogni k > 0, allora

lim

n→+∞Q 0(E

n) = 0,

dunque il limite degli En è Q0-trascurabile: Q0 P e Q0∈ M1.

(iii) ⇒ (ii) Chiaramente, per ogni (t, Q) ∈ R × M1,f,

R(t, Q) = inf{ρ(X) : EQ[−X] = t} ≥ inf L∞ρ.

In realtà, vale l’uguaglianza. Infatti, se per assurdo esistesse (t0, Q0) ∈ R ×

(M1,f\M1) tale che R(t0, Q0) > infL∞ρ, definendo m0 := R(t0, Q0), dall’ipo-

tesi (iii) si avrebbe che Q0∈ M1, assurdo.

(ii) ⇒ (i). Sia (Xn)n∈N una successione in L∞ tale che Xn % X0 in L∞. Per ogni

n ≥ 0 si definisce γn: M1,f → R ponendo

γn(Q) := R(EQ[−Xn], Q) ∀Q ∈ M1,f.

Ogni γnè s.c.s. e la successione {γn}n∈Nè decrescente. Infatti dato che Xn+1≥ Xn

si ha

γn+1(Q) = R(EQ[−Xn+1], Q) ≤ R(EQ[−Xn], Q) = γn(Q).

Inoltre, se Q ∈ M1 allora per il teorema di convergenza monotona EQ[−Xn] &

EQ[−X0] e dunque, dato che R(·, Q) è s.c.s. e monotona crescente su R, ne consegue

che

lim

n→∞R(EQ[−Xn], Q) = R(EQ[−X0], Q).

Se invece Q /∈ M1, allora per l’ipotesi (ii)

R(EQ[−Xn], Q) = inf

L∞ρ ∀n ≥ 0.

In ogni caso, (γn)n∈N converge puntualmente a γ0.

grazie al Remark 5.5 in [17], segue che la successione è Γ-convergente. Utilizzan- do ancora un risultato di analisi funzionale sulla Γ-convergenza, e precisamente il Teorema 7.4 in [17], si deduce che

min Q∈M1,f −γn(Q) −→ min Q∈M1,f −γ0(Q) cioè la tesi −ρ(Xn) → −ρ(X0).

Si prova infine che (ii) implica (3.19). Se X in L∞è tale che ρ(X) = infL∞ρ allora,

prendendo Q ∈ M1,f, dal Lemma 3.12 si ricava

ρ(X) ≥ R(EQ[−X], Q) = inf{ρ(Y ) : EQ[−Y ] = EQ[−X]} ≥ inf

L∞ρ = ρ(X).

Quindi, il massimo in (3.16) viene raggiunto per ogni Q ∈ M1,f, e in particolare

per ogni Q ∈ M1.

Se invece, ρ(X) > infL∞ρ allora dalla (ii) segue che ρ(X) > R(t, Q) per ogni

(t, Q) ∈ R×M1,f\M1. Di conseguenza il massimo in (3.16) non può essere verificato

da una misura di probabilità in M1,f\M1ma sarà raggiunto da una misura in M1

e quindi si trova la (3.19).

Oss. La proposizione precedente, in particolare, contiene una condizione ne- cessaria e sufficiente affinché una misura di rischio quasi-convessa e semicon- tinua superiormente abbia una rappresentazione in termini del sottoinsieme M1 di M1,f.

Si osserva, nella proposizione seguente, che la continuità dal basso implica la semicontinuità superiore della norma per una misura di rischio. Infatti: Proposizione 3.16. Una misura di rischio ρ è continua dal basso se e solo se è semicontinua superiormente rispetto alla convergenza puntuale per le successioni di variabili aleatorie limitate.

Dimostrazione. Per dimostrare la parte diretta, sia (Xn)n∈Nuna successione

limitata di L∞ che converge puntualmente a X. Si definisce per ogni n ∈ N, Yn:= infk≥nXk. Dalla definizione segue subito che Xn≥ Ynper ogni n ∈ N

e Yn % X, dunque dalla decrescenza di ρ e dalla continuità dal basso si ha

la tesi in quanto

lim sup

n

ρ(Xn) ≤ lim

n→∞ρ(Yn) = ρ(X).

Viceversa, sia (Xn)n∈N una successione di L∞ tale che Xn % X. Dalla monotonìa di ρ deriva ρ(X) ≤ ρ(Xn), per cui

ρ(X) ≤ lim inf

n ρ(Xn).

La semicontinuità superiore rispetto alla convergenza puntuale porta a

lim sup

n

ρ(Xn) ≤ ρ(X)

Oss. Si ha un risultato analogo al precedente per le misure di rischio che soddisfano la proprietà di Fatou (2.6): ρ ha la proprietà di Fatou se e solo se è semicontinua inferiormente rispetto alla convergenza puntuale per le successioni di variabili aleatorie limitate.

