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La prospettiva della vittima

Questi rapidi cenni su come si è sviluppata ed è progredita nel tempo la considerazione del-la vittima all’interno del processo penale sono utili per valutare come attualmente la perso-na offesa dal reato si collochi sostanzialmente nello scenario processuale.

Si è già avuto modo di osservare, adottando la prospettiva dell’accusato, che il processo, strutturalmente, non è “il luogo” della vittima, ma dell’imputato, nato ed evoluto per garanti-re a quest’ultimo un accertamento dei fatti ga-rantito sia in termini di efficacia che di rispetto dell’imputato stesso.

Se tale considerazione viene poi coniugata con il percorso appena osservato, per cui la vittima solo faticosamente e con un cammino durato molti secoli diventa effettivamente “visibile”

nel processo, allora diventa più facile com-prendere i limiti che possiamo considerare come strutturali nel riconoscimento del ruolo della persona offesa all’interno del processo.

L’aula del processo non è un luogo amichevole per la vittima non soltanto perché lì viene rie-vocata la vicenda che ha provocato la sua affli-zione, ma anche perché il rito che viene cele-brato in quell’aula è rivolto ad un fine che non si identifica necessariamente con quello della persona offesa.

Ed infatti, se è vero che il processo assume una funzione fondamentale per la vittima, che è quella di riconoscerla come tale e di accerta-re la accerta-responsabilità di chi le ha provocato un pregiudizio, tuttavia per la persona offesa la richiesta di “giustizia” può non coincidere con le risposte che fornisce il processo. Le regole processuali, i limiti che riguardano le modali-tà di accertamento dei fatti, i possibili errori nell’attività di indagine sono elementi che agli occhi della vittima appaiono in contrasto con la propria esigenza di giungere ad una con-clusione per lei soddisfacente. Essi possono diventare incomprensibili, assurdi in una pro-spettiva di giustizia sostanziale che la vittima cerca.

Non può sfuggire infatti che chi ha subito un’of-fesa sovente nell’aula di giustizia può guardare

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Vittime e autori di reato: un incontro possibile?

in volto colui che gli ha provocato quel danno, ed è pienamente consapevole di tale circostan-za, per cui gli è difficile comprendere le regole che, i suoi occhi, si frappongono come un osta-colo per un’immediata affermazione di quello che soggettivamente la vittima sa già, cioè la responsabilità dell’imputato.

Ma anche nei casi in cui la vittima del reato en-tra nell’aula di giustizia non conoscendo esat-tamente l’identità di colui che ha realizzato la condotta che l’ha danneggiata, la necessità di essere riconosciuta come vittima impone, sim-metricamente, di richiedere l’affermazione di responsabilità di colui che nel processo si pre-senta come imputato.

In entrambi i casi, in ultima analisi, l’istanza punitiva di cui la persona offesa è portatrice è di regola tanto impellente da prevalere su altre e diverse dinamiche, fino a cancellarle.

Qualsiasi tipo di relazione con l’autore del re-ato, anche in una prospettiva riconciliativa, o quantomeno risarcitoria, è fortemente limi-tato dal conflitto di interessi che si manifesta nel processo tra i due soggetti interessati alla vicenda. L’imputato ha l’obiettivo di uscire dal

processo senza pregiudizio, ovvero limitando il più possibile tale pregiudizio; la persona offesa vuole invece vedere affermata la re-sponsabilità dell’imputato e spesso applicata una sanzione afflittiva di massimo rigore: ra-ramente è dato vedere all’esito di un processo che ha portato all’assoluzione dell’imputato una vittima che dichiari di essere contenta di quell’esito processuale, in quanto è stata pro-nunciata una sentenza di assoluzione per un innocente, ovvero una persona offesa che si duolga di una pena troppo elevata comminata al condannato.

Questa situazione di contrasto strutturale tra le posizioni dei due soggetti protagonisti della vicenda processuale pone dunque la vittima all’interno del processo in una condizione di conflitto, non solo nei confronti dell’autore del reato, ma dello stesso processo. Se a tale condizione poi si aggiunge la circostanza che il processo stesso diventa luogo di rivisitazio-ne di una vicenda personale dolorosa, diventa allora del tutto evidente tutta la difficoltà che vive la vittima durante la sua partecipazione al processo.

Inoltre, deve essere evidenziato anche un ulte-riore elemento che conferma la situazione di disagio vissuta dalla vittima. Esso consiste nel-la circostanza che il processo vive di astrazioni:

l’accertamento dei fatti avviene in base ad una ricostruzione dei medesimi sulla base delle prove assunte, in un luogo ed in un tempo ben distanti da quelli dove la vicenda si è consu-mata e dove si sono manifestati e sviluppati il dolore e la sofferenza della vittima. Ovviamen-te gli aspetti emotivi della vicenda sottostanOvviamen-te non possono scomparire completamente, ma la necessità di applicare regole di giudizio in una prospettiva di logica formale li pone ne-cessariamente sullo sfondo. E dunque la vitti-ma del reato, che è la rappresentazione plasti-ca di quegli aspetti emotivi, viene percepita ed apprezzata solo parzialmente, principalmente per l’apporto di conoscenza che può fornire all’accertamento dei fatti, mentre le emozioni che esprime possono essere percepite come interferenze in un processo di ricostruzione logica. Gli altri interpreti del processo - pub-blico ministero, difensore, giudice - vedono nella sfera emotiva dei protagonisti -l’imputa-to e la vittima - un elemen-l’imputa-to di disturbo sot-l’imputa-to due diversi profili. Il primo riguarda la consa-pevolezza di come gli aspetti emotivi possano

“contaminare”, consapevolmente o meno, la

ricostruzione dei fatti alla quale tende il pro-cesso penale, interferendo nei ricordi dei testi-moni quindi in primo luogo della vittima del reato. Il secondo riguarda la possibile influen-za che la condizione emotiva dei protagonisti del processo può esercitare sulla correttezza dei processi decisionali, sul presupposto, tutto da verificare, ed anzi contestato da una buona parte di studi sul processo decisionale, della capacità delle emozioni di corrompere nega-tivamente la logica formale del ragionamento giuridico. Occorre peraltro evidenziare come questi aspetti siano la conseguenza delle di-verse aspettative dei protagonisti del processo ed in buona sostanza della funzione stessa del medesimo, e che essi si manifestano nella sfera empirica e possono essere percepiti, ad esem-pio, nelle manifestazioni verbali o negli atti del processo che occultano completamente la dimensione emotiva della vittima per concen-trarsi invece sull’apporto di conoscenza per i fatti da accertare. Appare allora del tutto evi-dente come questa limitazione del ruolo della persona offesa, che non viene percepita nella sua interezza, configuri un ulteriore elemento di disagio per la stessa, con conseguente per-cezione di sentirsi in qualche modo estranea ed incompresa nel luogo che dovrebbe essere destinato ad offrirle giustizia.

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