T0 T2 T4 T6
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TABELLA 4: Valori F ANCOVA T0-T6
Totale Campione
n. 44 TAS
F of ANCOVA DIF DDF EOT TOT
∆NRS 1,00 0.49 0.41 0.69 ∆QUID ∆PRlrcS 0.57 0.34 0.88 0.57 ∆PRlrcA 0.29 1.29 1.20 0.74 ∆PRlrcE 0.66 0.32 2.18 0.19 ∆HADS ∆DepHADS 0.09 1.01 0.63 0.28 ∆AnxHADS 0.55 0.54 0.97 0.25 ∆TotHADS 0.30 0.95 0.88 0.28 ∆SE 1.32 0.27 0.98 0.95 ∆SCS 3.22 2.49 1.56 4.22* ∆SF-36 ∆ISF 2.53 1.37 0.38 2.27 ∆ISM 0.39 0.33 0.69 0.37
Tab 4. Valori F dell’analisi della covarianza (ANCOVA), del totale TAS e dei tre fattori della TAS 20 sull’
intervallo di tempo da T0 a T6, del trattamento di ansia e dolore con self management program. *=p; *= <.05; **=
<.01; ***= <.001, ****= <.0001; T0-T6= variazione dei punteggi; NRS= Number Rating Scale; QUID= Questionario Italiano del dolore; PRlrcS= dimensione sensoriale del dolore; PrlrcA= dimensione affettiva del dolore; PrlrcE= dimensione cognitiva del dolore; HADS= Questionario ospedaliero dell’ansia e della depressione; DepHADS= dimensione della depressione HADS; AnxHADS= dimensione dell’ansia HADS; TotHADS= punteggio totale HADS; SE= Questionario dell’autoefficacia; SCS= Questionario di Self Control Schedule; SF-36= Questionario sullo Stato di Salute (Short Form Health Survey); ISF= indice di salute fisica dell’SF-36; ISM= indice di salute mentale dell’SF-36.
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La tabella 4 mostra i dati ottenuti attraverso l’ANCOVA, di cui sono riportati i valori di F, tra ciascuna delle tre dimensioni e del totale della TAS-20 e le variazioni delle variabili di outcome dopo sei mesi di intervento. Dai dati emerge come il punteggio totale ottenuto alla TAS-20 sia in grado di influenzare in modo statisticamente significativo soltanto il miglioramento dei livelli di autocontrollo (F= 4.22; p<.05). L’alessitimia sembra, quindi, avere un impatto significativo sugli outcome del Self Control Schedule al termine di un programma di Self-management.
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Discussione
Negli studi presenti in letteratura sono riportati interessanti dati a favore di forti associazioni tra l’alessitimia e la presenza di patologie mediche e/o psichiatriche, in modo particolare di disturbi d’ansia e di depressione (Karukivi et al., 2010; Marchesi et al., 2005; Honkalampi et al., 1999; Celike et al., 2010), e un’alta prevalenza di alessitimia in pazienti che soffrono di forme diverse di dolore cronico (Huber et al., 2009), in particolare di fibromialgia (Romagnolli et al., 2016). Inoltre, l’alessitimia non soltanto è risultata essere associata alla presenza di tali condizioni, ma sembra avere anche un possibile e importante impatto sulla risposta ai trattamenti per il disturbo d’ansia o depressione (Mori et al., 2012), o per la terapia dei sintomi gastrointestinali funzionali (Porcelli et al., 2003). I soggetti che presentano alti livelli di alessitimia, infatti, sembrano avere minori capacità di reagire in modo adattivo a situazioni molto stressanti, una maggior tendenza ad amplificare le sensazioni somatiche, e una maggiore difficoltà a riconoscere ed elaborare gli stimoli emotivi e somatici (Porcelli et al., 2003). Tutti questi aspetti, uniti ad una maggiore presenza di comportamenti non salutari riguardanti lo stile di vita, potrebbero avere un impatto decisivo sull’efficacia di un trattamento sia di tipo medico che di tipo psicologico (Porcelli et al., 2003). Sono scarsi, però, gli studi in letteratura che indagano l’eventuale impatto dell’alessitimia sulla qualità della vita e la possibile associazione tra l’alessitimia e gli specifici costrutti psicologici dell’autoefficacia e dell’autocontrollo, che potrebbero giocare un ruolo rilevante nel percorso di un trattamento. Inoltre, non sono stati trovati studi che indagano la presenza di queste associazioni in un contesto di Self-Management Program (SMP), intervento che risulta essere efficace, in particolar modo, proprio in presenza di soggetti che soffrono di disturbi d’ansia, depressione e/o di dolore cronico (Lorig et al., 1989; LeFort, 1996; Zimmermann et al., 2016)). Tale programma sembra, inoltre, essere associato ad una significativa crescita del senso di autoefficacia percepita (Lorig et al., 1989) e ad un miglioramento significativo della qualità della vita (Apolone et al., 1998; Gibson et al., 2002; Cedraschi et al., 2004). Per questi motivi, fra gli obiettivi di questo studio, siamo andati ad esplorare i possibili effetti di un programma di Self-Management (SMP) in soggetti con dolore cronico e ansia, sul dolore, sulla sintomatologia ansiosa e su quella depressiva, sull’autoefficacia, sull’autocontrollo e, infine, sulla qualità della vita. L’obiettivo principale di questo studio è stato, successivamente, quello di indagare in quale misura l’alessitimia possa influenzare l’outcome di tale programma. Le variabili di outcome prese in esame sono state le seguenti: dolore, ansia, depressione, autoefficacia, autocontrollo e qualità della vita.