Infine, per una misura quasi-convessa, la continuità dal basso e la semi- continuità inferiore della norma portano alla continuità rispetto alla conver- genza puntuale delle successioni limitate. Formalmente:

Proposizione 3.17. Sia ρ : L∞→ R una misura di rischio quasi-convessa. Le due seguenti condizioni sono equivalenti:

(i) ρ è continua dal basso e ha norma s.c.i.;

(ii) ρ è continua rispetto alla convergenza puntuale delle successioni limi- tate.

Dimostrazione. Si vedono le due implicazioni.

(ii) ⇒ (i). Segue dalla Proposizione 3.16 e dall’osservazione posta subito dopo.

(i) ⇒ (ii). Dall’ osservazione precedente, per avere la tesi è sufficiente prova- re che ρ è continua dall’alto. Con questo scopo, sia (Xn)n∈N una successione

in L∞ tale che Xn & X. Dalla decrescenza di ρ, ρ(Xn) ≤ ρ(X) per ogni n ∈ N e dunque, al limite,

lim

n→∞ρ(Xn) ≤ ρ(X).

Per la tesi bisogna verificare che vale l’uguaglianza. Si suppone per assurdo che valga la disuguaglianza stretta, ossia limn→∞ρ(Xn) < ρ(X).

La successione (Xn)n∈N è dunque contenuta nell’insieme {ρ < c} per un certo c < ρ(X). L’insieme di sottolivello {ρ ≤ c} è non vuoto, chiuso poiché ρ è s.c.i., convesso poiché ρ è quasi convessa e tale che

{ρ ≤ c} ⊆\

i∈I

[Qi ≥ bi], (3.20)

dove {(bi, Qi) : i ∈ I} =(b, Q) ∈ R × M1: [Q ≥ b] ⊇ {ρ ≤ c} .

In realta in (3.20) vale l’uguaglianza. Per l’altro contenimento, si prova che {ρ ≤ c}c

i∈I[Qi ≥ bi]

c .

Sia Y /∈ {ρ ≤ c}. Il singoletto {Y } è un sottoinsieme di L∞ non vuoto, compatto, convesso e ha intersezione nulla con {ρ ≤ c}. Per il Teorema di separazione di Hanh-Banach allora esistono b ∈ R, ε > 0 e Q ∈ (L∞)∗\{0} tale che

{ρ ≤ c} ⊆ [Q ≥ b] e Y ∈ [Q < b − ε].

Senza perdita di generalità si può assumere che Q ∈ M1,f. Infatti, se Z ∈

dedurre che Q(Z) ≤ 0. Quindi Q è un funzionale lineare positivo e non nullo, se Q /∈ M1,f è sufficiente normalizzarlo. Si prova che Q ∈ M1. Se per assurdo Q /∈ M1, allora per il punto (ii) della Proposizione 3.15 e dalla

decrescenza di ρ,

R(t, Q) = inf

X∈L∞ρ(X) ≤ ρ(X1) < c ∀t ∈ R.

Considerando t = ε − b, si osserva che

c > R(ε − b, Q) = inf{ρ(Z) : EQ[Z] = b − ε}.

Allora, ρ(Z0) < c per qualche Z0 ∈ [Q = b − ε], e ciò è assurdo poiché {ρ ≤ c} ⊆ [Q ≥ b].

Ricapitolando, dato Y /∈ {ρ ≤ c}, esiste una coppia (b, Q) ∈ R × M1 tale

che [Q ≥ b] ⊇ {ρ ≤ c} per cui Y /∈ [Q ≥ b], ossia la tesi. Dunque, in (3.20) si ha l’uguaglianza:

{ρ ≤ c} =\

i∈I

[Qi≥ bi] (3.21)

dove {(bi, Qi) : i ∈ I} è già stato definito in precedenza.

Infine, poiché (Xn)n∈N⊆ {ρ ≤ c} allora

EQi[Xn] ≥ bi ∀i ∈ I, n ∈ N.

Per il Teorema di convergenza monotona segue che EQi[X] ≥ bi per ogni

Il teorema di Krein-Šmulian

Si enuncia dapprima un risultato ausiliario che deriva dal teorema di Alaoglu-Bourbaki1e riguarda la compattezza delle palle chiuse in E∗rispetto alla topologia debole*:

Lemma A.1. Sia E uno spazio di Banach e B∗n è la palla chiusa di E∗ di raggio n, cioè

B∗n=φ ∈ E∗ : kφk ≤ n ,

allora B∗n è un insieme compatto rispetto alla topologia σ(E∗, E) per ogni n > 0.

Si espone il teorema con la relativa dimostrazione dettagliata.

Teorema A.2. Sia E uno spazio di Banach e sia C ⊂ E∗ un sottoinsieme convesso. Sono fatti equivalenti:

(i) C è chiuso rispetto alla topologia σ(E∗, E);

(ii) Cn:= C ∩ Bn∗ è chiuso rispetto alla topologia σ(E∗, E) per ogni n > 0.

Dimostrazione. Si provano le due implicazioni separatamente.

(i) ⇒ (ii) Ovvia. Dal lemma segue che Bn∗ è chiuso e dunque Cn è chiuso

rispetto alla topologia σ(E∗, E) poiché è intersezione di chiusi.

