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Ulteriori esempi di una simile influenza del diritto europeo sui sistemi penali si trovano nelle sentenze della Corte di giustizia:

-

22.11.1983, causa 271/82 (A

UER

)

70

con la quale, tenuto conto che ai sensi dell’art. 2,

n. 1 della direttiva 78/1026/CEE “ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli

68 Nell’occasione, la Corte di giustizia fu investita dal Consiglio nazionale forense sulla interpretazione

della direttiva 77/249/CEE del 22 marzo 1977, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati, nell’ambito di un procedimento disciplinare aperto dal Consiglio dell’Ordine di Milano nei confronti di Reinhard GEBHARD al quale era stato addebitato di essere venuto meno agli obblighi che gli incombono ai sensi della legge 9 febbraio 1982, n. 31, relativa alla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri delle Comunità europee, esercitando in Italia un’attività professionale a carattere permanente ed utilizzando il titolo di avvocato. In particolare, per “il Consiglio dell’Ordine di Milano un soggetto può considerarsi, ai sensi del Trattato, come stabilito in uno Stato membro, in questo caso l’Italia, solo se fa parte dell’ordine professionale di questo Stato o, almeno, svolge la propria attività in collaborazione o in associazione con soggetti che vi appartengono”. In esito al procedimento penale il Consiglio dell’Ordine di Milano inflisse al signor GEBHARD la sanzione della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per sei mesi impugnata dal medesimo dinanzi al Consiglio nazionale forense. Nell’occasione, la Corte stabilì che “l’accesso ad alcune attività autonome e il loro esercizio possono essere subordinati al rispetto di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, giustificate dal pubblico interesse, come le norme in tema di organizzazione, di qualificazione, di deontologia, di controllo e di responsabilità. Tali disposizioni possono prevedere, in particolare, che l’esercizio di un’attività specifica sia riservato, a seconda dei casi, ai soggetti titolari di un diploma, certificato o altro titolo, ai soggetti appartenenti a un ordine professionale o a quelli sottoposti a una determinata disciplina o a un determinato controllo. Esse possono del pari prescrivere le condizioni per l’uso dei titoli professionali, come quello di “avvocato”. Allorché l’accesso a un’attività specifica, o l’esercizio di questa, è subordinato, nello Stato membro ospitante, a tali condizioni, il cittadino di un altro Stato membro che intenda esercitare tale attività deve, di regola, soddisfarle. […] Del pari, gli Stati membri non possono, nell’applicazione delle loro disposizioni nazionali, prescindere dalle cognizioni e dalle qualifiche già acquisite dall’interessato in un altro Stato membro. Di conseguenza, essi hanno l’obbligo di tenere conto dell’equivalenza dei diplomi, e, se del caso, procedere ad un raffronto tra le cognizioni e le qualifiche richieste dalle proprie norme nazionali e quelle dell’interessato”.

69 Così GRASSO G., Introduzione. Diritto penale ed integrazione europea, cit., pag. 11 ss. Sul punto si

vedano PEDRAZZI C., L’influenza della produzione giuridica della CEE, cit., pag. 622 ss.; LANZI A., La scriminante dell’art. 51 c.p. e le libertà costituzionali, cit., pag. 93 ss., nonché VIGANÒ F., La dimensione internazionale. L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di “antigiuridicità” del fatto tipico, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2009, pag. 1064.

70 La questione pregiudiziale fu sollevata dalla Corte d’appello di Colmar nell’ambito del procedimento

penale a carico di Vincent Rudolph AUER, imputato d’esercizio illegale della medicina veterinaria in Francia. “L’AUER, originariamente cittadino austriaco, studiava medicina veterinaria a Vienna, a Lione e infine a Parma

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altri titoli rilasciati ai cittadini degli altri Stati membri conformemente all’art. 1 della

direttiva 78/1027/CEE ed elencati all’art. 3, attribuendo loro, sul proprio territorio, lo stesso

effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli da esso rilasciati per quanto concerne l’accesso

alle attività di veterinario ed il loro esercizio”, la Corte ribadì che “il singolo può far valere

di fronte al giudice nazionale le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata o attuata

in modo incompleto dallo Stato membro interessato”

