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Le eroine mitologiche di Jean Anouilh: Eurydice, Antigone, Medee.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E

LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN LINGUE E LETTERATURE MODERNE

EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Le eroine mitologiche di Jean Anouilh: Eurydice, Antigone, Médée.

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

CANDIDATO

RELATORE

Géraldine Bartalucci

Chiar.ma Prof.ssa Barbara Sommovigo

CORRELATORE

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1

Indice

Introduzione ... 2

Jean Anouilh: vita e opere ... 5

Capitolo 1: Eurydice ... 12

L’antefatto e il mito classico ... 13

La moderna Euridice ... 16

L’Euridice di Anouilh ... 19

Capitolo 2: Antigone ... 37

L’antefatto e il mito classico ... 38

La moderna Antigone ... 41

L’Antigone di Anouilh ... 44

Capitolo 3: Médée ... 67

L’antefatto e il mito classico ... 68

La moderna Medea ... 72

La Medea di Anouilh ... 75

Conclusioni ... 93

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2

Introduzione

Tout texte se construit comme une mosaïque de citations, tout texte est absorption et transformation d'un autre texte.1

Da sempre gli scrittori hanno costatato che il processo di scrittura è in realtà una riscrittura, che in ambito letterario il concetto di novità è illusorio, che tutto è già stato scritto e che i vari autori non fanno altro che riprendere e riadattare testi precedenti. Solo un piccolo gruppo di testi, come i racconti mitologici o quelli biblici, fa eccezione e permette quindi di rievocare i pionieri delle forme e dei generi e di ricordare che essi hanno inaugurato una linea letteraria che si è poi sviluppata in modo articolato e continuo con il passare del tempo. L’umanesimo e il classicismo considereranno, infatti, l’imitazione dei testi antichi come la premessa obbligatoria nella produzione di opere di qualità. La querelle des Anciens et des Modernes nel XVII secolo è una delle manifestazioni di questo dibattito tra i sostenitori della fedeltà ai precursori e i promotori di una forma di emancipazione dalla tradizione. Le modalità di riscrittura sono di vario genere; la trasposizione più fedele di un testo è, a prima vista, la sua traduzione, apparentemente semplice passaggio di un testo da una lingua all’altra ma, in realtà, operazione estremamente complessa in quanto adattamento ad un’altra cultura, ad un altro gusto e ad una diversa sensibilità. Il concetto stesso di riscrittura letteraria può far pensare a una limitazione del ruolo dello scrittore, all’annullamento dell’originalità autoriale ma non vi è niente di più falso. Colui che intraprende un lavoro di questo tipo deve spesso fare, quasi paradossalmente,

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3

uno sforzo ulteriore in quanto il rapporto con l’ipotesto obbliga alla gestione costante di riferimenti, citazioni, significati impliciti, metafore e così via. Nella relazione ambigua che si tesse tra il testo fonte e una sua riscrittura si trovano le ragioni che spiegano le scelte dell’autore. Il primo atto del processo di riscrittura è la lettura, colui che decide, infatti, di riprendere e rimaneggiare un’opera, è in primo luogo colui che leggendola ne è rimasto colpito e decide quindi, in un certo senso, di renderle omaggio. La riscrittura inoltre prolunga, per così dire, l’atto di lettura originale in quanto il riappropriarsi di un testo è anche un modo per declinarne il significato e di dare a questo la possibilità di interrogare l’epoca contemporanea. Il processo di riscrittura permette inoltre, come fu per gli Umanisti e i Neoclassici, di riappropriarsi della cultura antica e della gloria ad essa legata e di essere quindi certi del valore di un’opera dando a questa la forma, lo spirito e i temi degli autori riconosciuti. Questa trasmissione dei classici è anche una sorta di nobile missione che consente di conservare e riproporre gli autori del passato e, non meno importante, si tratta di una forma di assicurazione, una sorta di garanzia: maneggiare un testo levigato negli anni dallo sguardo critico di generazioni di lettori la cui efficacia comunicativa l’ha reso quasi immortale. Per sintetizzare potremmo affermare che una riscrittura non è il semplice adattamento stilistico di un testo ad un gusto contemporaneo, bensì una reinterpretazione alla luce di una nuova situazione storico-sociale, di una nuova ideologia o di un nuovo punto di vista, ed è proprio lo scarto temporale con l’originale che permette al messaggio e al significato della nuova opera di stagliarsi ed emergere agli occhi del nuovo lettore.

Un particolare tipo di riscrittura è quella che si basa sui miti greco-romani di epoca classica, ossia su quel gruppo di racconti che possono essere considerati come i capostipiti dell’intera letteratura. La mitologia classica ha avuto una grandissima influenza sulla cultura, sulle arti e sulla letteratura della civiltà occidentale; poeti e artisti di tutte le epoche si sono ispirati ad essa mettendo in evidenza la straordinaria attualità dei temi mitologici antichi nei vari periodi storici. In particolare i miti classici furono riscoperti e riconsiderati a partire dal XVI secolo, con la nascita dell’Umanesimo e del Rinascimento, e fu con l’avvento del Neoclassicismo, due secoli più tardi, che essi conobbero di nuovo un

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grande successo. In questo periodo si manifestò, infatti, una tendenza all’imitazione dell’antichità originata dalla volontà di recuperare non soltanto le tradizionali forme di bellezza, ma anche la razionalità e l’equilibrio morale che quelle forme esprimevano. Il dialogo che le letterature moderne hanno da sempre istituito con i modelli della tradizione classica assume nel Novecento una pregnanza del tutto particolare, data la distanza fra i due sistemi culturali e dato il definitivo esaurirsi di ogni classicismo. I miti classici si avvicinano sempre più a quelle che Blumenberg1 chiama "metafore assolute": metafore che condensano nuclei fondamentali dell'esperienza umana, sempre più sganciate dai testi che le hanno prodotte. Tutto ciò risulta particolarmente accentuato nella prima metà del Novecento in cui si attesta un'ampia fioritura di riscritture dell'antico che coinvolge tutti i generi letterari. Come si legge nell’articolo di Maurice Lebel2:

Le retour à l’étude des légendes grecques est sans doute l’un des traits distinctifs, du moins au point de vue littéraire et philosophique, du monde assez chaotique dans lequel nous vivons aujourd’hui.1

Nombreux en effet sont les essayistes et les romanciers, les poètes et les auteurs dramatiques, qui s’appliquent à rajeunir à notre époque les mythes de l’Ancienne Grèce. En Allemagne et en Autriche,2 en Angleterre3 et en France, en Grèce et en Italie,4 aux États-Unis5 et au Canada6, il n’est pas rare de voir des esprits s’intéresser à ces récits mythologiques de jadis, qui sont encore pour nous si riches de pensées, d’expériences, et de psychologie humaine.3

1

Extrait d’une communication lue le 8 juin 1956 au congrès annuel de la Société Royale du Canada qui a eu lieu à l’Université de Montréal.

2

Max Reinhardt, Stefan Zweig.

3

T.S. Eliot, Christopher Fry.

4

Pirandello.

5

Robinson Jeffers, Eugene O’Neill.

6

R.P. Gustave Lamarche, c.s.v., auteur des Argonautes.

Uno dei letterati che in questo periodo si dedicò a quest’operazione di riscrittura dei miti classici fu Jean Anouilh, autore teatrale francese, che fece rivivere sul suo palcoscenico alcune delle più celebri eroine dell’antichità. Il presente lavoro si propone di esaminare e analizzare tali testi così da cercare di comprendere meglio i punti di contatto con le loro fonti classiche nonché le modifiche effettuate a livello formale e contenutistico per cercare di trarre conclusioni generali circa l’operazione effettuata dall’autore.

1

H. Blumenberg, Paradigmi per una metaforologia, Milano, Cortina ed., 2009.

2 Per completezza di informazione si riporta la citazione con le relative note a piè di pagina. 3 M. Lebel, De la Médée d'Euripide aux Médées d'Anouilh et de Jeffers, «Phoenix», 1956, (IV), p.