(ii) ⇒ (i) Si suddivide la dimostrazione di questa implicazione in più passi.

Passo1: Si prova che la proprietà (ii) è invariante per traslazione e dilatazione. Cioè se C soddisfa la proprietà (ii) allora

• tC soddisfa (ii) per ogni t > 0;

1

Teorema di Alaoglu-Bourbaki. Sia X uno spazio con una topologia lineare. Per ogni intorno V di 0 in X e per ogni ρ > 0, l’insieme

KV,ρ= {φ ∈ X∗| sup x∈V

|φ(x)| ≤ ρ} è compatto per la topologia σ(X∗, X).

• C + φ soddisfa (ii) per ogni φ ∈ E∗.

La parte della dilatazione è la più semplice. Infatti, poiché φ −→ tφ con t > 0 è un omeomorfismo e poiché vale che

(tC)n= tC ∩ Bn∗ = C ∩ B ∗

n/t= Cn/t ∀ n, t > 0,

segue la chiusura di (tC)npoiché C verifica (ii).

Per quanto riguarda la traslazione, invece, si fissa n > 0 e si considera la successione (Ψλ)λ∈Λ ⊂ (C + φ)n che converge debole* a qualche Ψ ∈ E∗,

cioè Ψλ* Ψ. Bisogna provare che Ψ ∈ C + φ. Innanzitutto vale che Ψ ∈ Bn∗

in quanto Ψλ ∈ Bn∗ per ogni λ ∈ Λ e Bn∗ è chiuso per il lemma precedente, quindi basta provare che Ψ ∈ C + φ. Si analizza (Ψλ− φ)λ∈Λe si ha

λ− φk ≤ kΨλk + kφk ≤ n + kφk da cui

(Ψλ− φ)λ∈Λ⊆ Cn+kφk

con Cn+kφk chiuso per la topologia σ(E∗, E) per ipotesi. Inoltre, Ψλ− φ *

Ψ − φ e quindi Ψ − φ ∈ C, cioè Ψ ∈ C + φ, la tesi.

Passo2: Se C soddisfa la condizione (ii) allora C è chiuso rispetto alla topologia indotta dalla norma.

Per avere la tesi basta provare che data una successione (φn)n∈N ⊂ C tale che φn−k·k−→ φ allora φ ∈ C.

Per ipotesi kφn− φk −→ 0, quindi (φn)n∈N è limitata, ossia esiste un N > 0

tale che φn ∈ CN per ogni n > 0. Per la compattezza debole* delle palle del duale esiste una sottosuccessione di (φn)n∈N che converge debole*, cioè esiste un nk tale che φnk * φ e φnk ∈ CN per ogni nk. Inoltre CN è chiuso

per la topologia σ(E∗, E) per ipotesi e dunque vale che φ ∈ CN, cioè φ ∈ C.

Per provare (i) basta far vedere che E∗\C è aperto; cioè che dato φ ∈ E∗\C esiste un intorno V di φ tutto contenuto in E∗\C ossia tale che V ∩ C = ∅.

Senza perdita di generalità, per il passo1, si può supporre che φ = 0 e quindi sotto l’ipotesi che φ /∈ C lo scopo è costruire un intorno di 0 disgiunto da C.

Passo3: Si suppone che 0 /∈ C. Si costruisce una successione (xn)∞n=1 in

E che soddisfa le due seguenti proprietà:

(∗) kxnk −→ 0;

(∗∗) sup

n

Sia d = dist(0, C) e si considera una successione (dn)∞n=1 % +∞ e tale che d1> d. In analogia con le notazioni precedenti

Cdk = {φ ∈ C : kφk ≤ dk}.

Per ogni dk, Cdk è un sottoinsieme convesso e chiuso rispetto alla topologia σ(E∗, E). Inoltre poiché C è chiuso rispetto alla topologia indotta dalla nor- ma, per il passo 2, esiste un elemento φ0 ∈ C tale che kφ0k = d > 0.

Si prova ora che esiste x1 ∈ E tale che

hφ, x1i > 1 ∀ φ ∈ Cd1.

Si utilizza la 2a forma geometrica del teorema di Hahn-Banach per la to- pologia debole* per separare strettamente {0} ⊂ E∗ che è un sottoinsieme convesso e compatto e Cd1 che, come si è appena provato, è un convesso chiu-

so di E∗. Inoltre poiché 0 /∈ C si ha anche che 0 /∈ Cd1 e quindi {0}∩Cd1 = ∅;

applicando il teorema si trovano x1 ∈ E, x16= 0, e α costante tali che hφ, x1i > α > 0 ∀ φ ∈ Cd1.

Se necessario, si rimpiazza x1 con un multiplo e si ha

hφ, x1i > 1 ∀ φ ∈ Cd1.

Si definisce A1 = {x1} e si costruisce per induzione una successione di

insiemi finiti (Ak)∞k=2 tali che

(A) Ak⊂ B1/dk−1; (B) sup x∈∪k i=1Ai hφ, xi > 1 per ogni φ ∈ Cdk. PASSO BASE: k = 2.

