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Il rapporto tra gli apocrifi sull’infanzia di Maria Raffigurazioni e

5. Colonna A

5.2 Orizzonti letterari Epigrafi e raffigurazioni: la colonna A

5.1.5 Il rapporto tra gli apocrifi sull’infanzia di Maria Raffigurazioni e

Questo resoconto sulla tradizione testuale delle leggende legate all’infanzia di Maria e alla vita dei suoi genitori consente di avanzare qualche ipotesi sulla fonte che può aver ispirato sia le iscrizioni che le raffigurazioni della colonna A del ciborio di San Marco. Si può constatare per il momento che le scene scolpite sulla colonna A seguono in modo preciso la successione cronologica degli eventi tramandati dal Protovangelo, come dimostra la tabella comparativa 4 nella quale sono indicati i soggetti iconografici raffigurati sulla colonna A confrontati con gli episodi delle tre versioni più conosciute delle storie dell’infanzia di Maria, quella greca e le due latine di ambito carolingio. Il testo delle iscrizioni presenta solo affinità superficiali con le versioni delle storie di Maria nate in seno all’ordine domenicano intorno alla seconda metà del XIII secolo, mentre pare essere più calzante, come dimostra la tabella comparativa 3 del lessico impiegato nelle iscrizioni e quello dello Pseudo Matteo e del Liber de Nativitate, il confronto con quest’ultimo, al quale, però, sembrano essersi ispirate solo alcune iscrizioni. In particolare è il primo titulus a mostrare la maggiore somiglianza lessicale con il Liber158 e l’ultimo, dove compare il particolare della verga fiorita di Giuseppe, assente dalle versioni riportate dal Protovangelo e dallo Pseudo Matteo, dove il segno divino è espresso esclusivamente

154 Lafontaine-Dosogne 19642, vol. II, pp. 23-58. 155 Lafontaine-Dosogne 19642, vol. II, p. 43. 156 Demus 1984, I: Text, pp. 127-130 e 141-142.

157 Demus 1984, I: Text, p. 139. Le presunte scene sui perduti mosaici del XII secolo sono 1: il rifiuto delle

offerte; 2: il ritorno dal Tempio; 3: consultazione del libro delle dodici tribù ma più probabilmente Anna e Gioacchino che conversano a casa; 4. Annunciazione ad Anna; 5. Gioacchino si ritira nella foresta; 6: Il lamento di Gioacchino (questo episodio è assente nel Protovangelo, ma appartiene allo Pseudo Matteo); 7: Annunciazione a Gioacchino; 8: Incontro di Anna e Gioacchino; 9: La Natività della Vergine; 10: Anna allatta Maria; 11. Anna adora il Signore; 12 La benedizione dei sacerdoti; 13. Presentazione della Vergine e Maria nutrita da un angelo.

dalla colomba che esce dal ramo. L’esame delle versioni collazionate di questi due gruppi di manoscritti non ha portato a risultati positivi per l’identificazione precisa della fonte delle iscrizioni sulle altre zone della colonna. Sembra perciò legittimo domandarsi se tale fonte sia mai esistita oppure se le altre iscrizioni siano state elaborate in modo indipendente da qualunque testo. Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che, a vedere l’insieme delle iscrizioni della colonna A, si ha la sensazione che l’autore abbia avuto difficoltà a conciliare le scene scolpite che osservava con il testo del Liber de Nativitate. L’ideatore delle epigrafi, di fronte al busillis, ha scelto di aderire all’immagine piuttosto che all’apocrifo, insistendo sugli elementi iconografici che forse gli erano risultati immediatamente comprensibili, come quelle che esprimono un sacrificio o un’offerta al Tempio (I, IV, V, VI, VII) non contenute, appunto, nel Liber.

A questo punto è necessario fare un’ipotesi sui manoscritti a disposizione dell’ideatore delle epigrafi, dai quali può aver tratto ispirazione. Dalla Bibliotheca manuscripta di Giovanni Valentinelli, il catalogo di manoscritti della Biblioteca Nazionale Marciana pubblicato nel 1872, apprendiamo che a Venezia sono ancora conservati cinque volumi collegati alle storie dell’infanzia di Maria, uno del XV secolo appartenuto al Cardinale Bessarione159, due contenenti il testo dello Pseudo Matteo ma risalenti al XIV secolo160, e due codici contenenti il testo del Liber de Nativitate Sancta Mariae, l’uno, comprensivo anche di una serie di sermoni, risalente al XII secolo e l’altro, il secondo volume di un Leggendario dell’inizio del XIII entrambi provenienti dalla basilica di San Marco161. A proposito del secondo di questi due volumi (ms. lat IX 27 (2797) Valentinelli informa che un tempo il manoscritto era usato durante le letture che avvenivano nel coro della chiesa ed era conservato nella sagrestia della basilica, da dove fu spostato nel 1748 per trovare dimora nella Biblioteca Marciana162. Valentinelli riferisce che anche il codice del XII secolo era destinato alle letture pubbliche in San Marco163.

