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QUALITÀ DELLA VITA E CONCILIAZIONE VITA – LAVORO: UN APPROCCIO COMPARATO

Nel documento TRENTO 2018 FAMIGLIA ATTI DELFESTIVAL DELLA (pagine 145-173)

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5 QUALITÀ DELLA VITA E CONCILIAZIONE VITA – LAVORO: UN APPROCCIO COMPARATO

tsm-Trentino School of Management

Conciliazione e tutela della genitorialità in Europa Valeria Viale

Buon giorno sono Valeria Viale, ricercatrice presso l’Agenzia Nazionale delle Politiche Attive del Lavoro (ANPAL). Da circa dieci anni mi occupo di politiche di pari opportunità, con un focus specifico sulle politiche di conciliazione vita lavoro. In ANPAL faccio parte di un gruppo di ricerca, all’interno della Struttura di ricerca Analisi comparative a livello nazionale e internazionale in materia di politiche attive del lavoro. Coordino due gruppi di ricerca: conciliazione vita lavoro e disoccupazione di lunga durata. Vorrei oggi presentarvi i primi risultati dell’analisi qualitativa che stiamo conducendo con il gruppo di ricerca Analisi delle Politiche di pari opportunità e di conciliazione vita lavoro. Partirò da un’analisi di contesto ampia, utilizzando due indicatori che si tengono ben presenti quando si svolgono analisi sullo sviluppo del mercato del lavoro. L’indicatore principale è il tasso di occupazione, questo è considerato essere l’indicatore sociale chiave. È anche l’indicatore principe utilizzato per monitorare la strategia Europa 2020, che ha come obiettivo il raggiungimento del 75% del tasso di occupazione della popolazione in Europa, tra i 20 e i 64 anni, entro il 2020. L’altro indicatore che viene tenuto in considerazione è il gender employment gap.

fra i tassi di occupazione maschile e femminile, la fascia d’età considerata è quella tra 20-64 anni. Il gender employment gap varia molto tra gli Stati membri, dai dati Eurostat (2016) si evidenzia che il gap inferiore è della Finlandia con 2,1%, seguito dalla Lituania 2,4%, dalla Lettonia 4,1% e dalla Svezia 4,2%. Questi 4 sono gli unici Stati membri con un gender employment gap inferiore ai 5 punti percentuali. Alla base della scala 5 Stati membri registrano un gap superiore ai 15 punti percentuali e sono Repubblica Ceca (16.6%), Romania (17,5%), Grecia (18%), Italia (20%) e Malta (27.8%). Questo dato così poco confortante è dovuto, tra l’altro, alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro in questi paesi.

Per quel che concerne la popolazione in generale il tasso di occupazione 20 – 64 anni nel 2016 si aggirava tra il 54.9% e l’80.5%. Tra gli Stati che avevano un gender employment gap basso (al di sotto di 5 punti percentuali) il tasso di occupazione era per l’UE 28 intorno al 70.1%. Tra i paesi, invece, che avevano un gender employment gap superiore ai 15 punti percentuali, il tasso di occupazione era in Grecia del 54,9%, Italia 60, 5%, Romania (66%) e Malta 67,8%, al di sotto quindi della media europea.

Gender employment gap

In considerazione di quanto detto, al diminuire del gender employment gap corrisponde un tasso di occupazione generale più elevato. È perciò evidente che per innalzare il tasso di occupazione europeo è necessario innalzare il tasso di occupazione femminile. Si evidenzia che alcuni Paesi hanno già ampiamente superato l’obiettivo di Europa 2020, in altri c’è ancora parecchio da fare. Molto interessanti, poi, i dati che emergono dall’Indagine europea sulla qualità della vita (Eurofound, 2016). L’obiettivo di questa analisi è rilevare qual’è il livello di conciliazione, di work-life balance, in Europa. L’arco temporale preso in considerazione è quello che va dal 2007 al 2016. L’indagine misura l’intensità del work life balance, lo fa chiedendo agli intervistati quale sia lo squilibrio tra lavoro e vita privata che occorre «ogni giorno» o «diverse volte a settimana». La metà dei rispondenti all’indagine sostiene che almeno diverse volte a settimana si trova in difficoltà. La proporzione degli intervistati che dichiarano che la loro esigenza di conciliazione si verifica almeno diverse volte al mese è cresciuta tra il 2007 e il 2011, ma soprattutto tra il 2011 e il 2016 rispetto a tutte e tre le dimensioni analizzate. Le donne dichiarano stanchezza a causa del lavoro in misura maggiore rispetto agli uomini. Nel 2011 le donne sotto i 34 anni dichiarano di essere troppo stanche al rientro dal lavoro per occuparsi della cura domestica almeno diverse volte al mese, un 6% in più rispetto al tasso del 51% del 2007. Nel 2016 il 41% delle donne al di sotto dei 34 anni, invece, dichiara difficoltà di conciliazione tra la vita privata e l’attività lavorativa per ben 11 punti percentuali in più rispetto al 2007.