Bisogna costruire un sottoinsieme finito di E, A2, tale che (A) A2 ⊂ B1/d1; (B) sup x∈A1∪A2 hφ, xi > 1 per ogni φ ∈ Cd2. Sia A ∈ E, si pone YA= n φ ∈ Cd2 : sup x∈A1∪A hφ, xi ≤ 1o.

Quindi si cerca A un sottoinsieme di E tale che A ⊂ B1/d1 e YA = ∅. Si dimostra dapprima che

\

A∈F

dove F è l’insieme di tutti i sottoinsiemi finiti di E contenuti in B1/d

1.

Si suppone per assurdo che l’intersezione non sia vuota allora esiste un ele- mento in essa, ossia esiste φ ∈ YA per ogni A ∈ F . Si ha allora che φ ∈ Cd2 ed è tale che sup x∈A1∪A hφ, xi ≤ 1 ∀ A ∈ F e quindi in particolare hφ, x1i ≤ 1 (A.1) e hφ, xi ≤ 1 ∀ x ∈ B1/d1. (A.2)

Da (A.2) segue che

kφk = sup

y∈E,kyk≤1

hφ, yi = d1· sup x∈E,kxk≤1/d1

hφ, xi ≤ d1.

Allora φ ∈ Cd1 e dunque per quanto visto in precedenza hφ, x1i > 1 ma ciò

è in contraddizione con (A.1), quindi si è trovato l’assurdo.

Per compattezza allora esiste un numero finito di sottoinsiemi finiti A11, . . . , A1j tutti contenuti in B1/d1 e tali che

j \ i=1 YA1 i = ∅. (A.3) Prendendo A2 = A11∪ A1

2∪ · · · ∪ A1j allora si ha che è finito poiché unione di

insiemi finiti, contenuto in B1/d1 poiché A1i ⊂ B1/d1 per ogni i = 1, . . . , j ed è tale che YA2 = ∅.

Infatti, se si suppone per assurdo che YA2 non sia vuoto, allora esiste un

elemento φ ∈ Cd2 tale che

sup

x∈A1∪A11∪···∪A1j

hφ, xi ≤ 1,

ma allora φ ∈ YA1

i per ogni i = 1, . . . , j quindi

φ ∈ j \ i=1 YA1 i

il che porta all’assurdo contraddicendo (A.3).

PASSO INDUTTIVO:k − 1 ⇒ k. Bisogna costruire Ak finito tale che

(A) Ak⊂ B1/dk−1;

(B) sup

x∈∪k i=1Ai

Sia A ⊂ E si definisce, analogamente al passo base, YA nel seguente modo: YA= n φ ∈ Cdk : sup x∈∪k i=1Ai hφ, xi ≤ 1o.

Si deve quindi trovare A un sottoinsieme di E finito, contenuto in B1/d

k−1 e

tale che YA= ∅. Seguendo lo schema del passo base, si prova prima che

\

A∈G

YA= ∅

dove G è l’insieme di tutti i sottoinsiemi finiti di E contenuti in B1/dk−1. Si suppone per assurdo che l’intersezione non sia vuota allora esiste un φ ∈ Cdk tale che

hφ, xi ≤ 1 ∀x ∈ A1∪ A2∪ · · · ∪ Ak−1 (A.4) hφ, xi ≤ 1 ∀ x ∈ B1/d

k−1. (A.5)

Da (A.5) segue che kφk ≤ dk−1, quindi φ ∈ Cdk−1. Per ipotesi induttiva, dalla condizione (B), si ha che supx∈∪k−1

i=1

hφ, xi > 1 e ciò è in contraddizione con (A.4).

Di nuovo per compattezza si può estrarre da G un numero finito di sottoinsiemi Ak1, Ak2, . . . , Ak` tali che

` \ i=1 YAk i = ∅. Definendo allora Ak= Ak1∪ Ak 2∪ · · · ∪ Ak` si ha il sottoinsieme cercato.

Si è quindi costruita la successione di insiemi (Ak)∞k=1 che soddisfa (A) e (B). Si crea ora la successione (xn)∞n=1 che elenca gli insiemi A1, A2, . . .

in ordine, cioè si trova una successione di interi 0 = k0 < k1 < . . . (kj =

kj−1+ |Aj|) tali che Aj = {xn | kj−1< n ≤ kj} per ogni j ∈ N.

La successione appena definita verifica le condizioni richieste; infatti:

(∗) kxnk −→ 0 poiché An→ {0};

(∗∗) data φ ∈ C allora esiste un certo dN tale che kφk ≤ dN ossia φ ∈ CdN;

dalla condizione (B) allora si ha che sup

x∈∪N i=1Ai

hφ, xi > 1, dalla definizione

di xn deriva che anche

sup

n

hφ, xni > 1.

Passo 4: Si definisce, per concludere, l’intorno di 0 disgiunto da C. Si fissa la successione (xn)∞n=1 costruita nel passo 3 e si considera il seguente

operatore:

T : E∗ −→Y

N

R

φ −→ (hφ, xni)∞n=1.

