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a 15 punti Megaprotesi o spaziatore intercalare modulare (B1; B2)

Regione periacetabolare: nella regione periacetabolare, un trattamento conservativo non chirurgico è indicato nelle lesioni osteoblastiche e miste dove è prevista una buona risposta alle terapie adiuvanti. Durante la radioterapia è consigliabile evitare il carico sull’arto interessato. Il trattamento chirurgico, comunque gravato di elevata incidenza di complicanze maggiori per il paziente, è indicato nei pazienti della classe 1, come descritto in precedenza, nei pazienti della classe 2 ,con una protrusione acetabolare, e nelle lesioni osteolitiche con una scarsa risposta prevista alle terapie adiuvanti (classe 3). L’angiografia preoperatoria con embolizzazione selettiva è consigliata nelle lesioni molto vascolarizzate come il carcinoma renale a cellule chiare ed il carcinoma tiroideo. Quando l’osso subcondrale dell’acetabolo rimane integro, può essere eseguita l’asportazione intralesionale (curettage) della lesione con riempimento della cavità con cemento acrilico mantenendo integra la funzione articolare dell’anca. Questa procedura può essere eseguita anche in maniera percutanea secondo la tecnica dell’acetaboloplastica

[38], anche se con questa metodica il curettage può essere solo parziale con

conseguente residuo macroscopico di malattia tumorale in sede; tale metodica trova in realtà specifica indicazione nelle lesioni acetabolari in pazienti con metastasi

all’anno. Per rinforzare la ricostruzione del tetto acetabolare, fili o barre metalliche possono essere inseriti nell’osso sano ed immersi nel cemento secondo la metodica descritta da Harrington et al. [39]. La distruzione dell’osso subcondrale e la

protrusione acetabolare rendono necessaria la sostituzione protesica che deve essere eseguita utilizzando speciali componenti di rinforzo (fili o barre metallici; anelli avvitati e cementati; componenti acetabolari cementati a ritenzione totale o a doppia motilità) o protesi modulari a sella.

3.3 Chirurgia delle metastasi dello scheletro appendicolare

Nonostante un'accurata valutazione clinica del paziente, le numerose opzioni terapeutiche ed una vasta gamma di mezzi di sintesi a disposizione ai fini del trattamento chirurgico è fondamentale non dimenticare alcuni concetti:

– la prima procedura ha generalmente la prognosi migliore pertanto bisogna cercare di fare il più possibile nel migliore dei modi al fine di evitare al paziente un secondo intervento;

– si deve ricostituire quanto più è possibile del difetto osseo per cui spesso, sebbene più demolitiva, la sostituzione protesica risulta un opzione migliore della riduzione e sintesi;

– non dimenticare mai la ridotta aspettativa di vita del paziente e quindi cercare di rendere l'ospedalizzazione il più breve possibile;

– eliminare il più possibile lunghi periodi di immobilizzazione al fine di ripristinare rapidamente un buono stato funzionale;

In caso di fratture patologiche la finalità di trattamento non è ottenere la consolidazione e la guarigione della frattura, come avviene nelle fratture non patologiche, bensì ristabilire la resistenza sia in flessione che in torsione del segmento interessato così da permettere immediatamente il carico, soprattutto se è interessato l'arto inferiore [40].

Osteosintesi semplice o rinforzata?

In molti casi è stato osservato che l'escissione del tessuto tumorale durante il trattamento della metastasi può portare un significativo miglioramento della prognosi locale. Tale escissione può essere eseguita in modo intralesionale mediante curettage e utilizzo di adiuvanti locali, quali etere, fenolo, perossido d'idrogeno oppure cemento acrilico (PMMA) standard o addizionato con antibiotici (antibiotato).

L’osteosintesi semplice, senza curettage e cementoplastica, dovrebbe essere limitata ai casi in cui la sola osteosintesi associata ad adiuvanti esterni (radioterapia, chemioterapia, ormonoterapia) può consentire le guarigione locale (per esempio nel mieloma multiplo e nel carcinoma mammario responsivo alle terapie mediche) oppure nei casi in cui la prognosi del paziente faccia ritenere che il tempo di durata dell’osteosintesi semplice sia sufficiente a coprirne la breve aspettativa di vita.

L'esecuzione di un curettage e borraggio ha una duplice funzione, sia meccanica che oncologica; il cemento oltre ad essere un riempitivo e a conferire stabilità al mezzo di sintesi, sviluppa calore per polimerizzazione esotermica del composto determinando così una necrosi tissutale perilesionale.