Gli uomini nella fascia di età 35 – 49 anni dichiarano grosse difficoltà di conciliazione: il 61% riporta di essere troppo stanco per occuparsi delle faccende domestiche dopo il lavoro, mentre il 42% ha difficoltà di conciliazione a causa del troppo tempo passato sul posto di lavoro. Il tempo trascorso sul luogo di lavoro impatta negativamente sulle esigenze familiari in una percentuale minore (34%) per la fascia di età 50 - 64 e riguardo questo aspetto non ci sono significative differenze di genere.

Proporzione degli occupati intervistati che dichiarano di avere esigenze di conciliazione almeno diverse volte al mese (%). Fonte: Eurofound 2016

L’indagine analizza anche un altro indicatore, quello del benessere e della qualità della vita. Dall’indagine è emerso, in via generale, che è migliorata la condizione dei cittadini europei. Ad esempio, per quanto riguarda la salute dichiarata, la maggior parte dei cittadini europei dichiara di aver potuto avere accesso alle cure, mentre, durante il periodo di crisi, soprattutto la componente femminile aveva rinunciato a curarsi e a fare prevenzione. È migliorato anche il benessere generale delle persone, perché più persone hanno dichiarato di riuscire ad arrivare a fine mese.

Quello che invece è peggiorato è l’equilibrio tra lavoro e vita privata, in Italia, ad esempio, nel 2003 l’indice era 6,2 ed è passato a 5,7 nel 2016. Questo trend è una costante in tutti i Paesi europei. Anche la media europea lo rispecchia pienamente: nel 2003 era pari a 6,3 per scendere a 5,8 punti nel 2016.

Il quadro di contesto a cui facciamo riferimento nell’ambito dello studio comparato è la legislazione europea. Il processo di cambiamento si è innescato già nel 2015, quando la Commissione europea ha lanciato una nuova iniziativa, nel cui titolo è contenuto tutto il suo potenziale: “New start to address the challenges of work life balance faced by working families (European Commission, August 2015). Si tratta di una road map, una tabella di marcia, con un orizzonte programmatorio triennale, volta a cercare di migliorare le condizioni dei cittadini europei in ottica di conciliazione.

In risposta alla road map, il Parlamento europeo ha emanato un rapporto (Creating labour market conditions favourable for work life balance 13th September 2016), all’interno del quale si chiede agli Stati membri di attuare politiche, sia nelle strutture pubbliche che private, volte alla conciliazione. Il rapporto, nell’ambito della qualità del lavoro, focalizza l’attenzione anche sul lavoro agile. Nell’ottobre 2016, poi, la Commissione europea ha cominciato a lavorare su iniziative concrete.

Tra le ventuno iniziative concrete, ha proposto il Pilastro europeo dei diritti sociali, approvato dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione durante il vertice sociale per l’occupazione equa e la crescita, che si è svolto il 17 novembre 2017 a Göteborg. Il pilastro stabilisce 20 principi e diritti fondamentali per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale. É destinato a servire da bussola per un nuovo processo di convergenza verso migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa. Esso ribadisce alcuni diritti già presenti nell’acquis comunitario e nelle normative internazionali, integrandoli in modo da tener conto delle nuove realtà. I principi e i diritti sanciti dal pilastro sono articolati in tre categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque e protezione e inclusione sociali. Essi pongono l’accento sulle modalità per affrontare i nuovi sviluppi nel mondo del lavoro e nella società al fine di realizzare la promessa, contenuta nei trattati, di un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale. Assicurare il rispetto dei principi e dei diritti definiti nel pilastro europeo dei diritti sociali è responsabilità congiunta degli Stati membri, delle istituzioni dell’UE, delle parti sociali. La Commissione europea ha messo in campo, già dall’aprile del 2017, delle iniziative concrete, sia dal punto di vista legislativo che non legislativo. Tutte le proposte legislative sono confluite in una proposta di direttiva (Proposal of Directive of the European Parliament and of the Council on work life balance for parents and carers)1, nell’ambito della quale si tendono a delineare nuovi diritti per i cittadini europei. Al fine di modernizzare

