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Teoremi di rappresentazione per le misure di rischio

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Corso di Laurea in Matematica

Tesi di Laurea Magistrale

Teoremi di rappresentazione per

le misure di rischio

10 Luglio 2020

Candidato:

Roberta Venditti

Relatore:

Prof. Maurizio Pratelli

Controrelatore:

Dott. Dario Trevisan

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Introduzione 3

1 I rischi finanziari: riconoscerli e gestirli 7

1.1 I rischi nelle banche . . . 8

1.1.1 Il rischio di credito . . . 9

1.1.2 Il rischio di mercato . . . 9

1.1.3 Il rischio operativo . . . 9

1.2 Un po’ di regolamentazione: storia di Basilea . . . 10

1.3 Misurazione e gestione del rischio . . . 13

2 Teoria assiomatica delle misure di rischio 14 2.1 Definizioni preliminari . . . 15

2.2 Definizioni delle misure di rischio . . . 16

2.2.1 Misure di rischio monetarie, convesse e coerenti . . . . 16

2.2.2 Misure monetariamente subadditive e quasi-convesse . 17 2.3 Posizioni accettabili e insiemi di accettazione . . . 22

2.4 Proprietà di continuità per misure di rischio convesse e coe-renti . . . 27

3 Teoremi di rappresentazione per le misure di rischio 29 3.1 Risultati preliminari . . . 30

3.2 Teoremi di rappresentazione . . . 33

3.3 Applicazioni dei teoremi: proprietà aggiuntive delle misure di rischio quasi-convesse e monetariamente subadditive . . . 43

3.3.1 Subadditività, positiva omogeneità, star-shapedness . . 44

3.3.2 Proprietà di continuità . . . 48

Appendice 53

A Il teorema di Krein-Šmulian 53

B Dualità quasi-concava 60

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Introduzione

Le banche sono organizzazioni globali molto complesse che gestiscono numerosi tipi di attività: il compito tradizionale di raccogliere depositi e concedere prestiti è affiancato da tutte le mansioni legate alla sfera degli investimenti. Connesso all’incertezza dei valori futuri di un investimento nasce il rischio finanziario. Una descrizione dettagliata sulle varie tipologie di rischio riconosciute dalle banche viene proposta nel primo capitolo dove, per chiarire meglio l’origine dei vari rischi, viene esposto anche l’iter della regolamentazione di Basilea che ha avuto inizio nel 1988 con l’accordo Basilea I ed è tutt’ora in vigore con la graduale adozione di Basilea III. Il capitolo si basa sulle informazioni raccolte dal libro Risk Management and Financial Institutions di John Hull [15].

Un grande vantaggio dei rischi finanziari è la possibilità della loro gestio-ne. Prima di poter svolgere un buon lavoro di risk management c’è bisogno di un’operazione preliminare: la quantificazione del rischio. Generalmente la quantificazione si ottiene modellando il payoff incerto come una variabile aleatoria alla quale si applica un determinato funzionale che prende il nome di misura di rischio.

Negli ultimi 20 anni c’è stata una grande varietà di proposte metodolo-giche, estensioni matematiche e variazioni sull’argomento: in questa tesi si assume come linea guida la teoria assiomatica delle misure di rischio. Con questo approccio, anziché studiare le caratteristiche di ogni singola misura, si cercano insiemi di assiomi che la misura deve soddisfare e a partire da essi, si definiscono le corrispondenti classi di misure di rischio.

Il problema di una definizione formale delle misure di rischio, e delle proprietà economiche che dovevano essere in grado di esprimere utilizzando un linguaggio matematico, è stato analizzato per la prima volta da Artzner, Delbean, Eber e Heath nel 1999 in [3], articolo in cui vengono introdotte le misure di rischio coerenti. Con vari studi si è giunti alla consapevolezza che le misure coerenti erano troppo restrittive e dunque, nel 2002, sia Föllmer e Schied in [11], sia Frittelli e Rosazza Gianin in [14], hanno rilassato le ipotesi della precedente classe di misure di rischio andando a definire una nuova classe molto interessante sia da un punto di vista economico che da quello matematico: le misure di rischio convesse. Ad aumentare l’importanza di queste misure, si aggiunge anche la particolare caratteristica della loro

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applicabilità in problemi di copertura e di pricing in mercati incompleti come si vede, ad esempio, in [8], in [13] e in [10].

Nel corso di questo lavoro di tesi, si generalizza anche la definizione delle misure convesse introducendo, con riferimento all’articolo [7], le misure di rischio quasi-convesse e monetariamente subadditive. L’esigenza dello studio di una nuova classe di misure di rischio nasce dall’esistenza di un settore particolarmente importante in termini finanziari non coperto dalle misure di rischio convesse: le posizioni che si basano su tassi di interessi stocastici.

L’ambiente in cui si introducono tutte le misure di rischio è uno spazio di probabilità fissato (Ω, F , P), che viene chiamato scenario e che rappresenta l’insieme di tutte le possibili situazioni economiche che possono presentarsi ad un tempo futuro T precedentemente stabilito. In relazione a questo spazio si va a considerare l’insieme di tutte le variabili aleatorie limitate L∞(Ω, F , P) che raffigura la totalità delle posizioni finanziarie delle quali si desidera una stima quantistica del rischio inerente.

Una misura di rischio è una qualsiasi mappa scalare ρ monotona de-crescente definita su L∞(Ω, F , P). La funzione ρ associa ad ogni variabile aleatoria X in L∞(Ω, F , P) il valore ρ(X) che rappresenta il rischio della posizione X: essa si reputa tanto più rischiosa quanto più ρ(X) tende a +∞ e, al contrario, tanto meno rischiosa quanto più ρ(X) tende a −∞. In ogni caso, X si dice accettabile se ρ(X) ≤ 0. La denominazione accettabile risulta più intuitiva se ρ(X) viene interpretato come requisito patrimonia-le, ossia come l’importo minimo di capitale che le banche devono detenere secondo le autorità di regolamentazione per essere protette dai rischi delle varie insolvenze.

Le misure di rischio coerenti, in aggiunta alla monotonìa, soddisfano an-che altre tre proprietà: l’additività monetaria, la positiva omogeneità e la subadditività. Le ultime due proprietà possono essere rilassate in favore della convessità dando origine alle misure di rischio convesse. Inoltre, l’ad-ditività monetaria, proprietà che viene meno non appena si presenta una qualsiasi forma di incertezza sui tassi di interesse, può essere sostituita con una proprietà sicuramente più interessante da un punto di vista economi-co: la subaddditività monetaria. Si dimostra che rimpiazzando l’additività con la subadditività monetaria, la convessità può lasciare il posto alla quasi-convessità senza perdere la sua interpretazione in termini di diversificazione: nasce così la classe delle misure di rischio monetariamente subadditive e quasi-convesse.

La convessità è la traduzione in termini matematici del principio fonda-mentale nel campo della finanza: "la diversificazione non aumenta i rischi". Letteralmente:

"se le posizioni X e Y sono meno rischiose di Z, allora anche tutte le posizioni diversificate λX + (1 − λ)Y, con λ compreso tra 0 e 1, lo sono".

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Usando le misure di rischio il concetto si esprime mediante la seguente implicazione

ρ(X), ρ(Y ) ≤ ρ(Z) =⇒ ρ λX + (1 − λ)Y ≤ ρ(Z) ∀λ ∈ [0, 1] equivalente alla convessità nel caso in cui ρ verifichi l’additività monetaria, mentre, in generale, corrispondente soltanto alla quasi-convessità.

Da un punto di vista finanziario il passaggio dalla convessità alla quasi-convessità è concettualmente molto importante: consente di distinguere il vero principio di diversificazione, che rappresenta il pilastro centrale della gestione del rischio, dall’assunzione della liquidità di attività prive di rischio che ne è una semplificazione astratta. La controparte economica della quasi-convessità delle misure di rischio è la quasi-concavità della funzione di utilità classicamente associata all’avversione all’incertezza, ossia alla tendenza di favorire il noto rispetto all’ignoto.

Tutti gli assiomi necessari per le definizioni precedenti saranno analizzati in modo dettagliato nel secondo capitolo dove si espone la teoria assiomatica delle misure di rischio. In particolare, dopo aver identificato le varie classi di misure di rischio, si mostra la caratterizzazione delle misure convesse e coerenti in termini dei propri insiemi di accettazione dati da

Aρ:= {X ∈ L∞(Ω, F , P) : ρ(X) ≤ 0}

e si conclude con la descrizione delle varie proprietà di continuità sempre nel caso delle due misure di rischio appena citate.

Infine, nel terzo ed ultimo capitolo viene presentata la parte centrale della tesi: i teoremi di rappresentazione per le misure di rischio.

Come primo risultato si dimostra che, fissato lo scenario (Ω, F , P) e data una misura di rischio convessa ρ : L∞(Ω, F , P) → R, essa ha la forma

ρ(X) = max

Q∈M1,f

EQ[−X] − αmin(Q)



dove M1,f è l’insieme delle misure su (Ω, F ) finitamente additive e

assolu-tamente continue rispetto a P e αmin : M1,f →] − ∞, +∞] è una funzione

di penalità definita da αmin(Q) = sup X∈L∞ EQ [−X] − ρ(X) = sup X∈Aρ EQ[−X] ∀Q ∈ M1,f.

