Uno dei principali rischi evocati in dottrina, precipitato della insufficiente pregnanza descrittiva del concetto di distrazione136, attiene alla possibile intrusione del giudice, a fallimento ormai conclamato
e accertato, nella sfera valutativa che attinge il merito delle scelte gestorie, di per sé insindacabile137.
Il confine tra rischio penale e rischio d’impresa non è mai stato particolarmente nitido in giurisprudenza138, e l’emersione quale indice di fraudolenza del requisito dell’incompatibilità con i
canoni di ragionevolezza imprenditoriale (così come il latente riferimento alla finalità d’impresa) non pare valevole a dirimere il nodo problematico.
Maggiore portata euristica sembra assumere, invece, ad onta della perdurante petizione di principio circa l’irrilevanza del dato temporale139, l’ambientamento della condotta in una cornice economica
135 All’efficacia performativa del meccanismo processuale alludono, in termini non dissimili, PADOVANI, Il diritto
sostanziale e il processo, cit., 89; GARGANI, Processualizzazione del fatto e strumenti di garanzia: la prova della tipicità
“oltre ogni ragionevole dubbio”, cit., 847.
136 Per cui si rinvia a quanto già sviluppato al paragrafo 2.
137 Preoccupazioni condivise, in dottrina, ex multis, anche da BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati
fallimentari, Milano, 2017, p. 76. Il rischio è quello di trasformare la bancarotta “in un reato di infedeltà ai principi di
‘buona amministrazione’ – mercé la pubblicizzazione del bene giuridico -, (…) […] con un macroscopico aggiramento del principio di tassatività-determinatezza (…) allorquando il giudice sia chiamato a dar concretezza (…) alla nozione di ‘distrazione’, in se stessa priva di concretezza empirica, sganciandola dal riferimento al piano dell’offesa attuale al patrimonio e, quindi, dalla funzione di garanzia per i creditori che le è propria” (così PISANI, Attualità dell’offesa e “zona
di rischio penale”, cit., p. 17; critici rispetto alla possibilità di fondare in termini sufficientemente prevedibili il sindacato
del giudice penale FIORELLA-MASUCCI, Gestione dell’impresa e reati fallimentari, cit., p. 44, 80 e ss., ad avviso dei quali
il parametro della razionalità economica, pur in apparenza pregevole, comportando il rischio di “invasioni” giudiziali in ambiti riservati ai gestori dell’impresa, andrebbe inteso nel senso di non consentire ‘‘impropri’’ interventi del giudice ‘‘sin che non si dimostri l’inequivoca volontà della legge di criminalizzare l’errore di gestione o il volontario distacco dai criteri suggeriti da una prassi più o meno corretta’’, il sindacato sulle operazioni ‘‘rischiose’’ essendo a questa stregua concepito dalla legge fallimentare ‘‘in termini restrittivi e imperniato su parametri rassicuranti, quali la ‘‘pura sorte’’ o la ‘‘manifesta imprudenza’’, che, nel loro insieme, alludono all’assenza di calcolo, al difetto di controllo sull’esito, all’indiscutibilità del giudizio negativo sull’ammissibilità dell’operazione: in sintesi, si potrebbe dire, non già alla maggior o minor fondatezza, ma alla radicale assenza di fondamento economico della scelta”.
138 Con riferimento ai casi paradigmatici della vendita a giusto prezzo e ai rapporti tra dissipazione e bancarotta semplice,
si consiglia l’interessante disamina curata da CAVALLINI, La bancarotta patrimoniale tra legge fallimentare e codice
dell’insolvenza, cit., p. 31 ss.; non mancano in giurisprudenza le eccezioni positive, come Cass. pen., Sez. 5, n. 44103 del
27/06/2016, Ferlaino, Rv. 26820701, la quale ben delinea come “i confini del sindacato (giudiziale) sulla gestione dell’impresa sono determinati dall’oggetto della tutela (l’interesse dei creditori alla conservazione della garanzia), ma soprattutto dalle stesse modalità di aggressione selezionate per l’incriminazione (distrazione, dissipazione, dissipazione e occultamento) ed individuate attraverso il ricorso ad una terminologia immediatamente evocativa del disvalore intrinseco del fatto tipizzato e che altrettanto immediatamente rivela come oggetto di rimprovero non siano le scelte imprenditoriali dannose in sé (eventualmente rilevanti, in determinati casi, ai sensi dell’art. 217 legge fall.), bensì e per l’appunto quelle che si risolvono in una ingiustificata e volontaria sottrazione dei beni dell’impresa alla loro naturale funzione di garanzia delle passività della medesima”.
139 Da ultimo ribadita anche da Cass. pen., sez. V, 02/03/2020, n. 27926, che richiama a conforto ampi stralci
“significativa”140, che consente di compiere una più efficace selezione delle condotte penalmente
rilevanti e di identificare un ambito di tutela diverso dalla mera tutela patrimoniale141.
