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Rivista di storia economica. A.01 (1936) n.3, Settembre

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^Rivista di diM ia

e c & n & t n i c a

dòletta da Hui$i Einaudi

Direzione: Via lamermore, 60- Torino. Amministrazione: Giulio Einaudi editore, Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per I' Italia L. 40. Estero l. 50. Un numero L. 12.

Anno I - Numero 3 - Settembre 1936 - XIV

Gino LuzzaltO: Per un programma di lavoro (con note

di Luigi Einaudi) ... .... Pag. 181

Stefano Ja c in i: Un rapporto segreto al conte di Cavour

sul monte lombardo-veneto Icon note introduttive di S. Jacini e di luigi Einaudi) ... » 205

Alberto Breglia: Sul significato della teoria degli sbocchi » 249

N O T E E R A S S EG N E :

Mario Einaudi : Cavour e lo sviluppo delle istituzioni

rappresentative in Piemonte . . . » 253

Luigi Einaudi : Una storia universalistica dell'economia » 258

TRA RIVISTE E ARCHIVI :

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\ ) noli siano ì problem i che dovrebbero sovratutto interessare gli studiosi italiani dt storia economica nel momento presente; ecco il problema che Gino Luzzatto di­

scute nel primo articolo. Ed egli è d'accordo col direttore della rivista, il quale aggiunge alcune note, su due punti: che il territorio da dissodare deve essere ita­ liano e che il dissodamento deve essere congiunto con serietà di intenti e con consa­ pevolezza della natura dei problemi indagati.

Il nipote di Stefano Jacini riesuma una memoria preziosa del suo avo, patriota

operoso ed economista insigne, intorno al debito pubblico lombardo-veneto del tempo della dominazione austriaca. Il problema, che si rifece vivo alla fine della grande guerra e ritornerà attuale ad ogni mutazione di territori da uno stato all’altro, è : gli stati successori quanta parte del debito pubblico dei territori trasferiti si debbono accollare? Alla appassionante disputa, una tra le tante che tenevano prima del 1839 gli animi accesi contro l’Austria, lo Jacini partecipò con l’importantissima memoria rimasta sinora sconosciuta.

Alberto Breglia solleva dubbi intorno al significalo d i una delle capitali dot­

trine economiche, quella che va sotto il nome d i teoria degli sbocchi di Gian Batti­ sta Say. L e poche pagine del Breglia sono suggestive per chiunque si interessi di storia delle dottrine economiche.

N elle note e rassegne Mario Einaudi, recensendo la nuova edizione dei discorsi

d i Cavour, mette in luce l'opera assidua del grande statista nel fare funzionare ala­ cremente il Parlamento subalpino, trasformandolo da « bottega di chiacchiere » in

organo d i eccitamento e di controllo dell’amministrazione pubblica; ed il direttore sottopone ad analisi critica una fortunatissima recente storia delle dottrine econo­ miche. D alle Riviste ed Archivi il prof. G. Bruguier trae la indicazione degli arti­

coli che dal gennaio 1933 in poi si occuparono d i storia delle dottrine economiche.

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Ol&vàtà

CòUetdòne

di dettiti

inediti o- iati

di ecónomdti

V O L U M E IN O T T A V O DI P A G IN E 200 300 E S E M P L A R I N U M E ­ R A T I L . 4 0 25 E S E M P L A R I SU C A R T A P E R U SIA DI F A B R IA N O L . 80

È

m A notissima la disputa che fra il 1566 ed il 1568 ebbe luogo fra il Malestroit ed il Bodin intorno alle cause dell'aumento dei prezzi. Il Malestroit dichiarava paradossalmente immaginario e non esìstente l’aumento ed il celebre autore del libro sulla repubblica Giovanni Bodin replicava additando, primo, nell’afflusso dell'oro e dell'argento dalle Americhe l’origine dell'aumento dei prezzi che angustiava, allora come oggi, il mondo.

Il Malestroit chiudeva i suoi « paradossi » promettendo nuove dimostra­

zioni. Ricerche condotte in archivi italiani e francesi permisero al curatore di ritrovare una memoria del 1567 del Malestroit che si può ritenere integri il celebre opuscolo del 1566. La memoria, ora pubblicata insieme con una replica contemporanea del presidente della Corte delle monete, era rimasta ignota ai dotti, anche francesi, i quali si occuparono della forse pii! celebre controversia dibattuta fin qui in materia monetaria.

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lim itò .

Thòélem

e ó iU e tH fó U u u i XIII. (Le «industrie chiavi»)

V O LU M E IN O T T A V O DI P A G IN E 2 9 4 L . 15

ROBERTO TREMELLONI

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U a iia n a

01U LIO EIN AU D I-ED ITO RE

_ l_ 1 Tremelloni ha fatto meritevole opera di divulgazione scrivendo in un momento come l'attuale questo volume semplice, alle volte brioso, ma denso di contenuto e ricco di cifre. L'A. parte da una breve analisi di storia econo­ mica, esaminando come è nata la moderna industria tessile europea. Poi s’avvi­ cina al problema nazionale studiando il sorgere e lo sviluppo della stessa industria in Italia. Quindi esamina gli effetti provocati sulla nostra industria tessile dal cataclisma della guerra e dal marasma del dopoguerra, per giungere in fine allo studio del problema contemporaneo: lo spostamento qualitativo della produzione tessile senza arrecare pregiudizio alla massa delle vendite all'interno ed all'estero.

Il Tremelloni, dopo aver avvertito che tutto si riduce ad un problema di costi, non trae conclusioni ma dà sennati contigli; quello ad esempio, di svecchiare l'industria appesantita da antichi impianti quasi tutti inutilizzati. In ogni modo egli arreca un validissimo contributo alla soluzione del problema perchè, con questo competentissimo scritto che penetra fra gli elementi per­ sonali e materiali dell’industria, orienta le forze produttive verso le mete che sono più confacenti all'interesse nazionale.

L’AMBROSIANO

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I n , fi'le fu v u u ió tte

Jhóéiemi

cOHtetnp&tanei

XIV. (Le «industrie chiavi »)

V O L U M E IN O T T A V O D I P A G IN E 2 5 0 L . 1 5

N

_L 1 el campo delle pubblicazioni petrolifere il mercato librario italiano

era rimasto in sensibile regresso rispetto a quello di altre grandi nazioni; dal 1929 non si era più pubblicata un’opera organica e seria sul petrolio, di contenuto economico-statistico e indirizzata alle persone colte, pur restando un’opera di volgarizzazione. Si sono invece avute, recentemente, delle opere importate dall'estero, a carattere giornalistico ed a tinte sensazionali che, se possono interessare il grosso pubblico, sviano i fatti e non giovano certamente alla conoscenza di uno dei più importanti problem i dell’ora.

L'Alimenti già noto in Italia e in Francia per le sue originali indagini sull’automobilismo, con stile sobrio ma vivo, offre una visione panoramica di tutti i poliedrici aspetti della materia petrolifera. Quest’opera è tanto più interessante ed ammonitrice in quanto che, — concepita durante il periodo

delle sanzioni — riflette tutto il poderoso sforzo compiuto in breve tempo

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V O L U M E IN O T ­ T A V O D I P A G I­ N E 1 8 4 L . 1 5 \ f < W ì

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B A spressione del rinnovamento degli studi volterrani il libro del ne mostra la sostanziale unità. Lontano da ogni critica sistematica e la ricchezza e la freschezza di quel pensiero, e infonde nella propria indagine un senso vivo di attualità.

