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IL PUBBLICO MINISTERO E L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO Gli effetti delle riforme processuali

INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI VENEZIA

IL PUBBLICO MINISTERO E L’EVOLUZIONE DELL’ORDINAMENTO Gli effetti delle riforme processuali

Tra le recenti riforme della normativa processuale, quelle inerenti al nuovo regime dell’avocazione e alle impugnazioni delle sentenze di primo grado da parte del pubblico ministero sono le più rilevanti rispetto all’attività della magistratura requirente.

Con l’introduzione del comma 3-bis nell’art. 407 c.p.p. e la modifica del comma 1 del successivo art. 41219, l’istituto dell’avocazione è stato conformato in modo innovativo, attribuendo al procuratore generale presso la corte d’appello la funzione di vigilare sui procedimenti che le procure della Repubblica non abbiano definito nei termini di legge per mancato completamento delle indagini ovvero per mancata adozione delle decisioni conclusive e delle conseguenti iniziative processuali (esercizio dell’azione penale o richiesta di archiviazione): in tali casi il procuratore generale dispone l’avocazione, con decreto motivato.

Sul piano operativo, tale nuova disciplina dell’avocazione delle indagini preliminari c.d. per inerzia ha determinato alcune criticità.

In primo luogo, si è dovuto dare corso a complesse comunicazioni “qualificate” ad opera dei procuratori della Repubblica, dirette al procuratore generale presso la corte d’appello ai sensi del citato art. 407, comma 3-bis, c.p.p.: da ciò l’avvertita esigenza di una correlativa messa a punto dei registri informatici delle procure della Repubblica, che l’Amministrazione centrale non ha però attuato.

Nell’ambito del distretto veneto si sono svolte molteplici riunioni tra i capi degli uffici requirenti, indette dal Procuratore generale, con l’intervento dei magistrati referenti per l’informatica e dei vertici delle strutture amministrative. Si è realizzata un’apposita query per l’estrazione selettiva dei dati d’interesse, concernenti i procedimenti nei quali sia scaduto il termine fissato dal predetto art. 407, comma 3-bis, del codice di rito. Si sono quindi definite concordemente le modalità operative, messe a base di un protocollo distrettuale, ed è stata infine determinata dal Procuratore generale la lista delle priorità ai fini dell’eventuale avocazione.

Nel complesso, dal distretto è venuta una risposta positiva alle esigenze determinate dalla novella legislativa. Non può tuttavia non rimarcarsi come la realizzazione delle finalità della riforma risulti di fatto fortemente limitata da più fattori: il mancato ampliamento degli organici delle procure generali, che pertanto non dispongono di risorse adeguate a gestire i procedimenti potenzialmente avocabili; il ristrettissimo termine (30 giorni) per l’espletamento delle indagini necessarie, concesso al procuratore generale dall’art. 412, comma 1, c.p.p.; il mancato adeguamento delle strutture funzionali al migliore espletamento delle indagini stesse, non essendo stata prevista l’istituzione di sezioni di polizia giudiziaria presso le procure generali.

19 Legge 23 giugno 2017, n. 103.

Quanto alle disposizioni in tema di impugnazione del pubblico ministero, introdotte nel codice di procedura penale dal decreto legislativo n. 11 del 2018, la nuova disciplina risulta rigorosamente rispettata nel distretto di corte d’appello di Venezia, senza che si siano riscontrate criticità in rapporto ai maggiori adempimenti prescritti.

Tale risultato è stato raggiunto grazie al protocollo d’intesa tra i capi degli uffici requirenti, redatto ai sensi dell’art. 166-bis disp. att. c.p.p.

Tanto premesso, anche a testimonianza dell’impegno costruttivo che davvero non si è risparmiato di fronte alle problematiche operative, non può sottacersi come le due discipline sopra menzionate, inerenti a momenti diversi delle procedure, manifestino una sorta di divergenza concettuale: le norme in tema di avocazione postulano una più incisiva attività della procura generale rispetto a funzioni del primo grado; le norme sulle impugnazioni vanno, invece, verso una limitazione del potere di appello che compete alla procura generale, essendo esso dispiegabile solo in caso di acquiescenza alla sentenza da parte del pubblico ministero presso il tribunale.