La cementazione generalmente segue un accurato curettage della metastasi con frese motorizzate , prestando attenzione a rimuovere tutti i residui della fresatura, e precede la stabilizzazione con mezzo di sintesi, sia esso un chiodo endomidollare bloccato con viti, prossimale e distale, oppure una placca, sempre bloccata con viti.

Per quanto riguarda l'arto inferiore, per la maggior parte delle sedi, i mezzi di sintesi endomidollari sono oggi la prima scelta; i principali vantaggi del chiodo endomidollare sono:

• una sintesi più lunga e comprensiva della quasi totalità del segmento osseo, condizione che migliora la distribuzione degli stress e assicura una minor incidenza di frattura patologica sia prossimalmente che distalmente;

• una situazione biomeccanica più favorevole per la trasmissione del carico, elemento importante in una frattura patologica che per definizione ha maggiori difficoltà a guarire;

La placca presenta invece diverse indicazioni:

• lesioni metafisarie, dove non vi è sufficiente spazio per la fissazione del chiodo;

• in particolari lesioni epifisarie dove siano presenti una superficie articolare intatta, un sufficiente bone stock residuo che renda stabile la fissazione ed un adeguato ed indolore range di movimento;

• in caso di preesistenti mezzi di sintesi o protesi che impediscano l'utilizzo del chiodo;

Per quanto riguarda l'arto superiore invece l'utilizzo della placca ha tuttora un ruolo prevalente, grazie anche al fatto che questo risulta essere meno sollecitato al carico.

Nei casi in cui si ritenga particolarmente a rischio la stabilità della ricostruzione si possono anche utilizzare due placche poste parallele una a 90° rispetto all'altra sulla circonferenza della diafisi.

Il chiodo viene scelto in caso di osteosintesi semplice senza necessità di curettage e borraggio a cielo aperto, come ad esempio nel trattamento delle lesioni da mieloma multiplo; in caso contrario sarebbe più indicata appunto la placca perché consente l'utilizzo di un unico accesso chirurgico, una riduzione dei tempi operatori ed una minor esposizione a radiazioni ionizzanti.

Nel caso del femore, come dell'omero, la sintesi dovrà interessare anche il distretto cervico-cefalico per cui si dovranno utilizzare chiodi con vite o viti cervicocefaliche, e non semplici chiodi diafisari, oltre a viti statiche distali.

Procedura altamente indicata nelle lesioni metastatiche, sia in caso di osteosintesi semplice che in che in quella associata a curettage e cemento, è l'alesaggio del canale. Tale procedura consente, nel primo caso, una più accurata scelta sulla misura del chiodo e un miglior fit del chiodo stesso nel segmento osseo; nel secondo caso consente invece una miglior penetrazione del cemento all'interno del canale facilitandovi anche l'inserimento del chiodo.

il rischio di embolizzazione a distanza, tramite il circolo ematico, favorito dalle alte pressioni endocanalari determinate dalla fresatura preliminare, dalla cementazione e dall'inserimento del chiodo nel canale.

Impianti protesici e resezioni

L'indicazione alla chirurgia di resezione e sostituzione con protesi, sia essa a stelo lungo cementata o megaprotesi oncologica modulare, riguarda le lesioni epifisarie e metaepifisarie dell'omero prossimale e distale, del femore, della tibia prossimale e, molto raramente, del bacino.

Arto inferiore

Il femore prossimale è la sede più frequente di cedimento meccanico nei pazienti con metastasi ed è quindi raccomandato il trattamento chirurgico per tutte le fratture patologiche o le impending fractures a questo livello, eccetto che nei pazienti allettati con un'aspettativa di vita < 2 mesi.

Per la scelta dell'impianto protesico è necessaria una RMN preoperatoria del bacino e del femore in modo da identificare un eventuale interessamento dell'acetabolo, definire l'estensione della metastasi all'interno lungo la diafisi ed evidenziare altri eventuali foci metastatici distalmente nel canale.

Quando non c'è coinvolgimento acetabolare si preferisce utilizzare coppe bipolari che garantiscono un minor rischio di lussazione dell'impianto protesico.

Per lesioni limitate alla testa e al collo femorale si utilizzano generalmente protesi standard; impianti con stelo lungo sono invece indicati in caso di progressione della malattia al fine di rinforzare la diafisi e prevenire nuove fratture. In alcuni casi, quando è distrutta la zona del Calcar, sono necessari speciali impianti protesici.

Per lesioni che coinvolgono sia il trocantere che la metafisi, un osteosintesi semplice con placca e viti o un chiodo endomidollare possono dare risultati inadeguati in termini di durata dell'impianto, soprattutto in caso di coinvolgimento del muro mediale del collo femorale.