71

;

-

06.11.2003, causa 243/01 (G

AMBELLI

)

72

; 06.03.2007, cause riunite 338/04, 359/04 e

360/04 (P

LACANICA

,

P

ALAZZESE

eS

ORRICCHIO

); 16.02.2012, cause riunite 72/10 e 77/10

(C

OSTA

e C

IFONE

)

73

e 28.01.2016, causa 375/14 (L

AEZZA

)

74

, con le quali la Corte si è

dove otteneva, il primo dicembre 1956, la laurea in medicina veterinaria, l’11 marzo 1957 un certificato d’abilitazione provvisoria all’esercizio della professione di veterinario e, il 2 maggio 1980, il certificato d’abilitazione a questa stessa professione. Nel 1958, si stabiliva in Francia per praticare la sua professione, prima come assistente di veterinari francesi e poi per proprio conto. Divenuto cittadino francese nel 1961, chiedeva più volte di essere autorizzato ad esercitare la medicina e la chirurgia degli animali ai sensi del D.M. 17 novembre 1962, n. 62-1481, a norma del quale, l’autorizzazione può essere concessa ai veterinari di origine straniera che abbiano acquistato la cittadinanza francese e siano in possesso di un diploma di veterinario rilasciato all’estero e riconosciuto equivalente al diploma francese da un’apposita commissione d’esami. Le domande venivano sempre respinte poiché la commissione nel suo caso non ammetteva tale equivalenza e perché la validità della sua laurea era stata riconosciuta “a titolo accademico”. Ritenendo il rifiuto ingiustificato, l’AUER apriva uno studio di veterinario dove cominciava ad esercitare la professione. Su denuncia dell’ordine nazionale dei veterinari, più di una volta veniva processato per esercizio abusivo della medicina veterinaria”.

71 “È questo il caso dell’AUER al quale non si può dunque negare il diritto di esercitare in Francia la

medicina veterinaria, in forza dei diplomi universitari e dei titoli acquisiti in Italia, a partire dalla data in cui la direttiva in questione avrebbe dovuto essere attuata dalla Repubblica francese”. In senso conforme sentenza 15.12.1983, causa 5/83 (RIENKS).

72 Costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi il divieto “penalmente sanzionato, nei

confronti degli intermediari, quali gli indagati nella causa principale, di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la STANLEY, con sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del bookmaker alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi” (par. 58).

73 “Gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che vengano applicate

sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia nei confronti di persone legate ad un operatore che era stato escluso da una gara in violazione del diritto dell’Unione, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione, qualora quest’ultima gara e la conseguente attribuzione di nuove concessioni non abbiano effettivamente rimediato all’illegittima esclusione” (par. 91).

74 A fronte dell’intervento del Governo italiano per cui “la disposizione in questione nel procedimento

principale è giustificata, nel quadro dell’obiettivo della lotta contro la criminalità collegata ai giochi, dall’interesse a garantire la continuità dell’attività legale di raccolta di scommesse al fine di arginare lo sviluppo di un’attività illegale parallela”, pur ritenendo che “un motivo siffatto è tale da costituire una ragione imperativa d’interesse generale in grado di giustificare una restrizione delle libertà fondamentali quale quella in questione nel procedimento principale” (part. 34), la Corte ha concluso che “gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una disposizione nazionale restrittiva, quale quella in questione nel procedimento principale, la quale impone al concessionario di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali e immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, qualora detta restrizione ecceda quanto è necessario al conseguimento dell’obiettivo effettivamente perseguito da detta disposizione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. In senso conforme Cass. pen., Sez. III, 15.09.2016, n. 43955, in Leggi d’Italia, per cui “non è configurabile il reato di raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza, da parte del soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero privo di concessione per non aver partecipato alle gare per l’assegnazione, a causa della non conformità del regime concessorio interno agli

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pronunciata sulla compatibilità con il diritto comunitario dell’art. 4, comma 4-bis

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, della