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1 Il 4 aprile 2019 il Parlamento europeo ha approvato con ampia maggioranza 490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni la Direttiva sul work life balance.

il quadro legislativo esistente, la Commissione con la proposta di direttiva vuole preservare i diritti esistenti e delinearne di nuovi sia per gli uomini che per le donne. La proposta mette al centro l’individuo in quanto lavoratore e genitore, non ostacolando previsioni di miglior favore da parte degli stati membri. Il pacchetto propone anche nuove misure volte al rafforzamento dell’applicazione della direttiva sul congedo di maternità lasciando intatti i diritti garantiti dalle disposizioni vigenti.

La Commissione propone misure non legislative per affrontare la mancanza di sufficienti o adeguati servizi di assistenza e i disincentivi economici al lavoro per i second earner che nella maggior parte dei casi sono donne. Le misure non legislative che sono state prese in considerazione in tema di congedo di maternità sono volte a rafforzare l’applicazione della legislazione vigente in materia di protezione contro il licenziamento, la sensibilizzazione al licenziamento delle donne incinte e fornisce orientamenti strategici per favorire la transizione tra congedo di maternità e occupazione. La proposta, poi, in ambito di misure legislative stabilisce una serie di standard minimi nuovi o più elevati per il congedo di paternità, il congedo parentale e il congedo per coloro che hanno carichi di cura altri. Nell’ambito delle misure legislative la Commissione europea ha posto maggiormente l’attenzione sui congedi parentali, sull’utilizzo dei congedi di paternità. Sono stati introdotti i congedi per i prestatori di assistenza e si parla di misure flessibili di organizzazione del lavoro. Perché attraverso misure legislative? Perché se si prende a riferimento, ad esempio, la legislazione che riguarda i congedi parentali, è una legislazione che risale agli anni ‘90, e dopo vent’anni è necessario riformulare e ristrutturare le politiche, i mercati del lavoro sono in continua evoluzione, sono cambiati e devono andare incontro alle esigenze, sia dei datori di lavoro ma, soprattutto, dei lavoratori, dei cittadini. Tra le misure non legislative, si cerca di rafforzare la protezione contro la discriminazione e il licenziamento per i prestatori di assistenza e per i genitori; di incoraggiare l’uso bilanciato, sia dei congedi che delle misure di flessibilità organizzativa; di prevedere un adeguato supporto al work-life balance attraverso un più efficiente ed efficace

utilizzo, sia del fondo sociale europeo che dei fondi di investimento. L’approvazione della direttiva avrà un impatto in termini di congedi e di misure flessibili. Per quanto riguarda i congedi di paternità, allo stato attuale in Europa non esiste uno standard minimo sui congedi. La proposta di direttiva introduce, invece, il diritto a dieci giorni di congedo di paternità, al momento della nascita del bambino. Per quanto riguarda, invece, i congedi parentali, la legislazione vigente prevede quattro mesi di congedo per genitore, al di fuori del quale soltanto uno è non trasferibile. La direttiva propone un rafforzamento del principio del “take it or lose it”, ossia o si prende il congedo oppure il nucleo familiare lo perde. C’è un innalzamento del periodo di non trasferibilità da uno a quattro mesi. I congedi potranno essere fruiti in forma flessibile. Viene innalzata l’età dei bambini nell’arco della quale il genitore può usufruire del congedo: la legislazione vigente prevede otto anni e si passerà a dodici anni. In più, vengono introdotti i congedi per i prestatori di assistenza. Con la proposta di direttiva, i prestatori di assistenza avranno diritto a cinque giorni di congedo, al fine di supportare carichi di cura per parenti o familiari disabili, o malati cronici, a carico.

