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Spunti per una delimitazione temporale delle condotte di bancarotta: lo stato di crisi quale presupposto implicito della fattispecie?

Una interessante chiave di lettura sul piano dommatico potrebbe emergere proprio recuperando quel senso nascosto, quella precipua esigenza cognitivo-sistematica sottesa a quella giurisprudenza fermamente orientata ad attrarre la sentenza dichiarativa nell’orbita concettuale della tipicità.

Del resto, nella sua primigenia espressione152, l’attribuzione di un’efficacia qualificante alla sentenza

dichiarativa, diveniva servente rispetto ad un preciso obiettivo: la creazione del presupposto concorsuale, a sua volta disvelatore di una definita oggettività giuridica e foriero di una sensibile limitazione alla ‘zona di rischio penale’.

149 Un’eco lontana (ma non troppo) di tale prospettiva può forse ravvisarsi in un recente precedente di legittimità (Cass.

pen., sez. V, 14/06/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 07/11/2018), n.50495), con cui è stata confermata la penale responsabilità dell’imputato, reo di aver acquistato derivati, noncurante del fatto che l'accettazione di tale incauto consiglio da parte della banca e la conseguente prosecuzione dell’operazione avrebbe integrato una condotta priva di ragionevole giustificazione per gli interessi aziendali ed idonea a mettere a rischio l'integrità del patrimonio societario. Non può non rilevarsi, al di là delle valutazioni di merito, una certa attitudine censoria nei confronti di una operazione economica presuntivamente non raccomandabile o inopportuna.

150 Riproponendo, forse in una nuova accezione, quella “contraddizione etica” di cui parlava DONINI, Per uno statuto

costituzionale dei reati fallimentari. Le vie d’uscita da una condizione di perenne “specialità”, in Jus, 2011, p. 4 ss.

151 CARNELUTTI, Recensione a Nuvolone: il diritto penale del fallimento, in Riv. dir. proc., 1956, p. 254.

Ma ad analogo, essenziale 153 risultato può pervenirsi mediante una attenta valorizzazione

dell’oggettività giuridica e del quadro extrapenale di contorno, che illuminino – fissato nel pericolo concreto il paradigma di riferimento – i due nuclei di disvalore della fattispecie, di condotta e di contesto, tra loro inscindibilmente avvinti154.

Si tratterebbe, invero, di prendere atto di un limite imposto da ragioni di coerenza sistematica, immancabilmente segnalate dalla dottrina più attenta nel rapporto con il fronte civilistico: se la bancarotta si inserisce in una tutela preventiva dei diritti di credito, composta in prima battuta da strumenti privatistici (in primis, le azioni revocatoria e surrogatoria, ma anche l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2394 c.c.) che si organizzano sulla potenziale insufficienza del patrimonio del debitore (quindi su una situazione di difficoltà del soggetto obbligato), “un’esigenza di proporzione le vieta di debordare dai confini tracciati dai più blandi rimedi civilistici”155.

Lo confermano, del resto, le riflessioni della dottrina civilistica in ordine all’incidenza della crisi sugli obblighi (e la correlativa responsabilità) dell’organo amministrativo – “in funzione del più oculato impegno gestorio comportato in particolare dalla scelta della via da percorrere per affrontarla”, anche attraverso le soluzioni di risanamento basate sulla prosecuzione dell’attività -, i quali assumono “addirittura una diversa conformazione, dipendente dall’obbligo (fino ad allora inedito) di gestione conservativa del patrimonio sociale (…), determinandone una curvatura liquidatoria”156, e che

affiorano oggi sul terreno legislativo per il tramite del nuovo art. 2086, comma 2, c.c.157.

Mentre, infatti, in condizioni di equilibrio le scelte gestionali sono civilisticamente orientate, nel rispetto dei limiti di legge, dall’interesse dei soci, in presenza di rischi per la continuità aziendale (cioè di crisi) assume peculiare rilievo anche l’interesse dei creditori: la sintesi del potenziale

153 La stessa dottrina critica con l’impostazione di Nuvolone ne riconosce, obiettivamente, in tal senso, il merito di fondo:

cfr. PEDRAZZI, Riflessioni sulla lesività della bancarotta, cit., p. 991-992; ID., Incostituzionali le fattispecie di

bancarotta?, cit., p. 1009-1010.

