Pino Dilamargo
Buco dell’Ossobuco: per preparare i fori delle barre sulla volta del cunicolo occorre scavare sul fondo, per far posto al trapano (foto di Paolo Grimandi)
talebano pronto a lasciarvi l’indelebile segno della sua ignoranza.
Sappiamo bene che la nostra Federazione Speleo-logica Regionale è impegnata come non mai nella più recente battaglia, dal cui esito dipenderà l’an-nientamento o la sopravvivenza di quel che resta di Monte Tondo e delle sue stupende grotte. Sappia-mo anche che ancor oggi si sversano inquinanti nei collettori sotterranei e ritengo che i Parchi Carsici siano quotidianamente perseguitati dalla stampa di destra e dai comuni per le scorribande dei cin-ghiali e l’appetito dei caprioli, per la frustrazione dei cultori dell’”arte venatoria” e i minori guadagni dei ristoratori. Il fatto che alcuni cacciatori del bas-so Appennino e osti possano vedere i Parchi nei Gessi come un contenitore di cinghiali e caprioli è connaturato alla gravità della loro miopia, ma è quando i politici e gli amministratori degli Enti lo-cali danno corda a questa fuorviante interpretazio-ne dell’effettivo ruolo dei Parchi, tedofori del ten-tativo di delegittimarne e depotenziarne l’azione sul territorio, che mi rendo conto di un’avvilente, palese dimostrazione d’incultura e di calcolo, in cui fanno sfoggio loschi interessi di bottega e, come sempre, la nobile ambizione di acquisire o conser-vare, razzolando qualche voto in più, la funzione di rappresentanti degli interessi di un’esigua
mino-ranza del popolo.
Ma non basta: si sta tentando di aggiungere alla Lista propositiva dell’UNESCO, al di là dell’iniziativa istruita sui fenomeni carsici presenti nelle evaporiti dell’Emilia-Romagna, (una candidatura già presen-tata col pieno appoggio dei Comuni e della Regio-ne), anche i portici e i tortellini di Bologna, e magari la piadina romagnola e l’erbazzone reggiano. Quasi non si sapesse che la nostra Commissione Nazio-nale dovrà presentare un’unica proposta scelta fra una miriade di progetti, in quanto al nostro beato Paese non fanno difetto né le eccellenze, né la fan-tasia. Come in Highlander, ne rimarrà solo uno, e ho paura che la proposta che sopravvivrà non sarà quella per cui la nostra Federazione si è impegnata allo spasimo, in ogni dove e che corre ben maggiori pericoli dei portici e delle specialità gastronomiche regionali.
Ditemi voi, con questa marea di grossi problemi, come mai possa venire in mente di parlare di quel-li che - a tutta prima - sembrano e forse sono ben minori, nel loro insieme quasi irrilevanti. Potrei dire che ognuno deve continuare a fare la sua parte, in piccola scala, darsi da fare per aggottare con il soli-to cucchiaino da the la fragile barchetta dei Parchi Carsici, inondata dai marosi, che la Regione ha co-minciato a varare 32 anni fa nel mare Milazziano.
Buco dell’Ossobuco: Nano provvede alla resinatura dei montanti e delle barre del cancelletto (foto di Paolo Grimandi)
Quegli stessi Parchi che adesso essa vede o par che voglia vedere affondare miseramente, incalzata dai grugniti dei cinghiali extra-territoriali, introdotti il secolo scorso dai cacciatori per essere destinati alla fucilazione. A questo punto, mi chiedo: se non ce ne occupiamo noi, delle grotte, chi altri mai vorrà e potrà farlo?
