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(rappresentata per la prima volta il 13 febbraio 1944 al

Théâtre de l’Atelier)

1

38 L’antefatto e il mito classico1

Laio, re di Tebe e marito di Giocasta, afflitto dalla mancanza di un erede, consultò in segreto l'oracolo di Delfi, il quale gli spiegò come quella apparente disgrazia fosse in realtà una benedizione degli dèi. Infatti, il bambino destinato a nascere dalla loro unione, non soltanto l'avrebbe ucciso, ma avrebbe anche sposato la madre, dando così inizio ad una serie di tremende disgrazie che avrebbero colpito tutti i suoi discendenti provocando la rovina della casa. Sperando di salvarsi, Laio ripudiò la moglie senza darle spiegazioni ma Giocasta riuscì a giacere con lui per una notte che si rivelò fatale. Quando nove mesi dopo la donna partorì un bambino, Laio, per evitare il compimento dell'oracolo, lo strappò dalle braccia della nutrice e gli fece forare le caviglie per farvi passare una cinghia e lo "espose" per mano di un suo servo. Venne poi trovato da un pastore, che lo portò dalla moglie del re di Corinto la quale lo chiamò Edipo e lo allevò come se fosse suo figlio senza rivelargli mai quali fossero le sue vere origini.

Anni dopo Edipo udì una voce secondo cui egli non sarebbe stato il vero figlio dei sovrani di Corinto e, turbato da questo sospetto, decise di partire per interrogare l'oracolo di Delfi e sapere chi fossero davvero i suoi genitori. Arrivato al santuario, la Pizia, inorridita, lo cacciò predicendogli che avrebbe ucciso il padre e sposato sua madre e così per evitare di uccidere quelli che Edipo riteneva i suoi veri genitori, decise di non tornare mai più a Corinto e di recarsi invece a Tebe. Durante il cammino s’imbatté in un carro su cui vide due uomini a lui sconosciuti; uno di loro era in realtà re Laio che si stava dirigendo al santuario della Pizia per chiedere che la città fosse liberata dalla terribile sfinge che divorava coloro che non erano capaci di risolvere il suo enigma.

1 Per la stesura di questo paragrafo si fa riferimento in massima parte a P. Grimal, Enciclopedia

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Vedendo il giovane sulla strada, il cocchiere gli ordinò di lasciarli passare ma poiché egli non obbedì, si giunse ad uno scontro fisico in cui Edipo uccise entrambi gli uomini. In tal modo, la prima profezia dell'oracolo si era compiuta. Alla notizia della morte di Laio, il potere passo nelle mani di Creonte, fratello di Giocasta. Anche il nuovo sovrano ignorava come sconfiggere la sfinge e fece quindi annunciare che avrebbe ceduto il trono e dato la sorella in moglie a colui che avrebbe risolto l'enigma. Proprio in questa occasione, Edipo giunse a Tebe dove incontrò la Sfinge che esponeva creatura esponeva un enigma insegnatole dalle Muse: «Qual era l'essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre che, contrariamente alla legge generale, più gambe ha più mostra la propria debolezza?». Edipo, dopo aver ascoltato l’enigma della creatura, comprese immediatamente che la risposta all’indovinello era l'uomo, poiché esso cammina durante l'infanzia, a quattro gambe, poi a due, e infine si appoggia ad un bastone nella vecchiaia. La Sfinge, indispettita, si precipitò dall'alto della rupe sulla quale era appollaiata e Creonte, soddisfatto dell'impresa del giovane eroe, cedette il trono ad Edipo e gli diede in sposa Giocasta.

La profezia si era avverata fino in fondo: il figlio aveva sposato la madre. Dalla loro unione nacquero due maschi, Eteocle e Polinice, e due femmine, Antigonee Ismene. Dopo un lungo felice periodo di regno, la peste si abbatté sulla città di Tebe, ed Edipo inviò Creonte a chiedere all'oracolo di Delfi la ragione di quel flagello. Creonte ritornò riportando la risposta della Pizia: la peste sarebbe cessata soltanto se la morte di Laio fosse stata vendicata. Edipo, non comprendendo il significato di quelle parole, fece allora chiamare l’indovino Tiresia che tuttavia era estremamente reticente a svelare la verità e che si convinse a parlare solo sotto minaccia. Edipo apprese dunque che la sua vera patria era Tebe e non Corinto e che uno degli uomini che aveva ucciso durante il suo viaggio era il sovrano di quella città nonché suo padre. Una volta appurata la terribile verità, Giocasta si uccise ed Edipo, non potendo sopportare tanto dolore si accecò e scacciato da Tebe, maledisse i figli e iniziò un viaggio che lo avrebbe condotto in terre lontane fino a essere dimenticato.

