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Le pubblicità sui giornali etnici: classe, razza, genere e generazione

I brand, tra storia e politica

La nascente industria pubblicitaria aiutò i commercianti – quindi sia gli importatori sia i produttori di cibi “tipo Italiano” – a creare brand e immaginari che servissero da anello di congiunzione tra la realtà quotidiana dei migranti e un’Italia rappresentata da un lato da politici e grandi personalità del passato e dall’altro da avvenimenti di attualità che negli Stati Uniti avevano ricevuto ampio risalto e che riconducevano alla costruzione di un sentimento di appartenenza condiviso. Spesso ai prodotti erano legate immagini della casa reale italiana, come nel caso della Savoy Wine & Importing Co., una impresa di importazione di Boston che commerciava tra gli altri i marchi Branca, Martini e Rossi, Bisleri, Gancia e Cinzano e stabilì un legame tra i prodotti commerciati al nome e al simbolo di casa Savoia.

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Similmente anche imprese di produzione come la Ronzoni Macaroni di Long Island – una delle più importanti fabbriche di pasta negli Stati Uniti – presentavano lo scudo sabaudo unito a quello americano, collegando nella stessa pubblicità l’americanità dei propri mezzi di produzione (“Moderno Stabilimento di Paste”) all’italianità della lavorazione e del prodotto finito (“Diretto e amministrato da personale tecnico italiano con operai italiani”).1 Un caso particolare è quello dell’azienda di importazione Marchesini Bros. che nel 1899 diffuse una pubblicità su Il Proletario di New York, uno dei più importanti giornali legati al movimento operaio, che nel 1916 arrivò a una tiratura superiore alle settemila copie2. Questa pubblicità, inserita in un giornale legato in particolare agli ambienti socialisti3, riporta l’immagine del marchio dell’olio d’oliva Francesco Picinini (Lucca), nel quale l’allegoria degli Stati Uniti incorona quella dell’Italia. Questa immagine non solo legava le esperienze transatlantiche dei consumatori migranti italiani – intrecciando quindi le due dimensioni, nazionale e transnazionale – ma sottolineava come un paese più sviluppato come gli Stati Uniti riconoscesse, incoronandolo, lo sviluppo e la modernità di una nazione come l’Italia rappresentata sul suolo americano da una popolazione considerata inferiore e la cui alimentazione era spesso disprezzata.4 Negli anni a cavallo tra i due secoli fu infatti molto difficile creare affinità alimentari tra italiani e statunitensi, e spesso gli importatori e i produttori cercarono di accostare immagini dell’Italia e degli Stati Uniti per “sbiancare” una condizione razziale subalterna che avrebbe causato anche un difficile inserimento dei propri prodotti nel mercato nordamericano.5 Inoltre in questo periodo la classe media bianca anglo-americana iniziò

1 Il Progresso Italo-Americano, New York, 10 agosto 1919.

2 R. Vecoli, Negli Stati Uniti, in, P. Bevilacqua, A. De Clementi, E. Franzina, (a cura di), Storia

dell’emigrazione italiana. Arrivi, Roma, Donzelli, 2009, pp. 55-88; E. Vezzosi, Class, Ethnicity, and Acculturation in Il Proletario: The World War One Years, in, C. Harzig, D. Hoerder (a cura di) The Press of Labor Migrants in Europe and North America 1880s to 1930s, Publications of the Labor Newspaper

Presentation Project, Bremen, 1985, pp. 443-458.

