Tab 1.2 Principali parametri indicatori della risposta dei processi a membrana
2.9 MODELLO EMPIRICO ADIMENSIONALE
3.1.8 Proprietà del gel
L’alginato ha la proprietà di formare gel per reazione con un certo numero di cationi bivalenti. Questa capacità è molto utile e sfruttata in campo alimentare. I modelli tradizionali presentano il gel come formato da semplici legami ionici tra due gruppi carbossilici di due catene adiacenti di polimero e un catione di calcio. Sebbene questi legami svolgano un ruolo piuttosto importante nel meccanismo di gelificazione, non sono attualmente considerati sufficientemente energetici per giustificare la gelificazione degli alginati (Rees, 1969). La capacità di formare questi ponti chimici è stata prevalentemente riscontrata per i polimeri dell’acido L‐guluronico con grado di polimerizzazione superiore a 20 unità monomeriche, mentre è trascurabile nelle catene di acido mannuronico ed in quelle miste (Sime, 1990). Le coppie di sequenze poliguluroniche tendono a correlarsi assialmente, dando origine ad una serie di cavità che agiscono come siti attivi per gli ioni calcio. Lunghe sequenze di questi siti portano alla formazione di legami incrociati con analoghe sequenze presenti in altre molecole di alginato, creando una struttura detta “a scatola d’uovo” (egg‐box) molto compatta, come schematizzato in Fig. 3.5 (Sime, 1990).
Fig. 3.5 Modello a scatola d’uovo (egg‐box) per la gelificazione degli alginati (Alistair e Stephen, 1995).
Gli ioni calcio non sono attratti solo dai gruppi carbossilici, ma anche da altri atomi elettronegativi, quali l’ossigeno ed i gruppi ossidrili. In ogni caso, si ha un’aggregazione cosiddetta “primaria” con gli ioni carbossilici ed una “secondaria” grazie alle interazioni polari. L’alginato di propilenglicole non forma di solito un buon gel, in quanto l’esterificazione dei gruppi carbossilici non ne consente le interazioni con i cationi divalenti.
I PGA con grado di esterificazione del 60% formano gel leggeri, mentre quelli esterificati all’85% non sono in grado di modificare apprezzabilmente la viscosità della soluzione anche in presenza di calcio.
In generale, si può notare che la cattura degli ioni calcio dipende dal pH della soluzione in conseguenza dell’equilibrio tra ioni idrogeno e ioni calcio: a pH 3 l’eccesso di ioni H+ non permette il legame degli ioni Ca+2 al polimero.
Stechiometricamente, per ottenere una completa saturazione dell’alginato di sodio, si deve aggiungere calcio in quantità pari al 7.2% del peso dell’alginato stesso. Aggiungendo un 3%, si ha un buon gel; mentre con l’1% l’aggregazione è molto debole (Cottrell e Baird, 1980).
3.1.9 Applicazioni
Oltre le già indicate applicazioni degli alginati nel settore alimentare, ne sono state proposte altre meno convenzionali, che riguardano soprattutto i prodotti dolciari.
Nei gelati, insieme ad altri addensanti, gli alginati risultano essenziali nel garantire la sofficità della crema e la consistenza durante lo scongelamento. Si preferisce l’uso dell’alginato di sodio nelle creme e quello di propilenglicole nei
gelati alla frutta, dove il pH acido altera il comportamento del primo (v. § 3.1.7.4).
Sempre nel settore dolciario, gli alginati permettono la formazione di gel a coagulo compatto e di gel di diffusione (Sime, 1990).
