«E perché porre in contrasto la ricerca del generale e lo sforzo di dominare il particolare, come se fossero due tendenze antagoniste, mentre la prima non deve la sua origine che alla presenza della seconda? Come conciliare il tuo amore per la realtà col disprezzo degli organi che ce la fanno afferrare (begriff, con-cept-us), col rigetto di quelli che tu dovresti considerare come gli organi sessuali
che la generano (λóγος σπερματικóς)?».
Giovanni Vailati, lettera a Giovanni Papini, 21 novembre 1904 (corsivi nel testo)
1. L’«interesse della ragione» secondo Immanuel Kant
La ragione è spinta da una tendenza della sua natura ad oltrepassare l’uso dell’esperienza, ad avventurarsi – in un uso puro e mediante semplici idee – sino agli estremi limiti di ogni conoscenza, ed a trovare pace soltanto nel compimento del suo ciclo, ossia in un tutto sistematico, sussistente per sé. Si domanda, ora, se questa aspirazione sia mossa dall’interesse speculativo della ragione, o piuttosto, unicamente dal suo interesse pratico (A 797, B 825)1. Così scrive Immanuel Kant nelle pagine fi nali della Critica della ragion
pura, consacrate a delineare la Dottrina trascendentale del metodo. Come
è noto queste sono pagine particolarmente signifi cative, malgrado la loro
1 I. Kant, Critica della ragione pura, Introduzione, traduzione e note di Giorgio Colli, Adelphi Edizioni, Milano 19763, p. 779 (nel testo, tra parentesi indico il passo di riferimento nella prima e nella seconda edizione della Critica). Tutte le altre citazioni dalla Critica che fi gurano successivamente nel testo sono tratte, rispettivamente, dalle seguenti pagine dell’edizione Colli: p. 744; p. 9 (spaziato nel testo; in questo caso la traduzione di Colli è stata lievemente modifi cata onde meglio rendere il pensiero kantiano); p. 780; p. 811; p. 785 (spaziato nel testo); p. 786 (spaziati nel testo);
relativa brevità, perlomeno rispetto all’andamento sistematico e complessi-vo di tutto il precedente, articolatissimo, corpus della prima Critica. Sono pagine importanti e strategiche perché Kant, ormai liberatosi da tutto lo sviluppo analitico e costruttivo del suo compito più eminentemente critico-decostruttivo, posto in essere nei confronti della tradizionale metafi sica dogmatica speculativa, inizia invece a delineare, assai più positivamente e, appunto, in modo programmaticamente costruttivo, quella metafi sica
critica cui gli pare doveroso avvicinarsi dopo aver sbarrato la via ad ogni
intemperanza metafi sica speculativa ingiustifi cata che, nel corso dei secoli, ha sistematicamente prodotto un paradossale confl itto della ragione meta-fi sica con se stessa. Con queste pagine Kant sta appunto delineando, in
po-sitivo, il suo passaggio critico-trascendentale dalla critica della metafi sica
alla metafi sica critica e svolge, pertanto, questo suo fecondo e innovativo programma di ricerca criticista avendo sempre ben presente come
la critica della ragione pura può essere considerata come il vero tribunale per tutte le dispute della ragione pura. Tale critica, in effetti, non si interessa delle controversie, che si riferiscano immediatamente ad oggetti, ma è destinata piuttosto a determinare ed a giudicare i diritti della ragione in generale, in base ai principî della sua originaria istituzione (A 751, B 779).
In questa specifi ca prospettiva critico-trascendentalista Kant è del resto il più coerente e conseguente sostenitore dell’illuminismo del XVIII se-colo, l’esponente indubbiamente più lucido, e di punta, di un movimento culturale e civile che, non a caso, fi n dalla prima edizione della Critica, lo induceva a ricordare come la sua epoca fosse
la vera e propria epoca della critica, cui tutto deve sottomettersi. La r e l i -g i o n e mediante la sua s a n t i t à e la l e -g i s l a z i o n e mediante la sua m a e s t à vogliono di solito sottrarsi alla critica. Ma in tal caso esse suscitano contro di sé un giusto sconcerto e non possono pretendere una stima incon-dizionata, che la ragione concede soltanto a ciò che ha potuto superare il suo esame libero e pubblico (A XII).