La singolarità di questo incrocio sta in ciò: da un lato si conferiscono alla Procura generale, tendenzialmente deputata alla cura della fase di impugnazione, poteri e facoltà investigative tradizionalmente propri dell’organo inquirente di primo grado; d’altro lato, si è invece limitata l’espressione più tipica dell’organo della pubblica accusa di secondo grado, ossia quella di impugnare le decisioni di prima istanza.

Vi è da dire che il sistema delineato dalla legge n. 103 del 2017 in tema di avocazione va letto come tendente ad operare, nei confronti delle procure della Repubblica, una sorta di sollecitazione a terminare più tempestivamente le investigazioni e ad assumere le determinazioni conclusive, scongiurando il rischio che i fascicoli restino in una sorta di limbo in attesa delle decisioni del singolo magistrato. Ma, se ciò è vero (e apprezzabile), non può peraltro non destare perplessità che nessun intervento strutturale sia stato compiuto a sostegno dell’operatività dell’istituto dell’avocazione come innovativamente conformato. In particolare, riferendoci al distretto di Venezia, si dovrebbe ipotizzare che nove Sostituti procuratori generali – impegnati quotidianamente in attività d’udienza cui già è difficile adempiere – possano in trenta giorni articolare indagini in una massa di procedimenti nei quali i termini ordinari per le procure della Repubblica sono scaduti: attività, cioè, che oltre 100 Sostituti operanti nelle procure di primo grado non sono riusciti a concludere nei termini di legge.

Ma che si sia demandato il tutto ad una sorta di spontaneismo territoriale si scorge chiaramente nella mancata previsione su base nazionale di un software adeguato, che consentisse alle procure della Repubblica di estrapolare in modo rapido ed efficace dati effettivamente significativi e alla procura generale di “leggerli” così da propiziare interventi tempestivi e appropriati.

L’uniformità d’indirizzo nell’azione del pubblico ministero

I valori della parità di trattamento dei cittadini davanti alla legge e dell’efficienza nell’amministrazione giudiziaria trovano – per quanto attiene all’organizzazione degli uffici requirenti – un fulcro nell’art. 6 del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, recante

“Disposizioni in materia di riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero”.

La norma, dedicata alla “Attività di vigilanza del procuratore generale presso la corte di appello”, demanda a quest’organo il compito di acquisire dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto, informandone il procuratore generale presso la Corte di cassazione, “al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale, l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti”.

La linea d’interpretazione dell’art. 6 più costruttiva ha estrapolato dalla previsione normativa lo spunto per la creazione di un circuito informativo e di circolazione di buone prassi, offrendo una base affinché l’attività di “vigilanza” del procuratore generale trascenda la valenza disciplinare o di controllo sovraordinato e sia valorizzata soprattutto quale strumento di stimolo al più efficace e corretto esercizio delle funzioni del pubblico ministero.

Nell’anno appena trascorso, i periodici incontri a livello distrettuale dei Procuratori della Repubblica con il Procuratore generale di Venezia hanno costituito occasioni di scambio informativo e di confronto sulle problematiche operative e sulle possibili linee di soluzione, così da permettere la condivisione delle migliori prassi.

In forza di tali caratteristiche delle riunioni, talune questioni sono state affrontate quando ancora non se ne era registrato l’emergere in tutti i circondari: con un’accentuazione, quindi, della tempestività della riflessione e, per l’effetto, dell’efficacia degli interventi.