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Dai dati emerge che il programma di Self-Managment determina una riduzione statisticamente significativa dell’intensità del dolore percepito (misurata tramite la NRS), e di tutte le tre dimensioni della percezione del dolore, misurato tramite il QUID: quella cognitiva, quella affettiva e quella sensoriale a sei mesi dal baseline. Questi dati avvalorano le evidenze della letteratura sull’efficacia dei programmi di Self-Managment in pazienti che si trovano a dover convivere con diverse tipologie di dolore cronico con associata sintomatologia ansiosa e/o depressiva (LeFort, 1996). Anche per quanto riguarda la sintomatologia ansiosa, i risultati che emergono da questo studio sono in accordo con la letteratura, che riporta una riduzione della sintomatologia in pazienti coinvolti in interventi atti a promuovere le abilità di Self-Managment (Zimmermann et al., 2016). Dai dati, infatti, si ottiene un significativo miglioramento a sei mesi, nella scala HADS, sia del punteggio totale, sia del punteggio ottenuto nella sottoscala che esplora le componenti ansiose. Questo sembra indicare un importante ruolo del SMP nel miglioramento della sintomatologia ansiosa. Per quanto riguarda la depressione, invece, essa si mostra invariata per un trattamento a 6 mesi. Questo risultato sembra in contrasto con gli studi della letteratura che indicano un ruolo importante, in presenza di una sintomatologia depressiva, dei programmi strutturati per promuovere e supportare le capacità di autogestione (Zimmermann et al., 2016). Tuttavia è necessario specificare che il programma di Self-Managment utilizzato in questo lavoro di ricerca è stato rivolto a pazienti con dolore cronico e ansia, ed è stato, perciò, strutturato in modo da agire preferenzialmente su queste due componenti. Il programma infatti non segue la struttura tipica suggerita dal gruppo di Stanford di Lorig et al., (1996) ma vede un programma di psicoeducazione associato a trattamento di autoipnosi e meditazione. Le tematiche affrontate durante il corso psicoeducativo riguardavano la componente ansiosa e la presenza di dolore cronico più che le componenti depressive. Alla luce di ciò, i risultati confermano che il presente programma agisce in particolar modo sull’ansia e sul dolore cronico, e, così come è strutturato, non sulla depressione. Ci dice, inoltre, che è specifico. Il lavoro richiesto ai pazienti per migliorare i fattori psicologici che incrementano ansia e dolore genera una variazione di queste due dimensioni e non di altro.