In un secondo momento, si cerca una rappresentazione che si concentra su un insieme più piccolo M1, sottoinsieme di M1,f dato delle misure di probabilità su (Ω, F ) assolutamente continue rispetto a P. Un risultato del genere è possibile a patto che ρ soddisfi la proprietà di Fatou, o equivalen-temente se il suo insieme di accettazione Aρ è chiuso rispetto alla topologia debole*. In tal caso, però, non è detto che il massimo sia raggiunto e dunque nella rappresentazione sarà presente l’estremo superiore al suo posto.

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Come corollario di questi risultati, seguono i teoremi di rappresentazione delle misure coerenti: data ρ una misura di rischio coerente essa è della forma

ρ(X) = max

Q∈QEQ[−X] ∀X ∈ L

dove Q è il sottoinsieme di M1,f dato da

Q = {Q ∈ M1,f : αmin(Q) = 0}.

Per la classe delle misure quasi-convesse e monetariamente subadditive invece, si dimostra che ρ è della forma

ρ(X) = max

Q∈M1,f

R EQ[−X], Q



∀ X ∈ L∞,

dove R : R × M1,f → R è una funzione quasi-concava, semicontinua

su-periormente, crescente e non espansiva nella prima componente e tale che inft∈RR(t, ·) è costante. Inoltre, la funzione R per cui la rappresentazione è valida è unica ed è data da

R(t, Q) = inf{ρ(X) : EQ[−X] = t} ∀ (t, Q) ∈ R × M1,f.

La rappresentazione di ρ appena proposta non è abbastanza generale da poter essere applicata a tutte le misure di rischio presenti in letteratura, ma ha un’interpretazione molto intuitiva: R(t, Q) è il capitale richiesto oggi per coprire le perdite future t se si suppone di essere in una situazione economica descritta dalla probabilità Q. Poiché c’è incertezza sul quadro globale econo-mico che avrà luogo in futuro, le agenzie di supervisione seguono l’approccio più cauto: richiedono l’ammontare massimo che corrisponde al realizzarsi dell’evento più catastrofico possibile in termini di perdite.

Nell’ultima parte del capitolo, si vede una caratterizzazione alternativa per le misure di rischio coerenti e si prova che se ρ è una misura di ri-schio quasi-convessa, semicontinua superiormente e verifica la proprietà di continuità dal basso, allora, anche in questo caso, si riesce a trovare una rappresentazione della misura di rischio sul sottoinsieme M1.

È importante osservare che, mentre i teoremi di rappresentazione per le misure di rischio convesse e coerenti si basano su risultati abbastanza noti di dualità convessa classica e in particolare sul Teorema di Krein-Šmulian esposto e dimostrato nell’Appendice A, il teorema di rappresentazione di misure di rischio quasi-convesse e monetariamente subadditive si fonda sulla teoria duale quasi-concava che è decisamente più complessa. Per questo, come conclusione della tesi, nell’Appendice B, viene proposta una versione sintetica della dualità quasi-concava che cerca di racchiudere tutti i risultati principali necessari per la comprensione delle dimostrazioni dei teoremi di rappresentazione esposti.

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I rischi finanziari: riconoscerli e

gestirli

Il termine rischio è sempre un po’ ostico da definire in quanto può avere tante sfaccettature a seconda del contesto e della situazione in cui viene usato. In ogni ambito, però, esso richiama le nozioni di incertezza, casualità e probabilità. In generale, il rischio può essere visto come la possibilità che un’azione o una scelta porti ad una perdita o ad un evento inaspettato e non gradito. Quindi, implicitamente, nella definizione si racchiude il concetto che una decisione influenza il risultato in modo negativo.

Nel mondo finanziario, s’intende l’incertezza legata al valore futuro di un investimento. Uno strumento finanziario viene definito rischioso quando il flusso monetario che produce è almeno in parte casuale, ossia non è calcola-bile in anticipo con certezza. Un esempio classico di attività rischiosa è un titolo azionario: è impossibile sapere se il prezzo aumenterà o diminuirà nel tempo, né se la società che lo ha emesso pagherà periodicamente i dividendi. In questo contesto, il rischio può essere gestito: si riesce ad identificarlo, a misurarlo, a stimarne le conseguenze e ad agire in modo appropriato trasfe-rendolo o ridimensionandolo. La responsabilità di tutto questo iter per la gestione dei rischi è insita in una figura professionale, il risk manager. Esso è il responsabile del risk management e il suo compito è proprio quello di capire se i rischi sono accettabili e, nel caso in cui non lo sono, decidere le opportune azioni correttive da intraprendere. Si potrebbe pensare, erro-neamente, che il risk management è un processo che porta a ridurre i rischi assunti dall’azienda, ma, in realtà, le società devono assumere dei rischi se vogliono sopravvivere e prosperare: vanno selezionati accuratamente il tipo e il livello di rischio che sono in grado di sopportare, arrivando, in molti casi, a sacrificare risorse per rendimenti futuri incerti.

Negli ultimi decenni, il risk manager ha svolto un ruolo sempre più ri-levante in tutte le società: il continuo aumento delle tipologie di rischio cui sono esposti gli organi finanziari hanno fatto sì che anche le risorse destinate

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alla loro copertura crescessero rendendo così la propria gestione sempre più complessa. Molte perdite disastrose, come quelle di Barings Bank nel 1995, Allied Irish Bank nel 2002, Société Générale nel 2007 e UBS nel 2011, pote-vano essere evitate se fossero state adottate regole proprie di una buona fun-zione di risk management. Anche le enormi perdite sui subprime mortages, mutui subprime o di qualità secondaria, subìte da banche quali Citygroup, UBS e Merrill Lynch, sarebbero state meno severe se il risk manager fosse stato in grado di convincere l’azienda che i rischi presi erano troppo elevati. Il rischio può manifestarsi sotto diverse forme e in diverse tipologie di realtà finanziarie: presso le banche, presso le istituzioni finanziarie in generale e presso imprese industriali e commerciali. Si analizzano, in dettaglio in questo capitolo, i rischi dell’ambito bancario. In particolare si vedranno le varie tipologie di rischio cui sono esposte le banche, la regolamentazione che c’è dietro di esse e come i rischi vengono misurati e gestiti.

1.1

I rischi nelle banche

Le banche sono complesse organizzazioni globali che si occupano di di-versi tipi di attività. Il ruolo tradizionale della banca è da sempre quello di raccogliere depositi e concedere prestiti seguendo la condizione base che il tasso d’interesse addebitato sui prestiti sia maggiore del tasso d’interes-se accreditato sui depositi, in modo tale che la differenza tra i due copra i costi amministrativi, le perdite sui prestiti e offra agli azionisti un tasso di rendimento adeguato. Oggi, invece, le grandi banche oltre ad occuparsi di questi servizi commerciali, trattano anche i servizi bancari per gli inve-stimenti: sottoscrivono titoli sul mercato primario, li negoziano sul mercato secondario, offrono servizi d’intermediazione mobiliare, gestioni fiduciarie, servizi di consulenza su molti temi di finanza aziendale, fondi comuni di in-vestimento, servizi agli hedge funds, ecc. Queste diverse operazioni bancarie producono una vasta gamma di rischi.

Entrano qui in campo le autorità di vigilanza: esse impongono alle banche di detenere capitale sufficiente per far fronte ai rischi che si assumono. Nel 1988 sono stati definiti gli standard internazionali per i requisiti patrimoniali delle banche. Questi standard, e il modo in cui si sono evoluti, verranno descritti nel corso del capitolo e in particolare nella sezione dedicata agli Accordi di Basilea. Ora, invece, si analizzano i dettagli delle varie tipologie di rischio con le quali le banche devono scontrarsi: il rischio di credito, il rischio di mercato e il rischio operativo.

Oltre a questi rischi principali, è presente anche un ulteriore rischio che è entrato a far parte della classe dei rischi finanziari per ultimo e che non si vede dettagliatamente: il rischio di liquidità. Esso consiste nell’incapacità della banca di affrontare, tempestivamente e in condizioni di equilibrio economico, gli impegni monetari connessi con la propria gestione operativa.

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1.1.1 Il rischio di credito

Il rischio di credito è il rischio di fallimento delle controparti e in genere è quello che richiede maggior capitale. Esso è influenzato sia dal ciclo econo-mico, sia da eventi legati al debitore e il più delle volte si riduce nei periodi di crescita economica mentre aumenta nei periodi di crisi.

Tale rischio, inoltre, si presenta anche quando non si arriva al fallimento effettivo, ma c’è una variazione della fiducia dell’emittente. Il livello di fidu-cia, che prende il nome di rating, è attribuito da alcune agenzie particolari nate proprio con lo scopo di valutare la stabilità finanziaria dei vari enti che emettono titoli azionari. Qualora si verificasse l’ipotesi che l’emittente non sia in grado di ripagare, del tutto o in parte, il debito contratto, le agenzie provvedono a ridurne il rating aumentando così la rischiosità della società. Ovviamente le obbligazioni di società ritenute più rischiose dal punto di vi-sta della solvibilità, e quindi con un rating basso, sono quelle che offrono maggiori rendimenti proprio perché gli investitori sono disposti ad assumersi maggiori rischi.

1.1.2 Il rischio di mercato

Il rischio di mercato deriva soprattutto dalle operazioni di trading effet-tuate dalla banca. È il rischio che diminuisca il valore presente nel trading book, ossia il portafoglio bancario composto dagli strumenti che la banca utilizza per le gestioni.