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5 Jean Anouilh: vita e opere1

Jean Anouilh, scrittore e drammaturgo francese oltre che regista e sceneggiatore di film, nacque a Bordeaux il 23 giugno del 1910 da una famiglia di origini basche: il padre era un abile sarto e la madre una violinista e insegnante di pianoforte. Nel 1921 si trasferì a Parigi e fu quindi nella capitale francese che Anouilh fece i suoi studi, frequentando dapprima il Collège Chaptal e, una volta diplomato, la facoltà di Legge alla Sorbona che, tuttavia, abbandonò dopo circa un anno per lavorare presso un'agenzia pubblicitaria ove conobbe, tra gli altri, Jacques Prévert. Fu un lettore accanito e un grande ammiratore del teatro di Shakespeare, Claudel, Cocteau, Gide, Pirandello e Giraudoux; così spinto dalla vocazione drammaturgica, decise ben presto di dedicarsi totalmente alla scrittura. Esordì, senza grande successo, nel 1929 con la farsa Humulus le muet, cui seguì nel 1932 L'Hermine, testo in cui il protagonista combatte inutilmente un mondo ostile, dominato dal denaro e dalle ambizioni nel tentativo di mantenere i suoi ideali romantici e di salvare un amore "immacolato come l'ermellino". Giovanissimo, nel 1931, sposò l’attrice Monelle Valentin da cui ebbe una figlia e iniziarono così responsabilità familiari e problemi economici (acuiti dal fallimento di alcune rappresentazioni) che lo tormentarono per anni. Il successo arrivò nel 1937 con Le voyageur sans bagage, da cui lo stesso Anouilh trasse un film nel 1944: il protagonista Gaston è un veterano della prima guerra mondiale che ha perso la memoria e che, scoprendo di essere stato un vile e ormai conquistato da una nuova purezza interiore, rifiuta la sua famiglia per bene ma gretta e rinuncia

1Per la stesura di questo paragrafo si fa riferimento in massima parte a S. Iannello, Jean Anouilh.

Scrittore e drammaturgo francese., La frusta letteraria, rivista di informazione e critica culturale,

<http://lafrusta.homestead.com/pro_anouilh.html> (1.03.17), e aJ.-L. Bricaire, G. Latour, Jean

Anouilh ou L’Anarchiste réactionnaire, Association de la Régie Théâtrale, <http://www.regietheatrale.com/index/index/thematiques /auteurs/Anouilh/jean-anouilh -table-des-matieres.html>, (10.01.17).

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alla sua precedente personalità. Le centinaia di repliche di questo e degli altri testi di successo La sauvage, Le bal des voleurs (1938) e Léocadia (1940), risolsero tutti i suoi problemi economici. Tuttavia, lo scoppio della seconda guerra mondiale e la successiva occupazione nazista, furono all'origine di un inevitabile periodo di rallentamento nella sua carriera. Nonostante tutto, nel 1941 il nostro autore scrisse Eurydice, tragedia ispirata al mito greco di Orfeo, e mise in scena Le rendez-vous de Senlis, scritto nel 1937. Il 13 febbraio del 1944 ci fu la prima rappresentazione della celeberrima Antigone, scritta in piena guerra mondiale durante l’occupazione nazista della Francia nel 1942, tragedia suggerita dall'antichissima e ciò nonostante contemporanea Antigone di Sofocle. Rappresentata al Théâtre de l'Atelier con la regia di Barsacq, viene narrata la tragedia di un'eroina che, divenuta metafora della ribellione contro ogni dittatura, rinuncia al suo ruolo di cittadina-suddita rigettando l'autoritarismo del re Creonte pur sapendo che ciò equivale a morte certa. È interessane ricordare che la prima rappresentazione non ebbe successo poiché molti vi colsero una posizione favorevole nei confronti della Germania nazista che fu aspramente rimproverata all’autore ma, in seguito, non mancarono alla tragedia l'amore del pubblico e la apprezzamento della critica, che considerò un capolavoro il mito di questa giovane donna ribelle e inflessibile. Da allora Anouilh ebbe solo successi, la sua fama si affermò in tutt’Europa e, nel 1953 con la traduzione in inglese de L'Alouette (The Lark) dedicata a Giovanna d’Arco, giunse persino negli Stati Uniti d'America. Di questo periodo: Roméo et Jeannette e Médée (1946), L'Invitation au Château (1947), Ardèle ou la Marguerite (1948), La répétition ou l'amour puni (1950), Colombe (1951), la farsa La valse des toréadors (1952) che ebbe grande successo e Ornifle ou la courant d'air. Da ricordare anche i testi politici Pauvre Bitos ou le dîner de têtes (1956), scritto per criticare i processi ai collaborazionisti francesi, L'hurluberlu ou le réactionnaire amoureux (1958) e Le songe du critique (1960), scritti in posizione antitetica rispetto a quelle del generale de Gaulle col quale entrò in aperto conflitto. Del 1959 sono La petite Molière e Becket ou l'honneur de Dieu, noto in Italia come Becket e il suo re1, che vinse un Tony Award e l'Antoinette Petty Award for Excellence in Theatre per la

1 Rappresentato in Italia da G. Cervi e M. Girotti nel 1960 con la regia di M. Ferrero. Nel 1964 ne

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stagione 1960-61. Seguì La Grotte (1961), che fu invece un insuccesso; Anouilh decise allora di dedicarsi al cinema e alla regia, allestendo spettacoli di grande rilievo, scrivendo la trama per balletti, e traducendo e adattando lavori di Oscar Wilde e Graham Greene. Si dedicò inoltre alla moderna commedia di carattere che si rivelò di notevole gradimento per il pubblico e che gli valse l’appellativo di «auteur de théâtre de distraction». Premiato nel 1970 con il Prix mondial Cino Del Duca e nel 1980 con il Grand Prix du Théâtre de l'Académie française, Anouilh morì a Losanna il 3 ottobre del 1987.

Durante la sua lunga carriera, in cui aveva spaziato dalla tragedia alla satira fino alla farsa, egli aveva diviso le sue opere in varie categorie: pièces noires (nere), pièces roses (rosa), pièces brillantes (brillanti), pièces grinçantes (stridenti), pièces costumées (in costume), pièces baroques (barocche), pièces secrètes (segrete) e infine pièces farceuses (farse).

I testi scelti e analizzati nel presente lavoro, ovvero Eurydice1, Antigone2, Médée3, appartengono alla categoria delle Pièces Noires ossia a quel gruppo di opere caratterizzate da un tono cupo e fatalista e da una sorta di tragica predestinazione che si abbatte impietosamente sui protagonisti delle vicende narrate. Influenzati dall'esistenzialismo e pieni dell’inquietudine dell'età contemporanea oppressa dalla seconda guerra mondiale, questi testi mostrano inoltre una nostalgica tendenza a quella purezza d'animo che caratterizza il perduto mondo infantile ma che non è più immaginabile nella realtà attuale in quanto del tutto corrotta e meschina. I suoi personaggi, eroi animati da nobili ambizioni e alti principi, messi di fronte alla scelta tra il reale e l’ideale, non sono disposti a cedere al compromesso che la società esige da loro e quindi, pur di mantenere purezza e integrità, si orientano verso l’unica nobile opzione rimasta: la morte.

1

J. Anouilh, Eurydice, Paris, La table ronde, 2012. D’ora in poi Eurydice.

2 J. Anouilh, Antigone, in Nouvelles pièces noires, Paris, La table ronde, 1946. D’ora in poi

Antigone.

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Di seguito una breve cronologia delle opere teatrali di Anouilh.