Nelle pagine fi nali della Critica questo coerente e cogente esame illu-minista, «libero e pubblico», posto in essere dalla ragione nei suoi stessi confronti, perviene veramente al suo acme teoretico e Kant, nel delineare, sia pur sinteticamente, le linee portanti e qualifi canti del suo innovativo programma di ricerca fi losofi co, traccia, al contempo, anche il suo rivo-luzionario orizzonte criticista. Nell’affrontare questo specifi co problema criticista Kant avverte esplicitamente il suo lettore di voler lasciare da
par-te, consapevolmenpar-te, «la sorte incontrata dalla ragione pura nelle sue mire speculative» e dichiara, pertanto, di voler indagare, programmaticamente,
i problemi, la cui risoluzione costituisce il fi ne ultimo della ragione pura, possa poi essa raggiungerlo o meno: riguardo ad un siffatto fi ne, tutti gli altri hanno semplicemente il valore di mezzi. Questi fi ni supremi dovranno a loro volta trovare un’unità in base alla natura della ragione, per far progredire con la loro unione quell’interesse dell’umanità che non è subordinato a nessun altro interesse (A 797-8, B 825-6).
L’«interesse della ragione» cui si appella Kant, superiore a qualunque altro interesse particolare e limitato, non ha allora nulla a che vedere con il «concetto scolastico» della stessa fi losofi a, poiché guarda, semmai, al «concetto cosmico (conceptus cosmicus)» della stessa rifl essione fi losofi -ca, in virtù del quale la fi losofi a si confi gura quale «scienza della relazione di ogni conoscenza con i fi ni essenziali della ragione umana (teleologia
rationis humanae), ed il fi losofo non è un artista della ragione, bensì il
legislatore della ragione» (A 839, B 867). In questa prospettiva – fi losofi ca-mente sempre aperta ad una revisione continua e problematica degli stessi risultati cui perviene, di volta in volta, il particolare «fi losofare» dei singoli pensatori storici – Kant studia, allora, l’«interesse» supremo della ragione, la sua tendenza a conseguire, circolarmente, il suo scopo fi nale.
Da un punto di vista meramente speculativo l’«interesse» della ragione aspira al conseguimento di tre oggetti assoluti – come la libertà del volere, l’immortalità dell’anima e il problema dell’esistenza di dio – che la stessa di-samina critico-trascendentalista posta in essere dal “copernicanesimo” kan-tiano ha tuttavia dimostrato collocarsi al di là delle possibilità critiche della stessa ragione umana. Ma se nel campo della speculazione la ragione umana non è affatto autorizzata a presupporre questi oggetti, di contro, rileva anco-ra Kant, nel suo «interesse panco-ratico» la anco-ragione può invece ammettere degli oggetti per i quali, sul piano teorico, non è in grado di escogitare argomenti dimostrativi cogenti e suffi cienti. Ciò che viene negato da un punto di vista speculativo può allora essere ammesso da un punto di vista dell’«interesse pratico» della ragione, ma a questo livello di analisi è poi ancora Kant ad av-vertire come ogni eventuale «interesse della ragione», sia nel senso specula-tivo, sia nel senso pratico, trova infi ne una singolare e sinergica convergenza critica di unifi cazione in tre domande strategiche, di importanza capitale:
1 . C h e c o s a p o s s o s a p e r e ? 2 . C h e c o s a d e v o f a r e ?
