PIANIFICAZIONE E PROGETTAZIONE TERRITORIALE
3. Rappresentazioni illustrative
Luigi Mazza (1986) ha evidenziato come nella mescolanza di elementi che caratterizzano i piani, accanto ai materiali relativi a politiche reali di governo del territorio, che si esprimono attraverso norme e progetti tecnici (i connotati essenziali dei quali abbiamo cercato di precisare poco sopra) sussistano anche dei materiali relativi a «inventari o resoconti» che cercano di rappresentare, attraverso «repertori statistici o letterari» la realtà studiata e rispetto alla quale si è impostata una strategia di azione.
Il ruolo di questi materiali consiste essenzialmente nella legittimazione pubblica delle scelte politiche reali, nella illustrazione16
delle (buone) ragioni delle decisioni formali assunte. Da questo punto di vista generale, ogni informazione veicolata da questi materiali ha essenzialmente una funzione argomentativa a sostegno di una decisione scelta tra molte possibili: d’altra parte non si dà un processo formale di assunzione politica della decisione dove le soluzioni sono evidenti e necessarie17. L’ipotesi che si propone qui è che alcune strategie di
legittimazione si offrano nei processi pubblici di interazione con piena consapevolezza di questa inevitabile natura argomentativa, dichiarando il carattere del tutto intenzionale delle scelte assunte e perciò ignorando una possibile relazione di determinazione tra i materiali grafici descrittivi e i materiali grafici regolativi. Altre manovre discorsive, viceversa, non volendo mai implicare il riferimento a sfere di valore, tendono a fare esclusivamente appello a un livello tecnico di ragionamento deduttivo. In questi casi, la strategia di legittimazione delle scelte assunte fa per lo più appello alla evidenziazione di una relazione di discendenza tra i disegni analitici e i disegni prescrittivi. Sulla base di questa ipotesi, si tenterà di evidenziare il discrimine proposto utilizzando come specifico indice la maggiore/minore prossimità della organizzazione formale (dal punto di vista della grafica) dei documenti illustrativi a quella dei documenti propriamente prescrittivi.
Distinguiamo dunque da un lato i casi in cui la costruzione della rappresentazione avviene sulla base di una impostazione che determina le strategie di azione a partire dalla scomposizione analitica dei contesti territoriali e definiamo questo gruppo come illustrazioni dimostrative. A questo gruppo contrapponiamo i casi in cui la costruzione della rappresentazione assume viceversa esplicitamente una funzione di argomentazione, e sia svicolata anche formalmente dalla rappresentazione degli strumenti esecutivi; definiamo tali casi come illustrazioni
argomentative.
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Si confronti «illustrazione» ad vocem in Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli, Dizionario della
lingua italiana, Firenze: Le Monnier, 1971 (1982XIV): «corredo di dati e notizie atti a chiarire, specialmente, nei particolari, l’origine e la natura di un oggetto o di un documento».
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3.1 Illustrazioni dimostrative
Le illustrazioni dimostrative costituiscono la forma caratteristica delle strategie di pianificazione fondate sul cosiddetto «paradigma razional- comprensivo» (Mazza 1986), ossia – per quanto riguarda il paradigma di razionalità – su un metodo di assunzione delle scelte di azione fondato sulla osservazione critica della realtà, secondo il ben noto modello medicale analisi/diagnosi/terapia. Un tale paradigma è stato anche definito (Palermo 1992) come «cognitivista» nella misura in cui concepisce la rappresentazione del proprio oggetto come una indagine empirico-analitica finalizzata alla verifica della corrispondenza tra l’oggetto stesso e un modello “ottimale” di funzionamento, vale a dire – conformemente al modello medicale – una condizione di “salute” dell’oggetto medesimo. La questione che ci interessa più da vicino riguarda la possibilità di indicare se le rappresentazioni grafiche costruite entro questo modello di azione presentino alcune caratteristiche ricorrenti, tali da consentire una alleanza tra il paradigma appena presentato e specifiche modalità di produzione delle rappresentazioni.