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Eteocle e Polinice, entrambi eredi al trono tebano, per evitare lotte per la successione, fanno un accordo: regneranno un anno a testa. Dopo il primo anno, toccato a Eteocle, questi non vuole cedere il trono al fratello, il quale chiede aiuto ad Adrasto, re di Argo, e muove guerra contro la propria patria. Polinice decide di presidiare le sette porte di Tebe con sei dei suoi più forti guerrieri, sarà lui stesso a guidare l’attacco alla settima porta; venuto a conoscenza di tale piano, anche Eteocle sceglie sei valorosi uomini per opporsi agli invasori e decide di scontrarsi direttamente con il fratello. Durante lo scontro Eteocle e Polinice muoiono però l'uno per mano dell'altro, gli assalitori vengono respinti e il potere è assunto da Creonte, fratello di Giocasta. Il suo primo provvedimento è l'emanazione di un bando per il quale Polinice viene considerato nemico della polis, ed è perciò privato del diritto di ricevere un'adeguata sepoltura e gli onori funebri che gli spetterebbero. Per chiunque venisse colto ad agire contro tale legge la pena sarebbe dovuta essere la morte. Ma Antigone, mossa dall'affetto di sorella e appellandosi alle leggi divine che impongono pietà per i morti, disobbedisce al decreto del nuovo re e si reca sul luogo ove è stato portato il cadavere di Polinice e gli dà una simbolica sepoltura cospargendolo di polvere.

Tuttavia viene sorpresa dalle guardie di Creonte ed è portata alla presenza del re, dinanzi al quale rivendica con fierezza la legittimità del suo gesto affermando di essere ben consapevole di aver violato l'editto del sovrano, ma lo ha fatto per obbedire alle leggi degli dei di gran lunga superiori a quelle dei mortali. Creonte, adirato ma incapace di replicare alle argomentazioni della fanciulla, ordina che sia rinchiusa in una grotta fuori città. Una serie di infausti eventi si verificano in città e il re si rivolge allora all’indovino Tiresia che spiega che essi sono dovuti alla collera degli dei per la mancata sepoltura di Polinice, così Creonte decide finalmente di concedere gli onori funebri al corpo del nipote. Egli vorrebbe allora anche liberare Antigone ma quando giunge alla grotta dove era stata chiusa la ragazza, la trova impiccata; alla vista della fanciulla morta anche Emone, figlio di Creonte e promesso sposo di Antigone, si toglie la vita con la propria spada. Appresa la morte del figlio, anche Euridice, moglie del sovrano, si uccide per il dolore mentre, a Creonte, sofferente per le disgrazie causate dal suo agire dissennato, non resta altro che vivere nella sofferenza.

41 La moderna Antigone

Per comprendere a pieno la portata del processo evolutivo e l’influenza di Antigone per l’intera cultura occidentale, occorre seguire il percorso del personaggio fin dagli albori, attraverso l’approdo sulla scena e poi nella ricezione otto-novecentesca.

Riportiamo di seguito alcune delle riscritture antecedenti a quella di Jean Anouilh.1

1. Antigonae2, F. Hölderlin (1804): nel 1804 prende avvio il progetto incompiuto di traduzione da parte di Hölderlin delle tragedie di Sofocle in tedesco moderno con la pubblicazione di Antigonae. L’opera non riscosse molto successo tra i contemporanei ma, nel secolo successivo le critiche negative furono rovesciate in favore di un’opinione molto più lusinghiera da parte di grandi filosofi e grandi critici letterari che lo ritennero «un testo di importanza cruciale per l’ermeneutica, per la teoria e la pratica della comprensione semantica»3. Anche Walter Benjamin ne esalta la qualità della traduzione, pur ammettendo che, nella ricerca della perfezione linguistica, Hölderlin abbia compromesso talvolta il senso dell’originale greco. La tragedia, secondo Hölderlin, è la manifestazione dell’incontro tra divino e umano, dove il primo ha la forma dell’organico, della propensione alla vita e all’ordine civile, mentre il secondo assume i caratteri autodistruttivi di una forza vitale caotica. Lo scontro tra Creonte e

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M. Giovannelli, Antigone: dal mito al teatro, dal teatro al mito, «Dike», 2014, (XVII), pp.91- 100.

