• Non ci sono risultati.

(rappresentata per la prima volta il 23 marzo 1953 al

Théâtre de l’Atelier)

1

68 L’antefatto e il mito classico1

Giasone era figlio di Alcimede ed Esone, re di Iolco che pochi mesi dopo la sua nascita fu privato del trono dal fratellastro Pelia e allora sua madre si assicurò di farlo allontanare dalla città affinché non fosse ucciso dallo zio in quanto legittimo erede al governo della città. Per molti anni nessuno contestò il potere di Pelia ma costui, ossessionato dall’idea che ciò potesse accadere, consultò un oracolo che gli disse di diffidare dell’uomo con un solo sandalo; ecco perché, appena un visitatore giungeva al suo palazzo, egli, anziché guardarlo in volto come avrebbe voluto la normale cortesia, ne osservava le calzature. Quando Giasone compì sedici anni, la madre gli rivelò la sua vera identità e gli consigliò di recarsi a Iolco per rivendicare il trono, durante il viaggio il giovane perse un sandalo mentre aiutava una vecchia signora ad attraversare un fiume, era in realtà la dea Era travestita che, per questo suo gesto lo benedì e in diverse occasioni successive intervenne in suo favore. Giunto al cospetto di Pelia fu chiaro al sovrano che si trattava dell’uomo di cui parlava la profezia e quando conobbe la vera identità del giovane e le sue intenzioni riguardo al trono, capì che avrebbe dovuto agire in modo molto accorto al fine di scongiurare che le parole dell’oracolo diventassero realtà. Pelia allora disse a Giasone di essere disposto a cedergli il potere se avesse dimostrato di essere degno di tale compito e per fare ciò avrebbe dovuto portargli il Vello d’Oro, un’antica e preziosa reliquia conservata in Colchide da re Eeta. Ovviamente il sovrano conosceva l’estrema pericolosità di tale impresa ed era convinto che il nipote non avrebbe più fatto ritorno e che sarebbe quindi stato un ottimo piano per sbarazzarsi di lui in un modo pubblicamente accettabile. L’incoscienza della giovinezza e il desiderio di ottenere ciò che era suo di diritto,

1Per la stesura di questo paragrafo si fa riferimento in massima parte a P. Grimal, Enciclopedia

69

spinsero Giasone ad accettare il compito: fece costruire una robusta nave, che fu battezzata Argo, e inviò araldi in tutte le principali città della Grecia al fine di arruolare un equipaggio. Molti di quelli che diventeranno poi i più celebri eroi della mitologia greca e che erano desiderosi di prendere parte a quella che si preannunciava come una memorabile impresa si offrirono volontari. I giovani eroi furono chiamati Argonauti, in onore della nave che avrebbe permesso loro di compiere un simile viaggio, tra loro ricordiamo Eracle, i Dioscuri (Castore e Polluce), Orfeo, Peleo, Laerte e Telamone.

La nave salpò da Iolco in direzione delle coste del Mar Nero ma il viaggio fu ricco di imprevisti che misero più volte in pericolo la vita degli Argonauti causando anche la morte di alcuni di loro. Giunto finalmente in Colchide, Giasone si recò al palazzo del re Eeta per chiedere la restituzione del Vello d’oro che gli era stato donato da Frisso, figlio del re greco Amante, in segno di riconoscenza per l’accoglienza ricevuta mentre fuggiva con la sorella Elle dalla matrigna Ino. Eeta rispose che avrebbe dato il Vello a Giasone se egli avesse superato tre prove che richiedevano il massimo valore: il giovane avrebbe dovuto arare un campo facendo uso di due tori dalle unghie di bronzo che spiravano fiamme dalle narici e che doveva aggiogare all'aratro, seminare nel campo appena arato i denti di un drago, i quali, germogliando, generavano un'armata di guerrieri e infine sconfiggere il drago insonne che era a guardia del vello d'oro. Sentendo queste parole il giovane Argonauta cadde in uno stato di profonda angoscia e preoccupazione ma la dea Era intervenne in suo favore recandosi da Afrodite, la quale chiese al figlio Eros di far sì che Medea, la figlia di Eeta, si innamorasse di Giasone, in questo modo avrebbe potuto aiutarlo nelle prove grazie alle sue conoscenze magiche. Accecata dall’amore, la principessa colchica non esitò a tradire il padre e il suo intero popolo. Per la prima prova diede a Giasone un unguento che spalmato sul corpo lo avrebbe reso immune dalle fiamme dei tori; per la seconda gli rivelò che se avesse lanciato una pietra tra i guerrieri questi, non capendone la provenienza, si sarebbero attaccati tra loro annientandosi. Per la terza infine, Medea diede all’amato una pozione che avrebbe fatto addormentare il drago permettendogli di impossessarsi facilmente del Vello che era custodito dal mostro.