Veniamo quindi all’argomento: le grotte protette, o meglio, quelle da proteggere. In questo caso: il Buco dell’Ossobuco. Scoperto ed interamente diso-struito nei suoi primi 15 m da M. Fabbri e G. Rodolfi, che, con grande caparbietà e determinazione, pri-ma di trovare la prosecuzione hanno dovuto sca-varne il doppio, è una delle grotte più ricche di con-crezioni carbonatiche e di ricristallizzazioni gessose del Bolognese. Costituisce un tronco significativo (sviluppo 300 m) di un reticolo carsico ipogeo che ha origine 240 - 250 m (in linea d’aria) a SO, alla base della falesia sottostante gli edifici del Castello, nei Gessi della Croara. Proprio in quel punto, nei primi anni ’70, si aprì un buchetto nel bosco che dava ac-cesso ad uno splendido meandro, alto 4 - 6 m, di cui abbiamo solo qualche foto. Il minuscolo ingresso a pozzo si chiuse infatti rapidamente e finora non vi è
stato verso di ritrovarlo. Altre piccole cavità, situate ancor più a SO, sono indubbiamente collegate al Buco del Bosco (sviluppo 303 m), poco al di sopra dell’Ossobuco. Il recettore finale delle acque è il T.
Acquafredda, in un punto ancora indeterminato del Sistema Acquafredda-Spipola. Il Buco delle Lu-mache (sviluppo 66 m), paleoinghiottitoio posto a breve distanza e a valle dell’Ossobuco, rappresenta con ogni probabilità quel che resta del tracciato di quell’antico collettore.
Le fasi di apertura dell’ingresso e di disostruzio-ne interna dell’Ossobuco sono state autorizzate dall’Ente Parchi, informato tempestivamente del succedersi dei progressi esplorativi. Il Buco dell’Os-sobuco, anche nel caso in cui non si rendesse pos-sibile realizzare il suo congiungimento fisico con il soprastante Buco del Bosco, di cui costituisce l’evidente prosecuzione, si è rivelato una cavità di notevoli e molteplici interessi. E’ innanzi tutto una grotta che è stata segregata dall’esterno dall’ac-cumulo di sedimenti e - prima della sua scoperta - non vi era mai penetrato alcuno. Questo il motivo per cui la sua esplorazione e le operazioni di rilievo e documentazione fotografica sono state condotte
Buco dell’Ossobuco: il cancelletto e le barre di interdizione a montaggio ultimato (foto di Paolo Nanetti)
da squadre composte da un numero ridotto di spe-leologi (da 2 a 4), con ogni possibile precauzione tesa a non alterare l’ambiente. Se è ben vero che la naturalità di un luogo viene modificata o inqui-nata dalla stessa presenza fisica dell’uomo, ad oggi non è ancora dato esplorare e studiare il mondo sotterraneo escludendola. L’unica alternativa resta pertanto quella di usare la massima attenzione, al fine di attenuarne gli effetti indotti. E’ stata quindi osservata ogni cautela necessaria a preservare l’in-tegrità dei cospicui concrezionamenti carbonatici e gessosi e delle multiformi ricristallizzazioni, cer-cando e percorrendo tracciati che consentissero di minimizzare il danno causato dal semplice transi-to. Per quanto riguarda i reperti osteologici, sono stati raccolti solo quelli affioranti dai sedimenti, per evitarne il calpestio, giovandoci della consulenza del Museo della Preistoria L. Donini, di S. Lazzaro di Savena.
L’ipotesi di salvaguardare fin da subito la grotta, con un grado di protezione più accentuato rispet-to alle altre, e consentire già nelle prime fasi di documentazione e di ricerca un efficace controllo sulla frequentazione della cavità, è stata imme-diatamente sostenuta dallo stesso Museo della Preistoria e condivisa dal Parco Regionale dei Gessi Bolognesi, che ha approvato il progetto di sezio-namento presentato dal GSB-USB, autorizzandone l’immediata esecuzione. Il 4 ottobre 2019, Nimitz, Nanetti e il Grima hanno accuratamente scelto il punto in cui posizionare il manufatto ed effettuato il rilevamento delle misure necessarie.
Il cancelletto è stato ubicato ovviamente a monte degli ingressi, nel punto più incomodo e basso, per ridurre al minimo le dimensioni della struttura. Il battente mobile e i montanti, in acciaio Inox, sono stati realizzati in officina dal “Portefice Massimo”: il Nano, che ha poi adattato in opera le barre di
inter-dizione laterali. Barre e montanti sono ben incassati (e solidarizzati con resine) nel gesso della volta del cunicolo, e profondamente immersi nei coni di cal-cestruzzo all’interno dei sedimenti di base.