So m m a r i o d e l v o l u m e: Introduzione. — IL MONDO DELL' IN D IV ID U O . — I. Il punto di partenza. — II. L'origine del male. — III. La psicologia. — LA MO­ RALE E IL D IR IT T O . — IV . La legge etica. — V . I due Voltaire. — V I. Il pro­ blema metafisico della libertà. — V IL II codice eterno del diritto naturale. — L’OR­ DINAM EN TO DELLA SOCIETÀ. — V ili. Società naturale e società civile. — IX. Cosmopoli e umanità. — X. I nemici del retto vivere civile. — IL DESPOTISM O ILLUM INATO. — XI. La giustizia e lo Stato. — X II. Critiche e riforme. — X III. I miti dell'utopia. — IL PROBLEMA DELLA STORIA. — Bibliografia. — Indice degli

Craveri studia, con ampia informazione di tutte le opere del filosofo, il pensiero sociale giuridico politico di lui, lo insegue nel suo divenire, da ogni inconsulto panegirico il Craveri mette nel suo giusto valore

autori.

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OtovUà * V O L U M E IN O T T A ­ V O DI P A G IN E 3 0 4 L . 20

TSiBiióieca

di CutiuStiL

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i tratta in realtà di un'opera d; valore Mugolai e, la quale costituisce una nuova prova del vantaggio che sull'erudito e sullo storico puro può acquistare scrivendo di storia con preparazione, si intende, adeguata, l'uomo politico esperto delle vicende della vita pubblica e delle responsabilità di governo. Infatti, chi si trova in queste condizioni, riesce ad animare le proprie pagine di quel senso politico che permette di porre uomini ed avvenimenti nella realtà della vita che fu loro propria, e di scorgere e di seguire bene, c perciò di prospettare con la necessaria evidenza ai lettori, il giuoco dei contrasti e degli interessi e delle passioni sempre tumultuanti dietro le mosse e gli atteggiamenti degli uomini e dei partiti.

Il Bonomi è riuscito egregiamente in tale compito, essenziale perchè un libro di storia sia vivo e vitale, e le sue pagine, anche se non contengono novità nel senso che gli eruditi e gli specialisti dànno a tale parola, sono ricche di quell'interesse che diffi­ cilmente le scoperte di particolari nuovi e di documenti inediti riescono a suscitare: l'interesse derivante dal senso di verità e di vita immesso nelle vicende del passato. Anche il Bonomi è riuscito, assai meglio che non altri storici delle vicende romane nel 1849 a cogliere con colpo d’occhio sicuro e a mettere in giusta luce il carattere a nostro giudizio essenziale di tali vicende, e cioè il carattere di avvenimento nazio­ nale assunto, sopra tutto per la volontà e l'opera di Mazzini, dalla resistenza e dalla difesa di Roma, come del resto, dalla contemporanea resistenza e difesa di Venezia.

PIETRO SILVA

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'B a n c a C ó n m e u ia ie

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MI LANO

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Per un programma di lavoro.

1. — La comparsa di questa rivista è stata accolta dagli studiosi italiani di storia economica con plauso incondizionato, perchè essa dà loro pieno affidamento di trovarvi finalmente quella guida sicura, di cui sen­ tivano vivissima la mancanza. Passato infatti il breve periodo dei facili — ma non inutili — entusiasmi, in cui l’attenzione degli storici si era rivolta ai fatti economici per cercare in essi una spiegazione, immediata e diretta, delle vicende politiche, l’opera dello studioso di storia economica, fattasi più autonoma, più specializzata, più strettamente tecnica, si è trovata subito di fronte all’ostacolo dell’insufficienza della preparazione. Anche i migliori, bene agguerriti nelle discipline filologiche, nei metodi di ricerca e di cri­ tica delle fonti; spinti ad indagare le condizioni economiche dei tempi passati da una inclinazione naturale e da un certo intuito, più che da una conoscenza approfondita e metodica dell’economia, si sentono spesso pa­ ralizzati nel loro lavoro dall’ignoranza dei termini esatti dei problemi tec­ nici e teorici a cui son posti di fronte.

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182 GINO LUZZATTO i quali non avevano potuto disporre che di una minima parte di quel ricco materiale.

Accennando ai rapporti fra storia ed economia, il direttore di questa rivista concludeva essere condizione indispensabile per fare storia economica che « l o scrittore abbia l’occhio ed il senso economico: un senso che, chi non ce l’ha, non se lo può creare » ; ma per fortuna attenuava subito dopo questo sconfortante « poetae nascuntur », affermando che « l’essenziale è di essersi fabbricata una testa atta a comprendere in che consista il pro­ blema economico, a snidarlo di mezzo alla farraggine di fatti o dati secon­ dari, di dottrine inconsistenti, artefatte e ridicole ». Verissimo: l’occhio e il senso economico sono doti naturali indispensabili, senza le quali è meglio cambiare mestiere; ma purtroppo non sono sufficienti: non solo per distin­ guere ciò che è importante da quel che è secondario, ma, per iscoprire la realtà economica sotto le formule spesso vaghe e ingannevoli del docu­ mento, si richiede pure un’esperienza del meccanismo complesso delle forze economiche, che lo storico-filologo il più delle volte non possiede e per cui è necessaria la guida di chi della indagine continua di tali problemi si è fatta una vera form a mentis.

In Italia — ch’io sappia — non si è manifestata mai quella profonda opposizione fra studiosi di storia economica ed economisti della scuola sto­ rica, che altrove, specialmente in Germania, ha degenerato in polemiche estremamente aspre e spesso ingiuste, anche fra uomini di alto valore, come — per citare i due maggiori — fra lo Schmoller ed il von Below. Certa­ mente quelle polemiche non derivano soltanto da meschine gelosie pro­ fessionali ed accademiche; esse hanno spesso la loro ragione di essere in una profonda diversità di vedute sulla finalità e sul campo stesso dei nostri studi, su cui non sarà affatto inopportuno che si apra, in forma amichevole, la discussione anche in questa rivista, come del resto ne ha già dato l’inizio il suo direttore fin dal II fascicolo.

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 183 nel tempo; e in tal caso, che è di gran lunga il più frequente, questo stu­ dio è riservato agli economisti, come la storia della medicina dovrà essere studiata dai medici, o la storia della matematica dai matematici. Intesa in questo senso, la storia delle dottrine potrà avere un interesse altissimo an­ che per lo studioso di storia economica; ma non rientra, secondo me, nel campo specifico della sua competenza.

Ma gli scritti dei vecchi economisti possono essere studiati anche sotto un altro aspetto: per la luce ch’essi possono proiettare sulla mentalità economica del loro tempo, e per l’aiuto — spesso assai prezioso — ch'essi possono offrire alla determinazione ed alla valutazione di fatti, istituti, con­ suetudini, che dai documenti pubblici e privati non risultino del tutto chiari. Due, ad esempio, fra le migliori opere recenti di storia economica, il Mer­ cantilismo del Heckscher e la Storia economica deU'lnghilterra nell’età mo­ derna del Lipson, si fondano in larghissima parte sugli scritti dell’epoca, senza che per questo i due autori si siano proposti minimamente di scrivere una storia delle dottrine. In questo caso le opere dei vecchi economisti sono studiate soltanto come fonti della storia economica, intesa nel senso più largo e unitario, come storia cioè della vita economica in tutte le sue mani­ festazioni estremamente varie e complesse, ma tutte concatenate fra loro. Assai più grave di questo dubbio sui rapporti fra la storia delle dot­ trine e la così detta storia dei fatti, è l’altro — connesso del resto con que­ sto — sui fini a cui debba mirare lo studio della storia economica. Polemiz­ zando col Fébvre, che aveva contrapposto, nella trattazione delle nostra di­ sciplina, un criterio « storicistico » ad un criterio « cconomistico », l’Einaudi ha obiettato che « lo stesso fatto e la stessa teoria possono essere considerati con l’occhio dell’economista o dei giurista o del p olitico»...; e « ch e fra questi diversi occhi particolari e l’occhio generale dello storico la differenza sarebbe soltanto di grado: occhio storico pare possa essere soltanto quello rarissimo di chi possiede nel tempo stesso il senso economico e quelli giu­ ridico e politico ed altri ancora ed abbraccia i fatti nella loro interezza » ; ma « purtroppo, storici così compiuti nascono a gran distanza di tempo l’uno dall’altro ».