70

Appena recuperato il prezioso tesoro, gli Argonauti si affrettarono a riprendere il mare poiché sapevano che il re Eeta non avrebbe mai permesso di portargli via il Vello. Ancora una volta l’intervento di Medea fu fondamentale: la donna aveva rapito il giovane fratello Absirto che non esitò ad uccidere e fare a pezzi che poi gettò in acqua così da costringere il padre ad interrompere l’inseguimento per raccogliere i pezzi del corpo del figlio.

Gli Argonauti fecero ritorno a Iolco, Giasone consegnò il Vello a Pelia aspettandosi in cambio la legittima restituzione del trono ma lo zio non mantenne la parola data e rimase al governo della città. Giasone, allora, si rivolse nuovamente a Medea affinché intervenisse in suo favore grazie alle sue abilità magiche. Recatasi alla reggia di Pelia, la donna convinse le figlie della potenza dei suoi incantesimi uccidendo e smembrando un vecchio ariete per poi riportarlo immediatamente in vita sotto forma di giovane agnellino dopo di che assicurò che allo stesso modo le tre giovani avrebbero potuto far ringiovanire il vecchio padre. Suggestionate dall’arte della maga le Peliadi non esitarono a pugnalare e fare a pezzi il genitore che non fu né ringiovanito né riportato in vita da Medea che portò così a termine il suo atroce piano. Nonostante questo, Giasone non riuscì ad ascendere al trono in quanto Acasto, figlio di Pelia, lo ritenne colpevole per l’assassinio del padre e lo esiliò dalla città insieme a Medea.

Dopo molti anni di vita da reietti e apolidi, Giasone, Medea e i due figli venuti alla luce durante questo periodo, giunsero a Corinto. Creonte, sovrano della città, accoglie Giasone con i massimi onori conoscendone le nobili origini e le eroiche gesta mentre adotta nei confronti di Medea, considerata una straniera e soprattutto una barbara, un atteggiamento di diffidenza e rifiuto; ma non solo, il monarca va oltre e propone a Giasone di sposare sua figlia Creusa diventando così suo genero e quindi futuro re di Corinto. Giasone allettato dalla proposta di Creonte che, non solo porrebbe fine alla sua vita da fuggiasco, ma gli permetterebbe anche di tornare al proprio rango di nascita, accetta e così facendo ripudia Medea. Appena appresa la notizia del tradimento del marito, la donna comincia a tramare contro di lui una terribile vendetta; vuole colpirlo nel punto più sensibile così da distruggerlo. Per prima cosa, fingendosi felice dell’unione di Giasone e Creusa, in

71

quanto essa assicurerebbe anche ai suoi figli una vita stabile ed agiata, invia alla giovane principessa dei doni di nozze avvelenati che la uccidono in pochi istanti. Fatto questo, arriva a vincere la sua natura di madre e ad uccidere i propri figli pur di infliggere a Giasone il più grande dei dolori per poi fuggire sul carro del Sole.

72 La moderna Medea

Durante il Novecento molti artisti si sono rivelati particolarmente attratti dalla figura di Medea ed infatti in questo periodo, oltre a molte rappresentazioni classiche, numerose furono le rielaborazioni di questo mito. Lo scopo di queste riprese moderne tuttavia, non era ovviamente quello di riproporre meramente il testo antico ma di metterne in evidenza gli aspetti attuali.

Riportiamo di seguito alcune delle riscritture antecedenti a quella di Jean Anouilh1.