Da (∗) si ha che T è lineare e ImT ⊂ c0. Inoltre T è anche continuo poiché è lineare e manda limitati in limitati; infatti:

|T (φ)| = |hφ, xni| ≤ kφk · kxnk ≤ kφk poiché kxnk → 0.

Dalla linearità di T e dalla convessità di C segue che anche T (C) ⊂ c0 è

convesso.

Si considera B ⊂ c0 dato da B = {b ∈ c0 | kbk < 1}. Grazie alla 1a

versione geometrica del teorema di Hahn-Banach si possono separare B e T (C) in quanto B è un sottoinsieme di c0 convesso e aperto, T (C) è un

sottoinsieme di c0 convesso e i due insiemi sono disgiunti tra loro grazie alla proprietà (∗∗). Allora esiste un funzionale lineare e continuo η : c0 −→ R e una costante α ∈ R tale che

hη, T (c)i ≥ α > hη, bi ∀ c ∈ C, b ∈ B. (A.6)

È noto che c∗0 ∼= `1 quindi il funzionale η ∈ c∗0 può essere rappresentato da un vettore t = (tn)∞n=1∈ `1 nel seguente modo:

hη, yi =

X

n=1

yntn ∀ y = (yn)∞n=1∈ c0.

In particolare, per ogni φ ∈ E∗, si può scrivere hη, T (φ)i = ∞ X n=1 φ(xn)tn= ∞ X n=1 φ(xntn)

dove la seconda uguaglianza è verificata per la linearità di φ. Da (∗) si può anche dire che

ktnxnk = |tn| · kxnk ≤ |tn| e quindi ∞ X n=1 ktnxnk ≤ ∞ X n=1 |tn| < ∞ poiché (tn)∞n=1 ∈ `1.

La serie, essendo assolutamente convergente, converge ad un certo x ∈ E e dunque

Riprendendo l’equazione (A.6) che definiva l’iperpiano di separazione si ha che

hφ, xi ≥ α > hη, bi ∀φ ∈ C, b ∈ B. Considerando allora b = 0 ∈ B,

hφ, xi ≥ α > 0 ∀ φ ∈ C.

Prendendo gli x, α appena trovati si può definire

D = {ψ ∈ E∗ | hψ, xi < α} ed è l’intorno di 0 disgiunto da C cercato.

Dualità quasi-concava

Sia (X, ≤) uno spazio ordinato normato, si denota con X+il cono positivo {x ∈ X : x ≥ 0} e con X+∗ l’insieme di tutti i funzionali positivi in X∗. Si definisce inoltre ∆ = {ξ ∈ X+∗ : kξk = 1}.

Spesso, nel corso di quest’appendice, si assume che X sia un M-spazio con unità1 quindi si richiamano le cose basilari che riguardano questi spazi. Per tutti i dettagli si può consultare il capitolo 9 in [2].

Un M-spazio è uno spazio di Riesz normato dotato di una M-norma:

kx ∨ yk = kxk ∨ kyk ∀x, y ∈ X+.

Oss. Ogni spazio normato di Riesz con unità può essere trasformato in un M-spazio, a patto che l’unità sia interna al cono positivo X+. In particolare, lo spazio L∞su uno spazio di misura finito (Ω, F , P), con unità data da1, è un M-spazio.

Se X è un M-spazio con unità e, la propria palla unitaria chiusa è data da [−e, e] = {x ∈ X : −e ≤ x ≤ e}. Quindi, kξk = hξ, ei per ξ ∈ X+∗, e ∆ = {ξ ∈ X+∗ : hξ, ei = 1} è un insieme convesso e compatto per la topologia debole*.

Una funzione g : X → R è

• semicontinua inferiormente (s.c.i.) se gli insiemi {g ≤ α} sono chiusi per ogni α ∈ R;

• semicontinua superiormente (s.c.s.) se gli insiemi {g ≥ α} sono chiusi per ogni α ∈ R;

• quasi-convessa se gli insiemi {g ≤ α} sono convessi per ogni α ∈ R; • quasi-concava se gli insiemi {g ≥ α} sono convessi per ogni α ∈ R. In particolare valgono le seguenti relazioni tra le funzioni:

• g è quasi-convessa ⇔ −g è quasi-concava;

• g è s.c.s. ⇔ −g è s.c.i.;

• g è continua ⇔ è semincontinua superiormente e inferiormente.

Si denota con Mqc(X) l’insieme di tutte le funzioni monotone crescenti

e quasi-concave g : X → R. Inoltre si usa M(R × ∆) per indicare lo spazio delle funzioni G : R × ∆ → R che verificano le due seguenti proprietà:

∗ G(·, ξ) è crescente per ogni ξ ∈ ∆;

∗ limt→∞G(t, ξ) = limt→∞G(t, ξ0) per ogni ξ, ξ0∈ ∆.