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per la maggior parte degli economisti, i quali si trovano di fronte agli studi di storia economica in una situazione analoga a quella di moltissimi giuristi di ironìe alla storia del diritto. Sono frequentissimi i lamenti dei giuristi contro i loro colleghi storici, i quali non portano il contributo, che da essi si aspetterebbe, alla miglior conoscenza del diritto vigente. Per molti di essi, anche fra i più autorevoli, la funzione principale dello storico dovrebbe esser quella di seguire le vicende di un istituto dalla sua prima apparizione fino ai giorni nostri; mentre invece lo storico del diritto, anche se è partito dalla stessa concezione, finisce per considerare lo studio degli istituti giuri­ dici come una delle faccie sotto cui si presenta la storia della società umana in un determinato luogo ed in un determinato tempo, e si sforza di porre quegli istituti sotto la luce più vera, inquadrandoli nella cornice del loro tempo e di contribuire col proprio studio ad una più completa conoscenza di quella determinata situazione storica.

Così per molti economisti la funzione principale della storia economica dovrebbe essere quella di determinare come si siano risolti nel passato molti problemi che sono ancora ai giorni nostri di urgente interesse; quale evolu­ zione abbiano subito gli istituti, che — trasformati — sono giunti fino ai giorni nostri: una funzione, di cui nessuno vorrà negare l'importanza, ma di cui lo storico non solo non può riconoscere la preminenza, ma vede anche alcuni pericoli molto gravi.

L ’isolare un determinato fenomeno od un determinato istituto econo­ mico e considerarne le vicende nel tempo e nello spazio è un metodo che presenta indubbiamente dei vantaggi notevoli, per la possibilità di un mag­ giore approfondimento del lato tecnico del problema e di confronti utilis­ simi fra paese e paese, che permettono di mettere in luce come, anche in epoche di estremo frazionamento politico e di economie quasi compieta- mente chiuse, esistano tuttavia delle necessità comuni che determinano, in paesi diversi e spesso lontani, gli stessi effetti. Ma di fronte a questi van­ taggi quel metodo presenta il danno molto più grave di isolare quel deter­ minato fenomeno dall’ambiente in cui esso si è manifestato, da tutti gli altri fenomeni di carattere fisico, politico, giuridico ed anche economico, coi quali esso si trova in rapporti di mutua dipendenza, e di rendere perciò impossibile un’esatta valutazione di molte trasformazioni che derivano ap­ punto dall'una o dall’altra di queste azioni concomitanti.

Si potrà obiettare — ed in un certo senso con piena ragione — che secondo un tale concetto non sarebbe logicamente possibile di scrivere una « storia economica », ma che vi è soltanto una « storia » : qirellà tale storia

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184 GINO LUZZATTO

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 185 di cui parla appunto l'Einaudi nel passo citato, che può essere scritta sol­ tanto da uno di quegli intelletti sovrani, tipo Macaulay, che compaiono a distanza di qualche generazione l’uno dall’altro, e che non solo conoscono profondamente la storia politica come la storia economica, la storia delle istituzioni come quella del costume, della cultura e delle arti, ma possiedono le doti artistiche rarissime, che permettono di fondere queste manifestazioni varie in una unità armonica qual’è quella che si presenta nella vita reale.

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186 GINO LUZZATTO 2. — Ma per quanto utili, od anzi necessarie, possano essere queste discussioni di metodo, esse devono ritenersi, in Italia, alquanto premature perchè gli studi di storia economica, nonostante alcuni contributi di altis­ simo pregio, sono ancora ai primi passi; e chi si proponesse di scrivere una storia generale della banca, della moneta, deH'industria, del lavoro o così via, sarebbe costretto a lavorare quasi esclusivamente su materiali forniti­ gli da fonti o da opere straniere. Perciò il problema più urgente è quello di incoraggiare ed indirizzare i giovani al lavoro di ricerca di prima mano, segnalando loro i problemi di maggior interesse e le serie di fonti a cui possono rivolgere le loro indagini con maggiori speranze di buoni risultati.

Nessun dubbio, secondo me, che questo lavoro d'indagine debba in­ tanto, e per molti anni, essere indirizzato ad un solo campo: alla storia economica d'Italia. Può sembrare un nostro segno d’inferiorità — ma non lo è — che mentre gli studiosi tedeschi, francesi, inglesi, nord-americani, e talvolta anche russi, rumeni, belgi, vengono a studiare la nostra storia, non vi sia un solo italiano che si spinga al di là delle Alpi e del mare per studiare la storia di altri popoli moderni. Ma in realtà la nostra storia economica, non solo del Duecento e Trecento, ma di tutto il Rinascimento ed anche dei primi tempi del Mercantilismo presenta un interesse che si spinge molto al di là dei confini della penisola, e spiega perfettamente l’attrattiva ch’essa ha sempre esercitato sugli stranieri, i quali non solo ven­ gono a studiarvi [’origine o la prima fioritura di istituti, destinati poi a lar­ ghissima fortuna, ma trovano spesso nei nostri archivi la fonte più ricca per la storia economica dei loro paesi.

Ma nonostante questa situazione veramente privilegiata dell’Italia per ciò che riguarda i nostri studi, nonostante le opere fondamentali, diventate ormai classiche, che sono state dedicate ad alcuni aspetti della nostra econo­ mia medievale, il campo da mietere è ancora ricchissimo: si può anzi dire, per quanto l’affermazione possa sembrare paradossale, che la storia econo­ mica sia in gran parte un terreno vergine. Per la stessa età medievale il poderoso volume con cui uno dei più profondi conoscitori della storia della nostra industria, il Doren, ha tentato per la prima volta di riunire in un’am­ pia sintesi i risultati di un secolo di ricerche, dimostra nel modo più evi­ dente le gravi lacune che ancora si devono lamentare nella conoscenza della nostra storia economica anche per il periodo che ha destato un così vivo e largo interesse e che è stato oggetto di studi di così alto valore.

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del-PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 187 l'Alto Medio Evo. Recentemente — c vero — son toccate al Solmi la for­ tuna e il merito di .poter rivendicare in modo sicuro al principio del se­ colo X I la data della parte centrale di un documento, che si era finora attribuito al secolo X IV ; e di potersene valere per gettare una luce inspe­ rata non solo sull’amministrazione finanziaria del Regno Italico, ma anche sulle dogane di confine, sulle strade del commercio terrestre internazionale, sul traffico fluviale, sulle zecche e sulla raccolta dell’oro, sui mercati e sul regime delle corporazioni. Ma poiché non si può fare alcun assegnamento sul ripetersi di tali fortune, non è forse il caso di incoraggiare i giovani ad indagini faticosissime, che secondo ogni probabilità condurrebbero a ripetere quanto è già stato detto da altri, oppure ad affacciare ipotesi ed interpre­ tazioni nuove e, per lo più, pericolose. Tutt’al più si può ancora sperare che una più minuta analisi dei maggiori cartari delle proprietà ecclesiastiche, fatta da studiosi che conoscano il paese e riescano ad identificare le località elencate nei documenti, possa condurre a ricostruire con maggiore sicurezza l'organizzazione amministrativa ed economica di quei grandi complessi fon­ diari, la distribuzione sopra di essi della popolazione rurale ed i suoi rap­ porti colla chiesa proprietaria, estendendo ad altre regioni d’Italia quel tipo di studi che si è tentato felicemente per S. Colombano di Bobbio e per Santa Giulia di Brescia.

