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In questa diversa prospettiva bisogna però raccordare la funzione limitativa della colpevolezza, in sede di commisurazione della pena, con la teoria della prevenzione generale

che alla pena assegna uno scopo intimidativo direttamente proporzionale, in astratto, alla

gravità del castigo

24

. Se, infatti, “una pena finalizzata a scopi preventivi non dovrebbe mai

superare la misura corrispondente alla gravità della colpevolezza per il fatto”, colpevolezza

e prevenzione versano in un rapporto apparentemente antagonista e disfunzionale

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,

Milano, 1972, pag. 92 ss., secondo cui la concezione retributiva non è fine a se stessa perché la colpevolezza rappresenta il presupposto irrinunciabile che rende moralmente giustificata o legittima l’irrogazione della pena.

20 Si rinvia a MANTOVANI F., Diritto penale, cit., pag. 727.

21 Sul tema si veda LECALDANO E., Jeremy BENTHAM e la riforma utilitaristica delle leggi, prefazione a

BENTHAM J., An Introduction to the Principles of Morals and Legislation (1780), Torino 1998 (e-book 2013). Sul tema, nella prospettiva dell’analisi economica del diritto, si rinvia a PALIERO C.E., L’economia della pena (un work in progress), in Riv. it. dir. proc. pen., 4/2005, pag. 1371, nonché, sia consentito, a SORBELLO P., Politica criminale ed osservanza delle regole. Riflessioni su limiti e possibilità di conversione al razionale dei comportamenti, ivi, 4/2016, pag. 1914.

22 In senso contrario BETTIOL G., Diritto penale, cit. pag. 800, per cui “la prevenzione generale potrà

risultare una conseguenza del modo di essere della pena; ma non un fine, o il fine principale, della pena retributiva”. Si veda anche EUSEBI L., “Il futuro del principio penalistico di colpevolezza”. Note in margine ad un contributo di Günter Stratenwerth, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1982, pag. 245 ss. Nel riportare la duplice conclusione dello scrittore tedesco (“da un lato egli afferma, almeno fintanto che vi sia una pena, l’autonomia del principio di colpevolezza, il quale non si lascerebbe “né sostituire, né sufficientemente interpretare mediante considerazioni preventive”; dall’altro pone contemporaneamente l’accento sulla necessità di riconoscere, rinunciando ad inutili quanto artificiosi mascheramenti, che i requisiti della colpevolezza penale, nella loro specifica configurazione, ammettono concessioni più o meno ampie alla politica criminale”), l’Autore rileva che l’apparente ambivalenza esprime esaurientemente il punto chiave della disputa sulla colpevolezza “che costituisce la più diretta manifestazione della crisi determinatasi nel rapporto tra dogmatica penale e politica criminale”. A questa si affianca la crisi della categoria dogmatica della colpevolezza, legata “al progressivo superamento della retribuzione quale funzione della pena”, che è “del tutto parallela alla dilatazione di quella che potrebbe essere definita la domanda di funzione cui ad essa si chiede di adempiere entro il polo dialettico costituito fra le esigenze dello stato sociale e quelle dello stato di diritto”.

23 “A prescindere sia dalle teorie retributive in base alle quali la pena è dovuta per il male commesso, sia

dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena”. Così Corte cost., sent. 22.11.1974, n. 264, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1976, con nota di PAVARINI M.,La Corte Costituzionale di fronte al problema penitenziario: un primo approccio in tema di lavoro carcerario, pag. 269 ss. L’idea di scopo della pena è pertanto collegata anche alle funzioni della difesa sociale e della prevenzione generale “per quella certa intimidazione che [questa] esercita sul calcolo utilitaristico di colui che delinque”. Così Corte cost., sent. 02.07.1990, n. 313, in Foro it., 1990, I, pag. 2385, con nota di FIANDACA G., Pena “patteggiata” e principio rieducativo: un arduo compromesso tra logica di parte e controllo giudiziale.

24 Sulla prevenzione generale, anche come criterio di determinazione della pena “giusta” in concreto, si

veda PAGLIARO A., Commisurazione giudiziale della pena e prevenzione generale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1981, pag. 30.

25 Così FIANDACA G., Considerazioni su colpevolezza e prevenzione, cit., pag. 838. In senso conforme,

perPADOVANI T., Teoria della colpevolezza, cit., pag. 802 ss., “le due diverse, e antagonistiche funzioni, sono viste non già come espressione di un unico concetto di colpevolezza, ma di due concetti nettamente distinti” individuati nella colpevolezza intesa, nella fase di produzione del diritto, quale principio e quale “fondamento o come esclusione della pena” in sede applicativa, avuto riguardo ai problemi concernenti “l’imputabilità, le forme psicologiche della colpevolezza, i limiti di rilevanza dell’errore sul divieto e le singole scusanti”. Sul tema si veda anche MAIWALD M., Fra principio di colpevolezza e prevenzione generale. La punibilità della