Si considera l’operatore T : Mqc(X) → M(R × ∆) dato da

(T g)(t, ξ) = sup x∈X {g(x) : hξ, xi ≤ t} ∀g ∈ Mqc(X), e l’operatore Q : M(R × ∆) → Mqc dato da (QG)(x) = inf ξ∈∆G(hξ, xi, ξ) ∀G ∈ M(R × ∆). (B.1)

Si definisce ora la nozione di dualità monotona quasi-concava, necessaria per il teorema di rappresentazione.

Definizione B.1. Due sottoinsiemi A ⊂ Mqc(X) e B ⊂ M(R×∆) formano

una coppia duale quasi-concava, e si scrive hA, Biqc, se T è iniettiva su A,

T (A) = B, e T−1 = Q.

In altre parole, si ha hA, Biqc, quando per ogni g ∈ A, l’unica G ∈ B tale

che

g(x) = inf

ξ∈∆G(hξ, xi, ξ) ∀x ∈ X, (B.2)

è data da

G(t, ξ) = sup{g(x) : hξ, xi ≤ t} ∀(t, ξ) ∈ R × ∆, (B.3) e, viceversa, per ogni G ∈ B esiste un’unica g ∈ A tale che (B.3) sia verificata. Tale g è data da (B.2) e quindi la dualità è completa.

Sia ξ ∈ X∗, ad ogni funzione g : X → R si possono associare due funzioni ausiliarie definite per ogni t ∈ R:

gξ(t) = sup x∈X

{g(x) : hξ, xi = t} e Gξ(t) = sup x∈X

{g(x) : hξ, xi ≤ t}.

Queste due funzioni giocano un ruolo importante nel seguito. Si osserva in particolare che Gξ è crescente e domina gξ per ogni ξ ∈ X∗. Infatti, Gξ= supk≤tgξ(k).

I prossimi lemmi mostrano alcune proprietà fondamentali della mappa (t, ξ) → Gξ(t).

Lemma B.2. Per ogni funzione g : X → R, lim t→∞Gξ(t) = supζ∈X∗ sup t∈R Gζ(t) = sup x∈X g(x) ∀ξ ∈ X∗. (B.4)

Dimostrazione. Dalla definizione, Gζ(t) ≤ supx∈Xg(x) per ogni t ∈ R e ζ ∈ X∗, e dunque

sup

ζ∈X∗supt∈RGζ(t) ≤ supx∈Xg(x).

Analogamente, si prova che g(x) ≤ Gξ(hξ, xi) per ogni x ∈ X e ξ ∈ X∗. Sia (xn)n∈N una successione in X tale che g(xn) % supx∈Xg(x). Poiché

t → Gξ(t) è crescente, si ha g(xn) ≤ Gξ(hξ, xni) ≤ limt→∞Gξ(t) per ogni

n ∈ N. Mettendo insieme tutte le disuguaglianza ottenute si ha sup x∈X g(x) = lim n→∞g(xn) ≤ limt→∞Gξ(t) ≤ supζ∈X∗ sup t∈R Gζ(t) ≤ sup x∈X g(x)

da cui derivano immediatamente le uguaglianze in (B.4).

Lemma B.3. Per ogni funzione g : X → R la mappa (ξ, t) → Gξ(t) è

quasi-convessa.

Dimostrazione. Siano (t1, ξ1), (t2, ξ2) ∈ R × X∗. Si considera λ ∈ (0, 1) e si

prende il punto (t0, ξ0) con t0 = λt1+ (1 − λ)t2 e ξ0 = λξ1 + (1 − λ)ξ2. La

seguente relazione insiemistica,

{x ∈ X : hξ0, xi ≤ t0} ⊂ {x ∈ X : hξ1, xi ≤ t1} ∪ {x ∈ X : hξ2, xi ≤ t2},

implica che Gξ0(t0) ≤ max{Gξ

1(t1), Gξ2(t2)} e cioè la tesi.

Lemma B.4. Sia g : X → R. Se g è s.c.i. allora la mappa (t, ξ) → Gξ(t) è

s.c.i. su R × (X∗\{0}).

Dimostrazione. Sia α ∈ R, si prova che {Gξ(t) > α} è un insieme aperto. Si

fissa (t, ξ) ∈ R × X∗\{0} tale che Gξ(t) > α e kξk 6= 0. Per definizione, esiste x0 ∈ X tale che hξ, x0i ≤ t e g(x0) > α. Poiché

kξk = suphξ, xi : kxk = 1 ,

esiste u ∈ X con kuk = 1 e per cui vale hξ, ui ≥ kξk2 > 0. Si prende xn = x0 − un → x0. Dalla convergenza esiste n ∈ N tale che g(xn) > α;

inoltre, hξ, xni = hξ, x0i − hξ, ui n ≤ t − δ per δ = 2−1n−1kξk. L’insieme U = {ξ ∈ X∗\{0} : hξ, xni < hξ, xni + δ/2} è un sottoinsieme aperto, e per ogni (t, ξ) ∈ (t − δ/2, ∞) × U si ha

hξ, xni < hξ, xni + δ/2 ≤ t − δ + δ/2 = t − δ/2 > t. Allora, Gξ(t) ≥ g(xn) > α e quindi la mappa (t, ξ) → Gξ(t) è s.c.i.