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188 GINO LUZZATTO tali, dei panni di ponente, delle materie tintorie, dei prodotti in genere di alto valore, non molto sappiamo invece del commercio internazionale delle derrate alimentari di prima necessità (soprattutto sale e grano) e delle ma­ terie prime per l'industria tessile e metallurgica. D ’altra parte alla ricchezza di notizie sul commercio internazionale, si contrappone — non sempre per la penuria delle fonti — una mancanza quasi totale di buone ricerche sul commercio interno, ed in particolare sugli scambi fra campagne e città.

A ll’abbondanza e spesso alla bontà degli studi sull'attività bancaria, sull’usura, sui mezzi che agevolavano i pagamenti di piazza o tra città lon­ tane, non corrisponde affatto l’approfondimento delle indagini sui problemi monetari. La storia della moneta è stata studiata magistralmente da una schiera benemerita di numismatici e, .più recentemente, anche da giuristi; ma gli studiosi di storia economica si sono affaticati inutilmente dietro al problema insolubile di determinare le variazioni del potere di acquisto e — tolte rarissime eccezioni — non si sono curati di indagare in quale forma si effettuassero praticamente i pagamenti, quale fosse il rapporto fra moneta di conto e moneta effettiva, se e quali fossero i pagamenti per i quali il corso legale della moneta aveva un carattere coattivo, quale sia stata nelle diverse epoche la politica monetaria dei vari Stati ed in quale rapporto essa stesse colla politica economica e colle necessità finanziarie. Manca in una .parola per l’Italia medievale, come ha già lamentato l’Einaudi, una storia economica della moneta, od anche un semplice saggio di tale sto­ ria, che si possa mettere accanto a quello che ha dato il Landry per la Fran­ cia dei secoli X IV e X V .

Una storia della popolazione di città e campagna nell’età comunale, dopo i numerosi tentativi che se ne sono fatti in varie occasioni, può sem­ brare una impresa disperata. Ma forse questa sfiducia, ormai largamente diffusa, nonostante gli sforzi recenti, non molto fortunati, del Pardi, deriva dalla illusione, a cui tutti gli studiosi di demografia storica hanno ce­ duto, di poter determinare, almeno approssimativamente, le cifre assolute della popolazione anche per epoche in cui non si facevano censimenti e non si tenevano registri di stato civile, e si è costretti perciò a fondarsi sulle notizie, di assai dubbia attendibilità, di qualche cronista, oppure su dati, che sono bensì ufficiali, ma riguardano soltanto il numero delle fa­ miglie soggette all’imposta, od il numero dei maschi adulti reclutagli per il servizio militare.

M a se quei tentativi non sono perciò meno azzardati di qublli con cui

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 189 si vorrebbe determinare il potere di acquisto della moneta, tuttavia, dove si conservino catasti di epoche diverse e dove sia possibile, con indagini molto accurate di topografia storica, seguire lo sviluppo e la densità delle costruzioni edilizie, si arriverà a raccogliere degli indici abbastanza sicuri sul movimento demografico, che in sostanza, sia dal punto di vista storico che economico, ha un interesse maggiore delle nude cifre della popola­ zione assoluta.

Degli studi numerosissimi, che trattano dell’ attività industriale in quasi tutti i Comuni cittadini, la maggior parte hanno un grave vizio d’ori­ gine: che si fondano quasi esclusivamente sugli statuti delle rispettive cor­ porazioni, dei quali è difficilissimo determinare fino a qual punto essi ri­ specchino le condizioni effettive dell’industria ed il suo sviluppo nel tempo. In ogni modo, per merito di alcune opere veramente fondamentali, noi siamo assai bene informati su quella che anche in Italia è stata la più diffusa e la più importante delle industrie nell’età comunale: la tessitura dei panni di lana. Notizie abbondanti, ma tuttavia incomplete, possediamo pure per la tessitura della seta, per la quale però si attende tuttora uno studio defini­ tivo sull’industria lucchese, che è stata la maestra dei grandi centri esporta­ tori dell’età del Rinascimento, e appena agli inizi sono le indagini sui due rami elementari di quell’industria: l’allevamento del baco da seta e la trat­ tura, che dalla fine del Seicento fino ai nostri giorni dovranno assumere così grande importanza nella bilancia dei nostri scambi coll’estero. Ben poco sappiamo dell’industrie del lino e del cotone, che tuttavia hanno raggiunto in alcune città della valle padana, specialmente a Cremona, uno sviluppo assai notevole.

Se, per merito degli storici dell’arte, siamo assai bene informati sul­ l’industria edilizia e su tutto ciò che riguarda la lavorazione artistica dei metalli e del legno e in generale su tutte le industrie artistiche, manca in­ vece qualunque studio un po' approfondito sulle industrie metallurgiche e su quella delle costruzioni navali, che nelle maggiori città marinare aveva assunto, non solo negli arsenali di Stato, ma anche nei cantieri privati, le forme della media e grande manifattura.

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190 GINO LUZZATTO fa capo e che dà l'intonazione a tutta la vita economica della campagna cir­ costante. Questa posizione predominante della città deriva però in primis­ sima linea dalla sola funzione commerciale: per ciò che riguarda la produ­ zione, l'Italia, anche nel massimo fiorire dei Comuni, è sempre una regione prevalentemente agricola, come era stata nei tempi antichi e come sarà poi fino ai nostri giorni.

Se l'economia agricola è per sua natura la più conservatrice di tutte le forme di attività economica, se essa è stata sempre estremamente lenta nei suoi movimenti, in modo che non è affatto improbabile che molte delle infinite varietà ancor oggi esistenti fra regione e regione, od anche entro una regione stessa, nella distribuzione delle terre, nella loro conduzione, nella tecnica, risalgano all'epoca romana e preromana, non vi ha dubbio però che l'età dei Comuni è stata appunto preceduta e accompagnata da una profonda trasformazione nell'economia rurale. Il problema di questi rapporti reciproci fra il risveglio della vita cittadina e quello della campa­ gna è stato considerato finora prevalentemente dal punto di vista politico e giuridico, della disgregazione delle vecchie signorie terriere, laiche ed eccle­ siastiche, del passaggio di una larga parte delle terre suburbane nelle mani della ricca borghesia cittadina, della scomparsa quasi totale della servitù della gleba e del moltiplicarsi dei Comuni rurali, ma quel problema ha pure — od ha anzi soprattutto — un contenuto economico, di cui finora si è messo in luce soltanto il lato negativo: dello sfruttamento a cui la città dominante sottoponeva la città soggetta. Ma questa condanna, giustissima da un punto di vista assoluto, risente forse un po’ troppo l’influenza della situazione, che si venne a creare molto più tardi, specialmente nel Secolo X V III : si è dimen­ ticato cioè di indagare se, nel periodo della massima fioritura e potenza dei Comuni, i vantaggi della vicinanza e del dominio stesso di una grande città non possano forse essere stati maggiori dei danni recati alle campagne dalla sua politica esclusivistica e restrittiva.