Pièces noires

(éditions Balzac, 1942)

L’Hermine Théâtre de l’Œuvre, 26 avril 1932 (scritta nel 1931, pubblicata nel 1932) La Sauvage Théâtre des Mathurins, 11 janvier 1938

(scritta nel 1934, pubblicata nel 1938) Le Voyageur sans Bagage Théâtre des Mathurins,16 février 1937

(scritta nel 1936, pubblicata nel 1937) Eurydice Théâtre de l’Atelier, 18 décembre 1941

(scritta nel 1941, pubblicata nel 1942)

Pièces roses

(éditions Balzac, 1942)

Le Bal des Voleurs Théâtre des Arts de Paris, 17 septembre 1938 (scritta nel 1933, pubblicata nel 1938)

Le Rendez-vous de Senlis Théâtre de l’Atelier, 30 janvier 1941 (scritta nel 1936, pubblicata nel 1942)

Léocadia Théâtre de la Michodière, 30 novembre 1940 (scritta nel 1938, pubblicata nel 1942)

Nouvelles pièces noires

(éd. de la table ronde, 1946)

Jézabel Inedita in Francia

(scritta nel 1932, pubblicata nel 1946) Antigone Théâtre de l’Atelier, 13 février 1944

(scritta nel 1942, pubblicata nel 1946) Roméo et Jeannette Théâtre de l’Atelier, 20 novembre 1946

(scritta nel 1945, pubblicata nel 1946) Médée Théâtre de l’Atelier, 25 mars 1953

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Pièces brillantes

(éd. de la table ronde, 1951)

L’invitation au Château Théâtre de l’Atelier, 5 novembre 1947 (scritta nel 1946, pubblicata nel 1948) Colombe Théâtre de l’Atelier, 10 février 1951

(scritta nel 1950, pubblicata nel 1951) La Répétition ou l’Amour

puni

Théâtre Marigny, 27 octobre 1950 (scritta nel 1950, pubblicata nel 1950)

Cécile ou l’École des pères Comédie des Champs-Élysées, 12 décembre 1952 (scritta nel 1951, pubblicata nel 1951)

Pièces grinçantes

(éd. de la table ronde, 1956)

Ardèle ou la Marguerite Comédie des Champs-Élysées, 4 novembre 1948 (scritta nel 1948, pubblicata nel 1948)

La valse des toréadors Comédie des Champs-Élysées, 8 janvier 1952 (scritta nel 1951, pubblicata nel 1952)

Ornifle ou le Courant d’air Comédie des Champs-Élysées, 4 novembre 1955 (scritta nel 1955, pubblicata nel 1955)

Pauvre Bitos ou le Dîner des têtes

Théâtre Montparnasse, 11 octobre 1956 (scritta nel 1956, pubblicata nel 1956)

Pièces costumées

(éd. de la table ronde, 1960)

L’Alouette Théâtre Montparnasse, 15 octobre 1953 (scritta nel 1952, pubblicata nel 1953) Becket ou l’Honneur de

Dieu

Théâtre Montparnasse, 2 octobre 1959 (scritta nel 1959, pubblicata nel 1959)

La Foire d’empoigne Comédie des Champs-Élysées, 11 janvier 1962 (scritta nel 1958, pubblicata nel 1962)

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Nouvelles pièces grinçantes

(éd. de la table ronde, 1970) L’Hurluberlu ou Le

Réactionnaire amoureux

Comédie des Champs-Élysées, 5 février 1959 (scritta nel 1958, pubblicata nel 1959)

La Grotte Théâtre Montparnasse, 5 octobre 1961 (scritta nel 1959, pubblicata nel 1961)

L’Orchestre Comédie des Champs-Élysées, 11 janvier 1962 (scritta nel 1959, pubblicata nel 1962)

Le Boulanger, la Boulangère et le Petit Mitron

Comédie des Champs-Élysées, 13 novembre 1968 (scritta nel 1965, pubblicata nel 1969)

Les Poissons rouges ou Mon père ce héros

Théâtre de l’Œuvre, 21 janvier 1970 (scritta nel 1968, pubblicata nel 1970)

Pièces baroques

(éd. de la table ronde, 1974) Cher Antoine ou l’Amour

raté

Comédie des Champs-Élysées, 1er octobre 1969 (scritta nel 1967, pubblicata nel 1969)

Ne réveillez pas Madame Comédie des Champs-Élysées, 24 octobre 1970 (scritta nel 1964, pubblicata nel 1970)

Le Directeur de l’Opéra Comédie des Champs-Élysées, 28 septembre 1972 (scritta nel 1971, pubblicata nel 1972)

Pièces secrètes

(éd. de la table ronde, 1977)

L’Arrestation Théâtre de L’Athénée, 20 septembre 1975 (scritta nel 1972, pubblicata nel 1975) Tu étais si gentil quand tu

étais petit

Théâtre Antoine, 18 janvier 1972 (scritta nel 1969, pubblicata nel 1972) Le Scénario Théâtre de l’Œuvre, 21 janvier 1970

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Pièces farceuses

(éd de la table ronde, 1984)

Chers zoiseaux Comédie des Champs-Élysées, 4 décembre 1976 (scritta nel 1974, pubblicata nel 1977)

La Culotte Théâtre de l’Atelier, 19 septembre 1978 (scritta nel 1976, pubblicata nel 1978) Épisode de la vie d’un

auteur

Comédie des Champs-Élysées, 4 septembre 1948 (scritta nel 1948, pubblicata nel 1959)

Le Nombril Théâtre de l’Atelier, 25 septembre 1980 (scritta nel 1980, pubblicata nel 1981)

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Eurydice

(rappresentata per la prima volta il 18 dicembre 1941 al

Théâtre de l’Atelier)

1

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13 L’antefatto e il mito classico1

Il mito di Euridice è stato spesso occultato da quello di Orfeo in cui questo personaggio appare solo tardivamente e rimane in secondo piano. In origine Orfeo non ha una donna; il cantore divino, spesso designato come l’inventore della cetra e anche come l’antenato di Omero e di Esiodo, è una figura autonoma e complessa che, per come ci è pervenuta, appare composta da tre filoni, se così si può dire, non indipendenti ma comunque distinguibili. Compare come iniziatore eponimo dei riti della setta orfica nota dal V secolo. Come autore, alla maniera di Omero, di quel complesso di produzioni poetiche di contenuto oracolare ed enigmatico, noto appunto come poesia orfica. Infine, il personaggio di Orfeo lo possiamo trovare in due grandi miti, quello degli Argonauti e quello con Euridice. Secondo le più antiche fonti egli è nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e quello dei morti, dotati di poteri operanti sul mondo della natura, capaci di provocare uno stato di trance tramite la musica.

Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro (o, secondo altre versioni, del dio Apollo), Orfeo è il cantore per eccellenza, signore della musica e della poesia, la cui potenza e piacevolezza riuscivano ad ammansire persino le belve più feroci. Orfeo fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo e quindi un eroe benefattore del genere umano e promotore delle arti e maestro religioso. In quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura.

1Per la stesura di questo paragrafo si fa riferimento in massima parte a P. Grimal, Enciclopedia

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Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti dando innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni grazie alla sua lira e al canto. La sua fama è però soprattutto legata alla tragica vicenda d'amore che lo vide unito alla Driade Euridice, che era sua moglie. Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente la sposa del cantore e, sebbene lei non corrispondesse affatto i suoi sentimenti, egli continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno, per sfuggirgli, Euridice mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso.

Quando Orfeo sopraggiunse, la sua giovane moglie era già entrata nel regno dell’Ade, egli andò allora errando, cercandola, col suo canto pieno di lamenti, attraversando l’intera Grecia, fino al Tenaro, la punta più meridionale del Peloponneso. Là, secondo gli antichi greci, si scendeva nel regno degli inferi entrando in una grotta; nell’udire i suoi canti pieni di disperazione per la perdita dell’amata, tutti gli dei si commossero e gli suggerirono di scendere nel mondo degli inferi per impietosire Ade e Persefone e convincerli a far tornare in vita la sua amata. Affidandosi alla sua lira Orfeo si incamminò per l’oscura via che conduce al regno dei morti. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte ma, Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica e, sempre con la sua lira, riuscì poco dopo a placare anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Egli superò a uno ad uno gli ostacoli che si trovò a dover fronteggiare: ridusse in lacrime le Erinni, le tre terribili dee infernali, fece cessare i tormenti dei dannati e scese una scalinata di mille gradini per ritrovarsi così al centro del mondo oscuro. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade e Persefone e allora, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, insistendo sulla gioventù perduta di Euridice ed enfatizzando la forza di un amore impossibile da dimenticare e lo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Fece ricorso anche a considerazioni più razionali dicendo che la chiedeva solo in prestito e che quando fosse venuta la sua ora, anche Euridice sarebbe tornata nell'Ade. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato accontentato. I sovrani degli inferi, commossi nell’udire il canto di Orfeo,

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acconsentirono alla sua preghiera di poter riportare l’amata fra i vivi; fu però posta una condizione: Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino alla porta dell'Ade senza voltarsi mai indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, e credendo di esser già uscito dal regno dei morti, Orfeo non riuscì più a resistere e ruppe la promessa del “noli respicere” (non guardare), vedendo così Euridice scomparire all'istante e tornare tra le tenebre per l'eternità.