3 P. Avrich, Sacco and Vanzetti. The Anarchist Background, Princeton, Princeton University Press, 1991; R. Vecoli, The Italian Immigrants in the United States Labor Movement from 1880 to 1929, in B. Bezza (a cura di), Gli emigranti italiani fuori d’Italia. Gli emigranti italiani nei movimenti operai dei paesi

d’adozione 1880-1940, Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 285 – 306; E. Vezzosi, Il socialismo indifferente. Immigrati italiani e Socialist Party negli Stati Uniti del primo Novecento, Roma, Edizioni Lavoro, 1991;

M.M. Topp, Those Without a Country. The Political Culture of Italian American Syndicalist, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2001; K. Zimmer, Immigrants Against the State. Yiddish and Italian

Anarchism in America, Chicago, University of Illinois Press, 2015; G.E. Pozzetta (a cura di), Pane e lavoro: The Italian American Working-Class, Toronto, Multicultural History Society of Ontario, 1980.

4 Cfr. Chicken with Macaroni, «New York Times», August 16, 1888.

5 E. Zanoni, Migrant Marketplaces. Food and Italians in North and South America, University of Illinois Press, Urbana, 2018.

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un processo di recupero della cucina del New England come simbolo dell’identità culinaria nordeuropea.6 In questo contesto i cibi che venivano consumati dalla classe operaia italiana furono considerati elementi poco nutrienti, irrazionali, simbolo di una razza inferiore, da cui la classe media bianca doveva tenersi lontana7. I migranti, definiti spesso non patriottici e stranieri, sfidarono nello stesso momento le idee di sovranità nazionale e purezza razziale, collegando, attraverso il consumo di prodotti come olio, formaggio e vino, le nozioni di commercio, razza e nazione. L’immagine serviva però anche all’azienda di produzione stessa per sottolineare la qualità della merce proposta in un mercato, quello americano, più complesso e articolato rispetto a quello italiano, e proiettare quindi la struttura aziendale in una dimensione internazionale. Sulle pagine de Il Proletario comparvero numerosi articoli in cui è possibile rilevare come da parte della FSI – Federazione Socialista Italiana del Nord America – almeno fino allo sciopero di Lawrence fossero riproposti alcuni schemi razzisti nella descrizione della povertà del Sud Italia. Per rappresentare le condizioni di vita dei meridionali infatti erano spesso evocate le immagini dell’Africa, accostando quindi le popolazioni del Sud a cannibali e selvaggi più vicini allo stadio evolutivo scimmiesco che non umano. Dopo l’esperienza di Lawrence gli strumenti di difesa adottati dagli operai italiani si concentrarono prevalentemente sugli aspetti della italianità e della mascolinità. Essi, però, «non risposero alle aggressioni di carattere razziale con l’affermazione della propria bianchezza, ma ricorrendo a un senso condiviso di italianità, all’orgoglio per quella stessa identità nazionale che li rendeva oggetti di tanta diffidenza e tanto disprezzo. Ci riuscirono non solo mantenendo collegamenti transnazionali con i sostenitori in Italia […], ma anche incoraggiando e riconoscendo il valore dei loro compagni immigrati in termini di nazionalità e di “latinità”.»8

6 Donna Gabaccia, We are What We eat. Ethnic Food and the Making of Americans, Harvard University Press, Cambridge, 1998.

7 H. Levenstein, The American Response to Italian Food, 1880-1930, in, «Food and Foodways», 1, 1985, pp. 1 – 24.

8 Michael Miller Topp, «È una fortuna che ci siano gli stranieri qui.» Bianchezza e mascolinità nella

creazione dell’identità sindacale italiana americana, in, J. Guglielmo, S. Salerno, Gli Italiani sono bianchi? Come l’America ha costruito la razza, Milano, Il Saggiatore, 2006, pp. 128-130.

89 Il Proletario, New York, 1899

Gli espliciti richiami alla nazione servivano inoltre alla rappresentazione di un popolo che non doveva più essere considerato effemminato e debole. Se le fallimentari imprese coloniali avevano finito per mostrare i limiti politici e militari del Regno d’Italia, e in special modo del suo popolo, occorreva fare leva sull’associazione tra importanti uomini politici e lo sviluppo economico e commerciale che i migranti avrebbero apportato all’Italia. In maniera diretta, ad esempio, l’azienda A. Di Pietro & Co, proprietaria di una birreria a Boston decise di creare un brand in onore di Re Umberto I di Savoia. Nella pubblicità di questa marca di birra, insieme all’immagine del re, comparivano le bandiere di Italia e Stati Uniti, simbolo della promozione del consumo di un prodotto e di un’azienda attraverso cui potevano essere mantenuti i legami con il paese d’origine.