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recuperabile accedendo a due distinte nozioni di colpevolezza, in “senso stretto” e in “senso

lato”, quest’ultima altrimenti definita responsabilità

26

. Nel dettaglio, l’approccio

funzionalistico-preventivo si articola sull’accennato profilo della deterrenza (prevenzione

generale negativa), su quello dell’integrazione (prevenzione generale positiva) per cui “pena

“utile” in termini preventivi e pena “giusta” dovrebbero in certo senso costituire le due facce

di una stessa medaglia”

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nel senso della sua proporzione, e sul profilo della prevenzione

speciale in base al quale lo scopo della pena consiste nell’eliminare o ridurre il pericolo che

il soggetto cui è inflitta ricada in futuro nel reato. Più che in funzione limitativa, nella

prevenzione speciale il rapporto tra colpevolezza e pena riguarda la finalità rieducativa

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di

quest’ultima e presuppone “un collegamento psicologico tra fatto commesso e persona da

rieducare, idoneo a far apparire l’azione criminosa come frutto di una scelta volontaria (dolo)

o comunque di un comportamento volontariamente evitabile (colpa)”

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: questo collegamento

segna un profilo di particolare importanza per le successive riflessioni.

non imputabilità causata da ubriachezza, in AA.VV., Studi in onore di Mario Romano, II, Napoli, 2011, pag. 1029.

26 Una volta superato il paradigma retribuzionistico, la pena non è più l’indefettibile conseguenza di una

accertata colpevolezza: per ciò che riguarda la sua legittimazione e la sua entità, la pena presuppone sì “la colpevolezza dell’agente, ma oltre ad essa, anche la sua necessità special-o generalpreventiva, senza la quale, pur in presenza di colpevolezza, non può essere inflitta […] colpevolezza e prevenzione entrano in un rapporto di reciproca delimitazione: la colpevolezza pone una barriera ai bisogni statuali di prevenzione, ma i bisogni di prevenzione, a loro volta, limitano l’applicazione della pena stessa pena legata alla colpevolezza”. Così ROXIN C., Sul problema del diritto penale della colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1984, pag. 28 ss., il quale porta ad esempio le cause di esclusione della colpevolezza quali “casi di carente bisogno di penalizzazione, dal punto di vista preventivo”. Richiamandosi proprio alle riflessioni di ROXIN, per FIANDACA G., Considerazioni, cit., pag. 852 ss., sul piano del diritto positivo la categoria della responsabilità (intesa appunto come concretizzazione dogmatica strutturata degli scopi della pena), spiegherebbe la disciplina legislativa di cause di esclusione della colpevolezza quali lo stato di necessità perché “la situazione necessitante non esclude del tutto la possibilità teorica di agire diversamente, ragion per cui l’impunità non si ricollega all’assenza di colpevolezza in senso tradizionale, bensì al venire meno della necessità preventiva di pena”.

27 IBIDEM,pag. 845. Secondo l’Autore, infatti, “una pena che fosse applicata al di fuori delle condizioni

che la fanno apparire “legittima” e perciò socialmente accettabile tanto nei presupposti che nella misura, avrebbe per effetto di pregiudicare la fiducia dei consociati nell’ordinamento; e quest’ultimo, di conseguenza, perderebbe la capacità di motivare alla spontanea osservanza delle norme”. Sul significato di pena utile, distinta dalla pena giusta e rilevante ai fini utilitaristici di prevenzione, si rinvia a PAVARINI M, Il “grottesco” della penologia contemporanea, in CURI U.-PALOMBARINI G., Diritto penale minimo, Roma, 2002, pag. 258.

28 A dispetto del loro fondamento costituzionale, le esigenze di difesa sociale e prevenzione non possono

pregiudicare la finalità rieducativa, espressamente prevista all’art. 27, terzo comma, della Costituzione, che è rilevante nell’esecuzione della pena e, ancor prima, “sul piano della struttura del fatto di reato” attraverso la minaccia legale e la relativa commisurazione. In particolare, nella sentenza 313/1990, cit., ritenuta una delle “svolte storiche” della giurisprudenza costituzionale in materia penale, la Corte costituzionale affermò che “se la finalizzazione venisse orientata verso quei diversi caratteri [della pena], anziché al principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale (prevenzione generale) o di privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l’esemplarità della sanzione. È per questo che, in uno Stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stesse della pena”. In senso conforme PADOVANI T., Teoria della colpevolezza, cit., pag. 802, per il quale, integrando un parametro della gravità del reato e conseguentemente un limite nella commisurazione della pena, questa funzione della colpevolezza “corrisponde ad una fondamentale esigenza di garanzia della libertà personale contro i rischi di un’espansione incontrollata delle finalità di prevenzione, e deve come tale essere mantenuta”.

29 Così FIANDACA G., Considerazioni su colpevolezza e prevenzione, cit., pag. 848, per cui “di fronte a

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Nell’accezione più ampia di colpevolezza, che si ricorda investe il momento applicativo