Tornato sulla terra, l’eroe pianse ininterrottamente, esprimendo il suo dolore attraverso le sue immense capacità artistiche, consapevole del fatto che non avrebbe più potuto amare nessun'altra. Esasperate dai lamenti struggenti di Orfeo, che si ripercuotevano anche sull’ambiente circostante con effetti negativi, un gruppo di Baccanti ubriache e infuriate lo uccise durante un rito dionisiaco, lo fecero a pezzi e gettarono la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa galleggiando, continuò a cantare soavemente e Zeus, toccato da questo evento commovente, prese la lira e la mise in cielo formando una costellazione.

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16 La moderna Euridice

Nelle riscritture del ventesimo secolo l’elemento che su cui si focalizza maggiormente l'attenzione è quello del divieto di guardare all’indietro, dello sguardo che uccide. L’interesse si concentra quindi in questo periodo sulla ragione per cui Orfeo si volta: in Virgilio e Ovidio per troppo amore, nelle interpretazioni moderne per motivi diversi.

Riportiamo di seguito alcune delle riscritture antecedenti a quella di Jean Anouilh1.

1. Orfeo. Euridice. Hermes2, R. M. Rilke (1904). Quest’opera, una lunga poesia giovanile dell’autore, inaugura il ciclo delle riprese novecentesche. Orfeo è descritto, avvolto in un mantello azzurro, mentre corre in salita verso la luce, lo sguardo proteso in avanti, inseguito a distanza da due personaggi, "muti" e "con passo lieve": Euridice ed Hermes. Tuttavia, i due innamorati non sembrano impazienti di riabbracciarsi, al contrario sono totalmente concentrati su loro stessi e a malapena consapevoli della situazione che stanno vivendo. Euridice vive ormai nell'oblio della morte, mentre Orfeo è vivo; il loro ricongiungimento è pertanto impossibile. Orfeo sembra avere una sorta di consapevolezza di questo, e perciò finisce inevitabilmente per voltarsi segregando definitivamente l’amata nel regno dei morti. Finisce così la parabola letteraria della storia d'amore come motore narrativo del mito e inizia il mito del poeta e della sua libertà.

1 F. Asole, Figure del mito nel teatro di Jean Anouilh, «Linguaggi in scena, Quaderni della Facoltà

di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Cagliari», 2013, (XIV).

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2. Dans un monde sonore1, V. Segalen (1907). L’eroe del racconto è un celebre accademico che si è ritirato dall’insegnamento per vivere in una stanza che egli ha equipaggiato con un serie di strumenti ed amplificatori capaci di riprodurre l’eco di tutti i rumori rendendoli perfettamente armoniosi. L’uomo, che pur non chiamandosi Orfeo ne incarna evidentemente il ruolo e si riferisce più volte al mito greco, afferma che questo luogo gli ha permesso di conservare il suo potere di gioire dei suoni e di percepire così l’armonia del mondo. Inoltre egli ritiene che, diversamente da lui, sua moglie sia regredita ad una sorta di disfonia spirituale che fa sì che il suo contatto con il mondo sia possibile soltanto attraverso i sensi “inferiori”, ossia la vista e il tatto. Orfeo, che è qui mostrato con un aspetto originale e inconsueto, viene identificato con la spiritualità e la purezza, mentre Euridice con la materialità, con l’esigenza limitante del quotidiano. I due innamorati rappresentano perciò due maniere opposte di concepire il mondo che non possono essere conciliate, di conseguenza anche il loro destino è quello di rimanere separati per sempre.

3. Orphée2, J. Cocteau (1926). Anche in questo caso il mito è trasportato in epoca contemporanea; Orfeo ed Euridice, ormai sposati, litigano a causa di un cavallo che l’uomo ha portato a casa e che ha deciso di ospitare. Ciò che caratterizza l’animale è la sua capacità di comunicare, battendo gli zoccoli, frasi confuse dal significato quasi incomprensibile che destano grande interesse nel poeta; una di queste frasi, in particolare, recita: «Madame Eurydice reviendra des enfers». Altro motivo di discussione è l’amicizia che Euridice ha stretto con Aglaonice, la regina delle Baccanti, la quale sta in effetti tramando contro Orfeo ed arriva perfino a cercare di ucciderlo con una busta intrisa di colla avvelenata che viene però accidentalmente leccata da Euridice che muore al posto del marito. Orfeo riesce ad accedere agli inferi passando attraverso uno specchio, che può essere considerato qui come la porta del mondo dei

1V. Segalen, Dans un monde sonore, Paris, Fata Morgana, 2010.

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morti, e a recuperare la moglie che gli viene restituita; l’unica condizione è il divieto di guardarla. Ecco quindi che, come aveva predetto il cavallo, Euridice torna dall’aldilà ma la sua felicità è breve in quanto Orfeo non riesce a trattenersi dal guardarla e la vede così morire una seconda volta. Sconvolto per l’accaduto, il poeta si consegna alla furia della Baccanti che lo decapitano ponendo fine al suo dolore e consentendogli così di riunirsi all’amata nella morte.

4. La nouvelle Eurydice1, M. Yourcenar (1931). Si tratta di un romanzo che racconta di un uomo, Stanislas, che venendo a sapere della morte di una sua vecchia amica e amante, Thérèse, divenuta poi moglie di Emmanuel, decide di cercare di ricostruirne il ricordo nonché l’identità. Durante questa sua ricerca, tuttavia, egli scopre una serie di informazioni, spesso confuse e contraddittorie, che lo portano alla presa di coscienza che Thérèse era in realtà totalmente diversa dall’immagine che lui si era costruito di lei. Turbato da questo velo di bugie che sembra aver avvolto la donna per gran parte della sua vita, Stanislas decide di lasciarla andare e di rivolgere le sue attenzioni a Emmanuel. In questa riscrittura, che sembra mascherare piuttosto bene i legami con il mito classico, emerge di nuovo il confronto tra l’ideale e il reale: Orfeo/Stanislas di fronte alla verità sul conto dell’amata è spiazzato e decide di rinunciare a lei e perfino al suo ricordo. Oltre a ciò la scrittrice inserisce ad un livello soggiacente il tema dell’omosessualità e del triangolo amoroso.

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19 L’Euridice di Anouilh

Anouilh scrive Eurydice nel 1941 e la mette in scena al Théâtre de l’Atelier il 18 dicembre dello stesso anno, un momento storico particolarmente delicato e infausto. Nel settembre del 1939 la Francia dichiara guerra al III Reich e l’anno seguente viene invasa e conquistata; si instaura un governo collaborazionista, la Repubblica di Vichy, mentre da Londra il maresciallo De Gaulle invita il popolo francese alla resistenza. Sarebbe quindi più che plausibile aspettarsi un riflesso di questa difficile situazione politica nell’opera ma ciò in realtà non avviene affatto ma, al contrario, l’immaginazione dell’autore rimane estranea a qualsiasi tipo di riferimento all’attualità. Tuttavia Anouilh decide comunque di trasportare la perdita di Euridice nel quotidiano a lui contemporaneo e, ispirato dal poeta-eroe latino, rende i protagonisti degli artisti. Orfeo diventa un musicista ambulante che suona il violino fuori dai locali, in compagnia del padre, arpista senza talento che grava totalmente sul figlio. Euridice, invece, è un’attrice come sua madre, insieme fanno parte di una troupe di mediocre livello che si esibisce nei piccoli teatri di quart’ordine.

L’opera è divisa in quattro atti, il primo di essi si apre con una serie di indicazioni scenografiche che dipingono la scena iniziale, quella in cui avverrà l’incontro dei protagonisti che genera immediatamente la nascita del loro amore.