Le banche devono far fronte a tale rischio in seguito a variazioni gene-rali del mercato. Ci sono diverse variabili che influenzano l’andamento del mercato e ad ognuna di esse corrisponde una sottocategoria del rischio di mercato. Tra le varie figurano:

− rischio di tasso d’interesse che deriva, come dice il nome stesso, dalla variazione dei tassi d’interesse;

− rischio di cambio proveniente da movimenti avversi del tasso di cambio di valute straniere;

− rischio azionario legato alle variabilità dei titoli e/o gli indici azionari;

− rischio di commodity che scaturisce dalle variazioni dei prezzi delle mer-ci ed è presente soprattutto nell’ambito dei metalli preziosi e prodotti energetici.

1.1.3 Il rischio operativo

Il rischio operativo, che per alcune autorità regolamentari è il principale rischio bancario, è il rischio di perdite causate dal malfunzionamento dei sistemi interni o proveniente da eventi esterni. Come si vedrà anche nella

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prossima sezione, è uno degli ultimi rischi imposto dalle autorità di vigilanza alle banche: nel 1999 si è manifestata l’intenzione di richiedere alle banche di adeguare il proprio patrimonio anche in funzione di questo nuovo rischio cui sono esposte, ma è stato accettato da queste ultime soltanto molti anni dopo.

Uno dei motivi alla base della creazione di questa nuova tipologia di ri-schio è senz’altro lo sviluppo, sempre più rapido, nell’ambito della pirateria informatica. Tra i rischi operativi, infatti, compare anche il rischio ciberne-tico. Le banche dispongono di sistemi sofisticati per difendersi dagli attacchi informatici, ma anche gli attacchi diventano sempre più raffinati. Questo è un problema che sta prendendo sempre più importanza in quanto l’utilizzo sempre maggiore dei sistemi informatici e di internet aumenta le opportunità per le frodi informatiche.

In quest’ultima classe di rischi, infine, rientrano tutte le cause che possono provocare delle perdite ma che non possono essere incluse nelle due tipologie di rischio precedenti. Secondo la regolamentazione di Basilea tra i rischi operativi compaiono i rischi dovuti alle frodi interne, alle frodi esterne, alle relazioni con il personale e sicurezza del posto di lavoro; i rischi dovuti alla clientela, ai prodotti e le pratiche operative, ai danni ai beni materiali, alle interruzioni dell’operatività, e all’esecuzione, la consegna e la gestione dei processi. Rientrano tra questi rischi anche gli errori umani.

1.2

Un po’ di regolamentazione: storia di Basilea

Le normative che vanno a definire i vari rischi a livello europeo sono gli Accordi di Basilea. Il primo accordo, nel 1988, noto ora come Basilea I, ha segnato l’inizio degli standard internazionali in materia di regolamentazione bancaria. Da quell’anno la regolamentazione ha seguito un processo evolu-tivo: nuove regole hanno modificato le precedenti, ma i metodi sono rimasti in linea di massima gli stessi. Per capire quindi il sistema di regole attuale, è necessario comprendere gli sviluppi avvenuti nel tempo.

La regolamentazione bancaria ha soprattutto lo scopo di assicurare che le banche dispongano di capitali adeguati per far fronte ai rischi cui sono espo-ste. Non essendo possibile ridurre a zero il numero dei fallimenti bancari, l’obiettivo delle autorità di vigilanza è quello di rendere minima la probabilità che una qualsiasi banca fallisca. Così facendo si cerca di creare un ambien-te economico stabile in cui famiglie e imprese abbiano fiducia nel sisambien-tema bancario.

Prima del 1988 le autorità di vigilanza stabilivano i requisiti patrimo-niali precisando i livelli minimi o massimi per il rapporto tra patrimonio e attività. Verso la fine degli anni ’80, però, sia le autorità di vigilanza, sia le banche si sono rese conto che c’era bisogno di un cambiamento: il nu-mero dei nuovi contratti registrati fuori bilancio, e che quindi non avevano

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peso sul capitale regolamentare della banca, stava crescendo rapidamente. Inoltre, la competizione tra le banche già avveniva a livello internazionale, era quindi importante creare parità di condizioni nella regolamentazione dei sistemi bancari di tutti i Paesi.

Queste esigenze hanno indotto le autorità di vigilanza di 12 Paesi (Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Lussemburgo, Olanda, Regno Unito, Stati Uniti, Svezia e Svizzera) a costruire il « Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria»; questo Comitato si riunisce regolarmente a Basilea sotto il patronato della BRI (Banca per i Regolamenti Internazionali).

Il primo importante risultato di questi incontri fu proprio l’Accordo di Basilea del 1988. Questo Accordo è stato il primo tentativo di stabilire uno standard internazionale con cui misurare l’adeguatezza patrimoniale. Fis-sava i requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito presente sia nelle voci di bilancio sia in quelle fuori bilancio e richiedeva il calcolo delle atti-vità ponderate per il rischio. Nel caso dei prestiti, il valore nominale veniva moltiplicato per un fattore di rischio specifico della controparte, mentre per quanto riguardava i derivati bisognava prima calcolare l’equivalente crediti-zio e poi moltiplicarlo per il fattore di rischio proprio della controparte. Le banche dovevano poi avere un patrimonio pari ad almeno l’8% delle attivi-tà ponderate per il rischio, cioè dell’esposizione creditizia complessiva della banca. Nel 1995 questi requisiti patrimoniali sono stati rivisitati per poter includere delle clausole di compensazione.

Nel 1996 l’Accordo è stato ulteriormente modificato affinché le istituzioni finanziarie detenessero capitale anche per fronteggiare il rischio di mercato oltre che a quello di credito. Negli anni Basilea I aveva migliorato le modali-tà di determinazione dei requisiti del patrimonio bancario, ma aveva ancora diversi punti deboli. Ad esempio, i prestiti bancari nei confronti delle so-cietà avevano lo stesso fattore di rischio e richiedevano la stessa quantità di capitale, pertanto i prestiti a società con rating alto (come AAA) venivano trattati allo stesso modo dei prestiti a società con rating decisamente più basso (come B). Inoltre, non venivano presi in considerazione tutti i benefici dovuti alla diversificazione.

Nel giugno del 1999 il Comitato giunge ad un nuovo Accordo, denominato Basilea II in cui vengono proposte nuove regole attuate da molte banche sol-tanto intorno al 2007. Non ci sono stati sostanziali cambiamenti per quanto riguarda i rischi di mercato, mentre i requisiti patrimoniali per fronteggiare i rischi di credito iniziano ad essere calcolati in modo più sofisticato rispetto a quelli passati: si basano sui rating delle società oppure su stime interne delle banche riguardo la probabilità di default (di insolvenza) delle controparti. Con questo Accordo inoltre si incomincia a tenere d’occhio anche un altro rischio: il rischio operativo.

Per pura casualità, o se si vuole sfortuna, la data di avvio di Basilea II è coincisa con l’inizio della peggiore crisi sui mercati finanziari dopo quella del 1930: il crollo della Lehman Brothers. Per questo motivo sono state rivolte

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varie accuse a Basilea II ritenendola responsabile della crisi per aver fornito un’autoregolamentazione del sistema bancario inadeguata. In realtà, però, i segni della crisi finanziaria arrivarono molto prima dell’avvio dell’Accordo Basilea II quindi le due cose non sono strettamente collegate. Inoltre va anche sottolineato che gli Stati Uniti erano indietro rispetto agli altri Paesi nell’attuazione di Basilea II e, se fosse stata in linea con gli altri e avesse se-guito prima le linee descritte dal Comitato di Basilea, probabilmente i livelli di patrimonializzazione delle banche statunitensi sarebbero stati più bassi.

Durante la crisi, in ogni caso, è apparso evidente che fosse necessario apportare modifiche alle modalità previste da Basilea II per il calcolo del capitale a fronte del rischio di mercato. Queste modifiche hanno preso il nome di Basilea II.5 e sono state attuate al decorrere del 31 dicembre 2011. In particolare, si è compreso che i mezzi propri dovevano riflettere non solo le volatilità e le correlazioni osservate in condizioni di mercato normali, ma anche quelle che si osservavano in condizioni di mercato critiche: sono stati eliminati alcuni dei modi con cui le banche potevano ridurre il capitale re-golamentare spostando poste di bilancio dal banking book al trading book ed è stato introdotto un nuovo requisito patrimoniale a fronte dei deriva-ti che dipendono dalla correlazione credideriva-tizia, il cui trattamento è risultato problematico durante la crisi.

In seguito alla crisi 2007-2009, il Comitato di Basilea ha ritenuto op-portuno avviare una profonda revisione di Basilea II: ha innalzato in modo drammatico il capitale che le banche dovevano possedere e ha imposto alle istituzioni finanziarie nuovi obblighi per tenere sotto controllo il rischio di liquidità che ha causato molti problemi durante il periodo buio. Il primo documento di Basilea III è stato pubblicato nel dicembre del 2009, mentre la versione finale è stata proposta e pubblicata un anno dopo, in seguito ad una revisione che teneva conto dei commenti delle banche. L’introduzione graduale delle nuove regole è iniziata nel 2013 ed è tutt’ora in atto.

Quest’ultimo dunque è l’Accordo che è attualmente in vigore, ma, chia-ramente, c’è ancora incertezza circa l’effettiva applicazione di Basilea III: le nuove regole, una volta attuate, avranno successo? Ci vorrà tempo per saperlo. Tra i vari problemi che le autorità di vigilanza devono affrontare, c’è quello delle conseguenza non volute. Tra gli effetti indesiderati di Basilea I c’è stato quello di disincentivare i prestiti ad elevata credibilità crediti-zia; l’Emendamento del 1996 e lo sviluppo del mercato dei derivati creditizi hanno indotto le banche a trovare modi per spostare i rischi di credito per ridurre i rischi operativi; senza ombra di dubbio anche Basilea III e le nuove leggi introdotte in tutto il mondo provocheranno conseguenze non gradite. C’è da sperare che i benefici connessi con le nuove misure riescano a superare i costi per il sistema finanziario determinati dalle ripercussioni non volute.