Ed è proprio questo l’esito che si può apprezzare passando in rassegna la recente giurisprudenza di legittimità sulla concreta operatività degli indici di fraudolenza nel contesto penal-fallimentare, da cui traspare il tentativo di affiancare al disvalore di contesto una più precisa raffigurazione del coefficiente di disvalore che riguarda la condotta tipica142.
L’approfondimento del versante modale della lesione, orfano dell’intervento suppletivo del legislatore, resta tuttavia fatalmente esposto ad un riempimento interpretativo a carattere casistico e rizomatico143.
Ma dietro certi assunti (e certe esitazioni) della giurisprudenza (oggi senz’altro orientata ad esplorare gli indici di fraudolenza144) si nasconde una chiave interpretativa supplementare che merita di essere
messa in evidenza.
140 Questo perché, come osserva CAVALLINI, La bancarotta fraudolenta “in trasformazione”, cit., p. 194, “calati in una
situazione d’insolvenza, o di prossimità ad essa, gli atti dispositivi a sfondo patrimoniale acquistano immediata potenzialità lesiva rispetto alla garanzia” (che, in una situazione di dissesto, assurge a bene giuridico preminente rispetto ad altri interessi gravitanti attorno all’impresa); la pericolosità tipica delle condotte di bancarotta, come avvertito dalla stessa dottrina restia ad elevare l’insolvenza a presupposto della condotta, ‘‘appare concettualmente correlata a una situazione di dissesto (...), quanto meno come sbocco tendenziale’’, l’effetto di ‘‘procurata insufficienza della garanzia [essendo] concettualmente ed empiricamente inseparabile dal dissesto’’ (PEDRAZZI, Art. 216, cit., p. 16).
141 Nega recisamente ogni possibile assimilazione tra inadempimento dell’obbligazione e tutela penale, richiedendo un
surplus motivazionale, Cass. pen., sez. V, 16/09/2019, (ud. 16/09/2019, dep. 03/12/2019), n. 49132, che opta per l’annullamento del provvedimento impugnato, poiché “quand'anche fosse dimostrato l'oggettivo mancato reperimento dei beni strumentali descritti, la Corte di appello sarebbe, comunque, tenuta a dar conto, con penetrante argomentare, dell'implausibilità delle ricostruzioni alternative offerte dall'impugnante, vale a dire della possibilità di distruzione dei detti beni per colpa o per obsolescenza”; sulla stessa falsariga, in tema di mancata considerazione di eventuali vantaggi compensativi scaturenti dalle operazioni intragruppo, sufficiente ad elidere la penale rilevanza del fatto distrattivo, cfr. Cass. pen., sez. V, 23/05/2019, (ud. 23/05/2019, dep. 20/06/2019), n. 27625; in relazione alla necessaria verifica della concreta pericolosità ex ante per i creditori della fallita di una operazione straordinaria di fusione tra società si rinvia a Cass. pen., sez. V, 18/12/2019, (ud. 18/12/2019, dep. 10/03/2020), n. 9398; di analogo tenore, cfr. anche Cass. pen., sez. V, 16/05/2019, (ud. 16/05/2019, dep. 23/07/2019), n. 33211.
142 Provando così a sedare i timori avanzati, in dottrina, anche da SANTORIELLO, Spunti per una delimitazione degli atti
di gestione del patrimonio aziendale qualificabili come bancarotta fraudolenta, cit., p. 1032, secondo cui il giudizio circa
la sussistenza del reato verrebbe a dipendere non tanto dalle modalità con cui la consistenza delle disponibilità aziendali è aggredita, ma dall’esito finale dell’esperienza imprenditoriale.
143 La Corte di legittimità ha già avuto modo di affermare come qualunque negozio dispositivo (si veda, a titolo meramente
esemplificativo, Cass. pen., sez. 5, n. 34464 del 14/05/2018, Innocenti, Rv. 273644 in tema di cessione di ramo d'azienda; Cass. pen., sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, Morelli, Rv. 272841 in materia di affitto di beni aziendali; Cass pen., sez. 5, n. 30212 del 11/04/2017, Donati, Rv. 270872, in merito a concessione di pegno in favore di società infragruppo; Cass. pen., sez. V, n. 12748 del 03/03/2020, Antano, Rv. 279198 in fattispecie relativa a contratto di "sale and lease back") e qualunque operazione societaria (Cass. pen., sez. V, n. 1984 del 2019, non massimata; Cass. pen., sez. V, n. 20370 del 10/04/2015, Piscedda, Rv. 264078 in materia di scissione; Cass. pen., sez. V, n. 9398 del 18/12/2019 - dep. 2020, Di Grazia, Rv. 278323 in tema di scissione) può assumere valenza distrattiva o dissipativa, e ciò tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente (Cass. pen., sez. V, n. 44891 del 9/10/2008, P.M. in proc. Quattrocchi, Rv. 241830), quanto in quello in cui l'operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Cass. pen., sez. V, n. 46508 del 27 novembre 2008, Scirè e altri, Rv. 242614; Cass. pen., sez. V, n. 3302 del 28 gennaio 1998, Martinel, Rv. 209947; Cass. pen., sez. V, n. 11207 del 29 ottobre 1993, Locatelli ed altri, Rv. 196456).
