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Puella docta: l’educazione nella domus Augusta.

Il caso di Agrippina Maggiore si presenta come particolarmente fortunato anche per la possibilità che la documentazione antica, archeologica e letteraria, offre di individuare i luoghi in cui nel corso della sua vita la matrona risiedette durante la permanenza a Roma. L’area interessata dalla sua presenza riguarda una zona circoscritta della città, il Palatino, il luogo in cui a partire dall’età augustea si venne a creare un vasto complesso residenziale di proprietà imperiale.50 La storia di tale area e del suo sviluppo urbanistico può essere tracciata, seppur in termini non di certezza ma di possibilità, attraverso una lettura comparata della tradizione letteraria, epigrafica e archeologica.51 Stabilire il ruolo nel quale la nipote di Augusto trascorse la sua infanzia concorre a comprenderne le modalità . I pueri della famiglia di Augusto si trovavano ad essere parte, infatti, di una domus che rivestiva importanza fondamentale nella vita politica dell’Urbe e in più occasioni e sotto molteplici aspetti essi divennero a pieno titolo parte del programma politico attuato dal princeps.

A partire dal 36 a.C., tornato a Roma dopo aver sconfitto Sesto Pompeo, Ottaviano annunciò al senato e al popolo la volontà di realizzare un nuovo programma edilizio che interessava l’area del Palatino prospiciente il colle Aventino.52 Egli aveva deciso, infatti, l’acquisto di numerose case per ampliare la dimora in cui abitava e che era appartenuta a Q. Ortensio Ortalo. Qui Ottaviano si era trasferito già da tempo, dopo aver abitato iuxta Romanum forum, supra scalas

50 Cfr. PAPI 1999 a, pp. 22-28; CECCAMORE 2002, pp. 213-218. 51 Cfr. PAPI 1999 c, pp. 199-224 e CARANDINI 2004, passim.

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Anularias, nella domus che era appartenuta a C. Licinio Macro Calvo.53 La scelta di risiedere proprio in questa dimora sul Palatino, che Svetonio testimonia essere stata abbastanza modesta, dovette essere strettamente legata ad un forte tema ideologico: essa si trovava, infatti, in prossimità del luogo in cui la tradizione collocava la casa Rumuli.54 Secondo la testimonianza di Cassio Dione nello stesso anno fu deciso dal senato di costruire una nuova dimora a spese dello stato, su terreno acquistato dal princeps e dichiarato patrimonio pubblico, e di permettere l’edificazione di un nuovo tempio di Apollo nell’area che la caduta di un fulmine rivelò essere desiderata dal dio, almeno secondo le interpretazioni dell’evento date dagli aruspici: τότε δὲ οἰκίαν τε αὐτῷ ἐκ τοῦ δηµοσίου δοθῆναι ἔγνωσαν· τὸν γὰρ τόπον ὃν ἐν τῷ Παλατίῳ, ὥστ’ οἰκοδοµῆσαί τινα, ἐώνητο, ἐδηµοσίωσε καὶ τῷ Ἀπόλλωνι ἱέρωσεν, ἐπειδὴ κεραυνὸς ἐς αὐτὸν ἐγκατέσκηψε. τήν τε οὖν οἰκίαν αὐτῷ ἐψηφίσαντο.55

Il grande complesso abitativo, che venne a creare sul Palatino un’enorme area residenziale a carattere pubblico e privato, non soltanto comprendeva quella

53 Vd. Suet. Aug. 27, 1-2. La casa di Ortalo fu obliterata in seguito per la costruzione degli

appartamenti privati di Livia. Sulla cosidetta Casa di Livia cfr. IACOPI 1995 b, pp. 130-132.

Contra l’identificazione della casa di Ortensio con i resti di età repubblicana rinvenuti sotto la Casa di Livia cfr. CECAMORE 2002, p. 214 che identifica la stessa nei resti repubblicani

obliterati dal tempio di Apollo. Sulla domus di M. Licinio Macer Calvo e la sua localizzazione cfr. PAPI 1995 b, p. 129.