È ancora Luigi Mazza nella stessa circostanza a suggerire l’associazione del paradigma di razionalità ad un paradigma di comprensività, vale a dire alla assunzione della necessità di esperire totalmente la situazione in cui si colloca l’azione di piano. Questo carattere comprensivo – o, altrimenti detto, sinottico – è in effetti ben riconoscibile intanto nella logica cartografica della rappresentazione, impostata sul punto di vista zenitale all’infinito, comprensivo per definizione. Le forme della cartografia analitica tradizionale in uso nelle attività urbanistiche manifestano un evidente carattere di prossimità con le rappresentazioni caratteristiche delle scienze naturali (come la geologia o la pedologia), che tendono a verificare la qualità o l’intensità di un fenomeno (il tema) selezionato nel contenuto della rappresentazione relativamente a tutta l’estensione spaziale osservata (fino a totale copertura del fondo cartografico). Le forme di rappresentazione analitica riproducono la «percezione sistemica del reale» (Mazza 1986) articolandosi come una sequenza ordinata di immagini complementari (le
tavole di analisi). In questa chiave, gli specifici temi delle rappresentazioni sono
pre-disposti entro una concezione metodica per lo più indipendente dalla natura specifica dei contesti in esame.
Ma va evidenziato in particolar modo il legame di stretta familiarità tra le rappresentazioni dimostrative e le rappresentazioni immediatamente prescrittive, che discende appunto dalla logica deterministica che i presupposti della cultura razionalista pongono tra ricognizione analitica e azione regolativa. Questo legame di familiarità è bene evidenziato dalla assoluta prevalenza delle pratiche di ripartizione isonomica del suolo, ciò che abbiamo indicato come zonizzazione. Sussiste una relazione interattiva tra i modi della rappresentazione e i modi della regolazione: una forma diagnostica fondata su una rappresentazione di porzioni di suolo omogenee sotto qualche proprietà fa discendere una forma regolativa fondata
sulla modulazione dell’intervento ottenuta attraverso la ripartizione dei contesti di azione in porzioni di suolo omogenee dal punto di vista dei caratteri del trattamento; e, a ritroso, la necessità di modulare il trattamento secondo zone isonomiche fa discendere un atteggiamento rappresentativo capace di predeterminare porzioni di suolo omogenee sotto qualche proprietà. Da questo punto di vista non sembra possibile riconoscere una distanza significativa tra metodiche orientate al riconoscimento di un necessario adeguamento dell’offerta rispetto alla domanda di territorio (caratteristici, per esempio, della “analisi funzionale” tradizionale, fondata sulla valutazione dell’adeguatezza della dotazione di standard) e vagli orientati al riconoscimento dello adeguamento della domanda rispetto all’offerta esistente (caratteristiche, per esempio, delle metodiche di “progettazione ecologica” tipica della pianificazione paesistica e dei parchi).
Una illustrazione dimostrativa fondata sulla zonizzazione, particolarmente rilevante per gli argomenti che verranno affrontati in seguito è, infine, la forma di rappresentazione enumerativa e inventariale dei beni (oggetti e porzioni di territorio) dei quali l’indagine riconosce un intrinseco valore, e per i quali la strategia regolativa dispone un trattamento di vincolo alla trasformazione. Anche in questo caso la rappresentazione per zone, magari piccolissime ed estese soltanto all’estensione di un singolo edificio, semplifica il trasferimento tecnico dalla ricognizione alla prescrizione fino a renderlo immediato.