2 F. Hölderlin, Antigonae, trad. it. Giuseppina Lombardo Radice, Torino, Einaudi, 1996. 3 G. Steiner, Le Antigoni, Milano, Garzanti, 2007, p. 78.

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Antigone non è altro che la rappresentazione di questa antitesi, incarnando il primo lo statico, e il “normale” e la seconda l’informe e l’anarchico.1

2. Fenomenologia dello spirito2, G.W.F. Hegel (1807): Decisiva per quasi tutte le interpretazioni successive è la lettura hegeliana che compare nella Fenomenologia, tutta giocata sulla inconciliata e inconciliabile contrapposizione tra “legge del sangue o degli dei inferi, e legge della polis, o degli dei superi”, che anticipa la celeberrima contrapposizione nietzscheana tra dionisiaco e apollineo. Antigone, rappresentante della prima, e Creonte, rappresentante della seconda, occupano eticamente posti simmetrici, sono due essenze uguali che entrano in contraddizione non solo l’una con l’altra, ma anche rispetto a se stesse. L’impossibilità di giungere alla conciliazione fa sì che entrambi siano sopraffatti da una «forma negativa che li inghiotte entrambi; è sorto cioè il destino onnipotente e giusto». L’equilibrio tra etica divina e statale si ha quindi solo attraverso l’intervento di un agente esterno, quale il destino, che dall’alto ricombina l’azione affinché con il sacrificio di Antigone e le disgrazie che colpiscono la famiglia di Creonte venga ristabilita l’unità.3

3. Antígona4, A. Sérgio De Sousa (1930): Il dramma fu composto quasi di getto, animato dalla speranza che la fine della dittatura di Primo de Rivera in Spagna potesse aprire una breccia anche nel regime dittatoriale portoghese. Benché corredato di puntuali didascalie sceniche, il dramma non è stato concepito come specificamente destinato alla rappresentazione, né risulta essere mai stato messo in scena: Sérgio lo definì «studio sociale

1 A. Mecacci, L’Antigone di Hölderlin. Da Tubinga a Tebe, in P. Montani (a cura di) Antigone e la

filosofia, Roma, Donzelli, 2001, pp. 113-129.

2

G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, trad. it. E. De Negri, Firenze, La nuova Italia, 1996.

3

Sensi P., voce Antigone nella poesia e nella filosofia di Otto e Novecento, in Enciclopedia Treccani http://www.treccani.it/scuola/maturita/STORE/la_ contemporaneita_scienze_umane/ sensi_ antigone.html, (10.03.17).

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in forma dialogica»1. L’antefatto, rispetto a Sofocle, viene drasticamente modificato: due giorni prima dell’inizio del dramma Creonte, già al comando di Tebe, ha dovuto domare nel sangue una rivolta democratica capeggiata da Polinice, mentre Eteocle ha combattuto nella parte politica avversa al fratello, tra gli ufficiali di Creonte. Con questa rivolta Sérgio ha voluto alludere al moto rivoluzionario repubblicano, capeggiato dal generale Sousa Dias, scoppiati nel febbraio 1927 e soffocato senza grandi difficoltà dal governo dittatoriale. La chiave di lettura sistematicamente adottata da Sérgio è quella politica, rispetto alla complessità e all’ambivalenza dello scontro che in Sofocle opponeva Antigone a Creonte, Sérgio opta per un’antitesi netta, in cui Creonte rappresenta la polarità negativa: il tiranno che mantiene l’ordine esclusivamente grazie alla violenza e alla paura neutralizzando ogni forma di opposizione tramite il ricorso allo spionaggio, alla censura, al carcere e alla tortura.2

4. Antígona3, Salvador Espriu (1937): L’Antigone di Espriu nasce come progetto di protesta politica che si configura come condanna della dittatura che impera dispoticamente ricorrendo a qualsiasi mezzo per perseguire i propri scopi e, per questo suo aspetto, rimanda chiaramente alla situazione politica spagnola all’epoca dell’autore. La denuncia di Espriu è esplicita e, al fine di renderla ancora più credibile e comprensibile, lo scrittore catalano non disegna eroi ma riveste due grandi protagonisti di tragedia greche, Eteocle e Antigone, con i panni di tutti i giorni. Per immetterli in un discorso anche contemporaneo toglie loro ogni aura di inaccessibilità: i ricordi che essi nutrono della propria infanzia concorrono a creare un clima riconoscibile e domestico.4

1

La definizione fu data dall’autore stesso in A Antígona de António Sérgio e os

mocinhos da Acção de Coimbra, «Seara nova», 1931, (CCXLIII), p. 46.