Il cono positivo X+ in uno spazio ordinato X si dice quasi riproducibile se X =X+− X+.

Dalla decomposizione di Riesz, i coni positivi di spazi normati di Riesz sono riproducibili in quanto X = X+ − X+. Si vedono ora due proprietà elementari di questi spazi.

Lemma B.5. X+ è quasi-riproducibile se e solo se per ogni ξ ∈ X+∗\{0}

esiste z ∈ X+ tale che hξ, zi > 0.

Dimostrazione. Si assume che X =X+− X+ e si suppone, per assurdo, che

esiste ξ ∈ X+∗\{0} tale che hξ, xi = 0 per ogni ξ ∈ X+. Segue che hξ, ui = 0

per ogni u ∈ X+− X+. Allora, lo spazio vettoriale chiuso X+− X+dovrebbe

essere incluso nell’iperpiano hξ, xi = 0, in contraddizione con ξ 6= 0.

Viceversa, si assume che per ogni ξ ∈ X+∗\{0} esiste z ∈ X+ tale che

hξ, zi > 0 e si suppone, di nuovo per assurdo, che X+− X+ 6= X. Allora il sottospazio chiuso X+− X+ è contenuto in un iperpiano. Ossia esiste

ξ ∈ X+∗\{0} tale che hξ, ui = 0 per ogni u ∈ X+− X+, ma allora vale che

hξ, xi = 0 per ogni x ∈ X+ ed è contro le ipotesi fatte.

Lemma B.6. Se X+è quasi-riproducibile e g : X → R è monotona crescente

allora Gξ = gξ per ogni ξ ∈ X+∗\{0}.

Dimostrazione. Per definizione si ha gξ(t) ≤ Gξ(t), si suppone per assur-

do che esiste ξ ∈ X+\{0} e t ∈ R tale che gξ(t) < Gξ(t). Sempre dalla

definizione delle due funzioni ausiliarie, esiste x ∈ X per cui

gξ(t) < g(x) ≤ Gξ(t) e hξ, xi < t. (B.5)

Dal Lemma B.5 inoltre, poiché X è quasi-riproducibile e ξ ∈ X+∗\{0}, esiste z ∈ X+ tale che hξ, zi > 0. Prendendo α > 0 tale che hξ, x + αzi = t, segue

che gξ(t) ≥ g(x + αz) > g(x), che porta all’assurdo vista la (B.5).

Si denota con Mlsc(X) l’insieme delle funzioni g : X → R in Mqc(X) che

sono anche s.c.i. e con Lqcx(R × ∆) la classe delle funzioni G : R × ∆ → R

in M(R × ∆) semicontinue inferiormente.

Teorema B.7. Sia X un M-spazio. Allora si ha seguente coppia duale:

hMlsc(X), Lqcx(R × ∆)iqc.

In particolare l’estremo inferiore in (B.1) è raggiunto da qualche ξ ∈ ∆ e dunque è un minimo.

Allora la mappa T : Mlsc(X) → Lqcx(R × ∆) data da

è bigettiva. La sua inversa T−1 : Lqcx(R × ∆) → Mlsc(X) è data da

(T−1G)(x) = min

ξ∈∆G(hξ, xi, ξ) ∀x ∈ X.

Il Teorema B.7 espone una dualità completa per la classe Mlsc(X) delle funzioni g : X → R monotone crescenti, quasi-concave e s.c.i. La dimo- strazione di questo risultato segue dai seguenti lemmi che vengono enunciati senza dimostrazione per non appesantire l’appendice; per i dettagli si può vedere in [6]. Data G : R × ∆ → R, si definisce Γ : X × ∆ → R ponendo Γ(x, ξ) = G(hξ, xi, ξ).

Lemma B.8. Sia G : R × ∆ → R una funzione monotona crescente nella prima variabile, s.c.i. e quasi-convessa su R×∆. Allora la funzione Γ appena definita è s.c.i. su X × ∆ e quasi-convessa su ∆.

Lemma B.9. Una funzione g : X → R è quasi-concava, monotona e s.c.i. se e solo se esiste una funzione G : R × ∆ → R crescente nella prima variabile, s.c.i. e quasi-convessa su R × ∆, tale che

g(x) = min

ξ∈∆G(hξ, xi, ξ) ∀x ∈ X.

Lemma B.10. Sia X un M-spazio. Vale la seguente uguaglianza: T Q(G) = G ∀G ∈ Lqcx(R × ∆).

Dimostrazione del teorema B.7. Si considera la mappa T : Llsc(X) → M(R× ∆). Dai Lemmi B.2,B.3 e B.4 si ha che Gξ(t) è quasi-convessa e s.c.i. quindi

T (Mlsc(X)) ⊂ Lqcx(R × ∆). Da un teorema generale sulla dualità quasi-

convessa (Teorema 2.6 in [18]) segue che T è iniettiva. Sia G ∈ Lqcx(R × ∆), dal Lemma B.9 QG ∈ Mlsc e dal Lemma B.10 T Q(G) = G. Dunque Q è

surgettiva e T−1= Q.