Un curettage con successiva cementazione prima della sintesi possono lievemente migliorare i risultati che tuttavia appaiono comunque scarsi. Per tali ragioni in questi casi si preferisce una resezione del femore prossimale e la ricostruzione con megaprotesi modulari cementate.

Complicanza comune a tutti gli impianti protesici, e soprattutto alle megaprotesi, è il rischio di instabilità dell'impianto e quindi di lussazione nei primi mesi dopo l'intervento.

Esistono quindi delle raccomandazioni da seguire sia durante che dopo l'intervento al fine di ridurre il più possibile l'incidenza di tale complicanza.

In caso di necessità di sostituzione del cotile si dovrebbero utilizzare o componenti acetabolari cementate con inserti ad effetto snap-fit oppure testine femorali più grandi (32-36 mm). È importante cercare di salvare quanto più possibile la capsula articolare per poterla reinserire adeguatamente attorno al colletto della protesi; in caso contrario si possono utilizzare maglie tubolari di polietilenterftalato

muscolare deve poi essere molto accurata e può essere eseguita direttamente sulla protesi o indirettamente attraverso maglie sintetiche, ligamenti artificiali o graffette metalliche; utile può essere la sutura diretta del muscolo medio gluteo a livello degli appositi fori sul corpo della protesi e la sutura al di sopra del vasto laterale per cercare di sfruttare l'effetto di Tension Banding dato dalla contrazione del vasto laterale stesso conferendo così maggior stabilità all'impianto.

Per quanto riguarda il postoperatorio è necessario l'utilizzo, da parte del paziente, di un tutore d'anca in modo da facilitare la cicatrizzazione dei monconi muscolari evitandogli eccessivi stress, data la precoce ripresa del carico consentita al paziente.

Oltre all'accortezza di evitare tali rischi di natura puramente tecnica è fondamentale non dimenticare che tali interventi sono estremamente demolitivi, gravati da numerosi altri rischi come il rischio di sanguinamento, accentuato spesso anche dal tipo di metastasi (carcinoma renale e tiroideo) oppure il rischio infettivo, maggiore in questi pazienti che risultano spesso immunodepressi.

Ginocchio e caviglia sono meno soggetti a forze di tensione e torsione per cui sono meno a rischio di fallimento meccanico. In caso di coinvolgimento di <50% dell'area meta-epifisaria si può procedere con un osteosintesi semplice con placca e viti a seguito di curettage e borraggio con cemento. Un coinvolgimento > 50% necessita di una resezione ampia del femore distale e/o della tibia prossimale con ricostruzione mediante megaprotesi modulare cementata.

Per la caviglia non esistono attualmente impianti protesici per cui l'unica opzione ricostruttiva è l'artrodesi con autografts o allografts.

Arto superiore

Metastasi a livello di scapola e clavicola sono trattate conservativamente con la radioterapia nella maggior parte dei casi. Il trattamento chirurgico è indicato solo nelle lesioni solitarie e consiste solo nella resezione, senza ricostruzione; ne è un esempio la scapulectomia.

L'omero prossimale, come il femore, è ad elevato rischio di frattura patologica a causa delle forze di rotazione e torsione a cui è sottoposto. Generalmente, il trattamento di scelta per queste lesioni è una protesi convenzionale cementata a stelo lungo, preservando l'inserzione della cuffia dei rotatori sulla grande tuberosità. Se la lesione coinvolge la metafisi allora si rende necessario l'utilizzo di protesi modulari con un'accurata re-inserzione della cuffia dei rotatori, del muscolo deltoide e del grande pettorale con suture non riassorbibili al fine di migliorare la stabilità e la funzionalità residua.

In caso di lesioni diafisarie sia dell'arto superiore che dell'arto inferiore il trattamento di scelta si avvale, nella maggior parte dei casi, di chiodi endomidollari o placche bloccati con viti dopo accurato curettage e borraggio. In caso di lesioni singole, soprattutto in pazienti con una buona prognosi, possono essere indicate delle resezioni in blocco della lesione a margini ampi e ricostruzione del segmento osseo con protesi intercalari modulari cementate.