154 Analogamente, TROYER-INGRASSIA, Il dissesto come evento della bancarotta fraudolenta per distrazione: rara avis o

evoluzione della (fatti)specie?, in Società, 2013, p. 343.

155 Così PEDRAZZI, Art. 216, cit., p. 14.

156 PATTI, Crisi d’impresa e responsabilità degli amministratori di società, in Fall., 2018, p. 129-130.

157 Laddove, con disposizione provvista di immediata vigenza, vengono enucleati gli essenziali doveri dell’imprenditore

in crisi: norma di significativo valore programmatico e di sistema, ad onta della possibilità di ricavarne il portato precettivo già dall’assetto legislativo previgente, in quanto rafforzativa della posizione di garanzia dell’amministratore e univocamente correlata al “cambio di passo” preteso dall’ordinamento nei confronti dell’imprenditore in crisi, attraverso la gestione controllata dell’impresa e il vincolo di scopo impresso al patrimonio, in funzione di garanzia per i creditori.

conflitto158 (ove effettivamente praticabile) è data dalle soluzioni negoziali159, che esprimono il

“capovolgimento del normale rapporto fra interesse dei soci e interessi dei creditori.

In assenza di pericoli per la continuità aziendale (…), l’interesse (o, meglio, gli interessi) dei soci è l’obiettivo dell’agire sociale, mentre quello dei creditori ne costituisce solo un limite; in una situazione di crisi dell’impresa [ma solo allora, n.d.r.], l’interesse dei creditori sociali assume un ruolo primario e quello dei soci degrada a limite dell’azione della società”160.

Venendo ora alla possibilità di recupero a tipicità anche di condotte compiute anteriormente alla crisi, si staglia, alla base di tutto, una urgenza di razionalità complessiva che suggerisce di rispondere negativamente. Non sulla scorta di una rilettura del ruolo della sentenza dichiarativa ovvero di una conformazione della tutela su uno stampo processuale (così, invece, nell’impostazione della zona di rischio penale di Pietro Nuvolone161), o, ancora, di una pur pregevole, ma atomistica, esegesi letterale

della fattispecie; bensì, al contrario, proprio valorizzandone al massimo l’oggettività giuridica patrimoniale, nel dialogo con il complessivo sistema normativo di riferimento162.

158 Evidenzia SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Giur. comm., 2014, pt. I, p. 318-

319, infatti, che in presenza di rischi per la continuità aziendale i soci potrebbero essere propensi all’adozione di iniziative rischiose o altamente speculative (che, in caso di buon esito, potrebbero reintegrare il capitale di rischio), essendo ormai definitivamente eroso il capitale sociale e, quindi, non avendo essi ormai nulla da perdere (tali operazioni, invero, in caso di insuccesso si rivelerebbero per loro sostanzialmente neutre); al contrario, per i creditori sociali l’insuccesso di operazioni ad altissimo rischio potrebbe ridurre od azzerare la percentuale di realizzazione dei crediti.

159 Per la tripartizione della responsabilità degli amministratori in situazione di crisi, in relazione a) alla rilevazione dei

fattori di rischio per la continuità aziendale, b) all’individuazione delle soluzioni da adottare per ripristinare l’equilibrio economico/finanziario/patrimoniale e c) all’attuazione di tali soluzioni, ex aliis, PATTI, Crisi d’impresa, cit., p. 130; sostanzialmente anche RORDORF, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, p. 670 ss.; SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, cit., p. 305.

160 SACCHI, La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, cit., p. 320. Sul carattere dannoso soprattutto

per i creditori di una gestione inefficiente della crisi (perciò sfociata nella liquidazione giudiziale) DI MARZIO, (voce)

Crisi d’impresa, in Enc. dir., Annali, V, 2012, p. 523.