54 Vd. Varro, ling. V 54, 1; Plut. Rom. 20, 4 e Dio XLIX 15, 5. Cfr. GROS 2009, p. 170. Sulla

confisca della casa di Ortalo nel 42 a.C. e la successiva acquisizione da parte di Ottaviano cfr. CORBIER 1992, pp. 871-916.

55 Dio XLIX 15, 5: “Fu decretata la costruzione per lui di una casa a spese pubbliche: egli

infatti aveva donato allo stato e consacrato ad Apollo, dopo che su di esso era caduto un fulmine, il terreno sul Palatino che aveva acquistato per erigervi un’abitazione”. Vd. anche Vell. II 81 e Suet. Aug. 29, 3. Sulla costruzione del tempio di Apollo cfr. HEKSTER-RICH

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che era stata l’abitazione di Ortensio ma inglobava anche altre domus di età repubblicana progressivamente acquisite dal princeps.56 Tale vasto quartiere residenziale controllato da Augusto costituiva il centro abitativo principale della

gens Iulia in cui risiedettero a più riprese e in fasi alterne quasi tutti i membri

della domus Augusta.57 A partire dal 25 a.C. anche Agrippa si trasferì in questa sede poiché la casa in cui abitava fu distrutta da un incendio:

καὶ ἐπειδὴ ἡ οἰκία ἡ ἐν τῷ Παλατίῳ ὄρει, ἡ πρότερον µὲν τοῦ Ἀντωνίου γενοµένη ὕστερον δὲ τῷ τε Ἀγρίππᾳ καὶ τῷ Μεσσάλᾳ δοθεῖσα, κατεφλέχθη, τῷ µὲν Μεσσάλᾳ ἀργύριον ἐχαρίσατο, τὸν δὲ Ἀγρίππαν σύνοικον ἐποιήσατο.58

Un’ulteriore annessione fu effettuata dal principe, dunque, nel 25 a.C.: i terreni occupati dalla casa di Antonio sul Palatino, divisa tra Agrippa e Messalla, vennero acquisiti dal princeps che poco alla volta divenne il principale

56 Vd. Vell. II 81. Cfr. ZANKER 1989, pp. 57-58; FRASCHETTI 2005 b, pp. 302-306 e GROS

2009, p. 171. Una di queste fu la casa di Q. Lutazio Catulo per cui vd. Plin. nat. XVII 2 (che ne testimonia la collocazione sul Palatino) e Suet. gramm. 17 (che ne attesta l’inclusione nel complesso creato da Augusto, per cui cfr. infra); cfr. COARELLI 1995, p.

134. CORBIER 1992, p. 891 ipotizza che la casa di Ortensio fu acquisita da Ottaviano

insieme a quella di Catulo già prima del 36 a.C.: Q. Lutazio Catulo (cons. 102 a.C.) era, infatti, suocero di Q. Ortensio Ortalo (cons. 69 a.C.) che aveva sposato una Lutazia. Le due case sarebbero state, dunque, contigue forse proprio in virtù del fatto che a seguito del matrimonio per la nuova coppia era stato scelto l’acquisto o la costruzione di una dimora contigua a quella di Catulo. In queste sarebbe da individuare, dunque, il nucleo originario delle case di Augusto e di Livia.

57 Per una rassegna dei personaggi che dovettero risiedere in tale complesso tra 40 a.C. e 64

d.C. cfr. CARANDINI 2010, pp. 160-161.

58 Dio LIII 27, 5: “E quando la casa sul Palatino, che dopo essere appartenuta ad Antonio era

stata successivamente donata ad Agrippa e a Messalla, venne distrutta da un incendio, egli donò del denaro a Messalla e omaggiò invece Agrippa della sua ospitalità”.

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proprietario dei lotti abitativi presenti sul Palatino.59 Per definire secondo quali modalità Augusto accolse il collaboratore politico nella sua residenza è necessario prestare attenzione ai termini utilizzati da Cassio Dione per descrivere i provvedimenti presi dal princeps in seguito all’incendio del 25 a.C.: lo storico greco sottolinea, infatti, una differenza di trattamento nel risarcimento offerto ai due uomini: se l’area di proprietà di M. Valerio Messalla Corvino venne acquisita da Ottaviano con l’offerta di denaro, non è chiaro, invece, secondo quali modalità venne risarcito Agrippa. L’utilizzo del termine σύνοικος permette di avanzare due ipotesi: Agrippa cedette la sua casa in cambio o della concessione da parte del principe di un’altra casa all’interno della domus di Augusto sul Palatino o della ricostruzione della stessa che divenne, tuttavia, di proprietà del principe del quale Agrippa divenne suo ‘inquilino’.60

