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Un rapporto segreto di Stefano Jacini al Conte di Cavour sul Monte

Lombardo-Veneto.

N el 1857, Stefano Jacini, poco più che trentenne — era nato a Casal- buttano (Cremona) il 20 giugno 1826 — godeva già di una certa fama, oseremmo dire, di una incipiente celebrità, presso gli studiosi di agraria e di economia politica. Il suo lavoro su « La proprietà fondiaria e le popo­ lazioni agricole in Lombardia », dopo aver vinto nel ’53 il concorso indetto dalla « Società d’incoraggiamento alle scienze, lettere ed arti » di Milano (in gara con un altro magistrale saggio di Carlo D e Cristoforis), aveva già avuto l’onore di tre edizioni, e fruttato all’autore, colla nomina a membro effettivo dell’Istituto lombardo ed a membro corrispondente dell’Aecade- mia dei georgofili di Firenze, i rallegramenti di uomini insigni, come il Ri- dolfi e il Ferrara in Italia, il Courcelle-Seneuil, il Lavergne in Francia, il Laveleye nel Belgio, lo Czòrnig in Austria, il Gladstone in Inghilterra, ed altri molti. Era bastato un altro suo piccolo e meno noto opuscolo su « gli interessi cremonesi e lombardi nella questione delle strade ferrate », pub­ blicato nel ’56, per indurre il governo austriaco, pur così lento e tenace nelle Sue decisioni, a modificare sensibilmente il tracciato già fisso della co- struenda rete ferroviaria della V alle Padana. Le letture del Jacini all’Istituto lombardo, che pure costituivano, come altrove abbiamo documentato (1), una netta affermazione d’indipendenza nazionale, avevano attirato l’atten­

t i ) Cfr. S. Jacini, Un conservatore rurale della nuova Italia. 2 voli., Bari, Laterza, 1926, in cui molte delle vicende qui narrate sono particolarmente descritte; I, 67 sgg.

206 STEFANO ìA C IN I zione dell’arciduca Massimiliano, e lo dovevano indurre l’anno successivo ad offrire al giovane economista l’incarico di un'inchiesta sulle condizioni della Valtellina; incarico che il nostro avrebbe tranquillamente accettato e svolto in modo, per comune consenso, mirabile, attirandosi da un lato nuovi plausi da parte degli economisti liberali stranieri, ma dall’altro le ire della contessa Chiarina Maffei e del costui cenacolo, e andando quasi a rischio di esserne espulso come « massimilianista », alla stregua di un Cesare Cantù 0 di altri simili elementi, improvvidamente conciliatori.

Ma vi erano uomini, in Italia ed all’estero, che vedevano più a fondo nelle cose. Fin dal 20 maggio 1856, G. Harris, console generale d’Inghil­ terra a Venezia, si era rivolto al Jacini chiedendogli un pro-memoria riser­ vato (che sappiamo essere stato redatto, ma del quale, p ota cause, non ri­ mane traccia) intorno alla situazione economico-commerciale del Lombardo- Veneto. Due anni più tardi, lo stesso funzionario britannico avrebbe con­ dotto l’ex ministro tory lord Malmesbury a lungo colloquio in casa del no­ stro; mentre, fra i wìghs, il Gladstone doveva, nei primi mesi del ’59, lar­ gamente utilizzare per i suoi celebri articoli italiani della Ouarterly Review 1 lavori summenzionati del Jacini, contenenti, a suo dire, « constatazioni accuratamente ragionate e specificate, senza alcuna infusione di passioni e di invettive » da parte di un gentiluomo « di alta posizione e intelligenza » ; ossia proprio quella sorta di testimonianza sulla quale il pubblico inglese poteva «discretamente riposare». Onde non è esagerato affermare che gli studi economici del Jacini, insieme con quelli politici del Farini e del Sal- vagnoli, e con quelli tecnici di Valentino Pasini e di altri, abbiano avuto non piccola parte nel determinare quel profondo rivolgimento dell’opinione pubblica britannica, che, dall’avversione alla causa italiana, così diffusa in ogni ceto prima del ’59 e tipicamente espressa nei diari della Regina V it­ toria, doveva giungere all’approvazione, più o meno entusiastica a seconda delle diverse sfumature politiche, della protezione accordata nel 1860 da lord John Russell alla spedizione dei mille.