3.4 Chirurgia delle metastasi del rachide e del bacino

Il rachide è il segmento scheletrico interessato con maggior frequenza in caso di malattia neoplastica in fase avanzata. I corpi vertebrali vengono raggiunti prevalentemente per via ematogena a causa della particolare vascolarizzazione, sia dal punto di vista anatomico che emodinamico, che caratterizza tale distretto. I cambiamenti di direzione del flusso sono frequenti poiché l'assenza di valvole rende la pressione nel sistema venoso incostante e soggetta alle variazioni delle pressioni endotoracica ed endoaddominale. Qualunque modificazione pressoria che induca una chiusura della via cavale, come un colpo di tosse o la defecazione, spinge il sangue nel sistema vertebrale. Ciò può essere sfruttato dagli emboli neoplastici che così possono facilmente localizzarsi a livello del rachide senza impegnarsi nella circolazione sistemica, bypassando fegato e polmone.

Le indicazioni a trattare chirurgicamente una metastasi vertebrale sono il dolore intrattabile, la comparsa di deficit neurologici, causati da compressione della massa neoplastica sulle strutture mielo-radicolari oppure dalla frattura patologica della vertebra, e l'instabilità del tratto spinale interessato che causa un dolore meccanico ingravescente e/o un deficit neurologico.

Il disturbo più importante che caratterizza questi pazienti è appunto il dolore, sintomo molto comune e spesso aspecifico.

Scopi della chirurgia sono quindi la remissione della sintomatologia algica, il miglioramento delle funzioni neurologiche e la stabilizzazione della colonna.

Le tecniche chirurgiche impiegate nel trattamento delle metastasi vertebrali possono quindi essere classificate in: escissione intralesionale (curettage, debulking), decompressione e stabilizzazione o resezione in blocco associate a varie tecniche ricostruttive. Raramente vengono impiegate anche tecniche mini-invasive come vertebro- e cifoplastica con PMMA per via percutanea.

Escissione intralesionale " debulking"

La massa neoplastica viene aggredita ed escissa così da decomprimere il più possibile il midollo spinale. Tale intervento è generalmente indicato in caso di metastasi radioresistenti con frattura patologica e/o segni di compressione midollare oppure quando è richiesta una riduzione della massa per poter eseguire terapie adiuvanti.

La via d'accesso chirurgico può essere sia anteriore che posteriore oppure addirittura combinata in due tempi. La tecnica varia solitamente in rapporto alla sede e all'estensione della metastasi; rispetto a quest'ultima è possibile distinguere le forme circoscritte al corpo vertebrale e le forme estese che vanno a coinvolgere anche strutture muscolari o vascolari.

Nelle localizzazioni lombari circoscritte al corpo è possibile eseguire un'escissione per via posteriore, previa laminectomia/e o emilaminectomia/e nelle forme più laterali, e borraggio con osso autologo, oltre alla stabilizzazione posteriore transpeduncolare.

Nelle localizzazioni cervicali, toraciche o anche lombari, purché estese oltre il corpo, è necessario ricorrere alla via anteriore o al doppio accesso, posteriore per la stabilizzazione e l'eventuale decompressione, e anteriore per escissione ed eventuale stabilizzazione supplementare.

Inoltre se il tessuto neoplastico ha distrutto >50% del corpo vertebrale o lo ha reso instabile è necessaria la sostituzione del corpo o della parte distrutta mediante l'uso di gabbie metalliche riempite con cemento.

Infine, è buona regola avvalersi dell'embolizzazione selettiva pre-operatoria con la duplice finalità di ridurre il sanguinamento e, in caso di metastasi da carcinoma tiroideo, l'improvvisa liberazione di ormoni, e i rischi intraoperatori che potrebbero conseguirvi, al momento dell'escissione.

Decompressione e stabilizzazione

Questa tecnica si propone di decomprimere circonferenzialmente il midollo spinale e stabilizzare la colonna vertebrale. È indicata nei pazienti con prognosi infausta a breve termine, in caso di danno neurologico acuto per frattura patologica in atto, ma anche in caso di radiosensibilità o responsività alla chemioterapia e/o alla terapia ormonale.

Un'embolizzazione preoperatoria delle afferenze vascolari alla lesione rende la procedura più semplice per l'ortopedico e sicura per il paziente.

Nelle localizzazioni posteriori con compressione posteriore è necessario eseguire una o più laminectomie o emilaminectomie fino a decompressione midollare completa.

Nelle localizzazioni anteriori somatiche la decompressione segue le regole dell'escissione, per sede ed estensione.

Nelle compressioni radicolari da compressione neoplastica, da frattura o condizioni osteoproduttive compensatorie la foraminotomia è spesso risolutiva.

Le stabilizzazioni con placca o protesi sono più indicate nel trattamento di metastasi a carico dei segmenti somatici cervico-toracici e sono generalmente di pertinenza neurochirurgica date le difficoltà di svolgimento della procedura associate agli importanti rischi di danno a carico del midollo spinale e delle strutture nobili del collo incontrate durante la via d'accesso chirurgico.