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1.3

Misurazione e gestione del rischio

L’aspetto positivo dei rischi nell’ambito finanziario è la possibilità della loro gestione. Prima di poter fare un buon lavoro di risk managment, però, c’è un’operazione basilare da svolgere: la misurazione del rischio.

I rischi finanziari, per natura, possono essere determinati attraverso mi-sure quantitative. È possibile utilizzare anche tecniche qualitative, ma gene-ralmente vengono preferite le prime perché provengono da studi oggettivi che non lasciano spazio a valutazione soggettive degli individui. Infatti, anche se da una parte le stime qualitative sono di facile impiego e comprensibili da un largo numero di persone nell’organizzazione, dall’altra sono imprecise e vengono utilizzate quasi esclusivamente per ordinare i rischi in termini di priorità di intervento.

Le tecniche quantitative si dividono essenzialmente in:

− modelli probabilistici;

− modelli non probabilistici (deterministici).

In questa tesi si analizzano i modelli probabilistici da un punto di vista teorico: si espongono misure di rischio che sintetizzano in un unico valore rischi diversi e si cerca una loro rappresentazione. Il riscontro negativo di questo approccio è che, talvolta, non si dispone di stime adeguate e suffi-cientemente precise riguardo alle variabili aleatorie necessarie per condurre la valutazione.

Le misure di rischio, intese come indicatori sintetici, inizialmente veniva-no utilizzate principalmente per il rischio di mercato, poi in seguito si soveniva-no estese anche al rischio di credito. Il rischio operativo invece è quello più difficile da quantificare.

Una volta effettuata la misurazione, si passa alla fase di gestione. La banca, per limitare la portata negativa dei rischi finanziari, può intraprendere azioni preventive attraverso la costruzione di rimedi che agiscono sulle cause del rischio oppure prendono la decisione di trasferire il rischio verso terzi. Nel momento in cui l’attività di prevenzione non consenta la riduzione dei rischi finanziari al di sotto del livello ottimale di esposizione oppure al livello massimo sopportabile, la banca può ricorrere a strumenti che trasferiscono i rischi agendo così, anziché sulle cause, sugli effetti dei rischi.

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Teoria assiomatica delle misure

di rischio

La teoria delle misure di rischio è stata sviluppata con lo scopo di trovare un metodo di valutazione ragionevole per la rischiosità delle posizioni finan-ziarie. Per molto tempo questa è stata una preoccupazione che ha coinvolto sia gli istituti finanziari, in quanto dovevano coprire e quindi gestire i propri rischi finanziari, sia le autorità regolamentari che invece avevano il compi-to di salvaguardare le insolvenze bancarie e, più nel complesso, la stabilità economica.

Il metodo classico di valutazione del rischio finanziario, basato sulla va-rianza, era inadeguato, poiché, ad esempio, non teneva conto dell’asimmetria delle varie posizioni finanziarie. Quindi, nella seconda metà degli anni ’90, dopo il crollo del mercato azionario del 1987, è stata sviluppata e discussa da diversi istituti finanziari la possibilità di prendere in considerazione il rischio al ribasso introducendo una nuova misura di rischio: il Value at Risk(VaR). Il VaR a livello α ∈ (0, 1) è definito, per una variabile aleatoria X su uno spazio di probabilità (Ω, F , P), da

V aRα(X) = −qα(X)

dove qα(X) rappresenta l’α-quantile della variabile aleatoria X. La

denomi-nazione di rischio al ribasso deriva direttamente dalla definizione, in quanto si basa sul quantile delle code inferiori della distribuzione dei profitti e delle perdite di X.

Tuttavia, il VaR presenta anch’esso delle carenze: non soddisfa alcuni re-quisiti naturali e importanti per le misure di rischio come la subadditività, può penalizzare la diversificazione e non cattura il rischio di perdite molto elevate che possono nascondersi dietro la soglia. Inoltre, durante la crisi fi-nanziaria del 2008, sono emersi altri inconvenienti, come gli effetti prociclici e l’eccessiva dipendenza da specifiche ipotesi probabilistiche; per maggiori

(16)

dettagli si veda, ad esempio, The Turner Review - A regulatory response to the global banking crisis. [21]

Questi sono stati i motivi principali che hanno portato diversi studiosi dell’ambito a dare inizio a quella che può essere chiamata la teoria assiomati-ca delle misure di rischio: anziché analizzare ogni singola misura, si cerassiomati-cano insiemi di assiomi che la misura dovrebbe soddisfare e si definiscono, con essi, classi di misure di rischio.

Lo scopo di questo capitolo è proprio quello di introdurre le varie classi di misure di rischio definite in via assiomatica. In particolare, si analizzano dapprima i significati dei vari assiomi che definiscono le diverse classi e, in seguito, si passa alla caratterizzazione delle misure di rischio convesse e coerenti tramite gli insiemi di accettazione. Infine, sempre per queste due classi di misure si vedono alcune proprietà di continuità.

Inoltre, si pone particolare attenzione al duplice utilizzo delle misure di rischio: da una parte descrivono il rischio di una posizione finanziaria, dall’altra rappresentano un requisito patrimoniale, vale a dire l’importo mi-nimo di capitale che le banche devono mettere da parte secondo le autorità di regolamentazione per essere protette dai rischi delle varie insolvenze.

2.1

Definizioni preliminari

Sia (Ω, F , P) uno spazio di probabilità, esso rappresenta lo scenario e descrive tutte le possibili situazioni economiche in una data futura fissa-ta. Poiché bisogna lavorare sullo stesso spazio con diverse probabilità che sono equivalenti o almeno assolutamente continue rispetto alla probabilità di riferimento P, occorrono spazi di variabili aleatorie che sono invarianti per il passaggio a probabilità equivalenti. Questi sono essenzialmente due: L0(Ω, F , P) e L∞(Ω, F , P).

L0(Ω, F , P) è definito come il quoziente di L0(Ω, F , P), spazio delle variabili aleatorie F -misurabili definite su Ω e a valori in R := R∪{+∞}, rispetto alla relazione di equivalenza data dall’uguaglianza quasi certa, ossia X ∼ Y se e solo se P(X = Y ) = 1 q.c.; mentre L∞(Ω, F , P) è lo spazio delle variabili aleatorie F -misurabili e limitate.

In questa tesi si tratterà soltanto il caso dello spazio L∞(Ω, F , P)1.

Per alleggerire la lettura, spesso, verrà omesso lo spazio di probabilità (Ω, F , P) riferendosi ad essi semplicemente con L0 e L∞.

Inoltre, si considera un approccio statico al rischio, cioè si assume che il rischio dipenda soltanto dal valore della posizione finanziaria al tempo di maturità T; questo porta all’esistenza di un solo periodo di incertezza dato dall’intervallo [0, T ].

1

Anche se non specificato,tutte le uguaglianze e le disuguaglianze in questo capitolo sono considerate valide P − q.c.

(17)

Si definisce, infine, posizione finanziaria una qualsiasi variabile aleato-ria X : (Ω, F , P) → R, dove X(ω) rappresenta il valore attualizzato della posizione alla maturità T nel caso in cui si verifichi lo scenario ω ∈ Ω.

2.2

Definizioni delle misure di rischio

Dopo le definizioni e notazioni preliminari, si possono introdurre le varie classi di misure di rischio che si prenderanno in esame in questa tesi: dappri-ma le misure monetarie convesse e coerenti e poi una loro generalizzazione, le misure monetariamente subadditive e quasi-convesse.

2.2.1 Misure di rischio monetarie, convesse e coerenti

La prima assiomatizzazione delle misure di rischio è stata proposta da Artzner, Delbean, Eber e Heath nel 1999 in [3]. In questo articolo si introduce la misura coerente di rischio nel seguente modo:

Definizione 2.1. Una funzione ρ : L∞ → R è una misura di rischio coerente se per ogni X, Y ∈ L∞ sono soddisfatte le seguenti proprietà:

• monotonìa decrescente: X ≤ Y ⇒ ρ(X) ≥ ρ(Y );

• additività monetaria: ρ(X + m) = ρ(X) − m ∀ m ∈ R; • positiva omogeneità: ρ(λX) = λρ(X) ∀ λ > 0;

• subadditività: ρ(X + Y ) ≤ ρ(X) + ρ(Y ).

Il significato finanziario di queste condizioni è molto intuitivo.

Monotonìa decrescente: una posizione finanziaria Y che in ogni scenario assume un valore superiore rispetto a quello della posizione X deve avere un rischio inferiore. Se si interpreta X come il valore attualizzato del portafogli o l’importo del capitale economico, il significato di questo assioma è ancora più evidente: il rischio della posizione si riduce se il suo valore aumenta.

Additività monetaria o invarianza per traslazione: aggiungendo ad una po-sizione finanziaria un importo "monetario" pari ad m si riduce il rischio esattamente dello stesso valore. Questa proprietà è strettamente col-legata all’interpretazione di ρ(X) come requisito patrimoniale. Infatti, considerando X accettabile quando ρ(X) ≤ 0, l’assioma di additività monetaria suggerisce proprio l’idea di considerare ρ(X) come il valore minimo da aggiungere alla posizione X affinché essa sia priva di rischi, cioè accettabile. Infatti vale:

(18)

Positiva omogeneità: ridimensionando una posizione finanziaria si ridimen-siona anche il rischio dello stesso fattore.