Gli studi presenti in letteratura che si occupano dell’impatto del SMP sul dolore e sull’ansia indicano che il miglioramento di tali dimensioni sembra essere associato ad una significativa crescita del senso di autoefficacia percepita (Lorig et al., 1989; Zimmermann et al., 2016). Dagli studi, infatti, emerge che soggetti che hanno aderito ad un programma di Self-Managment attribuiscono la sua efficacia all’aumento della loro percezione di avere un controllo maggiore sulla malattia (Lorig & Holman, 2003). Il ruolo dell’autoefficacia, come uno dei principali meccanismi che portano ad un miglioramento dello stato di salute nei soggetti partecipanti a programmi di Self- Management (Lorig et al., 1989), non è stato confermato nel presente lavoro di ricerca: secondo i
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risultati ottenuti, infatti, l’autoefficacia non sembra mostrare alcun cambiamento statisticamente significativo in nessuno degli intervalli di tempo presi in considerazione. Oltre che per la depressione i nostri risultati si discostano da quelli della letteratura anche per la mancata risposta della dimensione dell’autoefficacia. È possibile che l’autoefficacia sia collegata in qualche misura alla depressione. In letteratura, infatti, i dati relativi al programma di Self-Management riportano un potenziamento dell’autoefficacia combinato ad un aumento dei comportamenti di autogestione in pazienti che soffrono di depressione e ad un miglioramento significativo della sintomatologia depressiva (Damush, Kroenke et al., 2015). Per tali motivi la prima ipotesi di questo elaborato è stata quella di pensare che un programma di Self-Management strutturato per pazienti con dolore cronico e ansia, potesse risultare efficace in presenza di dolore, disturbi d’ansia e depressione, e potesse avere un impatto nel miglioramento dell’autoefficacia, dell’autocontrollo e, in generale, della qualità della vita. I soggetti che hanno aderito a questa forma di cura hanno avuto un miglioramento del dolore, QoL in particolare negli aspetti psicologici, ansia. Siamo andati ad indagare inoltre l’impatto del SMP sulle capacità di autocontrollo e le possibili relazioni. Come afferma Bandura nel suo articolo del 1978, infatti, la capacità di autoregolarsi ha importanti implicazioni in quasi tutti i comportamenti umani, in quanto “le risposte di autocontrollo sono dirette a ridurre l’interferenza causata da eventi interni quali i primi segni di ansia o di dolore che potrebbero interferire con una prestazione” (Rosenbaum, 1980). Per tali motivi la capacità di autocontrollo è ritenuta una variabile in grado di predire l’aderenza ad un obiettivo, anche attraverso la promozione di abitudini con un impatto benefico sulla qualità della vita: “un miglior autocontrollo si baserebbe sulle abitudini per raggiungere obiettivi a lungo termine” (Galla & Duckworth, 2015). Dai dati del presente lavoro emerge un cambiamento statisticamente significativo dell’autocontrollo da T0 a T6. Questo risultato è molto importante se collocato all’interno di un programma di self-managment, in quanto l’autogestione, che si riferisce all’insieme dei comportamenti messi in atto per assolvere ai compiti quotidiani necessari per convivere con una patologia cronica, ha come obiettivo il massimizzare il funzionamento del processo di regolazione (Nakagawa-Kogan et al., 1988). I nostri risultati hanno evidenziato inoltre che è proprio l’alessitimia ad influire negativamente sul miglioramento dell’autocontrollo dei nostri soggetti. Come riportato in tabella 4, il totale (e non le singole dimensioni) della TAS influisce negativamente sulla variazione dei punteggi del Self control. È stata, inoltre, indagata la qualità della vita, misurata attraverso l’SF-36, e considerata attraverso gli indici di salute fisica e di salute mentale. La definizione dell’OMS del 1948 definisce la qualità della vita (QoL) come “la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi,
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aspettative e preoccupazioni”. Come mostra tale definizione, vengono prese in considerazione non soltanto le condizioni fisiche e sintomatologiche dell’individuo, ma anche il suo funzionamento sociale e psicologico, la sua capacità di trarre soddisfazione da ciò fa e la sua abilità nel portare a termine ciò che si propone di fare. Dagli studi presenti in letteratura emerge un significativo miglioramento della qualità della vita in pazienti che seguono un programma di Self-Managment (Apolone et al., 1998; Gibson et al., 2002; Cedraschi et al., 2004).
I risultati di questo lavoro non mostrano un miglioramento statisticamente significativo per quanto riguarda l’indice di salute fisico, ma emerge, al contrario, un miglioramento statisticamente significativo dell’indice di salute mentale.
Gli studi presenti in letteratura, in merito all’influenza dell’alessitimia sull’outcome ai trattamenti, seppur scarsi, indicano una correlazione negativa tra alessitimia e autoefficacia (Faramarzi & Khafri, 2016), tra alessitimia e autocontrollo (Fukinishi, 1990) e tra alessitimia e qualità della vita. La medicina della dialisi è stata una delle aree che per prime si sono interessate al concetto di qualità di vita, allo scopo di migliorarla, ricercando un approccio multidisciplinare e più completo che possa tener conto non solo dei fattori medici, ma anche di quelli psicologici e sociali, tra i quali l’alessitimia, che rientrano nell’area del benessere e della salute e che coinvolgono i pazienti in dialisi (Fukunishi, 1990). In uno studio condotto con pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) è stata evidenziata un’influenza da parte dell’alessitimia, misurata tramite la TAS- 20, sullo stato di salute soggettivo (Verissimo, Cardoso and Taylor, 1998): i pazienti con IBD che sono più consapevoli delle loro emozioni (bassi livelli di alessitimia), presentano una più soddisfacente qualità di vita. Gli autori, sulla base dei risultati ottenuti, hanno concluso che “la qualità di vita per alcuni pazienti potrebbe essere resa migliore da interventi psicoterapeutici volti ad incrementare la consapevolezza e la capacità di identificare sentimenti soggettivi”. In letteratura, inoltre, emerge che i pazienti con più alti punteggi di alessitimia sembrano avere, in generale, una minor capacità di autogestione (Chugg et al., 2009; Larsen et al., 2017).