Fra gli italiani, ottimo conoscitore delle cose nostre era, in quegli anni, indubbiamente il Cavour; il quale seguiva con ansiosa attenzione le cor­ renti dell’opinione pubblica in Lombardia, e ne era tenuto a giorno :di con­ tinuo, ad opera degli emigrati lombardi e di quei patrioti — uomini e donne — che sotto l ’uno o l’altro pretesto varcavano il Ticino, facendo la spola tra Milano e Torino — primo e più autorevole fra tutti Cesare Giulini della Porta — ; mentre, dalle notizie in tal modo raccolte, il ministro si valeva con sottile abilità per agire sull’opinione pubblica d’oltralpe,

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UN RAPPORTO SEGRETO 207 mente sulla stampa e sul governo francese. Il suo scopo, in tale scherma­ glia, era triplice: a) anzitutto, nella dannata ipotesi che la questione ita­ liana dovesse trattarsi e risolversi sul terreno diplomatico, apprestare i ma­ teriali atti a dimostrare l ’intollerabilità della dominazione austriaca nel Lombardo-Veneto; b) per contro, nella ipotesi auspicabile di una guerra vittoriosa, predisporre la futura amministrazione delle nuove provincie per modo, die non sembrasse importata ed imposta dal di fuori, ma quasi con­ naturata all'indole loro; che non distruggesse quanto di buono l'ammini­ strazione austriaca aveva fatto, e soprattutto non desse luogo, specie nel ceto rurale, a recriminazioni od a rimpianti, in così gravi momenti oltre­ modo inopportuni, e che i nemici d’Italia avrebbero potuto sfruttare a no­ stro danno; c) subordinatamente, impedire che l’Austria, nelle future trat­ tative di pace, si valesse della sua superiore conoscenza delle istituzioni del Lombardo-Veneto per danneggiare gli interessi delle popolazioni redente insieme con quelli dello stato vincitore.

Orbene, la buona contessa Maffei e gli uomini del Crepuscolo, allor­ ché così aspramente criticavano il Jacini per aver accettato un invito del­ l’arciduca, si sarebbero oltremodo stupiti se avessero potuto sospettare che proprio in quegli stessi mesi il nostro, senza chiasso, prendeva risolutamente posto fra gli informatori segreti del Cavour.

I documenti che Stefano Jacini inviò in tale qualità a Torino fra il '57 e il ’59 furono, a quanto ci risulta, quattro.

Del primo non abbiamo che vaghe notizie. Doveva trattarsi di una memoria in francese intorno alla situazione del governo austriaco nel Lom­ bardo-Veneto, da utilizzarsi in via diplomatica; memoria che il Jacini dettò con grande premura nel 1857 ed inviò a Torino, dopo averla fatta tradurre in francese dall’amico prof. Giuseppe Arnaud. D el contenuto di essa nulla sappiamo, ad eccezione di quanto ebbe a dircene lo stesso Jacini in una let­ tera al Pungolo del 14-15 settembre 1880; fortunatamente però, la maggior parte dei dati che servirono al nostro in detta occasione vennero da lui stesso utilizzati per un’altra memoria richiestagli nell’aprile del ’59 da Sir James Hudson, ministro d’Inghilterra a Torino, e dal Jacini comunicata preventivamente al Cavour; della quale ci rimangono almeno due copie, una all’archivio di Stato di Torino (2) e un’altra, — nella doppia redazione italiana e francese — nell’archivio Jacini a Casalbuttano.

(2) Fascicolo di pagg. 56: «S u r la situation administrativo et Anancièrc des provinces italiennes de l'Autriche au commencement de Fannie 1859 » • Lombardie, le 15 avril 1859. Carte Cavour, mazzo Lombardo-Veneto, N . 3). Lo scrivente ne pubblicò un largo riassunto nel citato lavoro Un conservatore ccc., I, pag. 86 sgg.

208 STEFANO ] ACINI N ell’inverno 1858-59, pel tramite del Giulini, il nostro inviò al Ca­ vour altre due memorie, così da lui stesso descritte in una lettera indiriz­ zata, subito dopo la liberazione della Lombardia, al gabinetto del conte di Cavour, nella speranza, rimasta allora delusa, di ricuperarne il testo; la prima doveva trattare « delle risorse economiche della Lombardia e del modo di meglio trarne profitto per la causa nazionale » ; la seconda « del debito pubblico nel Lombardo-Veneto, considerato nel suo sviluppo e nella sua condizione presente ». Alla prima si riferisce, senza dubbio, la seguente lettera di Cesare Giulini al Cavour, in data 22 gennaio 1859 (3 ):