La policy review cui abbiamo lavorato, ha come obiettivo raccogliere e presentare un quadro delle politiche esistenti e delle azioni e/o piani di azione in tema di conciliazione vita lavoro a livello nazionale. Particolare interesse è stato posto nell’implementazione di politiche correlate alla proposta di Direttiva on work life balance for parents and carers and repealing Council Directive 2010/18/ EU tenendo conto sia delle misure legislative che non legislative. Temi trasversali di indagine sono stati il coinvolgimento degli uomini nelle attività di cura e l’indipendenza economica e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Le misure analizzate sono state: il sistema dei congedi, i servizi di cura (infanzia e disabili/anziani); misure di flessibilità organizzativa. I 6 Stati membri sono stati scelti sulla base di criteri predefiniti quali la similarità del contesto socio economico, lo sviluppo di pratiche di successo. E’ stata, poi, definita una scheda paese (per ciascuno degli Stati membri coinvolti nell’analisi comparata) descrittiva a livello quantitativo e qualitativo delle politiche e degli interventi realizzati sulla tematica, compresa

la governance. Abbiamo, quindi, messo a punto e inviato alle agenzie del lavoro europee coinvolte nell’analisi un questionario strutturato per la raccolta delle informazioni necessarie e delle buone pratiche realizzate sui territori europei di riferimento. L’analisi ci consentirà sia di verificare la coerenza degli interventi sviluppati rispetto alle indicazioni di policy fornite a livello europeo sia di offrire un’occasione di apprendimento e scambio con altri stati che hanno sviluppato pratiche di successo. Stabilire quale siano l’efficacia di tutte le politiche non è semplice, tuttavia, grazie alla consultazione diretta con gli esperti nazionali, sono stati evidenziati una serie di fattori di successo per le politiche prese in esame.

Nell’ambito dello studio, è emerso che alcuni Stati membri hanno previsto misure strutturali e vere e proprie strategie di policy che incideranno sulla situazione nell’arco dei prossimi anni. Esempi positivi di recenti riforme includono, a mero titolo esemplificativo, l’introduzione del congedo parentale retribuito per i padri nel Regno Unito, una maggiore flessibilità per la fruizione del congedo parentale in Germania e l’estensione dei servizi di cura rivolti all’infanzia in Francia. E’ stato elaborato un quadro generale delle disposizioni dei sei Stati membri selezionati (Finlandia, Francia Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna) e le relative policy in tema di conciliazione vita lavoro. L’analisi identifica, poi, “buone pratiche” in tema di servizi di cura all’infanzia innovativi (Francia), di ampliamento per entrambi i genitori della possibilità di usufruire dei congedi parentali (Germania) e misure di organizzazione flessibile del lavoro (Finlandia).

Le politiche di conciliazione tra lavoro e vita privata, se ben concepite e implementate abbiamo visto che possono sostenere l’indipendenza economica e il benessere di uomini e donne, in particolare consentendo una più equa ripartizione delle responsabilità di cura. Al contrario la loro mancanza conduce a rafforzare gli stereotipi di genere e ad incrementare le diseguaglianze tra uomini e donne tra lavoro retribuito e lavoro di cura non retribuito.

Sebbene le legislazioni nazionali, gli orientamenti e i piani di azione, presi in esame, abbiano contribuito ad un certo grado di convergenza, i progressi sono stati disomogenei sotto alcuni aspetti. Ciò vale in

principal modo per quanto riguarda gli obiettivi di Barcellona sui servizi di cura all’infanzia: dall’analisi condotta emerge che, tra quelli presi in considerazione, solo Finlandia, Paesi Bassi e Spagna hanno raggiunto gli obiettivi del 33% dei bambini al di sotto dei tre anni inseriti in strutture formali di assistenza.

Le politiche relative ai congedi - disposizioni relative al congedo di maternità, al congedo parentale, al congedo di paternità e al congedo per assistenza ai familiari malati o disabili - si concentrano sulla possibilità, per le persone con responsabilità di cura di rimanere nel mondo del lavoro. La loro logica in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro è quella di dare alle donne, che spesso si occupano di un’ampia parte dell’assistenza informale, l’opportunità di conciliare l’occupazione con il lavoro di assistenza. L’impatto potenziale di questa tipologia di politiche dovrebbe essere quello di riequilibrare l’utilizzo dei congedi stessi tra uomini e donne. L’utilizzo dei congedi da parte dei padri è una questione difficile da affrontare, ma vitale sia dal punto di vista culturale che economico: uno dei temi di maggior attenzione è la retribuzione dei congedi che spesso non è sufficiente affinché il padre ne possa usufruire. Gli Stati membri hanno adottato una serie di politiche volte a promuovere l’equilibrio di genere al fine di garantire il coinvolgimento degli uomini nelle responsabilità di cura, ma anche una maggior parità nell’ambito dell’esigibilità del diritto alla fruizione del congedo stesso.