È dibattuto dalla critica moderna il problema relativo alla conformazione della residenza imperiale: testimonianze epigrafiche riferiscono, infatti, l’espressione domus Palatinae, permettendo di ipotizzare che prima delle

59 La localizzazione della casa di Antonio sul Palatino risulta controversa: secondo TAMM

1962, p. 47 n. 23 (seguita da ROYO 1991, pp. 73-98) questa domus va identificata con parte dell’insula clodiana, ereditata da Fulvia moglie di Clodio, che sposò in terze nozze Antonio. Tale ipotesi risulta improbabile poiché i possedimenti di Clodio non divennero parte integrante dei beni di Fulvia, in quanto il coniuge compare come erede dei beni del marito solo al quarto grado, mentre al primo posto vi compaiono i figli, e rimasero di proprietà privata almeno fino al 42 d.C., anno del consolato di C. Cecina Largo, quando vennero inglobati nelle proprietà imperiali. Cfr. PAPI 1995 a, p. 34 e CECAMORE 2002, p.

215. COARELLI 1983, pp. 141-142 identifica questa domus con la casa repubblicana detta Aula Isiaca, sotto la ‘basilica’ della domus Flavia. CARANDINI 2010, pp. 91-92 propone di

localizzarla nella zona del Palatino imminente gli horrea Agrippiana, dove sono stati individuati in prossimità della domus Germanici resti di una grande casa repubblicana con criptoportici.

60 CECAMORE 2002, p. 215 afferma che la totale assenza di testimonianze circa interventi

speculativi messi in opera dal princeps se non mirati alla realizzazione della sua casa, permette di ipotizzare che la casa di Agrippa fosse annessa alla residenza imperiale; CARANDINI 2010, p. 161 ipotizza, invece, che Agrippa abitasse nella dimora di Augusto.

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sistemazioni dovute a Tiberio e Caligola il complesso residenziale fosse costituito da una giustapposizione di domus per lo più databili all’età repubblicana, separate da strade e non costituenti un blocco unitario.61 Di recente A. Carandini, riprendendo in esame la documentazione e mettendola a confronto con Ov. fast. IV 952 e trist. III 1, 29-68 ha chiarito che si trattava non di edifici sparsi ma di enormi complessi sorti sulla demolizione di numerose case e sull’obliterazione di strade.62 Agrippa dal 25 a.C., dunque, divenne uno degli occupanti della nuova residenza voluta dal princeps. Non vi è alcuna testimonianza, inoltre, che l’ex cavaliere, dopo aver sposato nel 22 a.C. Giulia Maggiore, si fosse trasferito in qualche altra dimora insieme alla moglie: è possibile, dunque, che, assunta la posizione di genero del princeps, Agrippa avesse mantenuto il privilegio di continuare a risiedere nella domus Palatina.

In seguito alla morte del marito nel 12 a.C., Giulia fu fatta sposare con Tiberio: anche in questo caso è possibile ipotizzare una permanenza della coppia e dei bambini presso la dimora di Augusto dal momento che le testimonianze antiche non recano alcuna notizia relativa ad una nuova sistemazione per gli sposi. A. Carandini nella sua recente ricostruzione delle fasi abitative tardo repubblicane e protoimperiali del Palatino ipotizza invece che la nuova coppia avesse abitato le due domus sul Palatino prospicenti il santuario di Vesta, indicate come casa sopra le scale Anularie e la casa al clivo Palatino A, dimore, sempre secondo la sua ricostruzione, appartenute a C. Licinio Macro Calvo e a Q. Tullio Cicerone. Queste due abitazioni erano rimaste vuote; nella prima avrebbe abitato Ottavia dopo esser stata ripudiata da M. Antonio, mentre per la seconda non sarebbero determinabili gli occupanti precedenti.63 La ricostruzione dello studioso cade, tuttavia, in parziale contraddizione: Carandini, infatti, in un altro luogo del suo studio attribuisce il lotto 53 (corrispondente alla domus al clivo Palatino A) a

61 Vd. CIL VI 8656, 8659, 8960. Cfr. IACOPI 1995 a, pp. 46-48; IACOPI 1995 b, pp. 130-132;

CECAMORE 2002, pp. 217-218.