3.2 Illustrazioni argomentative
Il rinnovamento dei paradigmi della conoscenza e la crisi delle forme tradizionali di razionalità tecnica rendono oggi assai più complesso il quadro delle relazioni tra azioni ricognitive e determinazione delle scelte. Pier Carlo Palermo (1992: 231/243) ha indagato sulle possibili metodiche di costruzione di una «conoscenza di sfondo» che si ponga come supporto tecnico ed operativo alla determinazione delle strategie di azione; laddove detta «conoscenza di sfondo» va intesa come conoscenza «fondata su una ragionevole base di stipulazioni e di accordi intersoggettivamente condivisi» su alcuni caratteri essenziali dei contesti locali. Una tale ipotesi è conforme alla convinzione che uno sfondo condiviso di atteggiamenti e di opzioni di trattamento nei confronti del territorio esistente «sia necessario per dare senso all’elaborazione di piano come processo sociale teso alla formazione di scelte di interesse collettivo: come condizione e segno di appartenenza ad un comune “mondo possibile”». Per altro, la manovra cognitivista ha mostrato la propria difficoltà ad affrontare l’attuale complessità dei processi decisionali reali; il progressivo affermarsi di un modello dialogico, in cui le scelte si formano nell’interazione tra le specifiche volontà e propensioni dei diversi attori in campo, sottolinea la necessità di un rinnovamento del ruolo argomentativo dei saperi tecnici entro i processi pubblici di interazione. Con Paolo Baldeschi (1996a): «l'insieme delle analisi e le procedure tecnico-scientifiche che dovrebbero fare da ponte fra conoscenze e strategia pianificatoria, più che concatenarsi nel processo
deduttivo tipico della pianificazione razionale, si affiancano e si intrecciano in un terreno essenzialmente comunicativo e argomentativo», un terreno assimilabile ad una prassi ermeneutica in cui la forma dell’interazione pubblica assume una forma intermedia tra le pratiche ‘retoriche’ della argomentazione e quelle di ‘ascolto’ delle propensioni dei contesti di azione. Come sottolinea Roberto Gambino (2000) l’esigenza che si pone è l’abbandono di una impostazione «essenzialmente statica, che muova dalla presunta oggettività delle rappresentazioni, e quindi anche dalla loro unidirezionalità comunicativa», di una impostazione cioè, detto in altri termini, iscritta «in una logica di teaching (“insegniamo agli altri cosa devono fare”, secondo l’atteggiamento tipico di molti pianificatori) ». A questo quadro viene (deve venire) progressivamente a sostituirsi l’idea della «rappresentazione come processo [che] costituisce un learning process dove ciascuno arricchisce la conoscenza degli altri. In questa prospettiva dialogica, dove il flusso comunicativo è bidirezionale, la funzione della rappresentazione è quella di fare emergere i conflitti, i contrasti, le divaricazioni tra le intenzionalità dei diversi soggetti».
Ecco che questa trasformazione apre spazi a forme descrittive più disponibili a reperire direttamente entro il proprio contesto di azione uno specifico filtro interpretativo, fino a risultare «irripetibili» (Pizziolo 1995) e quindi indipendenti da metodiche consolidate. E proprio dal punto di vista della costruzione espressiva, si può constatare che le forme grafiche delle rappresentazioni si svincolano dagli obblighi di uniformazione ad uno standard disciplinare comune, per attingere viceversa vasto repertorio della comunicazione visiva in un ampio spettro di modulazioni: dalle forme espressive della cartografia
ancien régime, fino all’asciuttezza sintetica dei linguaggi contemporanei. Le forme
espressive si personalizzano spesso in “stili”, associandosi alle personalità dei tecnici che le producono o le commissionano. La costruzione dell’immagine si allontana dalla ossessione sinottica delle forme cartografiche tradizionali a vantaggio di rappresentazioni viceversa ellittiche, che intervengono enfatizzando o attenuando i segni del fondo topografico, realizzando per via grafica una forma esplicita di comunicazione retorica, realizzata attraverso figure come l’ostensione, l’exemplum, la metafora.
In particolare, la manovra di trasferimento dell’informazione, dal repertorio grafico illustrativo all’apparato grafico prescrittivo, non è più fondata su una logica deduttiva; la strategia argomentativa non è più obbligata all’evidenziazione della discendenza diretta di un documento dall’altro. Tutto ciò svincola i materiali grafici illustrativi dalle forme canoniche dell’isonomia cartografica, a vantaggio di linguaggi ibridi, che considerino come proprio problema essenziale il potenziamento della propria efficacia comunicativa.