Per “gel a coagulo compatto” si intende un gel capace di strutturare stabilmente nella forma desiderata una purea di frutta. Il processo industriale prevede essenzialmente la preparazione di due soluzioni A e B. La prima apporta fondamentalmente l’alginato di sodio e la fonte di calcio (fosfato bicalcico anidro), mentre la seconda la purea di frutta integrata con agenti chelanti acidi (tipo acido citrico), come indicato in Tab. 3.4. Nella soluzione A, l’alginato non gelifica, nonostante la presenza di ioni calcio, in quanto il pH neutro rende insolubile il fosfato. Tab. 3.4 Formulazione di gelatine di pesca (Sime, 1990). Soluzione A % Soluzione B % Alginato di sodio (high‐G) 0.85 Purea di pesca 33.55 Fosfato bicalcico anidro 0.30 Saccarosio 10.00 Idrogeno ortofosfato 0.07 Glucosio 5.00 bisodico idrato Acido citrico (anidro) 0.80 Glucosio 5.00 Citrato di sodio (idrato) 0.65 Saccarosio 5.00 Acqua 38.78 Totale 50.00 50.00
Perché inizi la gelificazione le suddette soluzioni dovranno essere miscelate in modo da abbassare il pH finale e consentire il rilascio dello ione calcio e la sua reazione di scambio con l’alginato di sodio. Tale interazione risulta in ogni caso estremamente rapida; pertanto, la miscelazione deve avvenire solo all’ultimo momento e in presenza di un agitatore ad alta intensità di omogeneizzazione. La soluzione risultante viene distribuita su di un nastro trasportatore, dove si rapprende rapidamente e può essere segmentata nelle forme e nelle dimensioni volute, oppure colata entro appositi stampini.
In questo caso si ottiene una gelatina molto forte; tuttavia, possono essere richiesti prodotti gelificanti aventi una struttura elastica e reversibile, capace cioè di mantenere la coesione durante la conservazione e di liquefarsi sotto agitazione. Anche in questo caso, è necessario preparare due soluzioni, che verranno miscelate non soltanto sotto agitazione, ma anche ad alta temperatura in modo da poter calcolare il prodotto nei contenitori finali. L’alginato avente tali caratteristiche dovrà presentare necessariamente un’alta concentrazione di acido mannuronico, inoltre, le concentrazioni dell’addensante e della fonte di ioni calcio dovranno rientrare nei limiti d’esistenza del gel a comportamento tixotropico.
I gel di diffusione sono utilizzati per ricoprire della frutta o ancora della purea, in modo da formare un film protettivo. La tecnologia di ricopertura fa solitamente uso di due ugelli coassiali dove vengono addotte le soluzioni contenenti rispettivamente l’alginato e il prodotto da ricoprire. La purea che fluisce dal tubo interno con una certa velocità di efflusso viene segmentata in goccioline, che vengono automaticamente rivestite in superficie dalla miscela di alginato addotta tramite il tubo esterno. Le goccioline così ridotte vengono fatte cadere in una soluzione contenente essenzialmente lattato di calcio. La presenza del lattato anche nella purea serve a garantire dall’interno l’adesione del film di alginato prima che si realizzi l’immersione nella soluzione di indurimento. Anche in questo caso si preferisce utilizzare dell’alginato di sodio ad alta concentrazione d’acido mannuronico, in quanto la pellicola protettiva deve risultare flessibile (Sime, 1990).
Più recentemente, è stato proposto l’uso di questi addensanti in settori non dolciari. Sono stati infatti impiegati nell’estrusione‐cottura di proteine di origine vegetale, nella conservazione delle patate e nella immobilizzazione degli enzimi
responsabili della degradazione dell’amido nella polpa di banana. È stata sperimentata la possibilità di utilizzare le proprietà addensanti degli alginati per ristrutturare (cioè dare forma e consistenza) gli sfridi delle lavorazioni del pesce, dei molluschi e delle carni, formando bastoncini, cubetti od hamburger pronti per la cottura. Altre utilizzazioni sono ancora in fase di valutazione e la loro successiva applicazione dipenderà dalle reali esigenze del mercato alimentare e soprattutto dal prezzo di mercato.
3.2 PECTINE
3.2.1 Premessa
Con il termine pectina si indica un gruppo di polimeri naturali presenti nei tessuti strutturali di piante e frutti. Le pectine commerciali sono ottenute prevalentemente dalle scorze di agrumi e di mela, estratte con soluzione acquosa leggermente acida, recuperate mediante precipitazione ed in fine formulate in una polvere con proprietà standard.