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La figura del sovrano rappresentava inoltre un popolo-nazione che, nonostante si trovasse fuori dai confini della patria, aveva alle spalle una guida, un padre che da un lato affidava una missione ai migranti (la diffusione dell’italianità nel campo politico, commerciale e culturale) e dall’altro offriva loro una immagine nobile (e bianca) da rivendicare nel contesto della società razzista americana9. Il consumo di prodotti associato alla grandezza e all’espansione dell’Italia era anche legato a specifici marchi, come Fernet-Branca, presentato come la “Gloria della Nazione italiana perché esso porta ammirato e rispettato il nome d’Italia in tutte le parti del mondo”.10 Anche la figura di Cristoforo Colombo servì a questo scopo, cioè per comunicare una nuova era di imperialismo economico e culturale dell’Italia, resa possibile dall’emigrazione. Fino a quel momento, però, l’immagine del navigatore genovese era stata celebrata negli Stati Uniti come elemento che contribuì all’espansione in America della cristianità e della civiltà, senza sottolinearne l’italianità. I membri dei Knights of Columbus, infatti, erano prevalentemente di origine irlandese – e tali rimasero anche durante l’emigrazione di massa dall’Italia – e durante l’esposizione colombiana del 1892-1893 a Chicago fu la dirigenza WASP e non quella italiana a condurre le celebrazioni11. Le pubblicità fornivano inoltre alle aziende importatrici, come la Luigi Gandolfi & Co. di New York, il compito di servire da anello di congiunzione tra l’imprenditoria in Italia e il mercato etnico negli Stati Uniti; come si vedrà nel prossimo capitolo, queste imprese divennero un importante punto di riferimento politico, culturale ed economico all’interno delle Little Italies. All’acquisto e al consumo di determinati prodotti erano inoltre associate importanti personalità del Risorgimento italiano, in particolare Giuseppe Garibaldi12, di cui si offrivano quadri e raffigurazioni in omaggio13, o al quale si dedicavano nomi di aziende, ed Ettore Fieramosca, che era divenuto una sorta di eroe-icona risorgimentale grazie al romanzo del 1833 di Massimo d’Azeglio

Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta.14 Alcuni prodotti si inserivano direttamente

9 Cfr Ida Hull, Special Problems in Italian Families. National conference of Social Work: Addresses and

Proceedings, New York, 1924.

10 L’Araldo italiano, New York, 9 giugno 1912.

11 Cfr. Wiliam J. Connell, Who’s Afraid of Columbus?, in, «Italian Americana», 31, 2, 2013, pp. 136-147; Id. Italian in the Early Atlantic World, in, William J. Connell, Stanislao Pugliese (ed by), The Routledge

History of Italian Americans, New York, Routledge, 2018, pp. 17 – 41.

12 Sulla figura di Garibaldi cfr. Don H. Doyle, Americas Garibaldi. The United States and Italian

Unification, in, William J. Connell, Stanislao Pugliese (ed by), The Routledge History of Italian Americans,

cit. pp. 69-90.

13 La Voce dell’Emigrante, Kansas City, maggio 1915.

14 Il Giornale di Chicago, Chicago, Ottobre 1907. M. d’Azeglio, Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, Torino, G. Pomba, 1833.