161 Ripresa integralmente da LA MONICA, I reati fallimentari, Milano, 1995, p. 236-237. Anche secondo PAJARDI-

FORMAGGIA TERNI DE’GREGORJ, I reati fallimentari. Le responsabilità penali dell’imprenditore nelle procedure di crisi,

II ed., Milano, 1994, p. 20, l’insolvenza si presenta come “matrice di fatto”, che diventa tuttavia “di diritto”, dei fatti di bancarotta, limitando la libera disponibilità dei beni in precedenza goduta dall’imprenditore. Muovendo dalla diversa prospettiva della “pubblica economia” come bene giuridico dei reati di bancarotta, a conclusioni non dissimili giunge MANGANO, L’impresa come bene giuridico nei reati di bancarotta, Padova, 1998, p. 5-7, secondo cui il limite di penale rilevanza delle condotte dell’imprenditore è dato dal sopravvenire dello stato di insolvenza, che impone una destinazione dei beni anche in vista del soddisfacimento dei creditori (dunque della tutela della garanzia) e del rispetto della par

condicio.

162 Secondo MASULLO, La sentenza dichiarativa di fallimento è condizione obiettiva di punibilità, cit., p. 1159, la

concretizzazione dell’offesa tipica della bancarotta preconcorsuale data dallo stato di insolvenza è comprovata dall’art. 238, che consente l’esercizio anticipato dell’azione penale proprio sulla scorta di uno stato di insolvenza attuale; sembra, tuttavia, che con l’art. 238 la legge semplicemente anticipi la valutazione di opportunità dell’intervento punitivo (l’espulsione dell’impresa dal mercato) al suo presupposto sostanziale (l’insolvenza irreversibile), non ancora formalizzato nel relativo provvedimento giurisdizionale (la sentenza dichiarativa), piuttosto che deporre nel senso dell’ambientazione delle condotte in contesto di crisi o di insolvenza.

Solo ricostruendo questo dialogo sovviene all’interprete un ulteriore elemento costitutivo – implicito: lo stato di crisi dell’impresa163 -, che qualifica ab origine la verifica di offensività concreta della

condotta, disegnandone – con felice espressione – l’“humus offensivo”164.

In questa più ampia cornice trovano appropriata sistemazione dogmatica i tentativi della migliore dottrina penalistica – senz’altro nella sostanza meritevoli di condivisione – di perimetrare la rilevanza temporale delle condotte di bancarotta, risalenti nelle prime formulazioni addirittura a Giacomo Delitala: “se durante lo stato di equilibrio economico o di solvenza il debitore può disporre delle sue sostanze solo in quanto non restino pregiudicate le ragioni dei creditori, una volta sopravvenuto lo stato di squilibrio economico o di insolvenza, qualunque successivo atto di disposizione è, senza alcun dubbio, illegittimo, dacché si è manifestamente sorpassato il limite, entro il quale il debitore conserva la facoltà di disposizione”165. Non dissimile nelle conseguenze pratiche, ancora, il pensiero di Cesare

Pedrazzi, allorquando, con il consueto acume, ammette che “è (…) innegabile che la preesistenza di una situazione di crisi aziendale fornisce un’indicazione di imponente rilevanza: quando già si prospetti un’insufficienza della garanzia, qualunque diminuzione dell’attivo risulterà ipso facto lesiva. Il discorso vale anche per il dissesto non ancora in atto, ma che si profili all’orizzonte come eventualità non trascurabile: ogni volta che l’impresa attraversi un periodo di difficoltà di esito incerto, su dimostrano concretamente lesive le manipolazioni patrimoniali atte a far precipitare la situazione, o anche solo ad aggravare un dissesto che potrà derivare da cause incolpevoli”166; fermo restando che

l’attualizzazione della lesività non s’avvera, ex post, misurando gli effetti della condotta al tempo della declaratoria giudiziale, ma ex ante, al momento del comportamento tipico, attraverso la valutazione sinergica della pericolosità dell’atto di disposizione e del contesto in cui lo stesso è compiuto, dal quale dunque non può normativamente (e non solo in via puramente fattuale)

163 Peculiare la proposta di SANDRELLI, Riflessi penalistici della riforma del diritto fallimentare, in Diritto penale

fallimentare. Problemi attuali, a cura di Pisani, Torino, 2010, p. 49-50: l’Autore, infatti, individua l’insorgenza della

‘zona di rischio penale’ nella norma del c.c., infine abrogata dalla riforma del 2003, con cui si imponeva agli amministratori, comminando apposite sanzioni penali, l’adozione di determinati provvedimenti in caso di perdita oltre il terzo del capitale sociale.