2 M.P. Pattoni, Riusi sofoclei e allegorie politiche nell’ ”Antígona” di António Sérgio de Sousa, in

A.M. Belardinelli, G. Greco (a cura di), Antigone e le Antigoni. Storia, forme, fortuna di un mito, Firenze, Le Monnier Università, 2010, pp. 123-158.

3S. Espriu, Antígona, trad. it. N. Palladino, Roma, Bonanno, 2010.

4U. Albini, L’Antigone di Salvador Espriu, «Ítaca: Quaderns catalans de cultura clàssica», 1989,

44 L’Antigone di Anouilh

La figura di Antigone è da sempre una delle più complesse e controverse della mitologia in quanto incarna un insieme estremamente ricco di possibilità interpretative che rimandano ad ambiti diversi che la pongono come punto di partenza per numerose questioni etiche, filosofiche, politiche, esistenziali e così via. Le Antigoni, come scrive George Steiner nell’omonimo saggio1

, superano ogni inventario. Non stupisce quindi la scelta di Anouilh di sfruttare le molteplici potenzialità della figura della giovane figlia di Edipo all’interno di una delle sue tragedie. Nella Francia del 1942, soggetta all’occupazione nazista e al regime collaborazionista di Vichy, un episodio colpisce profondamente lo scrittore. In agosto Paul Collette, un giovane reduce di guerra, privo di legami con la resistenza organizzata, spara e ferisce Pierre Laval, primo ministro francese. Il gesto è fallimentare e l’attentatore è condannato a morte, pena poi trasformata in lavori forzati ma colpisce Anouilh per il valore di un gesto solitario e gratuito, disperato e privo di prospettiva che gli ispira la figura di Antigone come adolescente nervosa e ostinata che sfida il potere mostruoso dello Stato di Creonte. Tuttavia, come scrive Jean-Yves Guérin nel suo articolo Pour une lecture politique de l’Antigone de Jean Anouilh, nella lettura del testo moderno occorre sempre ben tenere presente che:

La transposition homodiégétique et moderniste d’Antigone par Anouilh cultive toutes les ambiguïtés possibles. Elle induit une transformation thématique. L’auteur reste apparemment fidèle au code du mythe, à la lettre de la fable sophocléenne ; il en change radicalement l’esprit qui était religieux et civique. Il n’est plus question de représenter le conflit tragique de deux vérités également légitimes ni les antinomies fondamentales de l’existence.2

1 G. Steiner, Le Antigoni, cit.

2 J.-Y. Guérin, Pour une lecture politique de l’Antigone de Jean Anouilh. «Études littéraires»,

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L’opera, scritta nel 1942 e messa in scena per la prima volta il 13 febbraio 1944 al Théâtre de l’Atelier, si apre con brevi indicazioni scenografiche in cui si descrive la situazione iniziale, al momento del levarsi del sipario:

Un décor neutre. Trois portes semblables. Au lever du rideau, tous les personnages sont en scène. Ils bavardent, tricotent, jouent aux cartes. Le Prologue se détache et s’avance.1

Già da queste poche righe emerge l’intenzione dell’autore di voler modificare la versione classica proiettandola verso la modernità. La scenografia che accompagnerà lo svolgimento dell’intera vicenda infatti, non ricrea la Tebe antica ma si pone invece come uno sfondo indefinito e scialbo, un “neutral setting”, che tende a generalizzare i fatti che seguiranno decontestualizzandoli dalla cornice tradizionale.