Nel complesso, i risultati della metodologia impiegata possono valutarsi in termini marcatamente positivi, considerando – a titolo esemplificativo – che:

- in esito ad un articolato percorso di elaborazione, del quale sono stati parti attive il Procuratore nazionale antimafia e tutti i Procuratori della Repubblica, si sono conclusi e risultano oggi operanti importanti protocolli20 (in precedenza inesistenti nel distretto), tra i quali quelli in tema di indagini di criminalità organizzata e reati-spia, nonché di indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali;

- le nuove disposizioni in tema di impugnazione del pubblico ministero introdotte nel codice di procedura penale dal decreto legislativo n. 11 del 2018, risultano rigorosamente rispettate nel distretto, senza che si riscontrino criticità operative in rapporto ai maggiori adempimenti prescritti: ciò grazie al protocollo d’intesa tra i capi degli uffici requirenti, redatto ai sensi dell’art. 166-bis disp. att. c.p.p.;

- le complesse problematiche attinenti all’istituto dell’avocazione delle indagini preliminari

“per inerzia”, come regolata dalla novella legislativa del 2017, sono state oggetto di molteplici riunioni, che hanno consentito di mettere a punto progressivamente (in un processo di confronto ed elaborazione ancora in atto) meccanismi adeguati a perseguire le finalità che hanno ispirato la riforma normativa, cercando di contenere entro limiti sostenibili l’aggravio per le procure di primo grado del distretto.

In una prospettiva più generale, il confronto in ambito distrettuale consente di mettere a fuoco quelle problematiche che necessitano di linee operative coerenti a livello nazionale.

Il circuito informativo delineato dall’art. 6 è, in quest’ottica, unico nell’ordinamento, per la possibilità di far confluire nelle riunioni indette dal Procuratore generale della Cassazione quanto emerso nel panorama dei diversi distretti: sì da propiziare il confronto e, quindi, soluzioni d’indirizzo condivise. Ciò può contribuire a superare (almeno in parte) la frammentazione che si riscontra sul territorio italiano; né va trascurata l’importanza di promuovere uniformità anche riguardo alle prassi applicative dell’innovazione tecnologica, per i loro forti riflessi processuali.

20 Al fine di offrire una visione d’insieme, si riporta in allegato l’elenco dei protocolli d’intesa conclusi per iniziativa o con l’intervento del Procuratore generale di Venezia, dei quali sono in numero cospicuo quelli sottoscritti nel corso dell’anno 2018: ulteriore dimostrazione della sempre più marcata incidenza delle iniziative ex art. 6 .

Le materie affrontate vanno dalle indagini antiterrorismo alle procedure di indagine clinica e tossicologica, nonché ai soggetti sottoposti a giudizio e non imputabili che presentano segni di sofferenza psichica; un protocollo d’intesa è stato concluso con la Procura regionale della Corte dei conti, un altro è relativo all’acquiescenza del pubblico ministero di primo grado che è presupposto per la proponibilità dell’appello da parte del procuratore generale, altri ancora ineriscono alla trasmissione informatica delle sentenze per il visto del procuratore generale. In particolare, vanno rammentati il protocollo organizzativo in tema di indagini di criminalità organizzata e reati-spia, quello in materia di indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali, nonché quello in tema di avocazione delle indagini preliminari.

La linea d’interpretazione dell’art. 6 più costruttiva ha estrapolato dalla previsione normativa lo spunto per la creazione di un circuito informativo e di circolazione di buone prassi, offrendo una base affinché l’attività di “vigilanza” del procuratore generale trascenda la valenza disciplinare o di controllo sovraordinato e sia valorizzata soprattutto quale strumento di stimolo al più efficace e corretto esercizio delle funzioni del pubblico ministero.

Nell’anno appena trascorso, i periodici incontri a livello distrettuale dei Procuratori della Repubblica con il Procuratore generale di Venezia hanno costituito occasioni di scambio informativo e di confronto sulle problematiche operative e sulle possibili linee di soluzione, così da permettere la condivisione delle migliori prassi.

In forza di tali caratteristiche delle riunioni, talune questioni sono state affrontate quando ancora non se ne era registrato l’emergere in tutti i circondari: con un’accentuazione, quindi, della tempestività della riflessione e, per l’effetto, dell’efficacia degli interventi.