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all’interno del processo di unificazione nazionale, come il Marsala Florio che in una pubblicità sostenne come «Garibaldi, prima di marciare su Napoli, sbarcava coi suoi Mille a Marsala e dopo breve sosta si sentì così rinvigorito da non dubitare più le sue forze e sappiamo che alcuni giorni dopo entrava trionfalmente a Napoli.»15 In questo modo il Marsala Florio si accreditava anche come quel prodotto erede della tradizione garibaldina che aveva compiuto l’impresa di unificare la nazione e il cui consumo poteva quindi fondere i consumatori italiani emigrati negli Stati Uniti in una comunità coesa e riconosciuta.

Il Risveglio, Des Moines, 1923

Non mancavano però anche riferimenti alle celebrità del periodo, come Enrico Caruso – al quale furono associati un olio d’oliva della Southern Olive Oil Co. di New York16 e soprattutto una pasta della Atlantic Macaroni Co., azienda su cui si tornerà in seguito – Gabriele D’Annunzio – al quale pochi mesi dopo la morte fu dedicata una pasta dalla Busalacchi Bros Macaroni di Milwaukee17 - e anche Benito Mussolini al quale fu intitolato un marchio di pasta da parte della Indiana Macaroni Company. Quest’ultima operazione finì al centro delle polemiche del giornale Il Corriere del Popolo di San Francisco che, riportando la notizia, si espresse in maniera molto netta.

15 Corriere d’America, New York, 25 novembre 1925.

16 La Follia di New York, New York, 7 marzo 1920.

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Non aggiungiamo né cacio, né “pommarola in coppa”, né commento ai “Maccheroni Mussolini Brand”, per non incorrere nelle magnanime ire e nei magnanimi gusti del dittatore che potrebbe estendere l’ordine di sequestro del Corriere repubblicano oltre i monti ed oltre i mari, o farci somministrare una dose ben dosata di olio… “Mussolini Brand” da renderci maledettamente difficile la digestione dei saporitissimi Maccheroni “Mussolini Brand”.18

Le immagini legate ai prodotti italiani offrivano suggestioni che tendevano a cancellare il tempo e lo spazio, ritraendo una Nazione ancora prima che essa fosse realmente esistita. Questo fece in modo che si potessero utilizzare figure storiche decontestualizzate ma funzionali alla rappresentazione della grandezza di un popolo che aveva ritrovato una antica (e inventata) unità e potenza. Spesso queste immagini erano in relazione con i risultati economici ottenuti dai prominents che si attestavano quindi come i rappresentanti delle glorie passate, presenti e future dell’Italia. In concomitanza con l’ingresso italiano nella Prima guerra mondiale comparvero alcuni marchi che cominciarono a recuperare la latinità degli italiani, come l’olio d’oliva “Lucullus” pubblicizzato dall’azienda Gusmano Bros. di Chicago19. Nel decennio successivo prese poi progressivamente spazio il richiamo più specifico alla romanità, come fece la ditta Ajello-Bozza di Napoli che propose l’olio d’oliva “Romolo”20, mentre la Claudia Roman Imperial Mineral Water, Inc. di New York sottolineava come la propria acqua minerale “Claudia” fosse già utilizzata dagli imperatori romani21. Il caso forse più interessante è però rappresentato da due pubblicità del Ferro China Roma da parte della azienda newyorchese di Thomas Pipitone. Mentre nella prima non vi sono immagini del prodotto, ma traspare una stretta relazione tra la Lupa Capitolina e l’azienda di Pipitone22, nella seconda la bottiglia del Ferro China è accostata alla figura di un legionario romano e la didascalia che accompagna l’immagine recita “Voi potete acquistare forza e salute e far anche crescere i vostri figli sani e robusti come gli antichi Romani facendo sempre uso del Ferro China Roma”23. Questi richiami più specifici alla romanità trovavano un riscontro nelle elaborazioni degli ambienti del nazionalismo italiano a partire dal primo decennio del XX secolo, quando la questione libica prima e quella orientale e balcanica poi, entrarono prepotentemente nell’agenda politica dell’Associazione Nazionalista Italiana. Latinità e romanità, infatti, erano elementi che si andavano a contrapporre da un lato ai barbari slavi