Le buffet d’une gare de province. Style pompeux, usé et sali. Tables de marbre, glaces, banquettes de velours rouge, râpé. Sur sa caisse trop haute, comme un bouddha sur un autel, la caissière, au gros chignon aux seins énormes. De vieux garçons chauves et dignes, des boules de métal brillant où dorment des torchons puants. Avant le lever du rideau on a entendu un violon. C’est Orphée qui joue doucement dans un coin près de son père, absorbé dans des comptes sordides devant deux verres vides. Au fond, un seul client, un jeune homme, chapeau rabattu sur les yeux, en imperméable,

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20 l’air absent. Musique un instant, puis le Père s’arrête de compter, regarde Orphée.1

Innanzi tutto notiamo che l’ambiente descritto, oltre ad essere contemporaneo, è caratterizzato da un forte senso di degrado e squallore, sia il buffet sia le persone che si trovano al suo interno sono espressione evidente di una realtà monotona e detestabile. Come sottolinea V. Ivanova nel suo articolo Orphée et Eurydice: Ovide, Anouilh, Neznakomov «La parodie du style soutenu ovidien s’impose avant même le début du dialogue dramatique»2. Soltanto un elemento si distingue ed emerge: la musica di Orfeo. Il contrasto tra scenografia e sonoro è interessante anche perché viene veicolato tramite due sensi diversi; visivamente si percepisce l’immagine di una quotidianità prosaica e decadente, mentre dal punto di vista uditivo lo spettatore è raggiunto dal delicato ed elegante suono del violino. È importante notare che ciò che caratterizzerà il protagonista maschile per tutta la durata dell’opera, sarà proprio l’incapacità di accettare la realtà che lo circonda, di uniformarsi ad essa omologandosi. Orfeo cerca l’ideale a scapito del reale, non è disposto a giungere a compromessi e questo porterà alla sua finale autodistruzione.

Il primo personaggio a parlare è il padre di Orfeo che si rivolge a lui con il termine “fiston”, un vocabolo che appartiene al registro basso e popolare che si discosta totalmente dallo stile elaborato e ricercato che caratterizza i racconti mitologici o i testi antichi più in generale. Apprendiamo che i due suonano per raccogliere offerte dai passanti e dai clienti del locale; Orfeo suona il violino, suo padre l’arpa ma nessuno dei due sembra avere particolare talento. Possiamo quindi notare, fin dalle prime pagine, che Anouilh elimina l’elemento delle straordinarie capacità artistiche che caratterizzavano profondamente l’eroe classico. Nella versione classica, Orfeo è infatti maestro assoluto, vero e proprio prodigio nel suonare la lira, tanto che questa sua capacità è assimilabile ad una sorta di potere magico. Nella versione di Anouilh, invece, l’uomo è un musicista

1

Eurydice, p. 9.

2V. Ivanova, Orphée et Eurydice: Ovide, Anouilh, Neznakomov, in J.P. Martin, C. Nédelec (a cura

di), Traduire, trahir, travestir: études sur la réception de l’Antiquité, Arras, Artois Presses Université, 2012, p. 2.

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mediocre e ordinario che ammette apertamente «Je joue pour moi»1. Ed egli è consapevole che, anche qualora avesse potenzialmente un qualche talento, questo non potrebbe essere sviluppato a causa del padre che dipende totalmente da lui e quindi ne ostacola il progresso autonomo. Il vecchio genitore, infatti, per l’intero svolgimento dell’opera, concentra la sua attenzione su elementi che appartengono agli aspetti più materiali della vita: il denaro, il cibo, il gioco d’azzardo. Così facendo, trattiene anche Orfeo in una dimensione triviale e banale in cui è di fatto impossibile che egli possa essere felice o realizzarsi. La musica che suona è triste, i suoi pensieri sono malinconici, egli è indifferente alla vita in quanto non trova in essa uno scopo soddisfacente da perseguire. Il padre non riesce a capire il punto di vista del figlio, ricorda la sua gioventù come un periodo totalmente positivo in cui considerava la vita come qualcosa di meraviglioso.

Orfeo esce di scena, anche il padre si alza e si mette a sistemare gli strumenti, in quel momento ecco giungere Euridice che, attratta dal dolce suono del violino, è venuta a cercare la fonte di quella melodia. Dopo alcuni istanti, fa il suo ingresso la madre dalla ragazza, una donna di mezza età, chiassosa e appariscente, dai modi piuttosto irritanti, una sorta di burattino capace di parlare soltanto per clichés e che considera l’amore una specie di gioco, di passatempo. È l’incarnazione della superficialità, della pochezza, della frivolezza; rappresenta in qualche modo ciò che il futuro riserva a Euridice se seguirà le sue orme. La donna si rivolge alla figlia poiché è curiosa di sapere il motivo per il quale non sembra più essere interessata a Mathias, un ragazzo della troupe innamorato di lei e con cui ha avuto fino a quel momento una relazione sentimentale e che adesso invece tiene a distanza senza che ci sia un motivo apparente. La ragazza dà ben poca importanza alla cosa, evita di dare risposte alla madre e approfitta dell’arrivo di Vincent, uno degli attori della compagnia cui sua madre sembra essere particolarmente legata, per uscire dal buffet e recarsi all’esterno, nella direzione dalla quale proviene il suono del violino. Il fatto che nel primo atto vengano presentati i genitori dei due protagonisti non è affatto casuale ma, come scrive Charlene Sacks in En revoyant Eurydice d’Anouilh:

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22 Tous deux sont d’une grande importance. Ils forment une image grotesque et décevante, une caricature de leurs rêves et de l’amour. Ils sont la somme des compromis que la société a exigé d’eux. Ils sont le symbole, la projection d’un avenir presque certain, si Eurydice et Orphée acceptent la société telle qu’elle est, car vivre c’est accumuler les déchéances et les hontes».1

È inoltre interessante notare che la prima immagine dell’amore che ci viene fornita nel testo è proprio quella della superficiale relazione tra la madre di Euridice e Vincent. Questi due personaggi infatti, sebbene siano convinti che tra loro sia esistito un vero sentimento, hanno in realtà vissuto una relazione illusoria fatta solo di giochi e apparenza che non potrebbe discostarsi maggiormente da quell’amore puro e assoluto cui aspirano invece Orfeo e Euridice.

L’incontro dei due protagonisti ha luogo sul binario della stazione e così la loro prima conversazione, questa, però, non sembra però affatto quella tra due sconosciuti. Nell’attimo stesso in cui si incontrano, i due sono già consapevoli del fatto che le loro vite sono destinate ad intrecciarsi, è come se in qualche modo si conoscessero già, come se avessero da sempre atteso quel momento. Sacks descrive così tale momento: «Orphée et Eurydice se sont reconnus sans s’être jamais vu. Ils sont attirés l’un vers l’autre comme par une force invincible. Ils sentent instinctivement qu’ils sont nécessaires l’un à l’autre»2

. La nascita del loro amore avviene in modo del tutto impulsivo e irrazionale, quasi per magia attraverso uno sguardo. Gli occhi, con il loro potere di rendere l’interiorità del singolo manifesta al mondo esterno, sono un elemento che ricorre più volte nell’opera fin dal primo contatto tra Orfeo ed Euridice.

Eurydice, elle regarde Orphée: Vos yeux sont bleu clair. Orphée: Oui. On ne sait pas de quelle couleur sont les vôtres. Eurydice: Ils disent que cela dépend de ce que je pense.

Orphée: En ce moment ils sont vert foncé comme l’eau profonde du bord des pierres du quai.

Eurydice: Ils disent que c’est quand je suis très heureuse.3

Dal momento in cui i due si incontrano, tutto il resto intorno a loro perde importanza e passa in secondo piano; si assiste ad una sorta di sospensione della realtà.

1C. Sacks, En revoyant Eurydice d’Anouilh, «Chimères», 1980, (I), pp. 64-65. 2Ivi, p.63.

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Così Hubert Gignoux descrive la reazione dei protagonisti:

Au premier instant ils sont éblouis, le monde autour d’eux est transfiguré. La salle du Buffet prend un air coquet, la caissière rajeunit de plusieurs années, et le garçon parait soudain si noble et distingué qu’on l’imagine sociétaire de la Comédie-Française.1

L’ambiente squallido del vecchio caffè ristorante della stazione contrasta nettamente con l’atmosfera rarefatta e poetica del loro incontro nonché con il tono fortemente lirico del linguaggio utilizzato. Tuttavia, Orfeo ed Euridice, inondati dal nuovo e incontenibile sentimento, sembrano percepire con occhi diversi l’intera realtà che li circonda: «Comme tout prend sa place maintenant que nous sommes seuls, comme tout est lumineux et simple! Il me semble que c’est la première fois que je vois des lustres, des plantes vertes, des boules de métal, des chaises…»2

. Come scrive E.B. Cobb: «Love in Anouilh’s plays transforms the ordinary world into a poetic and magical universe. In Eurydice, the lovers’ rencontre takes place in a dreary railroad station which to the enraptured Orphée soon begins to take on surreal quality»3.