Subadditività: il rischio della somma di due posizioni è inferiore alla som-ma dei relativi rischi. Questo assiosom-ma nasce dal dato di fatto che la diversificazione riduce i rischi.

In generale si chiama misura di rischio una qualsiasi funzione ρ : L∞→ R decrescente e misura di rischio monetaria una misura di rischio per cui valga anche l’additività monetaria.

In alcune circostanze questa misura è troppo restrittiva, quindi si estende il concetto di misura di rischio coerente rilassando le proprietà di positiva omogeneità e subadittività in favore di una richiesta decisamente più debole: la convessità. Grazie a questa proprietà si può controllare il rischio di una qualsiasi combinazione convessa di posizioni con una combinazione dei rischi di ognuna, ossia

ρ λX + (1 − λ)Y ≤ λρ(X) + (1 − λ)ρ(Y ) ∀ λ ∈ [0, 1]. (2.1) Dato λ ∈ [0, 1], λX + (1 − λ)Y rappresenta la posizione diversificata otte-nuta investendo la frazione λ dell’ammontare totale nella posizione X e la restante parte nella posizione Y. L’assioma afferma che questa nuova posi-zione diversificata è meno rischiosa della combinaposi-zione convessa dei rischi delle singole posizioni e dunque esprime chiaramente il principio secondo il quale la diversificazione non dovrebbe aumentare il rischio.

L’introduzione del nuovo assioma porta a definire una nuova classe di misure di rischio.

Definizione 2.2. Una funzione ρ : L∞ → R è una misura di rischio convessa se verifica la monotonìa, l’additività monetaria e la convessità.

Oss. Come già anticipato in precedenza

ρ misura coerente ⇒ ρ misura convessa.

Oss. Si osserva anche che, mentre per le misure coerenti di rischio vale sempre ρ(0) = 0, per le misure convesse di rischio non è detto che ciò valga.

2.2.2 Misure monetariamente subadditive e quasi-convesse Un altro progresso sulla teoria delle misure di rischio è stato introdotto nel 2009 da Nicole El Karoui e Claudia Ravanelli in [9]. La convessità e la monotonìa sono stati ampiamente accettati, mentre, l’additività monetaria presenta delle criticità dal punto di vista economico: i regolatori e le istitu-zioni finanziarie determinano e cercano di disporre oggi di tutti i requisiti patrimoniali necessari per coprire le posizioni rischiose future, invece, l’ad-dititvità monetaria richiede che le posizioni rischiose e le misure di rischio,

(19)

intese come requisiti patrimoniali, siano espresse nello stesso numerario. In pratica, significa che le posizioni devono essere attualizzate prima di applica-re la misura di rischio, papplica-resupponendo che il processo di attualizzazione non comporti alcun rischio aggiuntivo. Questa richiesta è troppo forte e limita l’uso delle misure di rischio monetariamente additive. Infatti, l’assunzione è soddisfatta nel momento in cui si considerano funzioni di payoff determinate a priori da contratti, ma non è realistica quando i tassi di interessi sono stoca-stici2. Per una valutazione corretta del patrimonio da detenere è importante tenere in considerazione anche di questa stocasticità. Con questo scopo si rilassa l’additività monetaria e si cercano misure di rischio che permettono di utilizzare differenti numerari.

Si può considerare l’esistenza e la liquidità di uno Zero Coupon Bond senza possibilità di default con prezzo D ∈ (0, 1] disponibile sul mercato al tempo 0, con maturità T e valore nominale 1 tale che

ρ(X + m) = ρ(X) − Dm ∀ m ∈ R.

Questa considerazione suggerisce di indebolire l’additività monetaria in-troducendo una proprietà che tiene conto soltanto del valore temporale del denaro:

ρ(X + m) ≥ ρ(X) − m ∀ m ∈ R+. (2.2)

Questa proprietà prende il nome di subadditività monetaria.

Il significato di questa condizione è immediato: quando vengono aggiunti m euro alla posizione X, il capitale richiesto può essere ridotto al massimo dello stesso valore.

Oss. La subadditività monetaria è equivalente alla seguente condizione:

ρ(X − m) ≤ ρ(X) + m ∀ m ∈ R+.

Infatti, (2.2) implica che

ρ(X) = ρ(X + m − m) ≥ ρ(X − m) − m ∀ m ∈ R+

e il viceversa è analogo.

Ovviamente questa è un’assunzione molto più convincente rispetto all’ad-ditività monetaria, poiché si basa solo sul fatto che un’aggiunta di m euro al proprio patrimonio copre sicuramente una perdita ulteriore dello stesso importo.

Dopo aver rimpiazzato l’additività monetaria con la subadditività mone-taria si può rilassare anche la richiesta di convessità con la quasi-convessità,

2In tal caso, infatti, non si riescono a dividere i rischi propri della posizione finanziaria

dai rischi associati al processo di attualizzazione. Il differenziare i diversi rischi è cruciale quando bisogna implementare strategie di copertura, in quanto rischi diversi sono coperti su mercati diversi.

(20)

facendo però attenzione a non modificare l’interpretazione finanziaria che es-sa ricopre e cioè la forza della diversificazione.

La quasi-convessità è letteralmente espressa nel seguente modo:

" Se le posizioni X,Y sono meno rischiose della posizione Z allora tutte le posizioni diversificate, λX + (1 − λ)Y con λ compreso tra 0 e 1, sono meno

rischiose di Z."

Usando la misura di rischio si traduce nel seguente assioma

ρ(X), ρ(Y ) ≤ ρ(Z) ⇒ ρ λX + (1 − λ)Y≤ ρ(Z) ∀ X, Y ∈ L∞e λ ∈ [0, 1]. (2.3)

Come prima, avendo introdotto nuovi assiomi che la misura di rischio deve soddisfare, si definisce una nuova classe di misure di rischio:

Definizione 2.3. Una funzione ρ : L∞→ R è una misura di rischio quasi convessa e monetariamente subadditiva se è monotona decrescente e verifica le due condizioni di quasi-convessità e subadditività monetaria. Oss. In accordo con le rappresentazioni matematiche classiche, una mappa ρ : L∞ → R si dice quasi-convessa se gli insiemi dei sottolivelli {X ∈ L∞ :

ρ(X) ≤ c} sono convessi per ogni c ∈ R.

Un’altra caratterizzazione della quasi-convessità è data dalla verifica della seguente disuguaglianza

ρ λX + (1 − λ)Y ≤ max{ρ(X), ρ(Y )} ∀X, Y ∈ L∞ e λ ∈ [0, 1]. Infatti fissando c =: max{ρ(X), ρ(Y )} si ha che X, Y ∈ {ρ(x) ≤ c} è un insieme convesso essendo un insieme di sottolivello di ρ. Allora, per ogni λ ∈ [0, 1], si ha che λX + (1 − λ)Y è nel sottolivello {ρ(x) ≤ c}, ossia

ρ λX + (1 − λ)Y ≤ c = max{ρ(X), ρ(Y )}.

Viceversa, sia L(ρ, c) un qualsiasi insieme di sottolivello di ρ. Si prendono X, Y ∈ L(ρ, c), per definizione ρ(X), ρ(Y ) ≤ c e per ipotesi ρ λX + (1 − λ)Y ≤ c per ogni λ ∈ [0, 1]. Dunque (λX + (1 − λ)Y ∈ L(ρ, c) cioè la tesi. Oss. Poiché l’additività monetaria implica la subadditività monetaria e la convessità implica la quasi-convessità segue che

ρ misura convessa ⇒ ρ misura quasi-convessa e monetariamente subadditiva.

La prossima semplice proposizione mostra l’equivalenza tra la convessità e la quasi convessità per le misure di rischio monetarie. Chiaramente que-st’equivalenza non è più rispettata nel caso in cui le misure sono soltanto monetariamente subadditive come si vede nel prossimo esempio.

Si ricorda inoltre che una funzione ρ : L∞ → R è non espansiva se vale che

ρ(Y ) ≤ ρ(X) + kX − Y k ∀ X, Y ∈ L∞, cioè se è una funzione Lipschitz continua con costante 1.

(21)

Proposizione 2.4. Sia ρ una misura di rischio.

1. Se ρ è monetariamente additiva, ρ è convessa se e solo se ρ è quasi-convessa.

2. ρ è monetariamente subadditiva se e solo se ρ è non espansiva.

In entrambi i casi, ρ è o a valori finiti oppure identicamente ±∞.

Dimostrazione. 1. Un’implicazione è ovvia, per l’altra bisogna provare additività monetaria + quasi-convessità ⇒ convessità.

Siano X, Y ∈ L∞ due posizione finanziarie. Senza perdita di generalità si suppone ρ(X) ≤ ρ(Y ) allora esiste m ∈ R tale che

ρ(Y ) = ρ(X) + m = ρ(X − m)

grazie all’additività monetaria. Prendendo λ ∈ [0, 1] si ha

ρ λX + (1 − λY ) + λm = ρ λ(X − m) + (1 − λ)Y ) ≤ max{ρ(X − m), ρ(Y )}

= λρ(X − m) + (1 − λ)ρ(X − m) = λρ(X) + (1 − λ)ρ(Y ) + λm

applicando ripetutamente l’additività monetaria e la quasi-convessità nella maggiorazione. Dalla catena di disuguaglianze segue immediatamente la tesi. Per una dimostrazione alternativa si può vedere il corollario 4.2 a pag.76 in [16].