1. La moderne Médée2, L. Duplessis (1901). Dramma borghese ambientato in epoca contemporanea; Medea è una donna francese che sposa un uomo prussiano e lo segue nel suo paese dove nascono due figli. Medea vorrebbe un’educazione di tipo liberale per i figli ma il marito impone invece un modello autoritario tradizionale in Prussia. La donna si rende conto di come i bambini abbraccino sempre più le ideologie prussiane incarnate dal padre e, estremamente amareggiata per questo, decide di porre fine alle loro vite.

2. Asie3, H.-R. Lenormand (1931). Il testo è letto in chiave psicoanalitica applicando le teorie freudiane; inoltre affronta il problema del colonialismo denunciando come in realtà i colonizzatori annientino totalmente la cultura del paese in cui si insediano. La storia ha inizio in estremo oriente dove Medea è Kahta Naham Moun, una principessa indocinese molto fiera e sicura di sé, sedotta da un colonizzatore francese

1 E. Adriani, Medea: fortuna e metamorfosi di un archetipo, Padova, Esedra, 2006. 2 L. Duplessis, Moderne Médée: drame en trois actes, Paris, P. Ollendorff, 1901. 3 H.-R. Lenormand, Asie: pièce en 3 actes, Paris, Desfossés-Néogravure, 1932.

73

che si serve di lei per prendere il potere del padre, la sposa e la porta a Marsiglia (la Corinto delle fonti classiche). Qui la coppia ha due figli che Medea / Kahta chiama con nomi orientali (Apait e Saida) ma, poiché vengono educati in un collegio cattolico, i nomi dei bambini vengono cambiati in Vincent e Julien, nomi che peraltro la madre rifiuta di utilizzare. Un cambiamento radicale si ha invece relativamente alla figura di Creusa incarnata dalla giovane e bionda Aimée: la ragazza assume maggior rilievo e assurge ad una posizione positiva in quanto si identifica con Kahta difendendola ritenendola una vittima. Ciò implica una sostanziale variazione nella trama in quanto Medea non uccide Creusa ma soltanto i propri figli; il delitto viene compiuto come vendetta nei confronti di tutto il popolo indocinese sostanzialmente distrutto dal colonizzatore. Il finale dell’opera, in cui Kahta Naham Moun si toglie la vita, sottolinea le tragiche conseguenze che derivano dallo scontro tra culture.

3. The wingless victory1, M. Anderson (1936). Si tratta di una tragedia storica in versi ambientata nell’inverno del 1800 nei mari del Sud e nella piccola città di Salem. Medea diventa una principessa della Malesia di nome Oparre e Giasone un giovane americano di nome Nathaniel che parte da Salem come umile marinaio e vi ritorna da comandante, marito di Oparre e padre di due figlie. Lo scandalo che tutto questo desta nella comunità puritana è tale da indurre lentamente Nathaniel a credere che la cosa migliore sia rimandare Oparre e le figlie nella terra di origine pur sapendo che per le bambine meticcie si prospetterà un futuro tutt’altro che roseo. Nonostante questa decisione, egli resta un personaggio positivo in quanto ama la sua famiglia ed è la ristretta e ipocrita mentalità dei suoi concittadini a convincerlo che tale rapporto non sia né conveniente, né appropriato. Nel momento in cui Medea / Oparre sale sulla nave che la porterà in patria si avvelena insieme alle figlie e a niente serve l’arrivo di Nathaniel pentito che lascia la patria assieme ai cadaveri dei suoi cari al

1 M. Anderson, The wingless victory: a play in three acts, Whitefish (MT), Kessinger Publishing,

74

fine di sottolineare la negatività della cultura occidentale dalla quale è meglio distaccarsi.

4. Medea1, R. Jeffers (1946). Storia ambientata in un ranch sulle montagne rocciose, Medea compie l’infanticidio perché il marito vuole trasformare la tenuta in una stazione turistica e lei non può sopportare che i figli entrino in contatto con la civiltà moderna e ne vengano fagocitati.