Il problema, nelle sue linee più generali, si riduce a quello di determi­ nare se in Italia — o almeno in quelle regioni in cui più intenso è stato lo sviluppo della vita cittadina — il trionfo della borghesia nel Secolo X III abbia portato ad una trasformazione paragonabile a quella che siamo abi­ tuati a designare col nome di rivoluzione agraria del Secolo X V III; se fin d’allora si sia compiuto un profondo mutamento non solo nel regime della proprietà ma anche nella scelta, nella distribuzione, nella rotazione delle colture; se, nonostante gli ostacoli opposti dai Comuni dominanti al li­ bero commercio dei prodotti agricoli, la possibilità di valorizzare cjùesti

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 191 dotti sul mercato cittadino non abbia costituito di per se stessa uno sti­ molo sufficiente alla specializzazione ed intensificazione di alcune colture; se non solo, come è largamente documentato, si sono moltiplicati, dopo il Mille, i lavori di dissodamento, di regolazione delle acque e, in qualche caso, di bonifica e di irrigazione, ma, oltre alle maggiori cure rivolte alla coltivazione della vite e dell’ulivo, si sia anche diffuso il prato artificiale, si sia cominciato ad introdurre le colture nuove del gelso e del riso: se, colla modificazione nei sistemi di allevamento imposta dalla distruzione delle foreste di pianura e dalla messa a coltura delle terre sode, si siano accompa­ gnate una maggior diffusione della pratica della concimazione, un sistema

più razionale delle rotazioni agrarie e così via.

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192 GINO LUZZATTO possono offrire una messe larghissima di notizie, le quali, quando siano opportunamente ravvicinate, possono condurre a risultati relativamente sicuri.

3. — Le indagini sull’economia agricola dell’età comunale hanno, per una sicura conoscenza dello sviluppo economico dell’Italia moderna e con­ temporanea, una importanza assai maggiore che la stessa storia del com­ mercio e dell’industria. Mentre infatti per queste due forme di attività c'è un distacco quasi completo tra lo sviluppo caratteristico degli ultimi secoli del Medioevo e la rinascita nell’età contemporanea, per l’agricoltura non si può affatto parlare di una soluzione di continuità.

N el risveglio degli studi sulla storia economica d’Italia nei Secoli X V III e X IX , che si è iniziato, in forma così promettente, più di 30 anni or sono, colle opere apprezzatissime dell’Einaudi, del Prato e del Pugliese sull'econo­ mia piemontese, si deve purtroppo lamentare, dopo quell’inizio così felice, non solo la frammentarietà e la mancanza d’ogni piano organico, ma anche un vizio d’origine, che diminuisce gravemente il valore di molte di quelle ricerche. Chi si occupa anche dal solo punto di vista economico, degli inizi del nostro risorgimento nazionale parte infatti dal presupposto, accettato senza alcun principio di discussione che i due secoli del dominio spagnuolo costituiscano una lunga parentesi di decadenza ininterrotta e progressiva, e che perciò tutti i segni di attività che si vengono rintracciando mano mano che si procede nel secolo X V III rappresentino delle manifestazioni indub­ bie di una vita del tutto nuova, che a poco a poco risorge dalla morta gora di un mondo che, anche nei rapporti economici, aveva ormai perduto gli ul­ timi residui delle grandezze passate ed era ridotto ad una esistenza di una grettezza estrema, del tutto chiusa e stagnante.

Non vogliamo certamente, per amore di paradosso, tentare od inco­ raggiare la rivendicazione dei due secoli condannati; ma chiediamo sol­ tanto che la condanna non sia pronunciata, come si è fatto finora, senza un esame preventivo. Questo procedimento sommario trova, è vero, la sua spie­ gazione, se non la sua giustificazione, in due ordini di considerazioni: da un lato di fronte alle manifestazioni indubbie di una grave decadenza per tutto ciò che riguarda la posizione dell’Italia nel mondo, gli storici sono stati indotti ad indagare le cause interne ed esterne; ma non hanno sentito lo stimolo di ricercare in quale modo, in quale misura, in quali campi so­ prattutto questa decadenza si sia manifestata; se la sua curva segni una di­ scesa continua o se essa sia interrotta da soste od anche da periodi di ripresa.

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 193 Abituati alla gloria di un periodo in cui si riafferma, anche nel campo econo­ mico, il primato italiano, gli storici hanno giudicato una fatica inutile l’ap­ profondire le indagini sulle fasi attraverso le quali se ne sia manifestata la decadenza. D ’altra parte ha contribuito certamente a determinare questa lacuna l'abitudine, predominante in tutte le epoche di rapide trasforma­ zioni politiche e sociali, di considerare questi mutamenti come delle crea­ zioni ex novo, di negare la continuità del movimento storico, il legame in­ dissolubile fra il presente e il passato. Così mentre l’odierna storiografia rivendica, anche .per l'Italia, e con piena ragione, il secolo X V III come una epoca di rinascita, non solo nella storia del pensiero, ma anche in molti campi dell’attività economica, nell’età napoleonica invece i funzionari e gli stessi uomini di studio, chiamati a riferire all’imperatore sulle condizioni dell’industria nelle nostre provincie, dichiaravano candidamente che la loro relazione non poteva cominciare che dal 1796, perchè prima di allora non vi era alcuna forma di attività che meritasse di essere presa in considera­ zione.

In realtà, per il pochissimo che ne conosciamo direttamente e per quello che di tratto in tratto ne viene in luce per ricerche condotte in campi di­ versi, risulta evidente che il quadro non presenta affatto quella uniformità monotona e meschina, che la tradizione ha voluto attribuirgli: per esem­ pio, Milano, Genova, Roma hanno avuto fino ai primi dei Seicento una fioritura ed una importanza economica, che sotto molti aspetti superano quelle del secolo precedente; Livorno raggiunge appunto in questo periodo la funzione di importante emporio internazionale: nel Piemonte un princi­ pio di riorganizzazione, di rinascita economica non si manifesta che negli ul­ timi decenni del Cinquecento. A Lione, a Ginevra, ad Anversa i mercanti, i banchieri, gli industriali, gli operai specializzati italiani continuano, al­ meno nel primo secolo della decadenza, ad occupare una posizione di pri­ missimo ordine.

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194 GINO LUZZATTO loro vera luce le riforme dei principi e tutta l’opera di rinnovamento che si manifesta nel secolo successivo.

Uno dei risultati più sicuri delle indagini sulla storia economica del Settecento è la constatazione dell'interesse predominante che vi assumono i problemi dell’agricoltura: interesse che si manifesta in Italia in misura non minore che in Inghilterra ed in Francia, ma che nel nostro paese assume il carattere particolare di una reazione della campagna contro la città, o me­ glio di una maggiore giustizia nei rapporti fra gli interessi delle popola­ zioni urbane e delle classi rurali. Ma se, per ciò che riguarda la legislazione e la letteratura politica ed economica, non può mettersi in dubbio che que­ sto spostamento d’interesse sia un fenomeno tipicamente settecentesco, non è altrettanto sicuro che nella realtà della vita economica esso non abbia dei precedenti, che risalgono ad epoca molto più remota. £ infatti cosa ben nota che in tutti i maggiori centri commerciali è assai frequente, almeno dopo il Duecento, la tendenza dei mercanti arricchiti di investire in terre una parte rilevante dei loro capitali. Ma resta sempre un’incognita se questa creazione di una proprietà borghese rappresenti una semplice forma di investimento assicurativo, o porti invece con sè un interessamento della grande borghesia ai problemi della terra, un’estensione dei metodi borghesi, razionalistici, dal campo del commercio a quello dell’agricoltura.