2. Sia ρ : L∞→ R non espansiva allora

ρ(X − m) ≤ ρ(X) + kX − (X − m)k = ρ(X) + m ∀ X ∈ L∞ e m ∈ R+.

Viceversa, sia ρ monetariamente subadditiva. Per ogni X, Y ∈ L∞ vale X − Y ≤ kX − Y k quindi X − kX − Y k ≤ Y ; dalla monotonìa e dalla subadditività monetaria di ρ segue immediatamente la tesi:

ρ(Y ) ≤ ρ(X − kX − Y k) ≤ ρ(X) + kX − Y k.

Oss. La non espansività è verificata anche per le misure di rischio monetarie convesse e coerenti.

Il prossimo esempio mostra che le illiquidità dei beni privi di rischio generano naturalmente misure di rischio quasi-convesse e monetariamente subadditive che non sono nè convesse, nè monetariamente additive.

(22)

Esempio 2.5. Si fissa ∅ ( C ( L∞ l’insieme delle posizioni accettabili se-condo un’agenzia di supervisione, e si assume che C sia convesso e tale che C + L∞+ ⊆ C.3 Per ogni m ∈ R

+ si denota con ν(m) il prezzo al tempo 0 di

m euro al tempo T e si definisce

ρC,ν(X) = inf{ν(m) : X + m ∈ C} ∀ X ∈ L∞.

Se ν(m) = Dm con D ∈ (0, 1] allora ρC,ν è una misura di rischio convessa. Monotonìa: ovvia.

Additività monetaria: bisogna provare che per ogni a ∈ R si ha ρC,ν(X − a) = ρC,ν(X) + Da.

ρC,ν(X − a) = inf{Dm : X − a + m ∈ C}

= inf{D(m − a) : X + (m − a) ∈ C} + Da = ρC,ν(X) + Da.

Convessità: segue dalla convessità di C.4

La linearità di ν è proprio l’ipotesi che manca nel momento in cui si considerano Zero Coupon Bond illiquidi con maturità T. Per includere anche questi casi si considera ν : R → R crescente e tale che ν(0) = 0. Supponendo inoltre ν semicontinua superiormente si ha

ρC,ν(X) = ν inf{m ∈ R : X + m ∈ C} = ν ρC,id(X)) ∀ X ∈ L∞,

dove id : R → R denota la funzione identità.

Oss. Per quanto visto prima ρC,idè una misura convessa di rischio, quindi è

decrescente, monetariamente additiva e convessa.

Prendendo ora ν una funzione non espansiva e non convessa si trova ρC,ν

una misura di rischio quasi-convessa e monetariamente subadditiva che non è né convessa, né monetariamente additiva. Infatti:

Monotonìa: ρC,ν è decrescente in quanto è composizione di una

funzio-ne crescente, ν, e una decrescente, ρC,id.

Quasi-convessità: Senza perdita di generalità, si suppone che il massi-mo tra ρC,ν(X) e ρC,ν(Y ) sia ρC,ν(X). Sia λ ∈ [0, 1] si ha

ρC,ν λX + (1 − λ)Y = ν ρC,id(λX + (1 − λ)Y )

 ≤ ν λρC,id(X) + (1 − λ)ρC,id(Y )

 ≤ ν ρC,id(X) = ρC,ν(X)

3

Il simbolo + rappresenta la somma insiemistica, ossia : C + L∞+ = {c + γ : c ∈ C, γ ∈

L∞+}. 4

L’equivalenza tra la convessità della misura di rischio e la convessità dell’insieme di accettazione C verrà dimostrata dettagliatamente nella prossima sezione.

(23)

dove le varie disuguaglianze seguono dalla monotonìa di ν e dalla convessità di ρC,id.

Subadditività monetaria: per la proposizione precedente basta provare che ρC,ν è non espansiva e questo è vero per la non espansività di ν. Non convessità: segue dalle ipotesi fatte su ν, in particolare dalla non convessità.

Non additività monetaria: segue dalla non linearità di ν. Infatti: ρC,ν(X + m) = ν(ρC,id(X + m)) = ν(ρC,id(X) − m)

poiché ρC,id è monetariamente additiva,

ρC,ν(X) − m = ν(ρC,id(X)) − m

e i due membri a destra non sono necessariamente uguali.

2.3

Posizioni accettabili e insiemi di accettazione

In questa sezione si introducono rigorosamente gli insiemi di accettazione delle varie classi di misure di rischio prese in esame. Si inizia con delle definizioni generali.

Definizione 2.6. Sia ρ una misura di rischio, si dice che una variabile aleatoria X ∈ L∞è una posizione accettabile secondo ρ se ρ(X) ≤ 0. Definizione 2.7. Data ρ una misura di rischio, si definisce insieme di ac-cettazione secondo ρ, e si denota con Aρ, il sottoinsieme di L∞ costituito

da tutte e sole le posizioni accettabili secondo la misura di rischio, ossia Aρ= {X ∈ L∞: ρ(X) ≤ 0}.

In pratica, l’insieme d’accettazione è l’insieme delle posizioni finanziare che non richiedono ulteriore capitale per essere coperte da rischi futuri. Oss. Data una qualsiasi misura di rischio monetaria, dall’additività mone-taria deriva la surgettività della funzione ρ, cioè

ρ(L∞) = R.

Dall’osservazione segue immediatamente che l’insieme d’accettazione Aρ

associato ad una misura di rischio monetaria è un sottoinsieme non vuoto e infinito di L∞ che non coincide con tutto L∞.

Lemma 2.8. Sia ρ : L∞ → R una misura di rischio monetaria. Allora per ogni X ∈ L∞ vale la seguente identità:

ρ(X) = inf{m ∈ R : ρ(X + m) ≤ 0}. Inoltre tale estremo inferiore è in realtà un minimo.

(24)

Dimostrazione. Si tratta di un’immediata conseguenza dell’additività mone-taria. Per ogni X ∈ L∞ e k ∈ R l’uguaglianza ρ(X + k) = ρ(X) − k implica subito che ρ(X + k) ≤ 0 se e solo se ρ(X) ≤ k e quindi

{m ∈ R : ρ(X + m) ≤ 0} = [ρ(X), +∞[ da cui la tesi.

Dal lemma segue dunque che l’insieme d’accettazione è completamente determinato dalla misura di rischio monetaria e viceversa. Infatti, dato A ⊆ L∞ si definisce

ρA(X) = inf{m ∈ R : X + m ∈ A} ∀ X ∈ L∞,

e l’altra implicazione è ovvia dalla definizione di insieme di accettazione. In aggiunta, date ρ, ρ0 due misure di rischio monetarie vale

ρ0 ≤ ρ ⇐⇒ Aρ⊆ Aρ0.

L’asserto può essere verificato in modo diretto tenendo conto della seguente osservazione: grazie alla proprietà di additività monetaria della quale ρ0gode segue che ρ0(X + ρ(X)) = ρ0(X) − ρ(X) per ogni X ∈ L∞.

Nelle prossime proposizioni si vedono le caratteristiche dei vari insiemi di accettazione in base alle proprietà soddisfatte dalle misure di rischio.

Proposizione 2.9. Sia ρ una misura di rischio monetaria. Allora l’insieme d’accettazione Aρ verifica le seguenti proprietà:

(a) dati X ∈ Aρ, Y ∈ L∞ tali che Y ≥ X allora Y ∈ Aρ; (b) {m ∈ R : m ∈ Aρ} = [ρ(0), +∞[.

Dimostrazione. La prima proprietà è una immediata conseguenza della mo-notonìa di ρ. Infatti, poiché X ≤ Y e ρ è una funzione decrescente, si ha

ρ(Y ) ≤ ρ(X) ≤ 0,

dove l’ultima disuguaglianza è data dall’appartenenza di X a Aρ. Dalla catena di disuguaglianze, segue ovviamente la tesi.

Anche la seconda proprietà è ovvia ricordando il Lemma 2.8.

Proposizione 2.10. Sia ρ una misura di rischio convessa, allora l’insie-me d’accettazione Aρ verifica, in aggiunta alle proprietà della proposizione

precedente, anche la seguente proprietà:

(c) Aρ è un insieme convesso.

Se ρ è una misura di rischio coerente, allora Aρ gode, oltre ad (a), (b) e (c),

(25)

(d) Aρ è un cono contenente L∞+.

Inoltre, come conseguenza dei due asserti precedenti (c) e (d), Aρ è chiuso

per la somma:

(e) dati X, Y ∈ Aρ allora X + Y ∈ Aρ.

Dimostrazione. La proprietà di convessità è molto semplice da dimostrare. Fissati X, Y ∈ Aρe λ ∈ [0, 1], bisogna provare che λX + (1 − λ)Y sia ancora

in Aρ, cioè che ρ(λX + (1 − λ)Y ) ≤ 0. Si ha

ρ(λX + (1 − λ)Y ) ≤ λρ(X) + (1 − λ)ρ(Y ) ≤ 0,

dove la prima disuguaglianza è data da (2.1) e la seconda segue dall’appar-tenenza di X e Y a Aρ e dalla positività di λ e 1 − λ.