« Quando fui ultimamente a Torino il signor Correnti e il signor conte Oldo- fredi mi dissero che l'E. V. desiderava di avere delle notizie finanziarie sulla Lom­ bardia e più ancora delle informazioni sui prodotti agricoli del paese e le scorte di esso, e ciò nella vista di approvvigionamenti militari. Reduce a Milano mi occupai subito della cosa e trovai che per aver le notizie più esatte conveniva rivol­ gersi a persona competente. £ questi il signor Stefano Jacini, nome che certo Le è noto per importanti pubblicazioni. Oltre alla specialità degli studi. Egli ha per informarsi un privilegio, ed è che in occasione di un lavoro sulle condizioni delia Valtellina commessogli dal Governator generale, ebbe dalla Luogotenenza il per­ messo di far ricerche n«’ dicasteri, ed è quindi il solo de’ nostri amici che possa attingere alle fonti ufficiali le più diverse. Udito il desiderio di V. E., il signor Jacini prese ben volentieri l'incarico e mi consegnò poc’anzi la memoria che unisco. Mi pare che sia molto importante e che si avvicini possibilmente all’esattezza dei dati quando non può garantirli come precisi. Se occorrono de’ complementi o delle dilu­ cidazioni, abbia l’E. V. la compiacenza di farmelo sapere e si metterà il massimo impegno a soddisfarla.

«11 signor Jacini però domanda il massimo segreto; siccome la memoria è di suo pugno, così prega di volerla far copiare e distruggere l’originale ».

Al medesimo lavoro allude certamente il Massari, quando nel suo dia­ rio (4 ) sotto la data del 28 gennaio 1859, scrive: « a lle tre pom. vado dal conte Cavour al ministero degli affari esteri. È assai contento di un lavoro di Jacini sulla Lombardia ». Il quale giudizio ci fa doppiamente rimpian­ gere che la memoria in parola debba, allo stato degli atti, considerarsi smar­ rita. Esiste infatti, nel medesimo archivio di stato torinese, una lettera al Cavour, in data 20 marzo, a firma dell’avvocato Francesco Guglianetti (il quale, dalla prima alla nona legislatura, fu deputato di Novara II e di vari altri collegi); con detta lettera il Guglianetti chiede al conte comunicazione

(3) R. Archivio di Stato, Torino.

(4) Giu s e p p e Ma ssa r i, Diario 18S8-60 sull’azione politica di Cavour, ay cura di G. Bcltrami, Cappelli, Bologna, s. d., pag. 178. / j'

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U S RAPPORTO SEGRETO 209 dello scritto del nostro, affermando di doversene servire per la compila­ zione di un memoriale sulle requisizioni militari, commessogli dal conte medesimo. £ pertanto probabile che, avuta comunicazione del lavoro, il Guglianetti non siasi creduto in obbligo di restituirlo al ministero; e che dunque la memoria, se pure esiste, sia oggi sepolta in qualche archivio fa­ migliare. Auguriamoci che basti il presente accenno a trarnela fuori! Ad ogni modo, è sicuro che detta memoria del Jacini non è identificabile con un altro scritto voluminoso, « sull’amministrazione austriaca della Lombardia » che figura pure, anonimo, fra le stesse carte dell’archivio di stato torinese, contrassegnato col N . 7 ; lavoro di ben 69 colonne, non di mano del nostro e comunque redatto in un tono arido e scolastico, troppo discordante dal­ l ’agile e nervoso stile di lui.

Veniamo ora all’ultimo degli scritti sopra ricordati, ossia a quello in­ tegralmente pubblicato qui appresso, e il cui rinvenimento ha dato occa­ sione al presente articolo. Trattasi di un lavoretto di 31 pagine manoscritte, intitolato: « I l monte Lombardo-Veneto. Promem oria». Non reca nè data nè firma; ma è di mano del Jacini, e quanto alla data, possiamo arguirla da quest’altra nota del diario Massari (8 marzo 1859) (5 ): « la signora Elena (Litta).... che giunge da Milano.... mi ha pure recato un pacco di lettere di Giulini : ce n’è una per il conte Cavour, con una memoria di Jacini sul debito pubblico in Lombardia. Cosa confidenzialissima ». Confidenzialis­ sima era infatti, come potrà convincersene il lettore; e tale che, se la po­ lizia austriaca avesse potuto metterci sopra le mani, ed individuarne l’au­ tore, questi avrebbe probabilmente passato un brutto quarto d’ora. Gli scritti che fanno paura ai governi tirannici non sono mai le declamazioni, per infiammate che siano, dei retori; ma le requisitorie spassionate, dense e positive; e tale è senza dubbio la memoria del Jacini, in quanto documenta in modo irrefragabile il malgoverno fatto dall’Austria del debito pubblico del Lombardo-Veneto fin dai primi tempi della propria gestione, ossia fin dal 1814; e la vera dilapidazione compiutane fra il ’48 ed il ’59; dimo­ strazione supplementare, se pure ancora ne fosse sussistito il bisogno, di quanto fosse falsa l'affermazione, ad arte diffusa in tutta Europa, secondo la quale il solo appunto che gli abitanti del Lombardo-Veneto potessero rivolgere contro la dominazione austriaca consisteva esclusivamente nell’es­ sere quella una dominazione straniera.