Quando poi, nell’età del Rinascimento, una parte sempre maggiore di quella ricca borghesia incomincia ad affollare la campagna di una rete di ville, nelle quali essa trascorre molti mesi dell’anno, non sappiamo se questo costume risponda soltanto ad un bisogno di riposo e di pompa od anche invece all’opportunità di vigilare e dirigere la gestione delle proprie terre. In altri termini, questa progressiva trasformazione dei grandi mercanti e industriali in proprietari rurali, considerata finora nel suo aspetto negativo, come manifestazione od anzi come causa principale della decadenza delle più specifiche attività cittadine, si accompagna ad un impiego di capitali, di iniziative, di criteri direttivi, all’introduzione di colture nuove e ad un mi­ glioramento della tecnica agraria? Le nuove edizioni e il rimaneggiamento dei classici latini dell’agricoltura sono un fenomeno puramente letterario o rispondono invece ad una necessità pratica?

Così pure non sappiamo se la tendenza dell’industria a trasferirsi nelle campagne, non solo nella forma dell’industria a domicilio, ma anche in quella di grandi e medi opifici, si cominci a manifestare soltanto nel Sette­ cento, o risalga invece ad epoca anteriore; se in una parola, anche sotto que­ sto aspetto, si possa arrivare alla conclusione che la decadenza^ dell'Italia

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PER VN PROGRAMMA DI LAVORO 195 dopo il principio del Cinquecento sia soprattutto una decadenza della vita cittadina e che ad essa si accompagni, almeno in alcune regioni, una più in­ tensa attività della economia rurale.

4. — Purtroppo l’affacciare un certo numero di problemi — e l'elenco potrebbe continuare per molte pagine — è cosa facilissima: la difficoltà co­ mincia quando si voglia intraprendere l’attuazione di un programma, anche minimo, di lavoro, e si vogliano trovare le persone adatte ad occuparsene con una preparazione sufficiente e con assoluta serietà d’intenti; special- mente in un momento in cui sembra prevalere in Italia un indirizzo degli studi storici, che non è certamente molto favorevole a questo genere di in­ dagini.

Anche per questo si può attendere molto dall’azione di una rivista spe­ cializzata, la quale, determinando più nettamente i limiti della nostra disci­ plina, precisandone i metodi e le finalità, riesca a vincere le differenze e le contrarietà suscitate dai primi tentativi, spesso esagerati ed ingenui, del­ l ’interpretazione economica della storia, e possa suscitare un largo interesse per i problemi ch’essa verrà mano mano proponendo.

Io ho molti dubbi sulla possibilità di estendere alla ricerca storica il metodo del lavoro collettivo, adottato con fortuna in alcune scienze speri­ mentali e nelle indagini statistiche, e propugnato nella solita forma sugge­ stiva dal Febvre in un recente articolo della « Révue de Syntèse » ; il metodo cioè per cui lo storico, fissati i termini del problema ch’egli si propone, limi­ terebbe la sua attività alla formulazione di un questionario ed alla elabora­ zione e interpretazione dei dati forniti dai suoi collaboratori. Un tale me­ todo, che può essere utile per indagini di carattere sociologico, in cui si ricercano più le somiglianze che le diversità, male si adatterebbe alla vera ricerca storica, che dev’essere strettamente individuale sia per la natura del­ l’oggetto, estremamente vario a seconda delle persone, del luogo, del tempo, sia per le necessità stesse del lavoro storiografico, in cui un risultato del tutto soddisfacente si ottiene soltanto se la ricerca e l’elaborazione del mate­ riale raccolto sono fatte dalla stessa persona.

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196 GINO LUZZATTO sommaria, i problemi più importanti che in rapporto ad esso dovrebbero essere trattati, lasciano ai collaboratori una libertà molto maggiore, e pos­ sono condurre a risultati utilissimi, a condizione però che sia preventiva­ mente assicurato un minimo di collaborazione di persone competenti.

Se per ora, in Italia, non è possibile fare su questo un assegnamento sicuro, potrà essere intanto di grande utilità, quando se ne presenti l’occa­ sione opportuna, il suggerimento di temi di cui si ritenga più proficua e più urgente la trattazione. Questi suggerimenti, accompagnati da una pre­ cisa impostazione e delimitazione dei termini del problema, messi innanzi da persona che goda di indiscussa autorità sia fra gli economisti che fra gli storici, avranno indubbiamente l’efficacia di risvegliare l’interesse per le in­ dagini di storia economica in molti giovani che, forniti di una preparazione filologica, sarebbero altrimenti guidati dalla corrente a seguire un’ altra strada; ma potranno forse avere maggior seguito nei giovani economisti, che disorientati dall’attuale incertezza delle basi teoriche della loro scienza, possono per il momento trovare nella ricerca storica una specie di rifugio, un campo di attività più sereno e sicuro.

Ma nell’attesa che si moltiplichi il numero di questi economisti sto­ rici, la funzione più utile e più necessaria della rivista sarà quella di aprire gli occhi agli storici-filologi, di correggere i loro errori, di porli in condi­ zione di addentrarsi nello studio di fatti, di cui finora essi non hanno visto che d’aspetto esteriore; iniziando così una collaborazione in cui all’economi­ sta spetterà, almeno in un primo tempo, l’iniziativa e la direzione, ma lo storico porterà alla sua volta un contributo prezioso col suo lavoro di ricerca, colla più larga e sicura conoscenza dei fatti particolari.

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PER UN PROGRAMMA D I LAVORO 197 quando, accanto al vecchio denaro (piccolo), si comincia a coniare il grosso

d argento, le monete di conto sono due: la vecchia lira di piccoli e la lira di grossi, che stanno fra loro nel rapporto di 1 :2 6 1/8. Ma poiché il denaro piccolo peggiora rapidamente di titolo e di peso, si arriva presto a creare una terza moneta di conto, la cosidetta lira a grossi, che mantiene invariato il rapporto originario colla lira di grossi. Press’a poco nello stesso tempo, co­ niato il ducato d oro, esso non è usato soltanto come moneta effettiva, ma an­ che come moneta di conto, in un rapporto determinato col grosso d’argento, che, dopo una prima ed unica oscillazione, finisce per stabilizzarsi nella pro­ porzione di 1:2 4 . Perciò, date le variazioni frequenti e spesso molto alte nel rapporto effettivo fra il valore dell’oro e quello dell’argento, si comin­ ciano presto a distinguere i ducati d’oro in auro e i ducati d’oro in monetis, mentre si parla pure di lire ad aurum, cioè ad un cambio fisso coll’oro. Nei secoli successivi la complessità si fa anche maggiore; ma questi esempi pos­ sono bastare per dimostrare che la determinazione minuta e precisa della situazione di fatto, costituisce, anche in questo campo, la premessa indi­ spensabile per lo studio esegetico del tecnico specializzato. L’occhio e l’espe­ rienza dell’economista diventano invece preziosi, quando da quei dati ana­ litici si vogliano ricostruire le condizioni effettive della circolazione; quando si voglia ad esempio determinare se esistesse un distacco tra moneta interna a corso legale e moneta del commercio internazionale, quale ampiezza po­ tesse raggiungere questo distacco, e quale influenza esso esercitasse sulla vita economica; quando si vogliano interpretare i numerosi provvedimenti che regolavano la coniazione e la circolazione delle monete e si cerchi di determinare il rapporto fra politica monetaria e politica finanziaria, com­ merciale e sociale.

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198 GINO LUZZATTO in misura assai notevole. Il Doren, che recentemente si è proposto il pro­ blema, crede che a ristabilire l'equilibrio abbiano contribuito il bottino fatto dai Crociati in Oriente ed i noli riscossi dalle città marinare per i tra­ sporti di persone e di merci nei porti di Levante. Ma dei due elementi il primo non può aver avuto che un effetto temporaneo, mentre il secondo, di cui è indiscutibile la continuità e l’importanza, non sembra sufficiente a com­ pensare lo squilibrio fortissimo fra merci e denaro (talvolta in proporzione di 1 :4 ), che annualmente si spedivano in Oriente per pagarne le ricche esportazioni; tanto più che la maggior parte di quei noli era alla sua volta pagata dagli occidentali, che andavano in Levante come mercanti o come pellegrini.