Sia ρ coerente. Per dimostrare che Aρ è un cono si deve verificare che dato

X ∈ Aρ e λ ≥ 0, allora λX ∈ Aρ e questo è banalmente vero poiché ρ gode

della positiva omogeneità. Per l’ultima proprietà, infine, non c’è nulla da provare in quanto presi X, Y ∈ Aρ, della convessità segue che X+Y2 ∈ Aρ e

dalla positiva omogeneità, deriva che X + Y = 2 X+Y2  è ancora in Aρ.

Con la prossima proposizione si esprime, invece, una sorta di viceversa.

Proposizione 2.11. Sia A un sottoinsieme di L∞ non vuoto. Allora se A soddisfa le due seguenti proprietà

X ∈ A, Y ∈ L∞ tali che X ≤ Y ⇒ Y ∈ A, (2.4)

inf{m ∈ R : m ∈ A} > −∞, (2.5)

la misura vista prima ad esso associata,

ρA(X) = inf{m ∈ R : X + m ∈ A} ∀ X ∈ L∞,

è una misura monetaria di rischio. Se inoltre A è convesso segue che ρA è

una misura di rischio convessa e se è un cono allora la misura è positivamente omogenea.

In tutti i casi A ⊆ AρAe vale l’uguaglianza se A verifica la seguente proprietà

di chiusura:

{λ ∈ [0, 1] : λX + (1 − λ)Y ∈ A} è chiuso in [0, 1]

per ogni X ∈ A e Y ∈ L∞.

Dimostrazione. La definizione ρA è ben posta e si usa la convenzione che

inf ∅ = +∞ come da consuetudine. Affinché ρA sia una misura di

(26)

monotonìa segue dalla seguente relazione insiemistica dovuta alla proprietà (2.4)

{m ∈ R : Y + m ∈ A} ⊆ {m0 ∈ R : X + m0 ∈ A} per ogni X, Y ∈ L∞ tali che X ≥ Y .

L’additività monetaria deriva dall’ovvia uguaglianza insiemistica {m ∈ R : X + k + m ∈ A} = {m0 ∈ R : X + m0 ∈ A} − k valida per ogni X ∈ L∞ e k ∈ R.

A questo punto si può dimostrare che ρA assume soltanto valori finiti.

Sia Y ∈ L∞una posizione arbitraria, si prova che −∞ < ρA(Y ) < +∞. Per

ipotesi A è un insieme non vuoto, quindi esiste X ∈ L∞ tale che ρA(X) ≤ 0.

Inoltre X, Y sono limitate quindi esiste m ∈ R per cui vale X − Y ≤ m che si può riscrivere come Y + m ≥ X. Allora, grazie alle proprietà appena dimostrate, vale che

ρA(Y ) − m = ρA(Y + m) ≤ ρA(X) ≤ 0

ossia ρA(Y ) ≤ m < +∞.

Si vede ora l’altra disuguaglianza. Grazie alla Proposizione 2.9(b), la pro-prietà (2.5) può essere tradotta in ρA(0) > −∞. Sempre poiché Y è limitata,

esiste k ∈ R tale che Y ≤ k, cioè Y − k ≤ 0; allora, di nuovo grazie alle due proprietà già verificato nella prima parte della dimostrazione, si ha

ρA(Y ) + k = ρA(Y − k) ≥ ρA(0) > −∞.

Ricapitolando, si è provato che ρA è una misura di rischio monetaria che

assume valori finiti: la prima parte della Proposizione.

Si suppone ora che A sia un sottoinsieme convesso di L∞, per avere che ρA è una misura convessa di rischio basta provare la convessità visto

che le altre due proprietà sono già state dimostrate con ipotesi più deboli. Siano X, Y ∈ L∞,λ ∈ [0, 1] e si considerano due successioni minimizzanti (mk)k∈Ne (m0k)k∈N tali che per ogni k si ha X + mk ∈ A e Y + m0k ∈ A con

mk & ρA(X) e m0k & ρA(Y ). Per ogni k ∈ N, dalla convessità di A, si ha

che λ(X + mk) + (1 − λ)(Y + m0k) ∈ A e di conseguenza

0 ≥ ρA(λ(X +mk)+(1−λ)(Y +m0k)) = ρA(λX +(1−λ)Y )−[λmk+(1−λ)m0k]

grazie all’additività monetaria. Riscrivendo la disuguaglianza,

ρA(λX + (1 − λ)Y ) ≤ λmk+ (1 − λ)m0k

e passando al limite segue la (2.1).

Si suppone ora che A sia un cono, la positiva omogeneità di ρA deriva

direttamente dalle seguente uguaglianza insiemistica ovvia: dati X ∈ L∞ e λ ≥ 0,

(27)

Per concludere la dimostrazione restano da provare le inclusioni tra A e AρA. Le implicazioni sono entrambe semplici; data X ∈ A dalla definizione di ρA si ha che ρA(X) ≤ 0 e quindi ricordando la definizione di insieme di

accettazione secondo ρA,

AρA = {X ∈ L

: ρA(X) ≤ 0},

segue che X ∈ AρA. Viveversa, si assume che A verifica la proprietà di

chiusura e si dimostra che AρA ⊆ A. Si prova la contronominale: se X /∈ A

allora ρA(X) > 0. Con questo scopo, sia m ∈ R tale che kXk ≤ m; per

ipotesi, esiste un ε ∈ (0, 1) tale che εm + (1 − ε)X /∈ A Allora,

0 ≤ ρA εm + (1 − ε)X = ρA( 1 − ε)X − εm.

poiché ρA è una misura monetaria di rischio allora, dalla non espansività,

segue

ρA (1 − ε)X − ρA(X) ≤ εkXk,

da cui

ρA(X) ≥ ρA (ε)X − εkXk ≥ ε(m − kXk) > 0.

I risultati precedenti producono la seguente caratterizzazione delle misure di rischio tramite i rispettivi insiemi di accettazione.

Corollario 2.12. Sia ρ : L∞→ R allora valgono i seguenti fatti:

• ρ è una misura di rischio monetaria se e solo se Aρverifica le proprietà

(2.4), (2.5);

• ρ è una misura convessa se e solo se Aρ è convesso;

• ρ è una misura coerente se e solo se Aρ è un cono convesso tale che

X, Y ∈ Aρ ⇒ X + Y ∈ Aρ.

Dimostrazione. Bisogna verificare soltanto l’ultimo punto. La parte diretta è già stata provata nella Proposizione 2.10, si pone l’attenzione su quella inversa. Dalla Proposizione 2.11 ρ verifica la positiva omogeneità, la subad-ditività è conseguenza della seguente relazione insiemistica che è verificata per le ipotesi fatte per ogni X, Y ∈ L∞

(28)

L’idea di caratterizzare le misure di rischio monetarie tramite il proprio insieme di accettazione non può essere generalizzata anche alla classe delle misure di rischio monetariamente subadditive e quasi-convesse. In particola-re, mancando l’additività monetaria, il Lemma 2.8 non è più verificato. In-fatti, con la sola ipotesi di subadditività monetaria si riesce soltanto a provare che, data ρ una misura di rischio con le caratteristiche appena descritte,

{m ∈ R+: ρ(X + m) ≤ 0} ⊆ [ρ(X), +∞[

ma non vale il viceversa e quindi non si verifica l’uguaglianza. Nonostante ciò si possono ancora vedere quali proprietà verifica l’insieme di accettazione di questa classe di misure di rischio.

Proposizione 2.13. Sia ρ : L∞→ R una misura di rischio monetariamente subadditiva e quasi-convessa. Il suo insieme di accettazione Aρ verifica le

seguenti proprietà:

(a) dati X ∈ Aρ, Y ∈ L∞ con Y ≥ X allora Y ∈ Aρ;

(b) {m ∈ R : m ∈ Aρ} ⊆ [ρ(0), +∞[;

(c) Aρ è convesso.

Dimostrazione. La dimostrazione della proprietà (a) è del tutto analoga al caso precedente in quanto si usa soltanto la monotonìa della funzione che è verificata dalla misura di rischio ρ. Il punto (b) segue essenzialmente dall’osservazione appena fatta mentre la convessità, cioè il punto (c), segue direttamente dalla definizione di funzione quasi-convessa notando che Aρ=

{X ∈ L∞: ρ(X) ≤ 0} è un sottolivello di ρ.

2.4

Proprietà di continuità per misure di rischio

convesse e coerenti

Definizione 2.14. Sia ρ : L∞ → R una misura convessa di rischio. Si dice che ρ possiede la proprietà di Fatou se soddisfa la seguente proprietà di continuità sulle successioni non crescenti di L∞:

kXnk ≤ C, Xn& X =⇒ ρ(Xn) % ρ(X), (2.6) cioè per ogni successione (Xn)n∈N equi-limitata in L∞ non crescente, la successione non decrescente (ρ(Xn))n∈N è tale che supnρ(Xn) = ρ(infnXn).

Oss. Talvolta la proprietà di Fatou è nota anche con il nome di proprietà di continuità dall’alto.

(29)

Proposizione 2.15. Sia ρ una misura di rischio convessa, ρ possiede la pro-prietà di Fatou se e solo se ρ soddisfa la seguente propro-prietà di semicontinuità inferiore rispetto alla convergenza quasi certa:

kXnk ≤ C, Xn q.c.

−−→ X =⇒ ρ(X) ≤ lim inf

n→∞ ρ(Xn), (2.7)

cioè per ogni successione (Xn)n∈N equi-limitata in L∞ convergente

quasi-certamente ad una qualche variabile aleatoria X ∈ L∞, la successione (ρ(Xn))n∈N è tale che ρ(X) ≤ lim infnρ(Xn).