62 CARANDINI 2010, pp. 177-179. 63 CARANDINI 2010, p. 158.

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partire dal 16 a.C. ad Antonia e Druso Maggiore, mentre il lotto 54 (domus sopra

le scale Anularie) dall’11 a.C., dopo la morte di Ottavia, sarebbe rimasto vuoto. I

lotti 89-90 che costituivano in precedenza la casa di M. Antonio sul Palatino, divenuta, dopo la morte del triumviro, proprietà di Agrippa e M. Valerio Messalla Corvino, e ricostruita in seguito all’incendio del 25 a.C., sarebbero diventati la dimora prima di M. Vipsanio Agrippa e Giulia e, alla morte di quest’ultimo, di Tiberio e Giulia: il principe avrebbe, dunque, messo in atto un intervento volto a restaurare la dimora di Agrippa distrutta nel 25 a.C.64 Tale interpretazione risulta in linea con quella proposta da C. Ceccamore, la quale ipotizza che a seguito dell’incendio i lotti fossero divenuti parte del complesso residenziale di Augusto. In questo modo, dunque, Agrippa prima e Tiberio poi divennero ospiti del

princeps.65 Seppure la collazione di testimonianze letterarie e archeologiche

induce a ricostruire un quadro verosimile dell’occupazione delle residenze presenti sul Palatino, va rilevato che i dati di cui si dispone non permettono di spingersi oltre il piano della probabilità. Resta un elemento certo il fatto che Agrippa fu ospitato dal 25 a.C. dal principe e che nessun testimone antico dichiara che Giulia si spostò dalla casa del padre in conseguenza del matrimonio con Tiberio. Mantenere la figlia e la sua famiglia all’interno della sua dimora costituiva una scelta fondamentale per Augusto sotto molteplici prospettive: in primo luogo egli poteva controllare direttamente l’educazione dei nipoti e, in particolare, dei suoi figli adottivi; in secondo luogo per lo sposo di Giulia la coabitazione con il princeps costituiva un ulteriore elemento di affermazione della sua investitura come coreggente; infine la convivenza permetteva ad Augusto di tenere sotto controllo il genero.66

64 CARANDINI 2010, p. 158 afferma, infatti, che i lotti erano occupati da Tiberio e Giulia

mentre la tabella sinottica degli occupanti di queste dimore alle pp. 160-161 conferma la presenza di Antonia e Druso in un lotto e il disuso di quello contiguo.

65 CECAMORE 2002, p. 215.

66 Vd. Tac. ann. I 4, 4. CARANDINI 2010, p. 29 ipotizza che Tiberio, una volta sposata

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da CARANDINI 2010.

come per la casa del triumviro sul Palatino, doveva essere divenuta proprietà di Agrippa a seguito della sconfitta di Antonio ad Azio, e acquisita in seguito da Vipsania. Non vi è alcun elemento, tuttavia, per avvalorare tale ipotesi. La domus palatina di Augusto era stata, inoltre, la dimora in cui aveva abitato Tiberio dal 33 a.C., quando, morto il padre, aveva raggiunto la madre.

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La permanenza della famiglia di Agrippa presso il princeps si configura quale elemento di grande importanza nella definizione dell’educazione impartita a Giulia Minore e Agrippina durante la loro infanzia. Le fonti antiche testimoniano, infatti, una forte ingerenza del princeps nell’educazione dei propri figli adottivi:

Nepotes et litteras et natare aliaque rudimenta per se plerumque docuit, ac nihil aeque elaborauit quam ut imitarentur chirographum suum.67

Se la testimonianza di Svetonio permette di ipotizzare che fu Augusto stesso a impartire le nozioni rudimentali del primo grado dell’istruzione romana, ossia il ludus litterarius, ai figli adottivi, è lo stesso biografo ad affermare che il

princeps curò particolarmente la loro formazione scegliendo, probabilmente tra

il 10 e il 6 a.C., il grammaticus più celebre del momento come loro maestro, il liberto M. Verrio Flacco:68