Nel complesso, i risultati della metodologia impiegata possono valutarsi in termini marcatamente positivi, considerando – a titolo esemplificativo – che:

- in esito ad un articolato percorso di elaborazione, del quale sono stati parti attive il Procuratore nazionale antimafia e tutti i Procuratori della Repubblica, si sono conclusi e risultano oggi operanti importanti protocolli20 (in precedenza inesistenti nel distretto), tra i quali quelli in tema di indagini di criminalità organizzata e reati-spia, nonché di indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali;

- le nuove disposizioni in tema di impugnazione del pubblico ministero introdotte nel codice di procedura penale dal decreto legislativo n. 11 del 2018, risultano rigorosamente rispettate nel distretto, senza che si riscontrino criticità operative in rapporto ai maggiori adempimenti prescritti: ciò grazie al protocollo d’intesa tra i capi degli uffici requirenti, redatto ai sensi dell’art. 166-bis disp. att. c.p.p.;

- le complesse problematiche attinenti all’istituto dell’avocazione delle indagini preliminari

“per inerzia”, come regolata dalla novella legislativa del 2017, sono state oggetto di molteplici riunioni, che hanno consentito di mettere a punto progressivamente (in un processo di confronto ed elaborazione ancora in atto) meccanismi adeguati a perseguire le finalità che hanno ispirato la riforma normativa, cercando di contenere entro limiti sostenibili l’aggravio per le procure di primo grado del distretto.

In una prospettiva più generale, il confronto in ambito distrettuale consente di mettere a fuoco quelle problematiche che necessitano di linee operative coerenti a livello nazionale.

Il circuito informativo delineato dall’art. 6 è, in quest’ottica, unico nell’ordinamento, per la possibilità di far confluire nelle riunioni indette dal Procuratore generale della Cassazione quanto emerso nel panorama dei diversi distretti: sì da propiziare il confronto e, quindi, soluzioni d’indirizzo condivise. Ciò può contribuire a superare (almeno in parte) la frammentazione che si riscontra sul territorio italiano; né va trascurata l’importanza di promuovere uniformità anche riguardo alle prassi applicative dell’innovazione tecnologica, per i loro forti riflessi processuali.

20 Al fine di offrire una visione d’insieme, si riporta in allegato l’elenco dei protocolli d’intesa conclusi per iniziativa o con l’intervento del Procuratore generale di Venezia, dei quali sono in numero cospicuo quelli sottoscritti nel corso dell’anno 2018: ulteriore dimostrazione della sempre più marcata incidenza delle iniziative ex art. 6 .

Le materie affrontate vanno dalle indagini antiterrorismo alle procedure di indagine clinica e tossicologica, nonché ai soggetti sottoposti a giudizio e non imputabili che presentano segni di sofferenza psichica; un protocollo d’intesa è stato concluso con la Procura regionale della Corte dei conti, un altro è relativo all’acquiescenza del pubblico ministero di primo grado che è presupposto per la proponibilità dell’appello da parte del procuratore generale, altri ancora ineriscono alla trasmissione informatica delle sentenze per il visto del procuratore generale. In particolare, vanno rammentati il protocollo organizzativo in tema di indagini di criminalità organizzata e reati-spia, quello in materia di indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali, nonché quello in tema di avocazione delle indagini preliminari.

Esemplare il caso dell’avocazione: i criteri enunciati dal Procuratore generale della Cassazione il 24 aprile 2018, unitamente alla deliberazione del CSM del 16 maggio successivo, hanno offerto un orientamento di carattere generale.

Tali indicazioni si caratterizzano positivamente anche perché conseguenti ad un confronto con i procuratori generali di tutti i distretti; e hanno il pregio di contribuire al formarsi di un indirizzo univoco nell’attuazione di un importante meccanismo procedimentale, funzionale al corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale.

Inquadrando tale esperienza in una prospettiva di carattere generale, se ne desume come dalla flessibilità offerta oggi dalla diffusione di protocolli a livello distrettuale su molte materie occorra trarre il massimo vantaggio operativo, evitando però che ciò induca a far prevalere una metodologia per così dire artigianale nella trattazione di problematiche di rilievo generale.

L’art. 6 del decreto legislativo n. 106 del 2006 si delinea come strumento utile anche a questo riguardo. Esso propizia uniformità d’indirizzo tra i distretti, senza privare ciascuno dell’autonomia nel declinare opportunamente le scelte di competenza in rapporto alle diverse realtà locali 2122.

SICUREZZA E GIUSTIZIA PENALE