18 Il Corriere del Popolo, San Francisco, 6 luglio 1923.

19 Il Movimento, Chicago, 1916.

20 Corriere d’America, 6 marzo 1923.

21 Corriere d’America, 11 marzo 1923.

22 Corriere d’America, 25 dicembre 1926.

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e bolscevichi da Est, e dall’altro rappresentavano la giustificazione “storica” per la conquista della Libia e la ripresa dell’imperialismo italiano24. Questo recupero non voleva essere un ritorno al passato, ma la base su cui costruire una nuova civiltà, mentre «gli «italiani nuovi» che il fascismo voleva forgiare dovevano essere i romani della

modernità.»25 Era quindi chiaro che l’emigrante italiano venisse rappresentato come

l’erede dei legionari che diedero vita non solo all’Impero Romano, ma alla romanità, un concetto che superava i confini dello Stato nazionale e proiettava il fascismo in una dimensione universale «per imprimere il marchio del genio italiano su una nuova epoca della civiltà moderna.»26 Insieme al recupero della romanità vi fu anche l’uso di grandi personaggi della letteratura, come Dante Alighieri27, a cui fu intitolato un ristorante a San Francisco – legando inoltre il carattere casalingo della cucina italiana al nome e all’immagine del letterato28 - e un olio d’oliva prodotto in Italia da un’azienda italiana, la Giacomo Costa di Genova, ma rivenduto negli Stati Uniti dalla Schroeder Bros di New York29. Legata al nome di Dante, l’unica figura femminile del passato fu quella di Beatrice, con il marchio di un olio d’oliva, “Donna Beatrice”, distribuito a partire dagli anni Trenta dalla Beatrice Distributing di Brooklyn30. Queste figure andavano perciò a creare un senso di continuità che legava il sangue a una stirpe, o a una razza, che aveva qualità innate, tramandate nel corso dei secoli. Esemplare, in questo senso, la campagna sul “Genio italiano” lanciata dalla Prince Macaroni di Boston nell’agosto 1933, in occasione della quale furono pubblicate brevi biografie di grandi uomini del Rinascimento tra cui Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci e Raffaello Sanzio. Le qualità e le caratteristiche di ogni personaggio erano anche attribuite ai prodotti e all’azienda, che sottolineava l’orgoglio di appartenere alla «stessa razza. La razza che ha dato tanti uomini meravigliosi al mondo».

Nel caso di Leonardo,

24 Cfr. Adriano Roccucci, Roma capitale del nazionalismo (1908-1923), Roma, Archivio Guido Izzi, 2001, pp. 13 – 86.

25 E. Gentile, La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo, Roma-Bari, Laterza, 2011, pag. 164.

26 Ibidem, pag. 164.

27 Cfr. Aida Audeh, Nick Havely, Dante in the Long Nineteenth Century: Nationality, Identity, and

Appropriation, Oxford, Oxford University Press, 2012; Dennis Looney, Dante Alighieri and the Divine Comedy in Nineteenth-Century America, in, William J. Connell, Stanislao G. Pugliese, (ed by), cit. pp. 91

– 104.

28 L’Italia, San Francisco, 31, marzo 1911.

29 Corriere d’America, New York, 20 gennaio 1926.

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Con esattezza da appassionato Leonardo lavorò per raggiungere i suoi fini e noi – la Prince Macaroni Company – non potremmo renderci più meritevoli alla nostra razza che stimolando uno studio della sua vita e dei suoi lavori […] Nel nostro campo scelto – la manifattura di maccheroni – noi siamo ugualmente diligenti. Noi compriamo i migliori materiali, usiamo la massima cura nella loro manifattura, impacchiamo i maccheroni in pacchetti tre volte sigillati da carta cerata, che nella loro ingenuità delizierebbe il cuore di ingegnere di Leonardo, e noi facciamo questo per la vostra protezione – così che voi possiate essere certi di ottenere i maccheroni Prince ed avere i vostri maccheroni puliti e freschi, pronti per l’uso.