75 La Medea di Anouilh

Il testo di Anouilh, dal titolo Médée, è stato scritto nel 1946 ed inserito nella raccolta delle Nouvelles pièces noires1 pubblicato il medesimo anno, tuttavia l’opera è stata messa in scena in Francia per la prima volta soltanto il 25 marzo 1953 al Théâtre de l’Atelier2

. Dal punto di vista formale si tratta di un atto unico in prosa, l’ambientazione è Corinto trasformata in un villaggio contemporaneo ai margini del quale Medea è accampata in una specie di carrozzone dove convergono a turno i vari personaggi che vogliono parlarle. Lo spazio della tragedia rivela fin da subito uno dei temi centrali: l’isolamento della protagonista. La roulotte in cui vive infatti, oltre a essere un chiaro segnale della trasposizione temporale del testo, si trova vicino alla città ma al di fuori di essa, in disparte, ai margini del luogo sociale che l’ambiente cittadino rappresenta e quindi, per estensione, Medea è situata anche al di fuori della società stessa. Gasparro commenta:

Ai margini del villaggio di Corinto, in festa, Médée, assieme alla nutrice (solidificazione del coro, con funzione di controcanto), sperimenta così le angosce della solitudine, assieme ad un sentimento di estraneità, che la condurrà, sorella in negativo di Antigone, all’attuazione completa del suo crimine.3

Il parallelismo antitetico con Antigone è così chiarito da Luppé: «La révolte de Médée s’oppose à celle d’Antigone ; impure, elle ne défend plus une conscience qui se garde, elle émane d’une conscience, déjà souillée»4

.

1 J. Anouilh, Nouvelles pièces noires, Paris, La table ronde, 1946. 2

Vi fu una prima messa in scena in Germania, presso l ‘Hamburger Kammerspiele il 2 novembre 1948 con la regia di Robert Michael.

3 R. Gasparro, Jean Anouilh. Il gioco come ambizione formale, cit., p.54. 4 R. De Luppé, Jean Anouilh, Torino, Edizioni Borla, 1966, p.66.

76

La tragedia assume una dimensione sempre più borghese e quotidiana attraverso una serie di riflessioni psicologiche su argomenti moderni come lo scorrere del tempo, la meschinità della vita, la vecchiaia e le dinamiche amorose. Così si legge in Le jeu de l’amour et du destin dans Médée de Jean Anouilh:

Médée d’Anouilh est totalement privée du sens métaphysique. En fait, dans

Médée antique, l’héroïne après son crime infanticide est sortie en char tiré par les dragons ailés et ce retour du surnaturel rappelle qu’Euripide a fait recours aux puissances divines lors des scènes finales. En comparaison avec Médée antique, Anouilh a transformé son héroïne en un être à part entière en faisant descendre les dieux et les héros de leur piédestal pour les confronter à la triviale existence des mortels.1

Quando il sipario si alza, in scena ci sono soltanto Medea e la nutrice, in lontananza le due donne sentono dei canti di festa che provengono dalla città. Immediatamente si percepisce una prima opposizione, quella tra i corinzi che sono a casa loro e danno libero sfogo alla propria gioia secondo i riti tradizionali, e le due donne che sono invece straniere e quindi escluse da tutto questo. La nutrice, infatti, in una delle sue prime battute puntualizza che «on n’est pas d’ici»2 implicando così una estraneità molto più profonda di quella puramente geografica; si tratta di un divario psico-culturale incolmabile che rende di fatto impossibile l’avvicinamento delle due parti. A questa opposizione se ne collega un’altra, ovvero quella tra gioia e tristezza: Medea odia la festa dei corinzi e la loro gioia, la rifiuta e rimane isolata nella sua rabbiosa tristezza. Come scrive Rambaux «La Médée d’Anouilh se trouve elle aussi plongée dans un malheur extrême. Tout ce qui touche au bonheur, à la joie, lui fait mal, lui est devenu intolérable»3. A Corinto le due donne sono considerate due mendicanti, due zingare; la nutrice ricorda che Medea era una principessa in Colchide dove godeva di prestigio e ricchezze ma le sue azioni in favore di Giasone, l’aver derubato il padre e ucciso il fratello Absirto, l’hanno costretta alla fuga e precipitata nelle misere condizioni attuali. «Tu avais un palais aux murs d’or et maintenant nous sommes là,

1 A. Assadollahi, Le jeu de l’amour et du destin dans Médée de Jean Anouilh, «Revue semestrielle

de recherches en langue et littérature française», 2015, (IX), p. 60.