Le stabilizzazioni con viti transpeduncolari e barre, a seguito di laminectomia, vengono eseguite per via posteriore e sono il gold standard nelle stabilizzazioni del tratto lombo-sacrale e toracico distale. Sebbene presentino minor incidenza di rischio di danno neurologico, la posizione prona che deve assumere il paziente durante tutto l'intervento non sempre è compatibile con le sue condizioni cliniche e con le procedure anestesiologiche.

Resezione in blocco (corpectomia + laminectomia)

Tale procedura è maggiormente indicata in caso di tumori primitivi,ma può essere una soluzione corretta in caso di metastasi solitaria di tumori radioresistenti ma con buona aspettativa di vita a medio-lungo termine. Può essere eseguita un approccio doppio oppure uno solo posteriore [5]

Per quanto riguarda il bacino salvo rare eccezioni, il ruolo è essenzialmente di tipo palliativo ed è limitato alle lesioni dell'area periacetabolare che possono compromettere la funzionalità deambulatoria.

Le lesioni che determinano un'insufficienza della struttura acetabolare (Classe 2) possono essere classificate in tre tipi a seconda dell'estensione del tumore e del grado di compromissione ossea:

– Tipo I :corticale laterale e parete superiore/mediale dell'acetabolo sono intatte.

– Tipo II : insufficienza della parete mediale.

– Tipo III: insufficienza di entrambe le pareti mediale e laterale.

Le lesioni di tipo I possono essere trattate con artroprotesi d'anca standard, cementata. Per le lesioni di tipo II si rende invece necessario il ricorso ad anelli di sostegno.

Le lesioni di tipo III prevedono invece la più complessa ricostruzione delle colonne mediale e laterale con infibuli metallici e cemento per supportare la componente protesica acetabolare.

Esistono poi tecniche di chirurgia mini-invasiva quali la termoablazione a radiofrequenza e la cementoplastica percutanea che possono risultare utili in lesioni singole, in sedi facilmente aggredibili, impending fractures o pazienti con bassa aspettativa di vita.

La termoablazione a radiofrequenza viene eseguita in anestesia loco-regionale, la lesione viene identificata sulla scansione TC e centrata con un filo di Kirschner introdotto a mano libera e poi con trapano, previa introduzione di una cannula di protezione. Una volta raggiunta la lesione viene rimosso il filo e lasciata in sede la cannula che farà da guida al manipolo di emissione delle radiofrequenze.

La finalità del trattamento è ottenere una necrosi del tessuto neoplastico senza però conferire alcuna stabilità al tessuto osseo perilesionale; tale metodica non è quindi indicata nelle lesioni che hanno implicazioni meccaniche.

La cementoplastica percutanea, eseguita in anestesia periferica, utilizza cemento per riempire il difetto osseo così da conferire nuova stabilità e resistenza alle sollecitazioni meccaniche all'osso ormai indebolito.

Particolare importanza ricopre in questo caso l'acetaboloplastica che risulta essere indicata per lesioni osteolitiche in pazienti plurimetastatici con ridotta aspettativa di vita, interessamento della zona sovracetabolare o delle colonne anteriore e/o posteriore purché sia mantenuta una continuità dell'osso subcondrale o della cartilagine articolare.

3.5 Follow-up del paziente con metastasi ossee

Il follow-up è un insieme di visite ed esami diagnostici specifici a cui il paziente oncologico, soprattutto se già metastatico, deve sottoporsi periodicamente: le probabilità di sviluppare una recidiva sono, infatti, più alte rispetto a quelle di chi non ne ha mai sofferto.

Per quanto riguarda le metastasi ossee, un attento follow-up clinico-radiologico è estremamente importante al fine di individuare precocemente nuovi secondarismi in fase iniziale, e quindi più suscettibili di trattamenti meno invasivi chirurgici o meno, oppure una recidiva di malattia in una zona già trattata, che potrebbe, col tempo, inficiare il buon funzionamento del mezzo di sintesi precedentemente utilizzato.

Il protocollo pertanto più indicato per un paziente con metastasi ossee trattato chirurgicamente, oltre agli esami clinico-diagnostici di follow-up che variano a seconda della neoplasia primitiva, si avvale di:

Rx standard degli arti, superiori ed inferiori ogni anno;

RMN del bacino + rachide in toto (soprattutto se già presenti localizzazioni vertebrali) a 3 mesi e 6 mesi dopo l'intervento chirurgico e poi ogni anno;

Scintigrafia Ossea Total-Body con fosfati marcati con 99mTc (radiofarmaci

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