Quare ab Augusto quoque nepotibus eius praeceptor electus transiit in Palatium cum tota schola, verum ut ne quem amplius posthac discipulum reciperet docuit que in atrio Catulinae domus quae pars Palatii tunc erat et centena sestertia in annum accepit.69

67 Suet. Aug. 64, 3: “Ai suoi nipoti insegnò per lo più di persona a leggere e scrivere, anche in

cifra, e gli altri rudimenti, e non curò nulla maggiormente del fatto che imitassero la sua calligrafia”. Vd. anche Plut. Cicero 49, 3.

68 Cfr. CANFORA 1989, pp. 735-770; HEMELRIJK 1999, p. 22. Su M. Verrio Flacco cfr.

LHOMMÉ 2007, 33-48. Secondo VACHER 1993, p. 147, n. 5 Verrio fu assunto da Augusto

nel 6 a.C. COPPOLA 1990, p. 127 (seguita da ELVERS 2010, cc. 323-324) ipotizza, invece,

che egli fosse accolto nella casa di Augusto nel 10 a.C.

69 Suet. gramm. 17, 2: “Augusto stesso lo scelse per essere il precettore dei suoi nipoti e lo

trasferì nel Palatium con tutta la scuola, a condizione di non accettare più nuovi alunni; insegnò nell’atrio della casa di Catulo, che allora faceva parte del Palatium, e ricevette centomila sesterzi all’anno”.

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Dalla testimonianza di Svetonio si evince che Augusto assunse Verrio Flacco con l’obbligo che costui chiudesse la sua già avviata scuola ed educasse presso il palatium un gruppo di allievi selezionati. L’importanza che l’istruzione impartita agli eredi della domus Augusta rivestiva per il principe è testimoniata dal fatto che egli riservò alle attività del grammaticus una parte della sua dimora, quello che era stato, cioè, l’atrio della domus di Q. Lutazio Catulo, acquisita da Augusto e divenuta parte integrante della nuova sistemazione del Palatino da lui intrapresa.70 La scelta del princeps si era indirizzata su questo grammaticus proprio in virtù del fatto che egli utilizzava un metodo d’insegnamento particolare che si dimostrava molto efficace:

<M.> Verrius Flaccus libertinus docendi genere maxime inclaruit. Namque ad exercitanda discentium ingenia aequales inter se conmittere solebat, proposita non solum materia quam scriberent sed et praemio quod victor auferret: id erat liber aliquis antiquus pulcher aut rarior.71

La decisione del principe dimostra l’attenzione da lui accordata all’educazione dei propri eredi: secondo M.-C. Wacher gli anni in cui esercitarono la loro professione di grammatici Verrio Flacco e Cecilio Epirota si caratterizzarono, infatti, per la sperimentazione di nuovi metodi e per la selezione

70 Cfr. COARELLI 1995, p. 134.

71 Suet. gramm. 17, 1: “M. Verrio Flacco, un liberto, si distingueva soprattutto per il suo

metodo di insegnamento. Infatti per tenere vigile l’attenzione degli allievi, egli era solito mettere in competizione quelli della stessa età, presentando loro non solo il soggetto della loro composizione ma anche il premio che il vincitore avrebbe ricevuto. Esso si sostanziava in un libro antico, bello o raro”. Il premio menzionato da Svetonio si dimostra in linea con i gusti letterari del grammaticus la cui produzione scritta testimonia l’interesse per l’antiquaria e le profonda conoscenza della storia più antica di Roma. Sulla produzione letteraria di Verrio Flacco cfr. ELVERS 2010, cc. 323-324. D’altra parte questa prospettiva

ben si accordava con il tentativo di ripristino dei mores antiqui condotto dal princeps attraverso la sua legislazione. Cfr. FERRERO RADITSA 1980, pp. 278-339; BOUVRIE 1984,