Si usa comunemente il termine sostanze pectiche per indicare le pectine stesse, gli esteri metilici, il loro prodotto di de‐esterificazione, l’acido pectico, i suoi sali, i pectati e certi polisaccaridi neutri privi di scheletro galatturonico (arabinosio, arabinogalattani, galattani), che si ritrovano spesso associati con le pectine (Aspinall, 1980). Nella maggior parte delle pectine commerciali, sono presenti acidi galatturonici polimerizzati e parzialmente esterificati con metanolo. La percentuale delle unità di acido galatturonico ed esteri metilici influenzano le proprietà fisico chimiche delle pectine. In commercio è possibile trovare pectine a bassa (LM) ed alta (HM) percentuale di esterificazione. Le pectine possono formare gel in presenza di bassi valori di pH (condizione presente in molti frutti) e con ridotti valori di attività dell’acqua (aw), (ottenuti
addizionando sufficienti quantità di zucchero), ma anche soltanto in presenza di calcio, questo processo viene utilizzato esclusivamente con pectine a basso metossile.
Da secoli, il naturale contenuto di pectine presente nei frutti permette di produrre marmellate attraverso l’utilizzo di frutta bollita in una soluzione zuccherina. Ancora oggi, la più rilevante utilizzazione delle pectine, è nella produzione di marmellate, ma esistono numerose altre applicazioni, come ad esempio la produzione di gelatine e la stabilizzazione dello yogurt. Inoltre le pectine sono comunemente utilizzate in preparazioni mediche a seguito delle loro importanti attività farmacologiche: antidiarroica, detossificante, regolatrice e protettrice del tratto gastrointestinale. Come fibra alimentare, le pectine attraggono l’interesse dei nutrizionisti particolarmente per la loro potenziale capacità di diminuire i livelli di colesterolo nel sangue ed influenzare il
metabolismo del glucosio, abbassandone la curva di risposta glicemica (Strasse‐
Wolthuis, 1980; Behall e Reiser, 1986).
3.2.2 Struttura
In Fig. 3.6 è raffigurata una porzione del polimero dell’acido‐D‐
galatturonico metilato, legato con legame 1–4, presente nelle maggior parte delle pectine commerciali. In alcune pectine, parte degli esteri metilici possono essere sostituiti da gruppi amminici. La frazione delle subunità esterificate possono variare da 0 ad un massimo del 80%. La sequenza dei gruppi contenenti acidi liberi ed esterificati lungo la molecola non è fissa.
La struttura chimica primaria, composta da una catena lineare di unità di
acido α‐(1‐4)‐D‐galatturonico, è interrotta ad intervalli non frequenti ed irregolari, da inserzioni di (1‐2)‐L‐ramnosio, impedendone così una conformazione ordinata.
Conoscere la struttura di un polisaccaride significa conoscerne la
composizione in residui glucidici, la presenza e distribuzione dei costituenti; il tipo di legame glicosidico; la configurazione anomerica ed assoluta; i possibili legami con altre macromolecole; determinare i pesi molecolari e polidispersione; la conformazione dei residui glucidici (grandezza dell’anello, conformazione a “sedia” o “barca”) e delle molecole (elica, singola macromolecole). La struttura della molecola pectica, anche se estratta da materiale omogeneo, può presentare una notevole variabilità. Spesso il processo di estrazione rappresenta un importante fattore di modificazioni strutturali, difatti, soltanto una porzione della pectina presente può essere estratta con metodi non degradativi, inoltre il materiale di partenza può presentare una residua attività enzimatica.
Fig. 3.6 Struttura principale della molecola pectica.
Gli zuccheri (come galattosio, glucosio, ramnosio, arabinosio, e xilosio) sono presenti in varie percentuali, comprese fra il 5 ed il 10% dell’acido galatturonico e possono essere legati alla catena primaria del poligalatturonato, sotto forma di ramificazioni di arabani, galattani, arabinogalattani, o piccole catene di xilosio, oppure, altri polisaccaridi contaminanti (xilosio e xiloglucosio) possono essere inseriti all’interno della struttura principale.
Gli arabinani sono polisaccaridi ramificati con uno scheletro di α‐(1→5) L‐arabinosio (forma furonosica) ed unità di L‐arabinosio attaccate in posizione O‐2 e/o O‐3. La struttura di alcuni di questi arabinani può essere descritta come un modello a pettine; mentre altre possono presentare delle regioni molto ramificate. Le pectine contenenti arabinani sono state isolate da mela, barbabietola da zucchero, albicocche, semi di colza, carote, cavolo, cipolla, pera. Gli arabinogalattani si ritrovano in due forme strutturali differenti. L’arabinogalattano di tipo I ha una struttura principale composta da subunità di β‐D‐galattosio con legami lineari (1→4) ed un 20‐40% di residui α (1→5) L‐arabionofuranosilici.