Proseguendo nella conversazione, poco dopo, ecco tornare l’elemento dello sguardo; Euridice si rivolge a Orfeo pretendendo che le giuri che non la lascerà mai, in nessun caso nemmeno se un’altra donna, magari più bella di lei, lo guardasse e ne fosse quindi interessata. Orfeo ovviamente giura ma Euridice è comunque risentita in quanto già il fatto che lui conosca l’aspetto fisico dell’ipotetica corteggiatrice, implicherebbe che egli l’avesse guardata prestandole perciò attenzione, ma la risposta dell’uomo è chiara: «Je serai aveugle»4

. Un altro aspetto interessante del giuramento richiesto da Euridice riguarda il prezzo da pagare in caso di tradimento: la donna chiede esplicitamente a Orfeo di giurare sulla sua vita di non desiderare mai di lasciarla. Queste parole, di fatto, anticipano quello che sarà lo svolgimento dell’opera poiché Orfeo condannerà Euridice all’eternità negli inferi proprio a causa del suo bisogno di verità che lo porterà a mettere in discussione i suoi sentimenti e quindi l’intera relazione con la donna.

1 H. Gignoux, Jean Anouilh, Paris, éditions du temps présent, 1946, p.55. 2

Eurydice, p. 33.

3E. B. Cobb, Love and the feminine ideal in surrealism and in the theatre of Jean Anouilh,

«Romance notes», 1980, (II), p. 146.

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Nel chiedere all’amato di fare tale giuramento, Euridice gli chiede in realtà di impegnarsi a rendere il loro amore assoluto e indiscutibile, inattaccabile ed eterno. Nel momento in cui il bisogno di verità e l’intransigenza morale di Orfeo superano per importanza e priorità i suoi sentimenti per la donna, la possibilità di una “seconda vita” per Euridice viene sacrificata in nome della conoscenza del vero. Come afferma Francesco Asole nel suo articolo Figure del mito nel teatro di Jean Anouilh1, nell’opera sono infatti ritratti due diversi modi di concepire e conoscere l’amore: uno basato sul sentire e l’altro basato sul sapere. Orfeo ama Euridice ed è certo che ella sia così come lui la sente, tuttavia, questo non è sufficiente, il suo amore non si accontenta del sentire, ha bisogno anche di sapere. Per Euridice invece è diverso perché è in grado di lasciarsi guidare dalle emozioni, è capace di vivere il presente senza che il passato lo infici minimamente.

Orphée, rêve un instant en silence avec elle dans les bras. Il murmure: Qui êtes-vous? il me semble que je vous connais depuis longtemps.

Eurydice: Oh! Pourquoi demander qui on est? Cela veut dire si peu de chose, qui on est…

Orphée: Qui êtes-vous? il est trop tard, je le sais bien, et je ne peux plus vous quitter maintenant…Vous avez surgi tout d’un coup dans cette gare. Je me suis arrêté de jouer du violon et maintenant je vous ai là dans mes bras. Qui êtes-vous?

Eurydice: Moi non plus, je ne sais pas qui vous êtes. Et pourtant je n’ai pas envie de vous le demander. Je suis bien. C’est assez.

Orphée: Je ne sais pas pourquoi j’ai peur d’avoir mal tout d’un coup.2

Le ultime parole di Orfeo alludono al fatto che egli percepisce il suo amore per Euridice come un sentimento assoluto che esige purezza e intransigenza e, come tale sottolinea ancora Asole, si basa su un concetto fondamentale e imprescindibile: la verità3. Questa premessa di reciproca sincerità deve essere applicata dai due innamorati a tutti gli ambiti della relazione ma, quello che finirà per ossessionare Orfeo, è quello relativo alla conoscenza delle passate relazioni amorose di Euridice. Egli è consapevole che lei ha avuto altri amanti, che ha vissuto altre relazioni e già questo è per lui motivo di angoscia, tuttavia dichiara all’amata che se gli confessasse fin da subito la verità, lui sarebbe disposto a

1F. Asole, Figure del mito nel teatro di Jean Anouilh, cit., p. 11. 2Eurydice, p. 43.

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dimenticarla per ricominciare da capo. Euridice è piuttosto agitata dalla richiesta di Orfeo, cerca di divagare, di sviare la questione ma lui insiste continuando a porre domande finché lei confessa di aver avuto due relazioni fino a quel momento: una con Mathias e una con un altro uomo molti anni prima. Euridice aggiunge che nessuna di esse è mai stata animata da un sentimento anche solo avvicinabile a quello che prova adesso per l’amato. Orfeo sembra sollevato e desideroso di un nuovo inizio: «Là, mantenente tout recommence. C’est moi qui vous tiens»1. L’uomo va oltre e, per sancire l’ufficialità del loro legame, pronuncia una sorta di formula nuziale che suggella definitivamente la definitiva promessa di reciproco amore.

Euridice allora si alza dicendo ad Orfeo che tornerà subito ma che deve prima fare una cosa; la vediamo quindi allontanarsi e parlare con Mathias. Il ragazzo è venuto a cercarla ma la donna gli fa capire immediatamente che non è più interessata a lui in quanto adesso si è seriamente innamorata di un altro. Mathias è totalmente spiazzato nel sentire queste parole, chiede una spiegazione e cerca di convincerla a cambiare idea ripetendole che la ama e che non può vivere senza di lei. Euridice non gli dà nessuna risposta logica o articolata ma si limita a ripetere che ama Orfeo. Ripete le parole “Je l’aime” per ben cinque volte in una manciata di battute e perfino quando cerca davvero di far sì che Mathias comprenda ciò che le è successo tutto ciò che riesce a dire è: «Écoute, Mathias, essaie de comprendre: je t’aime bien, seulement je l’aime…»2

. Con queste parole si conclude il dialogo tra i due; entrambi escono di scena ed entra invece Orfeo seguito dal padre mentre in lontananza si sente il rumore di un treno che si avvicina. Il giovane musicista comunica al padre che non partirà con lui e che, almeno per adesso, egli dovrà vivere autonomamente. Il padre è estremamente stupito dalle parole del figlio che solo poco prima gli aveva invece assicurato che non sarebbe mai stato in grado di saperlo solo e quindi di lasciarlo. Tuttavia nel frattempo le cose sono cambiate e adesso Orfeo è pronto a compiere tale gesto, Orphée: «Maintenant je peux»3. Il padre sale sul treno così come la compagnia teatrale di cui Euridice faceva parte; i

1Eurydice, p. 47. 2Ivi, pp. 49-50. 3Ivi, p. 57.

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due innamorati entrano di nuovo nel caffè ristorante della stazione, Euridice: «Voilà. Nous sommes seuls au monde maintenant»1.

Improvvisamente all’esterno si sente il rumore di un treno che entra in stazione seguito da un grido che si trasforma in una sorta di mormorio generale; qualcuno si è buttato sotto il treno: si tratta di Mathias. Euridice non sembra affatto sconvolta dalla vicenda, si limita a constatare che lei non avrebbe comunque potuto fare niente per impedire il tragico gesto in quanto il suo cuore ormai apparteneva esclusivamente ad Orfeo. Intanto l’uomo in impermeabile seduto nel buffet fin dall’inizio dell’opera si alza dal suo tavolo e si avvicina ai due innamorati. L’uomo si rivolge a loro e fa una serie di considerazioni generali sul suicidio e sulle modalità con cui esso può essere commesso, Euridice gli chiede se secondo lui Mathias ha sofferto ma l’uomo risponde che la morte non è mai dolorosa, è la vita, al contrario, a esserlo tremendamente. La dinamica di questa conversazione è singolare e incomprensibile; l’uomo con l’impermeabile, che nel testo è indicato semplicemente come “le jeune homme”, afferma di conoscere la coppia e persino di essere molto lieto di averli potuti incontrare. Infine lascia il buffet per prendere il treno che scopriamo essere lo stesso di Orfeo ed Euridice.