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di nuovi contenuti di insegnamento. Epirota aveva scelto, infatti, di introdurre il commento di autori come Virgilio, Orazio, Tibullo e Properzio nel suo programma didattico mentre Verrio Flacco proponeva metodi pedagogici innovativi volti ad ottenere un maggior impegno da parte degli allievi.72 La ricerca di un insegnante che avesse dato prova di utilizzare una metodologia efficace e nello stesso tempo che dimostrasse attraverso i suoi scritti la sua profonda conoscenza della storia più antica di Roma, gusto perfettamente in linea con la volontà del principe di restaurare i mores antiqui, mette in evidenza l’estrema attenzione di Augusto per la formazione dei suoi nipoti.73 Il metodo pedagogico messo in pratica da Verrio Flacco prevedeva, dunque, la suddivisione degli allievi per classi d’età: l’insegnamento del grammaticus era rivolto, infatti, a studenti di età compresa tra gli undici e i diciassette anni.74 A partire da questo dato E.R.

Parker ha ipotizzato che a far parte della classe di Verrio Flacco fossero tutti i giovani membri della domus Augusta, i figli di Agrippa e Giulia, Caio Cesare, Lucio Cesare, Agrippa Postumo, e i ragazzi del ramo claudio della famiglia, Germanico e Claudio (i figli di Druso Maggiore e Antonia), e Druso Minore (figlio di Tiberio e Vipsania).75 Tra il più vecchio di essi, Caio, nato nel 20 a.C. e il più giovane, Claudio, nato nel 10 a.C., intercorrevano, infatti, solo dieci anni. E.

72 Q. Cecilio Epirota, liberto di T. Pomponio Attico, aveva dapprima insegnato privatamente

alla figlia del suo patrono, Cecilia Attica; in seguito era stato cacciato da Agrippa, marito della donna, a causa del sospetto di adulterio con la moglie. Egli divenne poi amico di Cornelio Gallo e in seguito alla sua caduta in disgrazia e alla sua morte nel 27 a.C. aprì una scuola pubblica in cui gli allievi venivano selezionati dallo stesso grammaticus e in cui Epirota introdusse discussioni dei testi in latino spontanee e non preparate e il commento delle opere di autori moderni. Cfr. COPPOLA 1990, pp. 125-138; KASTER 2003, p. 884.

73 La collaborazione tra Augusto e Verrio Flacco dovette essere molto proficua: il grammaticus morì, infatti, tra 22 e 37 d.C. (Suet. gramm. 17, 3; decessit aetate exactae sub Tiberio; cfr. VACHER 1993,ad loc.), in età avanzata e senza che le testimonianze antiche

riportino menzione di una sua sostituzione da parte del princeps.

74 Cfr. BOOTH 1979, pp. 1-14. 75 Cfr. PARKER 1946, p. 37.

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A. Hemelrijk ha ipotizzato che di questa ‘classe’ facessero parte anche le due figlie di Agrippa e Giulia, Giulia Minore e Agrippina, a cui si deve aggiungere anche Livilla, sorella di Claudio e Germanico.76

Due questioni preliminari devono essere trattate in relazione ad una possibile partecipazione attiva delle nipoti di Augusto al programma educativo del

princeps e di Verrio Flacco. In primo luogo va messo in evidenza che nessun

testimone antico afferma che Caio e Lucio dopo l’adozione si trasferirono nella residenza di Augusto, elemento questo che avvalora l’ipotesi che costoro avessero continuato a risiedere insieme alla loro famiglia di origine sul Palatino nell’area che era stata di proprietà di Agrippa, distrutta dall’incendio del 25 a.C. e ricostruita con l’intervento del princeps. Tale circostanza risulta significativa dal momento che essi per frequentare le lezioni di Verrio Flacco dovevano recarsi presso la residenza del nonno, dato che avvalora l’ipotesi che la ‘classe’ non coincidesse necessariamente con il domicilio dei discepoli ma fosse aperta ad altri giovani membri della domus, i quali al pari degli eredi designati si recavano dalle loro abitazioni alla sede della scuola. In secondo luogo emerge come elemento fondamentale nella definizione delle scelte educative operate nei confronti delle nipoti di Augusto stabilire a chi perteneva la patria potestas sulle stesse e sul figlio non adottato, Agrippa Postumo, alla morte del padre nel 12 a.C. Secondo il diritto romano la tutela sui figli in seguito alla morte del padre avrebbe dovuto