144 Come dimostra, tra l’altro, l’annullamento disposto da Cass. pen., sez. V, 22/07/2020, (ud. 22/07/2020, dep.
10/09/2020), n. 25834, per omessa motivazione in ordine all’asserita estraneità dell’atto distrattivo rispetto alla ragionevolezza imprenditoriale, laddove non era stato esaminato funditus dal giudice di merito il carattere effettivamente pretestuoso e strumentale della copertura formale data alla concreta distrazione delle risorse facenti capo alla società.
Una certa riluttanza ad aderire all’impostazione della coincidenza tra area della tipicità delle condotte di bancarotta e "zona di rischio penale” si spiega anche in ragione del convincimento per cui lo stato di crisi dell’impresa determina solo un aggravamento degli obblighi gravanti sull’imprenditore in relazione agli atti di disposizione dei beni dell’impresa stessa (e anche con riferimento agli obblighi sanzionati penalmente), non certo un dovere d’astensione generalizzato.
Ciò significa che, anche quando l’impresa è in bonis, gli atti di disposizione contrari alle regole della diligenza imprenditoriale e lesivi della funzionalità economica dell’impresa rilevano comunque a titolo di bancarotta, indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano cagionato un danno “permanente” al patrimonio dell’impresa e che abbiano avuto efficacia causale sul futuro stato d’insolvenza.
Ne consegue che le distrazioni assumono rilevanza non tanto per via del pericolo concreto arrecato agli interessi dei creditori (o, almeno, non esclusivamente), ma poiché costituiscono atti contrari agli interessi dell’impresa145.
Del resto, la prova del “pericolo concreto”, nelle ipotesi di “distrazione” di beni dai fini propri dell’impresa, svincolata da saldi criteri cui ancorare la tipicità della condotta (come, ad esempio, il superamento di soglie quantitative), può risolversi in una probatio diabolica, e non è un caso che la giurisprudenza cerchi di sopperire alla difficoltà di un tale accertamento ora enfatizzando la circostanza che la distrazione sia commessa nell’immediatezza del fallimento, ora postulando che la realizzazione di tale pericolo concreto si evinca da non meglio precisate “caratteristiche obiettive” della condotta distrattiva stessa oppure ancora richiedendo che la distrazione abbia cagionato un danno permanente (un permanente segno meno) al patrimonio dell’impresa sino al momento del fallimento146.
Non si può pertanto concepire in capo al gestore dell’impresa un dovere di conservazione della garanzia patrimoniale, come se quest’ultima fosse un’entità patrimoniale statica a copertura delle obbligazioni assunte147. Anche in relazione all’assunzione di obbligazioni da parte del “privato”, del
145 È questa la concezione espressa da PIOLETTI, Danno, pericolo e condotta tipica nella bancarotta, in Diritto penale e
processo, 3, 2018, p. 389.
146 È il caso, tra l’altro, anche di Cass. pen., sez. V, n. 17819/2017, Palitta, cit.
147 L’imprenditore non deve “conservare” il patrimonio dell’impresa, i suoi “beni (e neanche il valore degli stessi), come
se fosse un depositario di questi ultimi, ma deve, invece, investire i beni stessi, ossia deve garantire che l’impresa operi come istituzione che produce ricchezza o profitto. In ciò risiede la “garanzia” che egli offre ai creditori. Muovendosi nell’ottica secondo la quale il disvalore della bancarotta sarebbe da individuare nella “diminuzione della garanzia” quale “evento pregiudizievole ai creditori”, SANTORIELLO, Spunti per una delimitazione degli atti di gestione del patrimonio
aziendale qualificabili come bancarotta fraudolenta, in Società, 2017, p. 1033 ss., ritiene che si possa rinvenire uno stretto
parallelismo fra la ratio della bancarotta e quella della revocatoria fallimentare. Lo scopo che sottende la previsione di bancarotta, però, non è l’impedimento della lesione della garanzia patrimoniale, ma, invece, l’impedimento del compimento di atti pregiudizievoli nei confronti degli interessi dell’impresa; tale scopo è diverso da quello che informa la revocatoria che è esclusivamente finalizzata al recupero di beni fraudolentemente sottratti alla garanzia patrimoniale oppure di pagamenti preferenziali operati durante la fase di crisi d’impresa. La revocatoria fallimentare riguarda la procedura esecutiva satisfattiva mentre, invece, la bancarotta rappresenta la normativa finora (finché la fattispecie
resto, si deve ammettere la possibilità che queste ultime vengano adempiute in base alla ragionevole possibilità di pagamento mediante entrate future.