La sagacia scientifica e la portata politica delle sobrie parole del Ja ­ cini non sfuggirono certo al conte di Cavour; egli anzi diede prova di averne

210 STEFANO ¡ACINI apprezzato tutto il valore, allorché risalendo al potere il 16 gennaio 1860 e combattendo colla sua imperiosa bonomia le riluttanze del giovane lom­ bardo, lo volle a tutti i costi ministro delle finanze; e in seguito alla di lui recisa ripulsa, insistette per affidargli almeno — come di fatto gli affidò — il dicastero dei lavori pubblici; preferendolo così ai brillanti patrioti da salotto, che due anni innanzi si erano tanto sbizzarriti a blaterare sul suo conto.

Il Jacini che, per ovvi motivi, non aveva conservato la minuta del pro­ prio lavoro, ne fece ricerca come si è detto nei primi mesi dopo la libera­ zione della Lombardia, con lo scopo, evidentemente, di pubblicarlo; e, non avendolo rinvenuto, lo ritenne smarrito. Egli indusse così nell'errore anche noi, suoi discendenti e biografi (6). Ma a richiamarci alla realtà intervenne un’opportuna, gradita segnalazione di Alessandro Luzio, mentre era ancora sovraintendente dell’archivio di stato di Torino. Il testo, che qui appresso pubblichiamo, ci venne di recente comunicato, con perfetta cortesia, dal conte Giancarlo Buraggi, attuale sovraintendente; il quale si munì a tal uopo della necessaria autorizzazione della Commissione reale per i carteggi cavouriani; all’uno ed all'altra i nostri vivi ringraziamenti.

I tecnici apprezzeranno il valore di questo promemoria dal punto di vista della scienza economica. A noi è sembrato utile segnalarlo, in quanto illustra un aspetto poco noto della accuratissima preparazione cavouriana alla vittoriosa campagna liberatrice del 1859.

Erba, settembre 1936.

St e f a n o Ja c i n i.

A lle parole introduttive del nipote e biografo di Stefano Jacini ag­ giungo, col cortese suo consenso e quasi invito, una nota sommaria sul va­ lore tecnico del rapporto Jacini. Non sappiamo con precisione se esso sia stato tenuto presente dai due commissari sardi cav. Francesco Luigi Des Ambrois de Nevache e cav. Alessandro Jocteau nelle discussioni le quali ebbero luogo a Zurigo per la determinazione dell’ammontare del debito pubblico che, essendo giudicato spettante alla Lombardia, doveva essere as­ sunto dallo stato successore.

N ella relazione che accompagnava il progetto di legge presentato alla camera elettiva nella tornata del 12 aprile 1860, per la convalidazione del

(6) Cfr. il citato lavoro: Un conservatore rurale, I, H4.

UN RAPPORTO SECRETO 211 r. decreto 1“ dicembre 1859 relativo ai due trattati conchiusi, il primo tra la Sardegna e la Francia e il secondo tra la Sardegna la Francia e l’Austria, sottoscritti ambidue a Zurigo il 10 novembre 1859, il conte di Cavour, mi­ nistro per gli affari esteri, poneva lapidariamente i principii della riparti­ zione del debito pubblico fra stato ii quale cede e stato il quale acquista territorio. O la Lombardia poteva essere considerata « paese di conquista », ed avrebbero dovuto cadere a suo carico i soli debiti provinciali, quei de­ biti cioè che potevano chiamarsi speciali al paese e inerenti al territorio. Ovvero essa era ceduta in virtù di componimento internazionale e sorgeva in tal caso la questione se lo stato successore non dovesse assumere una quota del debito generale dell’impero, di cui essa faceva parte. G li stati sono grandi associazioni, i cui membri, quando vengono a rompersi i vin­ coli sociali, debbono naturalmente dividere i benefizi e i carichi del corpo intiero. La base più giusta e più semplice di tal divisione, dovrebbesi de­ sumere o dalla popolazione o combinando insieme i due elementi della po­ polazione e della ricchezza.