Per concludere, si da un cenno della dualità di Fenchel nel caso di funzioni quasi-concave.

Data g : X → R una funzione concava, si definisce trasformata di Fenchel di g la funzione data da:

g∗(ξ) = inf

x∈X hξ, xi − g(x)



∀ξ ∈ X∗. (B.6)

Oss. In generale data una qualsiasi funzione g : X → R si ha (gξ)∗(λ) = g∗(λξ) ∀ξ ∈ X∗, ∀λ ∈ R.

Prendendo in particolare λ = 1 se ne deduce che g∗(ξ) = inf

t∈R t − gξ(t)



∀ξ ∈ X∗, e se g è monotona crescente e X+ quasi-riproducibile,

g∗(ξ) = inf

t∈R t − Gξ(t)



Nel caso di una funzione concava si ha la seguente relazione tra Gξ e la coniugata di Fenchel g∗.

Lemma B.11. Sia g : X → R una funzione concava. Allora Gξ(t) = min

λ≥0 λt − g ∗(λξ)

∀t ∈ R, ∀ξ ∈ X∗\{0}.

Dimostrazione. Si fissa la coppia (t, ξ) ∈ R×X∗\{0}. Si può scrivere Gξ(t) = supx∈X g(x) − δξ(x) dove δξ è la funzione caratteristica:

δξ(x) =

(

0 se hξ, xi ≤ t, ∞ se hξ, xi > t.

In particolare, δξ(x) è una funzione convessa.

Dal Teorema di dualità di Fenchel-Rockafeller (in [19]),

sup

x∈X

g(x) − k(x) = min

ξ∈X∗ k∗(ξ) − g

(ξ),

dove g : X → [−∞, +∞) è una funzione concava, k : X → (−∞, +∞] è una funzione convessa, finita e continua negli stessi punti di domg := {x ∈ X : g(x) > −∞}, e k∗è la coniugata di Fenchel di k. Se si pone k(x) = δξ(x) per

ogni x ∈ X, essendo g a valori reali allora tutte le ipotesi sono soddisfatte per t e ξ fissati. Resta da calcolare k∗(ξ). Applicando la definizione

k∗(ξ) = sup x∈X

{hξ, xi : hξ, xi ≤ t}.

È facile verificare che

k∗(ξ) =

(

λt se ξ = λξ, λ ≥ 0, ∞ altrimenti.

Segue quindi la tesi,

Gξ(t) = sup x∈X

g(x) − δξ(x) = min

λ≥0 λt − g ∗(λξ).

Nel caso in cui g è monotona crescente e X è quasi-riproducibile si trova un risultato particolarmente importante:

Proposizione B.12. Sia X uno spazio quasi-riproducibile e g : X → R una funzione quasi-concava e monotona crescente; g è convessa se e solo se

gξ(t) = inf

λ≥0 λt − g ∗(λξ)

Dimostrazione. Si vede la parte diretta. Si suppone ρ concava allora per il Lemma B.6 il Lemma B.11 gξ(t) = Gξ(t) = min λ≥0 λt − g ∗(λξ) ∀(t, ξ) ∈ R × (X∗\{0}). Viceversa, se gξ soddisfa (B.7), allora gξ è concava per ogni ξ ∈ ∆, e quindi anche g lo è.

Oss. Da questo risultato si può ricavare l’analogo per funzioni quasi-convesse e monotone decrescenti utilizzato nel corso del capitolo 3.

Sia X uno spazio quasi-riproducibile. Data g : X → R quasi-convessa e decrescente, g è convessa se e solo se

gξ(t) = sup λ≥0

λt − α(λξ)

(B.8)

dove α è la funzione coniugata di Fenchel ed è data da

α(ξ) = sup

x∈X

− hξ, xi − g(x)

∀ξ ∈ X∗. (B.9)

Infatti: g è convessa se e solo se −g è concava e quindi, poiché −g è quasi- concava e monotona crescente, dalla proposizione segue che ciò accade se e solo se (−g)ξ(t) = inf λ≥0 λt − (−g) ∗ (λξ) dove (−g)∗(ξ) = inf x∈X hξ, xi + g(x)  ∀ξ ∈ X∗. Scrivendo meglio: (−g)∗(ξ) = − sup x∈X − hξ, xi − g(x) = −α(ξ) (B.10)

vista la definizione di α in (B.9). Allora si ha

(−g)ξ(−t) = inf

λ≥0 − λt + α(λξ) = − supλ≥0 λt − α(λξ).

Dunque se si prova

(−g)ξ(−t) = −gξ(t)

si ha la tesi. Ma questo è banalmente vero osservando che

gξ(t) = inf

x∈X{g(x) : hξ, −xi = t}

Bibliografia

[1] J. Aczel e J. Dhombres. Functional Equations in Several Variables. En- cyclopedia of Mathematics and its Applications. Cambridge University Press, 1989.

[2] Charalambos D. Aliprantis e Kim C. Border. Infinite Dimensional Analysis. Berlin; London: Springer, 2006.

Documenti correlati