Ciò vale ancora di più in relazione alle obbligazioni contratte dall’impresa, la quale è titolare di un “patrimonio investito” e, come tale, opera nel “flusso del credito”, ossia attraverso la necessaria anticipazione di una ricchezza futura la quale viene costantemente prodotta dall’impresa stessa. Per tale motivo l’ordinamento si preoccupa che il patrimonio dell’impresa sia effettivamente destinato alla produzione di ricchezza, sanzionando, attraverso le fattispecie di bancarotta, le “distrazioni” dello stesso, ossia l’impiego del patrimonio d’impresa per scopi estranei e contrastanti con quelli tipici dell’impresa stessa. È la “salute” dell’impresa - la sua redditività - la vera e propria “garanzia” della sua “bonitas”, ossia dell’adempimento delle obbligazioni che l’impresa, con continuità, assume. L’operazione patrimoniale contraria alle regole della buona gestione della stessa (le Business
Judgment Rules148) costituisce certamente una condotta pericolosa nei confronti degli attuali ma
anche dei futuri e non ancora determinati creditori (una “massa”, quindi, non ancora esistente in quanto tale) nella misura in cui incrementa la possibilità che l’impresa si renda in futuro insolvente, ma anzitutto integra (e, per tale ragione, è sottoposta a pena), una condotta dannosa nei confronti della funzionalità economica dell’impresa.
Ed è proprio in virtù di tale implicito presupposto che forse si spiega la perdurante tendenza della giurisprudenza a ricondurre l’atto “distrattivo” in sé e per sé inteso allo schema della bancarotta fraudolenta anche quando l’impresa è ancora in bonis ed anche quando la stessa condotta di distrazione non abbia cagionato lo stato d’insolvenza e il successivo fallimento.
Una volta condotta l’analisi in questi termini, è forse più agevole cogliere le ricadute sul piano della descrizione del fatto tipico.
Sebbene, quindi, la giurisprudenza in modo costante e retorico affermi che il baricentro attorno a cui ruota la tutela penale deve essere individuato nella garanzia patrimoniale dei creditori, la fattispecie, come rimodellata anche alla luce degli indici di fraudolenza, sembra invero dischiudere una proiezione offensiva ulteriore e complementare.
Il riferimento alla rete di cointeressenze, così come l’insistenza sulla conformità a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, si presta quindi a veicolare una prospettiva di tutela di tipo
d’infedeltà patrimoniale non verrà configurata in maniera tale da potersi sostituire quale garanzia dell’“ambito di tutela” attualmente presidiato della bancarotta) fondamentale per poter assicurare la corretta gestione dei beni d’impresa.
148 L'espressione “Business Judgment Rule” è stata coniata dalla giurisprudenza statunitense, nel tentativo di ricostruire
un judicial restraint, ovvero un limite all'equo apprezzamento del giudice in ordine al comportamento degli amministratori nelle scelte imprenditoriali. Nella dottrina di common law cfr., ad esempio, SHADE -EPSTEIN, Business
Structure in Nutshell, St. Paul, Minn., 2003, p. 209; MANNING, The Business judgment rule and the Director's duty of
istituzionale, quale la conservazione dell’impresa come istituzione produttiva, che implica l’osservanza delle regole di corretta gestione imprenditoriale.
il concetto di finalità d’impresa, nella sua incomprimibile indeterminatezza, diventa allora un parametro integrativo, ultroneo rispetto al piano della tipicità legale, con cui sceverare la rilevanza penale del fatto, la valvola di sfogo attraverso cui esprimere una visione deontologica o istituzionale o dirigistica dell’attività d’impresa149, formalizzando così una sorta di statuto etico dell’imprenditore
commerciale150.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, si evince che la “gestione” interpretativa del formante giurisprudenziale, pur favorendo una più feconda interazione tra tipicità e offensività delle fattispecie di bancarotta fraudolenta, lascia comunque dei nodi irrisolti e non risulta pienamente convincente in tutte le sue complesse implicazioni.
A questo punto, se è vero che i reati fallimentari “sono venuti su come piante selvatiche fuori dal recinto coltivato dai giardinieri del diritto penale”151, conviene forse chiedersi se non possa essere
proprio il padrone di casa (fuor di metafora, il legislatore) ad intervenire a delimitare la corretta estensione del suo dominio.