Certamente l’indizio che riguarda il rapporto tra questi due codici e le iscrizioni della colonna A è del tutto flebile, poiché non siamo a conoscenza di quando questi due manoscritti siano entrati nelle collezioni marciane né a partire da quando siano stati utilizzati per il pubblico ufficio. Tuttavia si tratta di un nesso suggestivo, ancor di più se si considera il fatto che, dei cinque, il codice più antico è quello che riporta il Liber de Nativitate e non lo Pseudo Matteo, lasciando le porte aperte all’interrogativo se sia stato questo il manoscritto che ha

159 Si tratta del ms. lat. Z 490 (1687) in carta redatto prima del 1468 (cfr. Gasparrini, Leporace, Mioni 1968,

pp. 22-24; A83a1 nella classificazione di Beyers 1997, p. 88).

160 Si tratta del ms. lat. 352 (1786) in pergamena dell’anno 1390 (Valentinelli 1868-1873, vol. V, p. 293; P2x1

nella classificazione di Gisel 1997, p. 206) e del ms. lat II 65 (2901) in pergamena (Valentinelli 1868-1873, vol. II, p. pp. 66-68; A2i1 nella classificazione di Gisel 1997, p. 118).

161 Si tratta del ms. lat. Z 508 (1970) in pergamena del XII secolo (Valentinelli 1868-1873, vol. II, p. 162;

A71 nella classificazione di Beyers 1997, p. 84) e del ms. lat. IX 27 (2797) in pergamena della fine del XII inizio

del XIII (Valentinelli 1868-1873, vol. V, pp. 290-292; A72 nella classificazione di Beyers 1997, pp. 84-85).

Cfr. Marcon 1995, cat. 8, pp. 105-106. e Canova 1995, pp. 54-57.

162 “Codex, qui iamdia in choro ecclesiae d. Marci legi consueverat, quique ex cubiculo sacristiae eius ecclesiae

anno 1748 in Marciam illatus est, bifariam dividitur [...]”. Valentinelli 1868-1873, vol. V, p. 292. Tuttavia Marcon 1995 (cat. 8, pp. 105-106), tramanda che il codice è entrato in marciana solo nel 1786.

163 “Codex foliorum 216, duplici columna, mutilus habet folia intriecta saeculi sequioris; est autem lectionis

non tam castigatae quam libri postulant qui legi publice in ecclesia solent, quod noto cum usui ecclesiae d. Marci esset deputatus” Valentinelli 1868-1873, vol. II, p. 162.

ispirato la prima e l’ultima iscrizione della colonna A. Infine sono presenti in Marciana tre codici greci contenenti frammenti o l’insieme del testo del Protovangelo di Giacomo, variamente datati tra il X e il XVI secolo, dei quali non è possibile conoscere né la provenienza né la loro data di arrivo a Venezia164.

L’indagine incrociata delle iconografie, degli aspetti formali delle iscrizioni, delle fonti letterarie alla base delle une e delle altre ha permesso di trarre alcune conclusioni: dal IX secolo e fino alla seconda metà del XIII secolo circolarono in Occidente per lo più due versioni delle storie dell’infanzia di Maria, lo Pseudo Matteo e il Liber de Nativitate, ispirati, anche se con profonde divergenze, alla più antica versione greca del Protovangelo di Giacomo. Queste due versioni sono alla base dei pochi cicli con le storie di Maria anteriori alla metà del XIII secolo, incluso probabilmente il perduto ciclo musivo marciano. La conoscenza a Venezia di una qualche versione bizantina del Protovangelo, come quella filtrata dal Menologio di Basilio II o quella successiva delle Omelie del monaco Giacomo Kokkinobaphos, averebbe permesso l’identificazione se non di tutti almeno di una buona parte dei soggetti della colonna A. A giudicare dal contenuto delle iscrizioni, che in parte si riallacciano al Liber de Nativitate, e della loro ridotta quantità rispetto alle altre tre colonne, che si riflette persino nella punteggiatura, sembra che il contatto con un tale testo non sia mai avvenuta. Un fatto, quindi, che rinforza l’idea di una datazione alla tarda Antichità delle parti scolpite della colonna A del ciborio. Come avrebbero potuto i Veneziani, conoscere le storie bizantine dell’infanzia di Maria negli anni intorno alla metà del XII secolo, quando furono probabilmente eseguiti i perduti mosaici del transetto Nord di San Marco165, e scordarle all’inizio del XIII secolo?

164 I codici sono i seguenti: Ven. Marc. II, 82, che Tischendorf 1853, p. XVII data al X secolo ma Delehaye

1905, p. 213 lo data al XIV secolo; il Ven. Marc. 363, che Tischendorf 1853, p. XVIII ritene poco successivo al precedente, mentre per Delehaye 1905, p. 197 sarebbe del XII: infine vi è il Ven. Marc. XI, 20, che per Tischendorf 1853, p. XVIII è del XV secolo, per Delehaye 1905, p. 248 è del XVI o XVII secolo, però è frammentario e il racconto inizia al capitolo XXII. Vedi Strycker 1961, p. 31.