Se la prima domanda è eminentemente speculativa, occorre tuttavia ri-conoscere che entro l’ambito del sapere effettivamente possibile la ragione umana non può non essere soddisfatta. Certamente anche in questo ambito deve saper rinunciare a tutti i suoi fi ni assoluti, poiché risulta ampiamente assodato che la ragione non può mai oltrepassare – speculativamente par-lando – i limiti dell’esperienza possibile. Ma entro questo confi ne la ragione non può mai non essere soddisfatta dei risultati parziali ed oggettivi che può comunque conseguire e che ha effettivamente conseguito storicamente, pro-prio grazie al sistematico dispiegamento della ricerca scientifi ca. Al contra-rio, la seconda questione risulta essere eminentemente pratica, concernente la volontà umana e il mondo della prassi. «Come tale – rileva Kant – essa può certo appartenere alla ragione pura, ma in questo caso non è trascenden-tale, bensì morale» ed apre, appunto, all’ambito, non meno problematico, dei problemi connessi all’azione umana e al vario comportamento morale che può essere realizzato dalle singole personalità. Infi ne, la terza questione – «se io faccio quel che devo fare, che cosa ho allora diritto di sperare?» – risulta essere, al contempo, pratica e teoretica, giacché in questo ambito specifi co
il pratico serve soltanto da guida per rispondere alla domanda teoretica e – quando questa si eleva – alla domanda speculativa. Ogni s p e r a n z a si riferi-sce infatti alla felicità, e sta rispetto al pratico ed alla legge morale proprio nello stesso rapporto in cui il sapere e la legge naturale stanno rispetto alla conoscenza teoretica delle cose. La speranza giunge infi ne all’inferenza che qualcosa è (ciò che determina l’ultimo fi ne possibile), p o i c h é q u a l c o s a d o v r e b b e a c -c a d e r e ; il sapere giunge inve-ce all’inferenza, -che qual-cosa è (-ciò -che opera come causa suprema), p o i c h é q u a l c o s a a c c a d e (A 805-806, B 833-834). In tal modo Kant articola l’architettonica della ragion pura – idest «il con-cetto scientifi co della ragione» quale unità sistematica – secondo un cogen-te ed innovativo orizzoncogen-te tricotomico-critico trascendentale in cui il sapere confi gura, complessivamente, l’ordine descrittivo ed esplicativo dell’oggetti-vità scientifi ca, il dovere, l’ordine prescrittivo e giuridico della correttezza eti-ca (e delle sue varie regole normative) e, infi ne, last but not least, la speranza (l’escatologia) l’ordine autorifl essivo dell’emancipazione e dell’autenticità.
Certamente siamo in presenza di una problematica ed articolata archi-tettonica trascendentale del sapere, del dovere e dell’escatologia, ma, per-lomeno a mio avviso, il pregio strategico, invero straordinario, di questa feconda posizione cosmica kantiana si radica proprio nell’impostazione critica innovativa che consente di cogliere i fecondi nessi, profondi e co-stituitivi, che possono instaurarsi – e che storicamente si sono poi effetti-vamente instaurati (peraltro assai emblematicamente, proprio in seno alla
tradizione occidentale) – tra questi tre differenti ordini trascendentali del sapere, del dovere e della speranza2.
In primo luogo, occorre infatti non dimenticare mai che siamo in presenza
di tre ordini critici individuati grazie alla mossa trascendentalistica che, dal punto di vista del “copernicanesimo” introdotto da Kant, ha tagliato i ponti, defi nitivamente, con ogni pretesa metafi sica speculativa assoluta. In altre pa-role, questi tre ordini del sapere, del dovere e della speranza non si radicano in una mitica realtà assoluta, ma rinviano costantemente ad una progettualità umana che si esplica entro un orizzonte conoscitivo, morale ed escatologi-co sempre strettamente e feescatologi-condamente escatologi-connesso escatologi-con la peculiare fi nitudine umana. La “trascendentalità critica” dell’ordine del sapere, di quello del do-vere e, infi ne, di quello della speranza ci immunizza, insomma, dalla pretesa metafi sica di poter attingere degli assoluti in grado di giustifi care, di per sé, i differenti elementi presenti entro i tre ordini. Come sempre accade con l’im-postazione critica di Kant il nostro rapporto con il mondo – con quello del sapere, del dovere e della speranza – non è mai un rapporto diretto e acritico, bensì costituisce sempre un rapporto mediato, obliquo, indiretto e, appunto, necessariamente critico. Il cui fondamento non rinvia ad alcuna necessità metafi sica cogente, né ad alcuna realtà noumenale soggiacente, poiché ci riporta, semmai, alla nostra effettiva condizione di uomini in cammino per la costruzione del nostro patrimonio conoscitivo, del nostro patrimonio morale e anche del nostro stesso patrimonio escatologico.