Il montaggio, come previsto, si è confermato non banale, poiché in quel punto potevano operare unicamente due speleologi: il primo dall’interno, sdraiato nella strettoia, e il secondo raggomitolato di fronte a lui, senza possibilità di fornire un’effica-ce collaborazione, se non per passargli materiali ed attrezzi. In tale carenza di spazi utili, il terzo, die-tro, non poteva fare altro che gestire l’andirivieni di punte, batterie, barre, sabbia, ghiaia, cemento, acqua, tubi di resina e della bombola del gas. L’o-pera è stata ultimata in tre giornate: il 2 gennaio e l’1 e il 9 febbraio 2020. Nella Grotta proseguiranno le disostruzioni dei condotti a monte, nel tentativo di raggiungere il Buco del Bosco, e a questo prov-vederanno, come sempre in questa cavità, piccole squadre (2 - 4 speleologi). D’intesa col Museo della Preistoria, si valuterà l’opportunità di approfondire le ricerche paleontologiche nei sedimenti, mentre l’Ente Parchi preciserà il grado di protezione cui in-tende assoggettare la cavità, nell’evidente intento di conservare praticamente intatta almeno una del-le 200 grotte fra il T. Savena e l’Idice, ove un domani sarà consentito svolgere le ricerche che il progresso delle metodiche e degli strumenti renderà attuabi-li. Il Buco dell’Ossobuco è quindi la 20^ grotta pro-tetta del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi, con la quale si è raggiunto l’auspicato traguardo del 10%, di cui fanno parte i Complessi e le cavità più importanti presenti negli affioramenti fra i T. Save-na ed Idice.
Hanno preso parte ai lavori di sezionamento: Paolo Nanetti, Paolo Grimandi, Franco Marani, Massimo Fabbri e Giuliano Rodolfi.
La sera del 10 gennaio 2020, 14 veterani del GSB si sono riuniti in un ristorante bolognese per festeg-giare gli 80 anni di Giancarlo Pasini, il loro “Capo”, che lo stesso Marziano di Maio, del GS Piemontese, ebbe a definire “lo spirito-guida del GSB”. C’erano Carlo D’Arpe, Paolo Grimandi, Sergio Trebbi (Lu-stre), Giordano Canducci, Lelo Pavanello, Marco Battilani, Giancarlo Zuffa, Ettore Scagliarini, Paolo Nanetti, Marcello Bedosti, Valter Tassinari, Fabio Belluzzi, Giuseppe Rivalta e Michele Sivelli. Altri avrebbero voluto, ma non hanno potuto esserci, perché altrove, o non raggiunti dalla nostra con-vocazione all’appuntamento. Comunque, c’erano quelli del Corchia, del Fondone, della Colubraia, della Buca Larga, del Revel e della Spluga della Pre-ta, del Bifurto, del Fighiera e delle altre spedizioni del GSB che il Paso ha promosso, organizzato e
gui-dato con successo.
È un fatto a tutti noto che la rinascita del GSB, nel 1957, dopo la fondazione voluta dal nostro amatis-simo Luigi Fantini e i fasti degli anni ‘30, la dobbia-mo a lui, che con Luigi Zuffa e Giulio Badini ha fati-cosamente, caparbiamente raccolto ed aggregato il nucleo di giovanissimi da cui poi si è sviluppato ed espanso il Gruppo. A distanza di oltre 60 anni, crediamo di poter affermare che allora nessuno aveva la percezione di ciò che si stava costruen-do, né poteva immaginare che le piccole o grandi cose che si facevano insieme ogni giorno avrebbe-ro dato luogo al GSB-USB, quale è oggi. Si trattava di una speleologia artigianale, praticata con pochi e poverissimi mezzi, frutto dell’insieme di volon-tà, passione e sacrifici, individuali e collettivi. Se li compariamo alle risorse attualmente disponibili, i