164 Così, con riguardo all’insolvenza, quale situazione di rischio qualificato entro cui le condotte si colorano di disvalore

penale, PISANI, Attualità dell’offesa e “zona di rischio penale”, cit., p. 8, pur nella diversa opzione per la teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento.

165 DELITALA, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, ora in ID., Raccolta degli

scritti. Diritto penale, vol. II, Milano, 1976, p. 712. Sulla stessa linea le riflessioni di Alberto Alessandri, che rileva come

la bancarotta “presuppone una situazione deteriorata, di squilibrio che diviene strutturale per giungere al dissesto e all’insolvenza. (…) Il momento in cui la libertà di disposizione dei beni trova un suo limite invalicabile, in forza del precetto penale, è quello in cui il patrimonio disponibile si avvicina alla soglia minima necessaria per il soddisfacimento delle pretese creditorie o addirittura la raggiunge. In questa congiuntura, le pretese dei creditori sono presidiate dalle norme penali [concorsuali, n.d.r.], sempre che intervenga la sentenza dichiarativa”: ALESSANDRI, Diritto penale

commerciale, vol. IV, I reati fallimentari, Torino, 2019, p. 43.

prescindere167. Comune, del resto, è il tratto prognostico che accomuna entrambi i momenti, riflesso

dal dinamismo dell’impresa: se, nel verificare la sussistenza della crisi, il giudice dovrà riportarsi al tempo della condotta per appurare, con prognosi postuma, se la situazione aziendale presentasse un disequilibrio suscettibile ove non gestito di evolvere (a prescindere dagli effetti del comportamento contestato all’agente) in irreversibile insolvenza, a marcare l’offensività dell’atto di disposizione è il pericolo concreto, da valutarsi con analogo giudizio di prognosi postuma, per l’integrità della garanzia. Né tale conclusione si porrebbe in contraddizione con la ravvisata preclusione, per il giudice penale, di rivisitare i presupposti (tra i quali, segnatamente, l’insolvenza) che hanno condotto il Tribunale all’apertura della procedura di liquidazione; al netto della possibile diversità tra le due forme di “insolvenza” (la situazione che ambienta le condotte potendo non assumere i crismi dell’irreversibilità), altro è l’insolvenza quale presupposto della declaratoria, altro invece è l’insolvenza risalente ad un tempo precedente rispetto alla pronuncia giudiziale, che vale a colorare le condotte: si tratta, infatti, di assetti di cognizione diversi, in cui il vaglio del giudice penale si orienta su questioni ben distinte da quelle devolute al giudice civile168.

Ne consegue, quindi, un significativo corollario, che vale a saldare la prospettiva dell’offensività concreta con il limite cronologico appena tratteggiato: come una diminuzione patrimoniale compiuta in situazione di floridezza economica non s’inquadrerà nel tipo della bancarotta preconcorsuale (difettando il presupposto della condotta), così un atto dispositivo realizzato in situazione di crisi (non gestita con i creditori) non refluirà, per ciò solo, nello schema distrattivo, dovendosi comunque indagare – in concreto – che quell’atto sia anche pericoloso (ad es., in relazione alla tipologia di beni distratti, al valore economico, alla sussistenza di corrispettivi, ecc.) per la garanzia patrimoniale169.

Esclusa questa presunzione, è peraltro innegabile, in linea tendenziale, la pericolosità di manipolazioni patrimoniali perfezionate nonostante il rischio d’insolvenza170; ma la semplificazione

probatoria che ne deriva risulta largamente compensata dall’accresciuto tasso di determinatezza della fattispecie.