Di Raffaello fu sottolineata la capacità di migliorare tutte le conoscenze artistiche imparate durante la sua vita. Similmente, la Prince Macaroni

Come Raffaello noi abbiamo adattato tutto quanto è buono nella manifattura dei maccheroni e noi vi abbiamo aggiunto. Noi abbiamo sviluppato un prodotto che è un capolavoro. Provare i nostri maccheroni e voi confermerete che noi abbiamo creato un prodotto che è unico nel suo campo. Noi impacchiamo i maccheroni per mantenerli freschi e puliti e per guardarvi da ogni sostituzione.

La Gazzetta del Massachusetts, Boston, 12 agosto 1933

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La Gazzetta del Massachusetts, Boston, 26 agosto 1933

“Tipo italiano”: regionalismo e nazionalismo, qualità e imitazioni

La Prima guerra mondiale e il conseguente blocco degli scambi commerciali causò quasi subito un innalzamento del prezzo delle merci importate, tanto che alcune case italiane si prodigarono a comunicare che, nonostante le crescenti difficoltà, avrebbero mantenuto inalterati i prezzi, come fece la ditta Camuti di New York ancora prima che l’Italia entrasse in guerra31, mentre Joseph Personeni scrisse un vero e proprio “Comunicato al Pubblico” sostenendo come

La GUERRA IN EUROPA E GLI SPECULATORI [in maiuscoletto nel testo n.d.A.] hanno causato una immensa scarsità di merce italiana, aumentando enormemente i relativi prezzi. L’impossibilità di ottenerne per un tempo indeterminato, mi ha indotto a vendere solamente al pubblico consumatore ai soliti prezzi praticati finora, meno il Fernet Branca portato a $1,50 la bottiglia e ridotti eccezionalmente a $1,10 la bottiglia il Ferro China Bisleri ed a $1,25 l’Amaro Felsina Buton, netti senza sconto. Per quanto il mio stock sia abbastanza forte, con tutto ciò non posso garantire quanto tempo potrà durare; i clienti che intendono approfittare dei prezzi attuali sono quindi pregati di farlo senza indugio.32

Questo innalzamento dei prezzi favorì una produzione locale di generi alimentari di “Tipo italiano” che già dalla fine del secolo, in particolare per la pasta, si stavano diffondendo sul suolo statunitense. Nel 1886, ad esempio, Davide Tubino aveva aperto una fabbrica di pasta a Chicago che sottolineava come il proprio prodotto fosse dotato di una qualità

31La Follia di New York, New York, 16 agosto 1914.

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simile o superiore a quello importato.33 Fu però il blocco dei commerci a moltiplicare messaggi come quello della Gentile Macaroni di Boston che, annunciando l’apertura di nuovi e più moderni locali per l’ottobre del 1915, sosteneva come «La Guerra Europea ha fermata l’importazione delle Paste Alimentari Italiane ma ha dato agio alla Gentile Macaroni Manufacturing Co. di affermarsi sul mercato americano per l’ottima produzione di paste e maccheroni italiani ritenuti superiori a quelli importati dalle migliori ditte».34 Sulla stessa scia anche la Kansas City Macaroni che, considerando una sciagura la guerra che aveva bloccato gli arrivi di maccheroni dall’Italia, sottolineava però la fortuna che l’azienda avesse «fatto il miracolo di dare una qualità di pasta proprio come quella che ci perveniva dalle migliori fabbriche italiane.»35 Il mercato americano della pasta aveva conosciuto un progressivo sviluppo a partire dalla fine del XIX secolo, e nel 1903 contava già quasi un centinaio di fabbriche, situazione che rese necessario per i

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