Pectine con arabinogalattani del tipo I sono comuni in prodotti alimentari
quali limone, patata, semi di soia, lupini, tabacco, mele, cipolla, kiwi, pomodoro e di cavolo. Gli arabinogalattani del tipo II sono polisaccaridi altamente ramificati con catene β‐D‐galattosio unite da legami 1→3 e 1→6.
Le pectine della parete cellulare primaria presentano molto più
ramificazioni rispetto alle pectine della lamella mediana (Fig. 3.7). Per pectine estratte da mela è stato proposto un modello che prevede la presenza di regioni non ramificate, separate da regioni fortemente ramificate. Il modello è applicabile anche alle pectine derivate da limone, barbabietola da zucchero, carota e fragola. La parete cellulare contiene una frazione di pectina con un scheletro principale composto da ramnosio e acido galatturonico alternati. Le pectine derivate dal tabacco possono essere separate in tre frazioni: una priva di zuccheri, e altre con basse ed alte percentuali. Le ricerche effettuate evidenziano una distribuzione casuale del ramnosio, mentre altri autori suggeriscono una distribuzione ordinata. Ѐ possibile concludere che esiste una distribuzione intramolecolare caratterizzata da una concentrazione di zuccheri neutri in zone che presentano un numero elevato di sostituzioni di ramnogalatturonano
(regioni ramificate) separate da regioni non sostituite (regioni non ramificate) contenenti soltanto acido D‐galatturonico (Fig. 3.8). Fig. 3.7 Schema della struttura della pectina.
Fig. 3.8 Struttura della molecola pectica con i vari sostituenti.
Le proprietà funzionali della molecola sono primariamente influenzate dai
vari sostituenti presenti; parte dei residui di galatturonato sono esterificati con gruppi metilici, altri con gruppi acetici; ad esempio, quest’ultimi, (presenti nella pectina estratta da patata o da barbabietola da zucchero), impediscono il processo di gelificazione. La percentuale di acetilazione (DAc) viene definita come la percentuale di acido galatturonico esterificato con un gruppo acetile; in questo caso DAc può essere più alto di 100%. L’esterificazione con un gruppo metilico è molto comune nelle pectine naturali, mentre DAc ha valori generalmente bassi.
La percentuale di esterificazione (DE) indica la percentuale delle unità di
acido galatturonico con esteri metilici ed è funzione principalmente della materia prima utilizzata; comunque, questa può subire delle variazioni rilevanti durante il processo di estrazione. Le pectine di mela e limone presentano un alto valore di DE (circa 70%). Le pectine del girasole hanno un basso DE, che varia con lo stato di maturazione. Le pectine estratte da patata, tabacco e pera presentano un basso contenuto in esteri metilici. Nel pericarpo del pomodoro, come nella susina, il DE della pectina diminuisce con la maturazione; al contrario, nella mela non è stato osservato alcun cambiamento significativo. La distribuzione dei gruppi metilici dipende dal materiale di estrazione, nella pectina di mela estratte con metodi poco degradativi la distribuzione intramolecolare è casuale, anche se alcuni recenti lavori hanno evidenziato una certa regolarità. Nelle pectine commerciali i risultati disponibili suggeriscono una distribuzione non casuale. Il frazionamento con resine a scambio ionico
mostra la presenza di due categorie di macromolecole (DE intorno al 70% ed al 50%). Nel cavolo cappuccio, per esempio, una parte delle molecole ha un DE molto basso.
Le pectine sono degradate all’azione dell’enzima pectinesterasi, costitutivo
in numerose piante ed in alcuni funghi. Nel primo caso i prodotti dell’azione enzimatica sono grandi frammenti di acido galatturonico, mentre le esterasi funginee provocano una de‐esterificazione casuale della molecola. Il modello di distribuzione dei sostituenti influenza notevolmente le proprietà funzionali della soluzione pectica.