Il primo atto si conclude in maniera particolare, quasi curiosa; le battute finali infatti sono le seguenti:

Orphée, doucement: Mon amour. Eurydice: Mon cher amour.

Orphée: Voilà l’histoire qui commence…

Eurydice: J’ai un peu peur…Es-tu bon? Es-tu méchant? Comment t’appelles-tu?

Orphée: Orphée. Et toi? Eurydice: Eurydice.2

Queste parole mettono in luce un’evidente contraddizione: da una parte i due sono follemente innamorati, hanno lasciato tutto per poter stare l’uno con l’altra, sanno che li aspetta un destino comune, qualcosa che cambierà per sempre le loro vite. Dall’altro non sanno niente l’uno dell’altra, nemmeno i reciproci nomi; cosa che non sembra tuttavia avere la minima importanza in quanto sono disposti a

1Ivi, p. 64. 2Ivi, p. 67.

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fidarsi ciecamente l'uno dell’altra e a vivere in modo totale il fortissimo sentimento nato tra loro.

Il secondo atto si apre con una nuova didascalia che ci indica che i due innamorati si trovano adesso nell’umile camera di un albergo di provincia; sono a letto sdraiati l’uno accanto all’altra e parlano della notte appena passata insieme. Si rallegrano della fortuna di essersi incontrati e di aver così avuto la possibilità di vivere questa esperienza. In particolare sono in qualche modo stupiti nel rendersi conto di quante coincidenze sono state necessarie affinché il loro incontro avvenisse al momento giusto, nel luogo giusto: tutto ciò rimanda all’idea che essi fossero predestinati.

Orphée: Cette nuit je pensais à toutes les chances qu’il nous avait fallu. Je pensais à ce petit garçon et à cette petite fille inconnus qui s’étaient mis en marche un beau jour, des années à l’avance, vers cette gare de province…dire qu’on aurait pu ne pas se reconnaître, se tromper de jour ou de gare.

Eurydice: Ou bien se rencontrer trop petits avec des parents qui nous auraient pris par la main et entrainés de force.

Orphée: Mais heureusement nous ne nous sommes pas trompés d’un jour, d’une minute. Nous ne nous sommes pas mis en retard une seule fois pendant tout ce long chemin. Oh! nous sommes très forts!1

Adesso che Orfeo ed Euridice sono insieme si sentono forti, in grado di salvaguardare il loro amore dagli ostacoli e dai pericoli che il mondo metterà loro davanti. All’interno della camera d’hotel i due si sono sottratti al mondo come in una sorta di rifugio dove poter gioire della felicità smisurata che adesso li colma ma, questo momento di serenità è purtroppo effimero e brevissimo. «In Eurydice, Orpheus and Eurydice create a pure, transcendent love for one day and one night, but it lasts no longer. Given the nature of the world and the people within it, such a love cannot long remain untarnished»2.

Sognando, infatti, Euridice sospira e parla, Orfeo non distingue bene le sue parole ma tutto ciò che riesce a capire è «C’est difficile»3

. La conversazione dei due si orienta infatti dopo poco sul tema del passato, dei ricordi e in questo

1

Ivi, p. 68.

2J.J. Moleski, J.H. Stroupe, Jean Anouilh and Eugene O’Neill: repetition as negativity,

«Comparative Drama», 1986, (IV), p. 319.

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frangente Orfeo dichiara che, secondo lui, il passato di una persona rimane sempre legato ad essa continuando a gravare sul suo futuro per sempre: nessun gesto, nessuna parola va perduta. Nel sentire ciò Euridice rimane profondamente interdetta e chiede all’uomo:

Eurydice, demande soudain: Alors, une supposition, si on a vu beaucoup de choses laides dans sa vie, elles restent toutes dans nous? […] Bien rangées les unes à côté des autres, toutes les images sales, tous les gens, même ceux qu’on haïs, même ceux qu’on a fuit? tous les tristes mots entendus, tu crois qu’on les garde au fond de soi? Et tous les gestes qu’on a faits, la main se les rappelle encore, tu crois? […] Si tous les mots sont là, tous les sales éclats de rire, si toutes les mains qui vous ont touchée sont encore collées à votre peau, alors on ne peut jamais devenir une autre?1

Sembrerebbe che nella concezione di Orfeo non possa mai esserci davvero la possibilità di un totale perdono né tantomeno di un nuovo inizio: lui appartiene a quella razza di esseri che Anouilh chiama “les nobles héros”, è consumato da un orgoglio incommensurabile che lo rende rigido e incapace di adattarsi e fare compromessi2. Euridice, consapevole della sua imperfezione, si rende conto immediatamente che, così com’è, non è in grado di soddisfare né le esigenze né le aspettative dell’amato. La donna non riuscirebbe a sopportare il peso implicato dal suo passato una volta confessato ad Orfeo e questo la spinge a mentire così da restituire un’immagine di se che si avvicini il più possibile a quella ideale che il musicista si è fatto. Come si legge in Jean Anouilh and Eugene O’Neill: repetition as negativity:

The beautiful scene in the hotel room, where the lovers lie on the bed, happy and content, becomes an intense moment of epiphany and shatters, for Eurydice, the illusion they have created. […]Temporarily she had believed in the permanence of their love, but in this moment she realizes that she cannot escape her past. Inexorably experience accumulates, leaving its impression as the fingerprints on the dress and body of Eurydice accumulate, remaining forever visible to the eye of Orpheus.3

La conversazione viene qui interrotta dall’arrivo di uno dei dipendenti dell’albergo che chiede ad Orfeo di scendere alla reception per completare il modulo di registrazione ma, nel momento in cui il musicista si allontana dalla

1

Ivi, pp. 76-77.

2C. Sacks, En revoyant Eurydice d’Anouilh, cit., p. 64.

3 J.J. Moleski, J.H. Stroupe, Jean Anouilh and Eugene O’Neill: repetition as negativity, cit., pp.

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camera, il fattorino consegna una lettera ad Euridice dicendole che è stato incaricato di fargliela avere in segreto. Orfeo torna in camera e il dialogo tra i due innamorati riprende.

Orphée: je ne croyais pas que c’était possible de rencontrer un jour le camarade qui vous accompagne, dur et vif, porte son sac et n’aime pas non plus faire de sourires. Le petit copain muet qu’on met à toutes les sauces et qui, le soir, est belle et chaude contre vous. Pour vous seul une femme, plus secrète, plus tendre que celles que les hommes sont obligés de traîner tout le jour derrière eux, parées d’étoffes. Ma farouche, ma sauvage, ma petite étrangère… Je me suis réveillé cette nuit pour me demander si je n’étais pas un homme aussi lourd que les autres, avec de l’orgueil bête et des grosses mains, et si je te méritais bien.

Eurydice, tout doucement: Tu penses vraiment tout cela de moi? Orphée: Oui, mon amour.

Eurydice, pense encore un petit peu et dit: C’est vrai. C’est une bien charmante Eurydice.

Orphée: C’est toi.

Eurydice: Oui. Et tu as raison, c’est bien une femme pour toi. […] Mademoiselle Eurydice, ta femme…1

Sentendo direttamente dalla bocca dell’amato la descrizione della sua compagna ideale Euridice capisce che, anche se lei è in grado di identificarvisi poiché le sembra di essere rinata nel momento in cui ha conosciuto Orfeo, lo stesso non è vero per l'uomo se fosse messo al corrente della verità sul suo passato. Come scrive H. Gignoux, Euridice è ora prigioniera di un dilemma:

Ou bien elle va mentir pour ne pas éveiller la jalousie de son compagnon et ne pas tenir l’image qu’il s’est fait d’elle, mais alors elle ne sera pas aimée pour elle-même, elle fondera sur une imposture le merveilleux amour dont la chance lui est offerte, elle trahira son propre désir d’absolu en se contentant d’une union qui ne la concernera pas toute entière. Ou bien elle va parler, elle ne va rien dissimuler, mais elle risquera de perdre Orphée; pis encore, si elle le garde, de l’engluer dans ces souvenirs précis dont la cruauté, ranimée par chaque étreinte, par chaque promesse, détruira minutieusement le bonheur dont elle voudrait le combler.2

La donna non riesce ad avere fiducia fino in fondo nella forza del loro amore poiché Anouilh sostiene che la vita è compatibile solo con le menzogne e che la verità è per essa qualcosa di nocivo. La paura che egli possa rendersi conto che lei è una creatura di sangue e carne, con gli sbagli e gli errori che ciò comporta, e non l’Euridice idealizzata, incarnazione di purezza e innocenza che lui invece

1Eurydice, pp. 88-89.

