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LA PROSA DI SVEVO

Nel documento LA LIRICA DEL '900 CLASSE V (pagine 31-38)

La prosa è arida e antiletteraria. Svevo ricorre al linguaggio parlato, a volte anche del gergo tecnico-industriale, a locuzioni dialettali e idiotismi tedeschi. La semplicità dell’espressione attraverso una frase breve, disadorna, non ha ben disposto la critica, la quale non ha esitato a parlare di uno «scrivere male» di Svevo.

Non chiederci la parola

Di sicuro è una delle poesie più celebri di Montale, tratta da "Ossi di seppia" .Il poeta si rivolge a quel lettore che esige dai poeti verità assolute e definitive, invitandolo a non chiedergli alcuna rivelazione, né su stesso né sull'uomo in genere, e nemmeno sul significato della vita. Egli, infatti, non ha alcun segreto risolutivo, ma solo dubbi e incertezze.

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco

lo dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo a un polveroso prato. Ah l'uomo che se ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l'ombra sua non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

Parafrasi

Non chiederci la parola, che metta a fuoco sotto ogni profilo, il nostro animo privo di certezze, e a lettere che lo chiariscano rendendolo luminoso come il fiore dello

zafferano: perduto in mezzo ad un prato polveroso.

Ah l'uomo che se ne va sicuro, senza contrasti con se stesso e con gli altri.

E la sua ombra non viene toccata che dal sole nel periodo più caldo dell'estate; proiettata su un muro mancante di intonaco.

Non domandarci il segreto che possa rivelarti nuove prospettive di conoscenza del mondo,bensì una distorta sillaba secca come un ramo.

Solo questo possiamo in questo momento farti presente, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia, era l'incartocciarsi della foglia riarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigio che schiude la divina Indifferenza: era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Parafrasi

Spesso ho visto la sofferenza del vivere: era il faticoso fluire del ruscello che gorgoglia (come in un lamento) impedito nel suo scorrere, era l’accartocciarsi della foglia bruciata dalla calura, era il cavallo stroncato dalla fatica (stramazzato). Non conobbi altra possibilità di salvezza se non nella condizione prodigiosa (prodigio condizione rara, eccezionale come un miracolo) che un atteggiamento di superiore distacco concede: era la statua nell’ora sonnolente del meriggio e la nuvola e il falco che vola lontano (verso ipermetro per rendere lo slancio del volo che porta lontano il verso si distende oltre misura rispetto agli altri versi).

Commento

Questa poesia è una delle più felici e famose espressioni della dolorosa concezione esistenziale montaliana, tratta un tema che tanto deve a Leopardi: “il male di vivere” e si ispira al v.104 del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “…a me la vita è male”. La lirica fa parte della raccolta Ossi di seppia, ed è divisa in due parti che rappresentano due momenti della riflessione del poeta.

La prima parte è incentrata sul malessere esistenziale ravvisabile nelle situazioni quotidiane in cui si riscontra un crudele incepparsi delle cose. Montale trae alcuni esempi dalla realtà naturale, nel regno inanimato, animale e vegetale: "il rivo", "la foglia", "il cavallo", colti in un momento di precarietà e dolore, come sottolineano gli aggettivi ad essi collegati: "strozzato", "riarsa", "stramazzato": il ruscello che non può più scorrere, la foglia che si accartoccia, il cavallo che è stroncato dalla fatica. È la constatazione che gli aspetti più dimessi e quotidiani rivelano un pianto delle cose che testimonia un cosmico male di vivere e un’uguale sofferenza degli uomini (correlativo oggettivo). Nella seconda quartina, in opposizione al "male di vivere", Montale afferma che l'unico "bene" per l'uomo consiste nell'atteggiamento di "indifferenza" per tutto ciò che è segnato dal male e dal dolore. Ai tre emblemi del "male" si contrappongono simmetricamente, tre esempi concreti di questa specie di "bene" (correlativi oggettivi): "la statua", "la nuvola" e il "falco": la statua si caratterizza per la sua fredda, marmorea insensibilità; la nuvola e il falco perché si levano alti al di sopra della miseria del mondo.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.

Commento

Questa poesia fa parte della raccolta Satura, che raccoglie poesie scritte tra il 1962 e il 1970, e più precisamente della sezione Xenia (nell’antica Roma Xenia erano i doni che si facevano all’ospite), relativa ai componimenti dedicati al ricordo della moglie, Drusilla Tanzi affettuosamente soprannominata Mosca, deceduta nel 1963. Il poeta si rivolge, in un muto dialogo, direttamente alla donna che non c’è più e le confessa che la sua assenza lo ha privato delle consuetudini e del mutuo scambio di aiuto che caratterizzava la loro vita di coppia. Dolorosamente sottolinea il suo sconforto per la sensazione di vuoto e il suo sgomento nel continuare la propria vita senza di lei. In questa lirica è riconoscibile il motivo della vuota inconsistenza del reale (“le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede”): la realtà non è quella che si percepisce con i sensi ma qualcosa che sta al di là della realtà stessa. Nella seconda strofa il verso iniziale ribadisce simmetricamente il concetto espresso nel primo verso della lirica ed emerge l’antitesi fra la posizione del poeta di fronte alla realtà e il modo più acuto della moglie di penetrare in essa. Si ritrova, infatti, la tematica del reciproco sostegno, infatti il poeta dà il braccio alla moglie per aiutarla a scendere le scale, ma in realtà è lei la guida autentica nel lungo viaggio della vita.

SALVATORE

Nel documento LA LIRICA DEL '900 CLASSE V (pagine 31-38)

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