Inoltre, se ρ è una misura di rischio coerente, vale una proprietà più forte: ρ verifica la proprietà di Fatou se soddisfa la seguente proprietà di continuità per le successioni di L∞ non decrescenti:

kXnk ≤ C, Xn% X =⇒ ρ(Xn) & ρ(X), (2.8)

cioè per ogni successione (Xn)n∈N non decrescente equi-limitata di L∞ vale

che la successione delle misure di rischio (ρ(Xn))n∈N non crescente è tale

che infnρ(Xn) = ρ(supnXn).

Dimostrazione. Sia ρ una misura convessa di rischio che verifica la proprietà di Fatou, ossia l’asserto in (2.6), si prova che vale (2.7). Sia (Xn)n∈Nlimitata

e tale che Xn q.c

−→ X con X ∈ L∞ allora si ha X = lim

n→∞Xn= lim supn→∞ Xn= infn

 sup k≥n Xk  = inf n Zn

dove Zn = supk≥nXk. La successione (Zn)n∈N è equi-limitata e tale che

Zn & X quindi, per (2.6), ρ(Zn) % ρ(X). Per concludere basta osservare

che ρ(X) = sup n ρ(Zn) = sup n ρsup k≥n Xk  ≤ sup n  inf k≥nρ(Xk)  = lim inf n→∞ ρ(Xn)

dove la disuguaglianza è vera per la monotonìa di ρ.

Viceversa, si suppone che ρ verifica (2.7) e si dimostra che è vera la proprietà di Fatou (2.6). Sia (Xn)n∈Nequi-limitata e tale che Xn% X; poiché Xn≥ X per ogni n ∈ N dalla monotonìa della misura di rischio deriva che ρ(Xn) ≤

ρ(X) e quindi limn→∞ρ(Xn) % b ≤ ρ(X). D’altra parte, la successione

(Xn)n∈N è nelle ipotesi di (2.7) quindi ρ(X) ≤ lim infn→∞ρ(Xn) e dunque

b = ρ(X).

Sia ora ρ una misura coerente di rischio, si suppone che valga (2.8) e si prova che è verificata (2.6). Sia (Xn)n∈N equi-limitata tale che Xn & X in L∞, allora X − Xn% 0 e quindi, per la (2.7), ρ(X − Xn) & ρ(0) = 0. Grazie

alla subadditività di ρ,

ρ(X) = ρ(X − Xn+ Xn) ≤ ρ(X − Xn) + ρ(Xn) ∀ n ∈ N,

ossia ρ(X) ≤ supnρ(Xn). Inoltre, per la monotonìa di ρ si ha che, per

ogni n ∈ N, Xn+1 ≥ Xn ≥ X e quindi ρ(Xn+1) ≤ ρ(Xn) ≤ ρ(X), ossia

(30)

Teoremi di rappresentazione

per le misure di rischio

Lo scopo di questo capitolo è quello di cercare una rappresentazione duale delle misure di rischio esaminate fino ad ora. L’idea generale è di applica-re risultati di dualità: dualità convessa per le misuapplica-re di rischio convesse e coerenti e dualità quasi-convessa per le misure di rischio quasi-convesse e monetariamente subadditive.

Per quanto riguarda i dettagli della teoria duale di funzioni conves-se si può approfondire consultando, ad econves-sempio, [4] o [20], mentre per la teoria duale sulle funzioni quasi-convesse si può visionare l’Appendice B, interamente dedicata a questo argomento.

Come primo risultato si prova che, fissato lo scenario (Ω, F , P) e data una misura di rischio convessa ρ : L∞(Ω, F , P) → R, essa ha la forma

ρ(X) = max

Q∈M1,f

EQ[−X] − αmin(Q)



dove M1,f è l’insieme delle misure su (Ω, F ) finitamente additive e assolu-tamente continue rispetto a P e αmin : M1,f →] − ∞, +∞] è una funzione

di penalità definita da αmin(Q) = sup X∈L∞ EQ[−X] − ρ(X) = sup X∈Aρ EQ[−X] ∀Q ∈ M1,f.

In un secondo momento si vede che se ρ soddisfa la proprietà di Fatou, o equivalentemente se il suo insieme di accettazione Aρ è chiuso rispetto alla

topologia debole*, allora essa può essere rappresentata da una funzione di penalità che si concentra sul sottoinsieme M1 di M1,f dato dalle misure di probabilità su (Ω, F ) assolutamente continue rispetto a P. In tal caso, però, non è detto che il massimo sia raggiunto e dunque nella rappresentazione sarà presente l’estremo superiore al suo posto.

Come corollario di questi risultati seguono i teoremi di rappresentazione delle misure coerenti. Data ρ una misura di rischio coerente essa è della

(31)

forma

ρ(X) = max

Q∈QEQ[−X] ∀X ∈ L

dove Q è il sottoinsieme di M1,f dato da

Q = {Q ∈ M1,f : αmin(Q) = 0}.

Per il caso di misure quasi-convesse e monetariamente subadditive invece si dimostra che ρ è della forma

ρ(X) = max

Q∈M1,f

R EQ[−X], Q



∀ X ∈ L∞, (3.1)

e la funzione R per cui (3.1) è valida, è unica e soddisfa

R(t, Q) = inf{ρ(X) : EQ[−X] = t} ∀ (t, Q) ∈ R × M1,f.

Grazie a questo teorema di rappresentazione si riescono a mettere in relazione le proprietà della misura di rischio ρ con le proprietà della funzione R e verranno analizzate con minuzia nella seconda parte del capitolo.

Infine, si vede una caratterizzazione alternativa per le misure di rischio coerenti e si prova che se ρ è una misura di rischio quasi-convessa, semicon-tinua superiormente e verifica la proprietà di continuità dal basso, allora, anche in questo caso, si riesce a trovare una rappresentazione della misura di rischio sul sottoinsieme M1.

Prima di procedere con gli enunciati e le dimostrazioni dei vari teoremi si espongono alcune definizioni e risultati preliminari.

3.1

Risultati preliminari

Si fissa lo scenario (Ω, F , P) e, come nel capitolo precedente, si considera lo spazio delle variabili aleatorie limitate L∞(Ω, F , P), inoltre si suppone che L1 sia separabile.

Si richiamano i due seguenti fatti noti della teoria duale che serviranno più volte nel corso di questo capitolo:

− L∞(Ω, F , P) può essere visto come il duale topologico di L1(Ω, F , P),

in simboli

L1(Ω, F , P)∗

= L∞(Ω, F , P);

− il duale topologico di L∞(Ω, F , P) si identifica con lo spazio delle funzioni finitamente additive su F con segno, a variazione limitata e assolutamente continue rispetto alla misura di probabilità P.

Si ricorda che la variazione di una funzione additiva ν è data dal supPn

i=1|ν(Ai)|

(32)

L’osservazione chiave per la dimostrazione del secondo asserto consiste nel fatto che ogni funzione misurabile uniformemente limitata può essere approssimata uniformemente con funzioni semplici. L’integrale rispetto a ν per le funzioni semplici, la cui definizioni è ovvia, è continuo rispetto alla convergenza uniforme e di conseguenza si estende a tutte le funzioni misurabili uniformemente limitate. Per maggiori dettagli si può consultare [22], pag 118.

Si rinomina, per semplicità di scrittura, L∞(Ω, F , P)∗

con ba((Ω, F , P)). La palla unitaria positiva di L∞(Ω, F , P)∗

si denota con M1,f(Ω, F , P) e coincide con l’insieme delle misure finitamente additive e assolutamente continue rispetto a P. Infine si indica con M1(Ω, F , P) il sottoinsieme di

M1,f(Ω, F , P) che contiene tutte le misure σ-additive assolutamente conti-nue rispetto a P, quindi le probabilità Q definite sullo spazio (Ω, F ) tali che Q  P. Talvolta lo spazio viene omesso per rendere la lettura più scorrevole e quindi ci si riferisce agli insieme appena definiti soltanto con ba, M1,f e M1.

Oss. Grazie al teorema di Radon-Nikodym, l’insieme M1 = {Q : Q  P}

può essere identificato con

n

Z ∈ L1+: Z

Z dP = 1o

associando ad ogni Q ∈ M1 la densità di probabilità Z = dQdP.

Si ricorda, inoltre, che con L1+ si intendono le funzioni integrabili a valori positivi.

Dati X ∈ L∞e µ ∈ L∞∗ si scrive indifferente µ(X) e Z

X dµ o anche Eµ[X] se µ ∈ M1,f.

Se non diversamente specificato L∞è dotato della topologia indotta dalla norma; L∞∗

= ba è dotato della topologia debole* e i suoi sottoinsiemi con le relative topologie deboli*. Gli spazi prodotto sono dotati, come di consueto, della topologia prodotto.

Infine R0(R × M1,f) denota la classe delle funzioni R : R × M1,f −→ R che sono semicontinue superiormente (s.c.s.), quasi-concave, crescenti nel-la prima componente e tali che inft∈RR(t, Q) = inft∈RR(t, Q0) per ogni

Q, Q0 ∈ M1,f.

Si indica con R1(R × M1,f) il sottoinsieme di R0(R × M1,f) composto dalle

funzioni R : R×M1,f −→ R che sono non espansive nella prima componente,

cioè tali che

R(t0Q) ≤ R(t, Q) + |t − t0| ∀ t, t0 ∈ R e Q ∈ M1,f.

Si riporta ora un lemma di analisi funzionale che è conseguenza del Teore-ma di Krein-Šmulian, quest’ultimo enunciato e dimostrato dettagliatamente

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