Il conte di Cavour forse propendeva, nel caso della Lombardia, al prin­ cipio del « paese di conquista ». Occupata dalle armi alleate di Francia e di Sardegna, la Lombardia era stata il prezzo di ripetute vittorie. Riguardi alla alleata francese in seguito ad un verbale affidamento dato, a quanto sembra, da Napoleone III al ministro degli affari esteri austriaco, avevano consigliato il governo sardo del tempo, di cui il conte di Cavour non faceva più parte, a non insistere sulla teoria della conquista e ad accettare il prin­ cipio che, in aggiunta alla quota lombarda del Monte lombardo-veneto, lo stato successore dovesse accollarsi una parte del debito pubblico generale austriaco. La difesa sarda contro le pretese austriache ripiegava così su po­ sizioni arretrate, che il rapporto Jacini dimostra non meno solide.

I negoziati ebbero diverse fasi. Una prima tesi austriaca faceva appello al precedente della ripartizione del debito pubblico del Regno d’Italia in virtù del trattato di Vienna del 1815, quando la ripartizione ebbe luogo in funzione composta della popolazione e della ricchezza. Poiché la Lom­ bardia era 'lo stato più ricco fra quanti componevano l'impero, ad essa sarebbero spettati 250 milioni di fiorini (moneta di convenzione, il fiorino equivalendo a lire italiane 2,592592), sui 2286 milioni di fiorini del debito generale austriaco, oltre ai tre quinti, quota lombarda, dei 101,258,000 fiorini di debito amministrativo dal Monte lombardo-veneto. In totale 310 milioni circa di fiorini, equivalenti a 796,968,750 lire italiane d’allora ed a circa 5 miliardi di lire italiane attuali.

212 LUIGI EINAUDI L'esorbitanza del risultato costrinse la delegazione austriaca a non in­ sistere sulla cifra ed a ripiegare senz'altro dal criterio composito della po­ polazione e della ricchezza a quello semplice della popolazione. N e risul­ tava pur sempre un carico per lo stato successore di 175 milioni di fiorini per la quota del debito generale e di 60,750,000 fiorini per i tre quinti del Monte lombardo-veneto: 614 milioni di lire italiane del tempo e 3,7 mi­ liardi di lire italiane attuali.

I delegati sardi, attraverso ai plenipotenziari francesi (i negoziati ave­ vano luogo tra Francia ed Austria, i delegati sardi rimanendo nel retro­ scena), andarono subito sino all’estremo delle concessioni offrendo: i tre quinti del debito proprio al Monte lombardo-veneto e la quota del prestito del 1854 sedicente volontario ed in realtà forzato, la quale era stata attri­ buita alla Lombardia. Lo Jacini nel suo rapporto calcolava la quota lom­ bardo-veneta del prestito del 1854 a circa 200 milioni di lire austriache (173 milioni di lire italiane). Argomentavano i commissari sardi (dispaccio del 22 settembre 1859 da Zurigo del cav. Desambrois al ministro Dabor- mida a Torino) che l'Austria non poteva contemporaneamente trarre van­ taggio da due principii opposti: quello della separazione finanziaria tra la Lombardia e il resto dell'impero consacrato con la creazione del Monte lombardo-veneto e quello della fusione dei due debiti, lombardo ed impe­ riale. Pare di vedere qui un’eco della calzante dimostrazione dello Jacini. II Monte lombardo-veneto non essere un debito puramente territoriale, creato per provvedere ad esigenze locali. Erede degli antichi monti dello Stato di Milano e del Regno d’Italia, quando questi provvedevano a spese proprie di stati sovrani, oberato ripetutamente dall’Austria con debiti creati per fini generali e persino per conservare la propria sovranità minacciata dal di fuori e male accetta ai lombardi, il Monte lombardo-veneto ammi­ nistrava debiti di natura statale. Aggiungere al debito del Monte una quota parte del debito generale austriaco avrebbe dato luogo evidentemente ad un doppio di calcolo. Potevano i delegati sardi consentire ad accollare alla Lombardia la quota, già assegnata ad essa, del prestito austriaco del 1854, sebbene non amministrata dal Monte, per la medesima ragione per la quale si accettavano i debiti del M onte: la ripartizione compiuta dall’amministra­ zione imperiale medesima dell’importo totale del prestito del 1854 fra la Lombardia e gli altri stati dell’impero era nuova prova che il debito gene­ rale austriaco dividevasi in due quote: lu n a propria delle provincie lom­ bardo-venete (debiti del Monte e quota del prestito del 1854) e l’altra pro­ pria delle restanti provincie. Assumendo la prima quota, la Lombardia sod­

UN RAPPORTO SEGRETO 213 disfaceva pienamente agli obblighi finanziari derivanti dalla sua apparte­ nenza all’impero austriaco.

La tesi sarda trionfò in principio, per l’intervento personale di Napo­ leone IH ; ma, poiché i plenipotenziari austriaci tenevano duro e parlavasi

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