Il congedo parentale è previsto in tutti gli stati che abbiamo analizzato e varia le sue caratteristiche sulla base di 4 variabili: durata, se si tratta di un diritto individuale o della famiglia, dimensione dell’indennità e flessibilità oraria. Tendenzialmente i paesi si dividono in coloro che mettono a disposizione un congedo di durata inferiore alle 15 settimane (Finlandia, Paesi Bassi e Regno Unito) e paesi che concedono un congedo più lungo (Francia, Germania e Spagna). In merito alla flessibilità oraria e al Telelavoro (nel caso di Paesi bassi e Regno Unito) esiste, nella maggior parte dei casi analizzati, la possibilità per i genitori di ridurre l’orario lavorativo a causa delle responsabilità familiari. Queste misure sono interessanti in quanto nessuna si concentra esplicitamente sulle donne, e tutte si applicano a tutti i lavoratori dipendenti. A tal proposito è interessante notare

come in tre dei paesi analizzati (Francia, Paesi Bassi e Regno Unito) tali misure di flessibilità siano utilizzate in misura nettamente maggioritaria dalle donne (soprattutto dalle madri) a causa dei ruoli di genere radicati nell’assistenza in tutti e tre i paesi. L’introduzione, poi, di misure di flessibilità organizzativa significa introdurre un maggior bilanciamento nella ripartizione dei carichi di cura.

Dall’analisi condotta emerge che è necessario avere Politiche che siano strutturali. Le misure di work life balance hanno dimostrato di essere dirimenti per rimuovere gli ostacoli all’occupazione femminile, anche se a livello europeo sono sempre le donne che usufruiscono in misura maggiore di queste politiche e gli uomini tendono a limitarne l’utilizzo. Dei progressi si sono comunque avuti soprattutto nei paesi che hanno coniugato servizi di cura accessibili, convenienti e di qualità; un sistema fiscale la cui pressione non abbia un impatto negativo e sproporzionato sui risultati occupazionali; l’introduzione di misure di flessibilità organizzativa che significa introdurre un maggior bilanciamento nella ripartizione dei carichi di cura; l’introduzione del congedo di paternità retribuito che ha un impatto positivo in tema di promozione della parità di genere. Abbiamo visto che l’assenza di queste politiche tende a rafforzare gli stereotipi tradizionali per quanto riguarda i ruoli di genere sul lavoro e a casa e, di conseguenza, ad ostacolare un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro. Intervenire con politiche strutturali e innovative significa non disperdere energie e risorse e consente di seguire il cambiamento sia del mercato del lavoro che l’evolversi della struttura della famiglia. Bisogna investire su una cultura che consideri la conciliazione vita lavoro non un mero affare femminile, perché è a questo livello che si giocano i diritti dei cittadini europei2.

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2 Per un maggior dettaglio: Bombardieri S., Susanna S.M., Scannapieco F., Viale V., Conciliazione vita lavoro: sviluppo di Policy, Anpal (in corso di pubblicazione).

Work life balance e uguaglianza di genere: aspetti giuridico legislativi

Rosita Zucaro

La conciliazione vita-lavoro rappresenta un’area di intervento strategico per il perseguimento dell’equilibrio di genere. Il tema nasce negli anni ‘70, quando è cominciata a emergere l’esigenza di mediare tra i tempi di vita personale e quelli di vita lavorativi, quale conseguenza dell’ingresso delle donne nel mercato del lavoro. Questo ha comportato il sorgere di alcuni bisogni in precedenza non avvertiti, in quanto l’ecosistema famiglia e l’ecosistema lavoro erano ben distinti: c’era l’uomo che si occupava del sostentamento economico della famiglia il cosiddetto “male breadwinner”, mentre la donna era totalmente incentrata sugli aspetti di cura. L’ingresso femminile nel mercato del lavoro ha invece incrinato tale equilibrio sociale, andando a incidere su aspetti inerenti l’organizzazione del lavoro e sulle forme che assume la domanda di lavoro, determinando

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