Non si .può certamente aspettarsi dall'economista che egli trovi la spie­ gazione di questo enigma; ma egli può almeno indicare allo storico la via su cui egli possa indirizzare le ricerche per trovare quello che finora gli è sempre sfuggito.

G li esempi si potrebbero moltiplicare, passando dal campo più deli­ cato della circolazione, a quelli, solo apparentemente più semplici, della or­ ganizzazione economica della produzione, dei problemi del lavoro, del cre­ dito, della finanza; e tutti concorrerebbero a dimostrare che, almeno in Ita­ lia, allo stato attuale degli studi, può essere utile una discussione teorica, e del tutto amichevole, sui limiti e sulle finalità della nostra disciplina; ma se questa discussione dovesse condurre ad un distacco fra storici ed economi­ sti, meglio varrebbe abbandonarla o rinviarla ad epoca più opportuna. Per ora occorre soprattutto lavorare, ed il lavoro per essere fecondo deve essere fatto in comune, non nel senso che sia sempre utile o necessaria una colla­ borazione diretta fra storico ed economista, ma piuttosto nel senso che le fa­ tiche degli studiosi di storia invece di disperdersi per vie staccate, diver­ genti e spesso accidentali e inconcludenti, siano indirizzate verso fini ben determinati, secondo un piano organico, di cui spetta soprattutto all’econo­ mista di tracciare le linee fondamentali, distinguendo quello che ha vera im­ portanza da ciò che è puro accessorio.

Gi n o Lu z z a t t o.

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PER UN PROGRAMMA D I LAVORO 199 1- — « Per un programma di lavoro » è veramente titolo appropriato allo studio di Gino Luzzatto perchè pone in rilievo quel che vi è di comune negli sforzi che studiosi venuti da tante origini diverse, dalla economia pura, dalla filosofìa, dalla storia politica e da quella del diritto, vanno compiendo nel campo della storia economica.

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200 LUIGI EINAUDI elevate di quelle che si richieggono a chi scrive storie. Importa sapere valu­ tare i libri altrui, conoscere la storia del tempo, ed avere di essa una propria visione. La bibiografia compiuta e quella ragionata hanno due scopi diversi; ma solo la prima può essere compilata da squadre di schedatori. Pubblicare documenti e compilar regesti è più difficile del cumulare schede di meri titoli di volumi; ma non è lavoro al di sopra delle forze degli «hommes estimables » a cui pensa il Febvre; se invece il documento deve essere inter­ pretato e commentato, se il regesto deve contenere le parole o frasi vera­ mente significative del documento, se esso deve essere illustrato da note sul carattere delle fonti 1‘ « homme estimable » deve possedere le attività del filosofo e conoscere bene i tempi e le cose a cui i documenti si riferiscono.

Storia non solo è descrizione di fatti individuali; ma è scritta dall’in­ dividuo. I più provetti possono suggerire problemi ai giovani; ma questi li devono affrontare da soli. Perciò il valore sempre vivo e vero dell'altro insegnamento dato dal Luzzatto: meglio studiare un dato problema in un breve tempo ed in un luogo ben limitato: il catasto, ad ipotesi, dei terreni agricoli nel 1791 nel territorio rurale della città di Torino (cito una data ed un luogo per i quali so esistere perlomeno la base preliminare di orienta­ mento per la ricerca, che è la carta topografica per culture), piuttosto che la storia del catasto in Piemonte dal ’200 all’800, impresa alla quale per ora siamo affatto impreparati. Attorno a quella sola ben delimitata ricerca si può far rivivere di scorcio tutto un mondo: i residui del feudalesimo, le nuove classi nobiliari e borghesi, i contadini, l’organizzazione comunale e statale, le imposte, le strade, la pubblica sicurezza. Quel piccolo fatto sarà illuminato — ma cosa vuoisi far illuminare da una squadra? — da tutti gli altri fatti che comprendono la realtà torinese e piemontese di quel mo­ mento e a sua volta li illuminerà.

Perciò ha ragione il nostro collaboratore: importa, sovrattutto, trovan­ doci in Italia ancora ai primi passi, non litigare tra noi medesimi e scomu­ nicarci a vicenda: economisti contro giuristi, filosofi contro filologi. C ’è da fare per tutti.

2. — Tuttavia, quel benedetto aggettivo « economica » posto dietro al sostantivo « storia » è costretto, poiché c’è, ad avere un significato. Lo sto­ rico dell’economia non può scrivere storia allo stesso modo del giurista o del filosofo o politico. Non soltanto egli tratta problemi suoi, di banca, di cambio, di moneta, di commercio, di industria, di agricoltura; ma li tratta secondo un proprio punto -di vista, che è quello economico.

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 201 « Punto di vista » e non « prevalenza » nè « specializzazione ». Non si diventa storici dell’economia dando, come fecero molti nel tempo verso il 1900, rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Così scrivendo, si fa buona (esistono, nonostante la cosa tenga del miracoloso, persino buoni libri di storia informati al concetto materialistico della storia!) o cattiva storia politica, non storia economica. Non è storico dell'economia bensì del diritto, colui il quale discorre di storia dell’agricoltura in una data regione nella prima metà del '200, se egli di quei contratti agrari o di quelle forme della proprietà si occupi dal punto di vista giuridico.

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diffi-202 LUIGI EINAUDI colta di intenderla e descriverla nel suo insieme, giova o fa d'uopo guar­ darla or dall'uno ed or dall'altro angolo visuale.

Su ciò non credo vi sia dissenso, se non con coloro i quali, assorti nella propria specialità, condiscendono ad ammettere l’esistenza di altri punti di vista a condizione di relegarli in condizione subordinata, intollerabile per i cultori di essi. D i qui i battibecchi e le scomuniche, oggetto di spassosa con­ templazione per il pubblico, il quale è tratto a concludere: coloro che così vogliono sopraffare ed escludere altrui non hanno nessuno degli occhi ne­ cessari a fare una qualunque storia, non l'occhio del ragioniere nè quello del giurista o dell’economista o del politico. Chi ce l’ha, sa che su un’attitudine innata, la quale poteva essere però rivolta ad altra meta, egli con lo studio assiduo, con l’esperienza, attraverso ad insuccessi ammaestratori è riuscito ad addestrare il suo occhio in guisa da vedere meglio o più presto il pro­ blema che altri non distingue; ma sa anche che il tirocinio suo non gli con­ sente di vedere altrettanto bene e subito quel che altri, che l’occhio suo educò diversamente, vede. Eppcrciò egli non scomunica nessuno, e tenta di far suo prò delle conquiste altrui per capir meglio il tutto.

3. — Forse perciò il solo punto di sostanziale amichevole dissenso fra il Luzzatto e lo scrivente ha tratto alla posizione della storia del pensiero economico rispetto alla storia economica in generale. Il Luzzatto inclina a sdoppiare la storia del pensiero economico in interna e questa avrebbe lo scopo di studiare la formazione graduale nel tempo del pensiero economico allo scopo puramente teorico della miglior conoscenza del pensiero econo­ mico attuale ed esterna, la quale studierebbe il pensiero degli economisti passati in quanto strumento di valutazione dei fatti e degli istituti economici del tempo. G li aggettivi interno ed esterno da me aggiunti forse giovano a chiarire che la prima specie di storia è quella del graduale perfezionarsi della teoria economica, provocato dalla necessità spirituale in cui si sono trovati i grandi pensatori della nostra scienza di formulare schemi sem­ pre più precisi logici ed atti a raffigurare una realtà, anch’essa mutevole; laddove la seconda studierebbe le dottrine degli economisti di un dato tempo, senza preoccuparsi della parte che esse ebbero nella formazione delle dottrine successive e presenti, allo scopo esclusivo di conoscere la virtù che esse invece manifestarono nel decidere gli uomini del tempo medesimo ad operare e legiferare in un senso piuttosto che in un altro.