2Médée, p. 355.

3C. Rambaux, Le Mythe De Médée d'Euripide à Anouilh Ou l'Originalité Psychologique De La

77

accroupies comme deux mendiantes, devant ce feu qui s’éteint toujours»1

: queste le parole della nutrice che sintetizza la discesa sociale di Medea da fiera principessa colchica a misera girovaga. L’elemento del fuoco che si spegne continuamente, ed è perciò instabile, sta proprio a simboleggiare la mancanza di una patria, di una casa, di un luogo di appartenenza.

Un altro tema che emerge fin dalle prime pagine dell’opera è quello della memoria in quanto la nutrice insiste nel ricordare a Medea le loro origini, la terra di appartenenza, i riti e le usanze che lo caratterizzano, mentre la sua padrona le ripete più volte di smetterla, di tacere. La nutrice è lo strumento del ricordo, il nesso con il passato che Medea vorrebbe invece dimenticare non si sa bene se per orgoglio, per rimpianto o per dolore.

Giasone non è in scena, si è recato in città per parlare con re Creonte e chiedere asilo per sé e per la sua famiglia e non ha ancora fatto ritorno. Medea crede di sentire dei passi avvicinarsi ma la nutrice, molto scetticamente, le dice che si sbaglia, che è soltanto il vento e che non deve farsi illusioni sul marito che ormai l’ha abbandonata. A differenza delle due donne, infatti, Giasone non è estraneo alla cultura dei corinzi, anzi è da questi considerato un eroe, un principe degno di onori e viene quindi accolto con gioia e rispetto. La nutrice fa notare che se in città c’è una festa, Giasone vi è sicuramente stato invitato e adesso «il danse avec les filles des Peslages»2, è parte di quel mondo, di quelle tradizioni e può quindi prendervi parte. In un primo momento Medea rifiuta questa idea in quanto per lei il marito è tutto, i crimini da lei compiuti sono stati il prezzo da pagare per averlo ma non rimpiange nessuna di queste cose perché Giasone valeva il prezzo che ha dovuto pagare, non le importa di essere disprezzata, isolata, errabonda se può stare con lui. Nonostante questa prima reazione le successive parole pronunciate da Medea lasciano intendere che è a conoscenza del fatto che qualcosa è successo, che il suo rapporto con il marito è cambiato, che dolore e odio la aspettano. Sente che dentro di lei si muove una sorta di entità che non tarderà a venire fuori, a esplodere, sembra già prevedere che a breve dovrà partorire la sua vendetta:

1 Médée, p. 356. 2 Ivi, p. 357.

78 Médée: Nourrice, nourrice, je suis grosse ce soir. J’ai mal et j’ai peur comme lorsque tu m’aidais à me tirer un petit de mon ventre…Aide-moi, nourrice! Quelque chose bouge dans moi comme autrefois et c’est quelque chose qui dit non à leur joie à eux là-bas, c’est quelque chose qui dit non à leur bonheur. […] J’ai quelque chose à mettre au monde encore cette nuit, quelque chose de plus gros, de plus vivant que moi et je ne sais pas si je vais être assez forte…1

Questa metafora lascia trasparire una sorta di anticipazione: lo strumento che Medea userà per vendicarsi di Giasone è qualcosa che è nato da lei, in senso letterale ossia i loro figli.

Giunge un ragazzo mandato dal palazzo fino al suo carrozzone per informarla che lei e la sua famiglia sono salvi, non hanno niente da temere ma che il marito non tornerà per il momento in quanto si è trattenuto in città con il re Creonte. Il dialogo tra la donna e il messaggero è piuttosto singolare in quanto Medea sembra già conoscere la situazione, sa già cosa sta succedendo e pone domande al giovane per avere conferma di quelli che le sembrano fatti troppo assurdi per essere veri. Nella prima battuta che Medea rivolge al ragazzo, lei afferma «je sais»2per poi

Documenti correlati