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Qualche prima, provvisoria, conclusione

Nel documento 5/2018 I Q U A D E R N I D E I D I R I T T I (pagine 150-154)

PROSPETTIVA DI GENERE

4.4 Qualche prima, provvisoria, conclusione

Queste prime riflessioni sul tema dell’intreccio tra discrimina-zione di genere e discriminadiscrimina-zione riferibile alla disabilità, sia pure limitate allo specifico angolo visuale dell’integrazione lavorativa, consentono di evidenziare alcuni punti, dai quali muovere non solo per un ulteriore approfondimento di questi temi sul piano della ricerca scientifica, ma anche per favorire la crescita di una maggiore sensibilità, in primis tra le parti sociali, che consenta di sviluppare – anche attraverso gli strumenti della contrattazione aziendale e territoriale – azioni positive e buone prassi organizzative che siano volte a contrastare tali discriminazioni, favorendo invece l’inclusione lavorativa ed i percorsi occupazionali delle lavoratrici con disabilità.

In primo luogo, lo si è già più volte segnalato, sarebbe importante implementare ed approfondire il monitoraggio statistico, a livello sia nazionale che territoriale; la relativa scarsità di dati recenti sul lavoro delle donne con disabilità (ad esempio, in relazione ai settori di impiego, alle mansioni, al livello retributivo, all’incidenza del lavoro atipico/flessibile, ecc.) può contribuire infatti ad una sotto-valutazione del fenomeno e non favorire la necessaria attenzione proprio ai profili di genere, laddove tale questione sia trattata in modo marginale all’interno di analisi dedicate all’occupazione delle persone con disabilità in una prospettiva “neutra”.

In seconda battuta, riteniamo che le considerazioni che abbiamo esposto nei paragrafi precedenti facciano emergere l’importanza di un approccio multidisciplinare alla questione in esame e di un’attenzione alla formazione ed allo sviluppo di competenze nelle aziende in tema di diversity management, approccio che, anche in relazione a questo tema specifico, potrebbe rivelarsi di estrema utilità e contribuire positivamente al superamento degli stereotipi. Valorizzare un simile strumento di gestione del personale potreb-be consentire infatti di attivare e sostenere percorsi positivi di integrazione e di impiego delle lavoratrici con disabilità, tenendo conto della variabile di genere e dunque contrastando, assieme agli stereotipi, la possibile emergenza di situazioni di discriminazione, anche indiretta, ai danni delle stesse. È ovvio che questo richieda al datore di lavoro anche un serio investimento formativo sul per-sonale nel suo complesso, a partire dal management, senza il quale appare difficile che si possano progettare percorsi di inserimento e valorizzazione occupazionale stabili e condivisi che non di rado, anche per i cambiamenti organizzativi (oltre che per gli interventi di adeguamento tecnico di ambienti e/o postazione lavorativa) da adottare, richiedono, oltre che i necessari investimenti, anche un adeguato supporto in termini di formazione.

Se quanto si è appena detto si colloca sul versante della prevenzione delle discriminazioni, in relazione invece agli strumenti di tutela giudiziaria, laddove tali fenomeni concretamente si verifichino, si può osservare come la giurisprudenza, sul tema specifico delle discriminazioni multiple che incrocino genere e disabilità, sia a livello interno pressoché inesistente: da un lato, dunque, si può immaginare una persistente difficoltà delle vittime a proporre azioni in giudizio, che chiama in causa la necessità di sviluppare ancora di più, su tale versante, il ruolo importantissimo di supporto delle associazioni e – eventualmente – della figura del Consigliere di parità, dall’altro la scarsità di precedenti specifici postula come necessario un indispensabile impegno per avviare un confronto su questi temi con l’avvocatura e la magistratura, indirizzato ad aumentare la consapevolezza e la sensibilità quanto alla possibile incidenza delle discriminazioni multiple ed alla loro amplificata

ricaduta negativa sulle possibilità occupazionali e la concreta integrazione lavorativa delle donne con disabilità.

Inoltre, sul versante istituzionale, un adeguato monitoraggio – attento anche alle possibili ricadute di genere – andrà effettuato sia con riguardo all’accesso ai servizi presenti sul territorio a supporto dell’occupabilità delle persone con disabilità, sia in relazione alla concreta attivazione di pratiche di collocamento mirato (e sull’e-ventuale diversa incidenza delle stesse per la coorte maschile e per quella femminile), sia quanto alla concreta adozione da parte del datore di lavoro, anche alla luce delle recenti riforme, delle misure volte all’accomodamento ragionevole delle posizioni lavorative (v. sul punto i diversi contributi in materia in questo stesso volume), per verificare anche in questo caso che non vi siano differenze che in qualche modo evidenzino una situazione maggiormente sfavorevole delle donne con disabilità rispetto agli uomini in un’analoga condizione.

Infine, e conclusivamente, è molto importante valorizzare ancora di più l’importante ruolo propulsivo – in chiave di pressioni per l’adeguamento della legislazione ma anche di proposte concrete di buone prassi operative – delle associazioni delle persone disabili e dei loro familiari; all’azione di questi soggetti, per quanto attiene alla specifica materia del lavoro, deve aggiungersi quello delle associazioni sindacali, chiamate ad operare in modo sempre più incisivo, sia sul piano nazionale, sia – in un momento in cui si assiste ad un progressivo spostamento degli equilibri della contrattazione collettiva verso il livello decentrato – sul piano territoriale e su quello aziendale, ambito quest’ultimo particolarmente importante per sperimentare buone pratiche di inclusione, alla luce anche delle previsioni normative in tema di “accomodamento ragionevole”.

In un momento storico nel quale ormai è evidente un vasto processo, che investe tutta l’Europa, di invecchiamento della forza lavoro, la questione della disabilità e dell’integrazione lavorativa si avvia a diventare uno dei temi centrali del dibattito sui cambiamenti che già stanno connotando il mondo del lavoro e che richiedono di essere attentamente considerati per provare ad immaginarne il futuro. Nel nostro Paese, questo tema si intreccia fatalmente alle questioni di

genere, ancora ampiamente irrisolte, come evidenziano i dati del World Economic Forum resi noti nel 2017 (v. WEF Global Gap Index): in relazione a tali profili, infatti, l’Italia si trova relegata ad uno sconfortante 82° posto su 144 Paesi e sprofonda ulteriormente, al 118° posto, laddove si prendano in considerazione le opportunità economiche delle donne.

Stando solo a questi dati, è facile intuire come – senza un adeguato orientamento delle politiche e delle scelte regolative, senza un costante monitoraggio, senza l’adozione dei necessari correttivi – il possibile intreccio tra disabilità ed appartenenza di genere possa rivelarsi, per una lavoratrice italiana, assolutamente fatale in termini di effettive possibilità occupazionali.

IL DIRITTO AL LAVORO DELLE PERSONE

Nel documento 5/2018 I Q U A D E R N I D E I D I R I T T I (pagine 150-154)