E intuitiva l’importanza che la storia esterna ha per la conoscenza dei fatti ed istituti economici; e cagione non ultima di quel peso è hpèoriamente

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PER UN PROGRAMMA DI LAVORO 203 la circostanza dell'essere gli uomini spinti ad operare più dalle false o illu­ sorie immagini di idee che dalle idee vere e proprie, frutto di meditazione. Perciò le dottrine in genere e non solo quelle che per essere fondate sul ra­ gionamento furono le genitrici del corpo ricevuto della teoria economica odierna, le dottrine qualunque, le parvenze di dottrine sono fonte e materia importantissima della storia economica. Lo storico dell’economia dovrebbe solo perciò interdire a se stesso lo studio della graduale formazione della teoria economica attuale? La storia delle idee non è forse anch'essa storia?

Notisi che storia « interna » del pensiero economico non vuol dire solo storia delle idee passate le quali culminarono nel pensiero attuale o ebbero parte a foggiarlo così come esso è. Storia del perfezionamento pro­ gressivo della teoria economica vuol dire altresì storia del continuo sfaldarsi e impoverirsi del pensiero antico, il quale si spoglia di talune sue proprietà per arricchirsi di altre, abbandona certi concetti o certe formulazioni di un concetto per far proprii altri concetti ed altre formule.

Scrive storia chi assume il pensiero economico di un’epoca quale esso è come strumento per conoscere e valutare fatti ed istituzioni dell’epoca me­ desima. Ma forse vede più a fondo nel passato chi nel pensiero dell’epoca vede la distinzione fra la tesi caduca la quale influì sull’opera degli uomini attraverso l’immaginazione il sentimento la passione, la dottrina contin­ gente che influì sull’opera stessa attraverso il ragionamento applicato a fatti momentanei e ad istituzioni provvisorie, il relitto derivato da dottrine, fatti ed istruzioni del passato che già andavano svanendo e la teoria perma­ nente che operò ragionando su fatti ed istituzioni e costumi proprii della natura umana, destinati a non perdere valore per il trascorrere di lunghis­ sime epoche storiche. Lo strumento « pensiero economico del tempo » è per fermo mezzo tanto più raffinato di valutazione dei fatti contemporanei quanto meglio sappiamo scernere quel che di esso è rimasto successivamente vivo da quel che ne fu parte caduca. Teoria e fatti hanno valori diversi e tengono luogo vario nel quadro che lo storico è chiamato a dipingere. O non è probabile che alle teorie feconde vive ed autoperfezionantisi nel tempo corrispondano nel quadro dello storico i fatti fondamentali, le istituzioni le quali durano oltre le dinastie le forme di governo e le can­ gianti vesti giuridiche? e che le tesi e le dottrine caduche contingenti

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204 LUIGI EINAUDI eterogenea confusa dei fatti, a creare una gerarchia tra fatti primi e fatti secondari. Lo storico si distingue dal cronista erudito, per la sua attitu­ dine a creare un ordine nei fatti accaduti; e ciò egli non può fare ove non rifletta sulle ragioni dei fatti accaduti. Or come potrebbe lo storico riflettere ed ordinare fatti economici senza conoscere le vie per le quali la logica eco­ nomica dai rozzi tentativi d’un tempo è giunta alla perfezione odierna c tenta di giungere a più alte mete? Storia interna del pensiero economico è storia degli schemi logici ideati per dare un ordine ai fatti economici e tentarne una spiegazione sempre più piena e persuasiva. Come si può s a i­ vere storia di fatti senza tentare di ordinarli mentalmente coll’aiuto di una qualche macchina logica? Non appena, compiuta la trascrizione del docu­ mento, tentiamo di interpretarlo, sorge la necessità dell'uso di qualche stru­ mento di interpretazione. Credere di poterne far senza è mera illusione, la quale ci può far cadere, senza volerlo, vittime di una macchina logica su­ perata o disadatta o erronea. Perchè, a tacere della interpretazione materia- listico-economica della storia, che non vorrei far diventare una testa di turco, gli economisti tedeschi della scuola storica non riuscirono, eccetto quando dimenticavano la propria tesi, a fare storia economica? perchè, a prendere in mano un libro di Sombart si è tratti a lamentare spesso lo spreco di tanta dottrina e di tanto sforzo mentale? Perchè essi non conosce­ vano od avevano volutamente dimenticato o disprezzavano quegli strumenti di interpretazione dei fatti che gli economisti avevano costruito sotto il nome di teoria economica. La teoria economica dell’oggi è, si intende, un mero strumento provvisorio, destinato ad essere sostituito domani da altro più perfezionato strumento. M a giova a risparmiar fatica, a collocare i fatti secondo una certa prospettiva, ad interpretarli logicamente. Fare astrazione da quello strumento è un condannarsi a brancolar nel buio o ad afferrarsi ad altri strumenti di interpretazione creati dalla meditazione filosofica o po­ litica o giuridica, ognuno dei quali è indubbiamente fecondo in un campo più o meno vasto, ma nessuno dei quali scava a fondo nel nostro particolare punto di vista economico. La scissione della storia del pensiero economico della storia economica in generale deve perciò essere deprecata come ogni altra frantumazione del tutto; ma qui, inoltre, la parentela è strettissima, anzi vi ha identità dell’oggetto studiato: la storia economica avendo per ufficio di rievocare azioni degli uomini e la storia del pensiero economico le

idee che intorno a quelle azioni gli uomini medesimi manifestarono.

Luigi Einaudi.

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Un rapporto segreto di Stefano Jacini

al Conte di Cavour sul Monte

Lombardo-Veneto.

N el 1857, Stefano Jacini, poco più che trentenne — era nato a Casal- buttano (Cremona) il 20 giugno 1826 — godeva già di una certa fama, oseremmo dire, di una incipiente celebrità, presso gli studiosi di agraria e di economia politica. Il suo lavoro su « La proprietà fondiaria e le popo­ lazioni agricole in Lombardia », dopo aver vinto nel ’53 il concorso indetto dalla « Società d’incoraggiamento alle scienze, lettere ed arti » di Milano (in gara con un altro magistrale saggio di Carlo D e Cristoforis), aveva già avuto l’onore di tre edizioni, e fruttato all’autore, colla nomina a membro effettivo dell’Istituto lombardo ed a membro corrispondente dell’Aecade- mia dei georgofili di Firenze, i rallegramenti di uomini insigni, come il Ri- dolfi e il Ferrara in Italia, il Courcelle-Seneuil, il Lavergne in Francia, il Laveleye nel Belgio, lo Czòrnig in Austria, il Gladstone in Inghilterra, ed altri molti. Era bastato un altro suo piccolo e meno noto opuscolo su « gli interessi cremonesi e lombardi nella questione delle strade ferrate », pub­ blicato nel ’56, per indurre il governo austriaco, pur così lento e tenace nelle Sue decisioni, a modificare sensibilmente il tracciato già fisso della co- struenda rete ferroviaria della V alle Padana. Le letture del Jacini all’Istituto lombardo, che pure costituivano, come altrove abbiamo documentato (1), una netta affermazione d’indipendenza nazionale, avevano attirato l’atten­

t i ) Cfr. S. Jacini, Un conservatore rurale della nuova Italia. 2 voli., Bari, Laterza, 1926, in cui molte delle vicende qui narrate sono particolarmente descritte; I, 67 sgg.

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