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vede in lei, la induce a fuggire. La possibilità di distruggere questo ideale diventa per lei intollerabile e insostenibile e così, con la scusa di uscire a comprare qualcosa per cena, la donna esce dalla camera d’hotel dicendo così addio all’ignaro Orfeo.

Ed ecco apparire sulla soglia della stanza l’uomo in impermeabile che si trovava nel buffet della stazione e che aveva scambiato alcune parole con i due innamorati alla fine del primo atto. L’uomo, che scopriamo adesso chiamarsi Monsieur Henri, si rivolge ad Orfeo, gli offre una sigaretta e qualcosa da bere, sembra desideroso di conversare con lui, di conoscerlo meglio. Lo strano sconosciuto non nasconde affatto di nutrire un particolare interesse per i due protagonisti, ammette di essere stato fortemente incuriosito vedendoli insieme alla stazione e di non essere riuscito a trattenersi dall’interagire con loro. Le parole di M. Henri sono misteriose, da esse emerge un senso di predestinazione che pare aleggiare sulle vite dei giovani innamorati. Egli, nell’atto successivo, si spingerà oltre fino ad affermare apertamente che Orfeo ed Euridice sono due esseri segnati dalla fatalità, due esseri non destinati alla vita: sono nati per morire.

Monsieur Henri: Mon cher, il y a deux races d’êtres. Une race nombreuse, féconde, heureuse, une grosse pâte à pétrir, qui mange son saucisson, fait ses enfants, pousse ses outils, compte ses sous, bon an mal an, malgré les épidémies et les guerres, jusqu’à la limite d’âge ; des gens pour vivre, des gens pour tous les jours, des gens qu’on n’imagine pas morts. Et puis il y les autres, les nobles, les héros. Ceux qu’on imagine très bien étendus, pâles, un trou rouge dans la tête, une minute triomphants avec une garde d’honneur ou entre deux gendarmes selon: le gratin.1

Molte sono le ipotesi circa l’identità di M. Henry2, c’è chi lo identifica con un messaggero della morte, chi con l’angelo del suicidio, con il dio Hermes o con un inviato ultraterreno, tutte ipotesi interessanti e plausibili che sostanzialmente si basano sullo stesso concetto di partenza ossia il fatto che è lui a manovrare i personaggi, a gestire lo sviluppo della vicenda. L’uomo infatti è presente in tutti i momenti cruciali della storia: assiste all’incontro dei due innamorati e al loro colpo di fulmine, al momento in cui i due sono separati, sarà sempre lui ad offrire

1Eurydice, pp. 97-98.

2A. De Wit, Anouilh’s Eurydice: a mystical initiation rite, «The French Review», 1977, (III),

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ad Orfeo la possibilità di riavere indietro Euridice e sarà presente anche nel tragico finale. Si può quindi dedurre che egli sia una sorta di incarnazione del destino onnipresente, quell’entità responsabile di tutti gli avvenimenti della vita quotidiana.

Il dialogo tra M. Henry e Orfeo viene quindi interrotto dall’arrivo di una ragazza che è venuta a cercare Euridice affermando di essere una sua amica nonché un’altra delle attrici della compagnia. Orfeo le dice che Euridice è uscita momentaneamente per comprare la cena ma la ragazza è stupita nel sentire queste parole in quanto sapeva che l’amica avrebbe raggiunto il resto della compagnia alla stazione per rimettersi in viaggio con loro. Quand’ecco entrare in scena Dulac, l’impresario della compagnia teatrale, che rivela ad Orfeo una serie di informazioni che concorrono a dipingere la vera natura di Euridice. Si scopre così che la ragazza è la sua amante da circa un anno, che ha quindi mentito ad Orfeo circa le sue passate relazioni e circa la sua vera indole. Orfeo rifiuta di accettare che questa sia la verità e accusa Dulac di essere solo un misero bugiardo, la “sua” Eurydice non avrebbe mai fatto una cosa del genere, lei non è come le altre donne e per dimostrarlo è pronto a recarsi con l’impresario alla stazione così da porre fine alla questione. Il secondo atto si conclude con l’arrivo di un agente di polizia venuto all’albergo ad informare Orfeo che Euridice, passeggera dell’autobus per Tolone, è morta in un tragico incidente di cui è stata la sola vittima.

Nella didascalia di apertura del terzo atto apprendiamo che Monsieur Henri ha riportato Orfeo al buffet della stazione dove la storia ha avuto inizio, è notte e la stazione è deserta. Il misterioso uomo ha promesso al disperato musicista che potrà riavere la sua amata poiché, essendo stato profondamente commosso dal suo dolore, ha indotto la morte a fare un’eccezione e a rendere così ad Orfeo ciò che egli ritiene che essa gli abbia stato rubato. L’innamorato, che prova per la prima volta cosa sia il vero sconforto, crede infatti di essere capace di accettare Euridice per ciò che è in realtà e non per quella che lui crede che lei sia. È come se la sofferenza avesse prodotto in lui un cambiamento radicale che lo ha reso in grado di superare gli elementi che hanno finora ostacolato la loro integrazione definitiva. Dice a Monsieur Henri:

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32 Orphée: Qui qu’elle soit, je l’aime encore. Je veux la revoir. Ah! Je vous en supplie, monsieur, rendez-la-moi, même imparfaite. Je veux avoir mal et honte à cause d’elle. Je veux la reprendre et la retrouver. Je veux la haïr et la bercer après comme un petit enfant. Je veux lutter, je veux souffrir, je veux accepter…Je veux vivre.1

In queste parole notiamo la ripetizione del sintagma “je veux” che denota ancora la presenza di un certo orgoglio in Orfeo; è proprio questo orgoglio che gli ha impedito fino a questo momento di vedere Euridice in maniera diversa da come egli l’ha idealizzata ma che, adesso, il musicista si convince di aver superato2

. Monsieur Henri gli comunica che Euridice sta per essergli restituita, l’unica condizione che pone è che Orfeo non la guardi in faccia fino al sorgere del Sole, altrimenti la perderà di nuovo. L’uomo accetta ed ecco la sua amata apparire sul binario della stazione, proprio nel punto in cui i due si erano conosciuti la mattina precedente. Tuttavia, appare chiaro molto velocemente che la trasformazione di Orfeo, iniziata nel dolore, non è stata sufficiente a distoglierlo dalla sua idea fissa: conoscere la verità ad ogni costo. Per lui, creatura nobile ed esemplare, la verità è univoca, sta nei fatti; per Euridice invece essa è più complessa, più articolata. È consapevole che, nel mondo reale, la verità non è un assoluto, bensì essa varia in funzione della persona che la percepisce: non esiste quindi una sola verità ma svariate. Per Orfeo questo è inaccettabile, ha bisogno di sapere ad ogni costo; lui, che desidera la purezza e la sincerità prima di tutto, non trova altro che falsità. È necessario che la guardi, anche se questo significa perderla, poiché le parole non hanno valore, solo lo sguardo in quanto specchio dell’anima è in grado di far scomparire i suoi dubbi rivelandogli la verità che sta cercando. Ma, secondo Anouilh, la verità non è compatibile con l’amore, con la purezza, e, come scrive Gignoux: «en poursuivant la vérité, on pénètre dans un labyrinthe où le vrai et le faux s’emploient à brouiller les pistes, à perdre les amants; connaitre sépare, connaitre empêche d’aimer. Seul le mensonge unit. Mieux vaut donc qu’Eurydice retourne au royaume des ombres»3. Euridice lo supplica di non voltarsi, di accontentarsi di quello che potranno trovare in una vita normale, fatta di quotidianità, illuminata dal loro amore, lasciando perdere il passato e senza

1Eurydice, p. 115.

2C. Sacks, En revoyant Eurydice d’Anouilh, cit., p. 67. 3 H. Gignoux, Jean Anouilh, cit., p. 63.

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