Segue il prologo, elemento aggiunto da Anouilh, il cui scopo è principalmente quello di esporre gli eventi appena accaduti per assicurarsi che il pubblico sia in grado di cogliere a pieno le implicazioni della ribellione di Antigone. Tradizionalmente i personaggi principali e la situazione iniziale sono esposti attraverso un dialogo tra personaggi dell’opera stessa e che non si rivolgono mai al pubblico ma, Anouilh decide invece di affrontare questa sorta di premessa al testo in modo moderno e innovativo. Fin dall’inizio il prologo spezza l’illusione teatrale rivolgendosi direttamente agli spettatori attraverso l’uso della seconda persona plurale: «Ces personnages vont vous jouer»2 ed includendosi con essi poco più avanti: «Nous tous, qui sommes là bien tranquilles à la regarder»3. Inoltre, sebbene tutti i personaggi siano già in scena mentre il prologo viene esposto, si ha come l’impressione che essi siano ancora dietro le quinte, che gli attori non si siano ancora immedesimati nei loro ruoli ma che stiano invece come riflettendo sulla propria imminente performance. Il prologo dice infatti di Antigone stessa che «Elle pense qu’elle va être Antigone tout à l’heure»4 come a voler sottolineare che l’attrice è concentrata sull’interpretazione che dovrà dare e su ciò che attende il suo personaggio. Inoltre sottolinea «le esigenze formali di un

1 Antigone, p.131. 2 Ibidem.

3 Ibidem. 4 Ibidem.

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“genere” tragico, che non consente invenzioni differenziate e fughe del Personaggio dall’iter scenico prestabilito»1

. Questi elementi, insieme a molti altri termini che rimandano chiaramente al campo lessicale del teatro, mostrano chiaramente che siamo di fronte alla rappresentazione di una rappresentazione, esibiscono i meccanismi teatrali e invitano a considerazioni metateatrali.

Dal punto di vista meramente contenutistico, il Prologo presenta i personaggi a uno a uno dandone alcuni tratti fisici e morali. Antigone viene descritta in modo peggiorativo come «la maigre jeune fille noiraude et renfermée que personne ne prenait au sérieux dans la famille»2, tuttavia la forza del suo carattere, che contrasta nettamente con questa immagine, viene messo in evidenza da subito: «Elle va surgir soudain […] et se dresser seule en face du monde, seule en face de Créon, son oncle, qui est le roi»3. Sua sorella Ismene, al contrario, è presentata come una ragazza spensierata e frivola: è bionda, felice, «éblouissante dans sa nouvelle robe» e «bien plus belle qu’Antigone»4. Segue Emone, giovane illustre e di bell’aspetto che, con grande sorpresa di tutti che da sempre lo consideravano affine ad Ismene e quindi a lei destinato, ha da poco chiesto la mano ad Antigone divenendo così suo promesso sposo. Poi Creonte, «Cet homme robuste, aux cheveux blancs qui médite»5, il cui dovere è quello di guidare gli uomini, ha dovuto farsi carico delle responsabilità e degli oneri che la gestione del potere implica, e come Antigone è solo. Infine Euridice, moglie devota di Creonte, il Messaggero che è già a conoscenza dei fatti che seguiranno «C’est lui qui viendra annoncer la mort d’Hémon tout à l’heure» e che per questo si tiene in disparte, per ultime le guardie, uomini semplici e pronti ad obbedire. A questo punto vengono esposti i fatti che hanno condotto alla situazione attuale: si racconta del fidanzamento di Antigone e Emone, dell’ascesa al potere di Creonte, dello scontro fratricida tra Eteocle e Polinice e dell’emissione del decreto reale che negava qualsiasi tipo di rito funebre al fratello traditore. Tuttavia il prologo svela anche avvenimenti cruciali che si verificheranno nel corso della tragedia come la morte

1 R. Gasparro, Jean Anouilh. Il gioco come ambizione formale, Firenze, La nuova Italia, 1977, p.

45. 2 Antigone, p. 131. 3 Ibidem. 4 Ivi, p. 132. 5 Ibidem.

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di Antigone, di Emone e di Euridice; questo è dovuto al fatto che la rielaborazione di Anouilh non si verifica a livello di contenuto ma bensì a livello di forma e perciò le anticipazioni fornite allo spettatore servono semplicemente a completare la panoramica generale. Come scrive Leonard Pronko nel libro The world of Jean Anouilh:

There is no suspense in the modern sense, for we know how the play will end; we have no doubt but that Antigone will die. […] The interest of the play arises, as in the Greek theatre, from something much more profound than the plot: the moral struggle between two wills, both of which are right, and the intensity of the heroine, which is reflected in every aspect of the play of which it is the dominant note.1

Il primo personaggio a parlare, dando così inizio a tutti gli effetti all’azione, è la nutrice; è l’alba e vediamo Antigone che sta rientrando a casa di soppiatto

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