I dati che emergono da questo lavoro indicano che l’alessitimia sembra influire, all’interno di un programma di Self-managment, soltanto sull’autocontrollo e non sulle altre variabili di outcome. Considerando nello specifico ciascuno dei tre fattori e il punteggio totale della TAS-20, tale evidenza è risultata essere vera per quanto riguarda il punteggio totale di alessitimia, ma non considerando nello specifico ciascuno dei tre fattori. Questa possibile associazione tra alessitimia e autocontrollo avvalora i risultati degli studi presenti in letteratura che, seppur scarsi e non riferiti all’interno di un programma di Self-Managment, riportano più alti livelli di alessitimia in associazione a minori abilità di self-control, e indicano che essa sembra essere un indice psicologico efficace per riflettere minori abilità di self-control (Fukunishi, 1990).
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Conclusioni
Al termine del Self-Managment Program possiamo osservare un miglioramento significativo nelle tre dimensioni del dolore (sensoriale, affettiva e cognitiva), nella sintomatologia ansiosa, nell’autocontrollo e nell’indice di salute mentale dell’SF-36. È possibile, inoltre, evidenziare come l’alessitimia abbia avuto un’influenza sul miglioramento dell’autocontrollo, considerato come variabile di outcome in un programma di Self-managment. Per concludere, quindi, il Self- Managment Program sembra essere un buon programma di intervento, integrato ed esteso, per la gestione del dolore cronico e dei sintomi d’ansia, e sembra avere un impatto significativo sulla percezione delle capacità di autocontrollo dei pazienti e sulla loro qualità di vita. I livelli di alessitimia presenti al base-line del programma sembrano influenzare i cambiamenti dell’autocontrollo che avvengono nel corso del SMP, ma non sembrano avere un impatto sulle altre variabili di outcome. È importante sottolineare che i risultati di questo studio necessitano di ulteriori approfondimenti, anche considerando i seguenti limiti della ricerca.
Il limite principale è rappresentato dalla numerosità campionaria, che non essendo elevata, non permette di trarre conclusioni esaustive. Questo limite trova conferma nel fatto che l’effect size è, nella totalità dei casi, di livello medio-basso ed è evidente in modo particolare per quanto riguarda i dati relativi ai valori di soglie e modulazione del dolore. In questo caso, l’eseguità campionaria dovuta ad un cambiamento di metodologia, infatti, ha reso scarsamente affidabile l’analisi dei dati, i quali, per tali motivo, non sono stati riportati nei risultati.
Essendo lo studio di tipo longitudinale, una seconda criticità è rappresentata dal fatto che viene riscontrata una diversa numerosità campionaria a seconda dei tempi del follow-up, quindi questo programma sembra avere il rischio di un discreto numero di drop out. Inoltre, pur essendo previsto dal disegno dello studio un follow up ad un anno, la scarsa numerosità campionaria ha permesso di analizzare e riportare i dati raccolti fino al follow up a 6 mesi.
Un ulteriore limite presente nel campione è rappresentato dal fatto che esso è costituito da un numero maggiore di donne rispetto che di uomini, e tale differenza potrebbe influire sui risultati ottenuti. Dalle ricerche è emerso, infatti, che la differenza di genere potrebbe avere un impatto sulle variabili prese in considerazione, in modo particolare durante l’età adulta (periodo nel quale si trova la maggior parte dei soggetti appartenenti a questo campione). Potrebbe, quindi, mostrarsi utile in futuro, ai fini di indagare l’impatto dell’alessitimia sulle variabili di outcome del Self-management, includere nella ricerca un numero maggiore di uomini, i quali, secondo gli studi presenti in letteratura, sembrano presentare generalmente maggiori livelli di alessitimia.
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Infine, uno dei limiti principali dell’efficacia del programma di Self-management in questa ricerca, si riferisce al fatto che, nei soggetti della ricerca, è stata riscontrata una scarsa frequenza nell’applicazione quotidiana di esercizi di meditazione, ipnosi e yoga. Una loro frequente applicazione, al contrario, avrebbe potuto influire in modo positivo sul benessere dei pazienti (Nørgaard, 2014; La Cour e Petersen, 2014; Curtis et al., 2011; Velasco e Puente, 2015) e, relativamente allo studio, sulle variabili prese in considerazione. Questo potrebbe farci pensare che, durante il percorso, non sia stata sufficientemente sottolineata l’importanza della pratica quotidiana di tali tecniche analgesiche non farmacologiche, oppure che il tutor non sia stato sufficientemente coinvolgente nello stimolare la motivazione del paziente ad utilizzare queste tecniche superando la fatica di una applicazione costante.
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