In secondo luogo, la fecondità del punto di vista kantiano emerge
an-che dal rilevare come Kant abbia colto il profondo e fecondo nesso critico che collega l’ordine del sapere con quello del dovere e, infi ne, anche con quello della speranza. Sapere, dovere e speranza, pur collocandosi su tre ordini trascendentali affatto specifi ci e peculiari, tuttavia risultano anche essere profondamente interconnessi, perlomeno dal punto di vista del criti-cismo. Infatti in questa specifi ca chiave ermeneutica il criticismo kantiano si confi gura come la prospettiva che meglio di altre prospettive teoriche ha saputo cogliere, con acutezza di giudizio critico, lo stesso nesso costitutivo vitale (la vera e propria “chiave di volta”) della modernità occidentale. Non a caso nella prospettiva kantiana conoscenza e libertà non possono che essere assunti come due differenti nomi di un medesimo, per quanto assai complesso, processo storico: quello in virtù del quale si è progressivamente
2 Per un approfondimento sistematico delle tematiche accennate nel testo sia co-munque lecito rinviare a due miei volumi, sia a Teleologia della conoscenza ed escatologia della speranza. Per un nuovo illuminismo critico, La Città del Sole, Napoli 2004, sia a L’épistémologie comme herméneutique de la raison, Préface de Jean Petitot, La Città del Sole-Libraire Philosophique J. Vrin, Naples-Paris 2006.
instaurata la società occidentale nella quale (assai complessivamente e non senza signifi cativi e drammatici scarti storici e sociali), l’incremento del sapere ha progressivamente dilatato gli spazi della libertà, diminuendo, al contempo, i vincoli che impedivano sistematicamente all’uomo di vivere, con maggior libertà, la sua stessa esistenza mondana e spirituale. Si è così realizzato un autentico, per quanto non lineare, approfondimento di cono-scenza e di libertà che, di contro, ha visto anche la progressiva dilatazio-ne della stessa libertà quale condiziodilatazio-ne civile, pratica ed esistenziale per l’approfondimento critico della stessa ricerca scientifi ca, la quale ultima, per svilupparsi liberamente e creativamente, non può che richiedere, a sua volta, una società aperta, libera e tollerante.
Ma la tricotomia critica di Kant ha inoltre il pregio, in terzo luogo, di aver anche compreso come al cuore stesso di questa complessa, dinamica e critica interrelazione instauratasi, storicamente, tra il sapere e il dovere, si radichi, a sua volta, l’autonoma e non meno complessa dimensione della speranza la quale ultima ha inoltre costituito, nel mondo della prassi, il mo-tore più segreto e fondamentale di un processo storico entro il quale l’uomo ha progressivamente dispiegato, sempre più, ma non mai in modo lineare e scontato, il suo autonomo progetto di vita, di civiltà e di cultura. Il che poi si comprende ancor più agevolmente se si tiene appunto presente che Kant è coerentemente illuminista e, quindi, concepisce sempre l’utopia come l’autentico motore critico della storia umana, in grado di innescare molte-plici dinamiche storiche, mediante le quali l’approfondimento, incessante, della conoscenza costituisce la premessa più feconda per l’incremento del-la libertà, mentre, di contro, del-la didel-latazione civile deldel-la libertà consente, a sua volta, l’ampliamento del sapere umano.
Se si guarda da questo punto di vista politecnico all’architettonica della razionalità umana delineata da Kant, con il suo peculiare approccio cosmi-co alla fi losofi a, non si può allora negare la presenza di un fascino affatto particolare che promana, incessantemente, proprio da questo suo grandioso affresco critico concernente la storia umana incamminata verso un effettivo incivilimento, sociale, morale e culturale. Ma, d’altra parte, questa prospet-tiva ermeneutica non è senza conseguenze anche per lo stesso impianto teoretico complessivo della stessa Critica della ragion pura. Se infatti si torna a considerare, da questo specifi co punto di vista cosmico tricotomi-co, l’impianto complessivo della prima Critica è allora diffi cile sottrarsi all’impressione che Kant abbia saputo guardare unitariamente, e in modo essenzialmente problematico e dinamico, alla ragione umana e al suo stes-so dispiegamento teoretico. Da questo punto di vista cosmico e teoretico si può infatti rileggere la distinzione kantiana tra il ruolo del Verstand,
delineato nell’analitica trascendentale, e quello della Vernunft, delineato nella dialettica trascendentale, senza più considerarli come i luoghi teoreti-ci speteoreti-cifi teoreti-ci, rispettivamente, della costruzione analitica positiva del sapere umano e della critica dell’aspirazione a trascendere i limiti dell’esperien-za possibile (onde, appunto, inseguire la chimera della conoscendell’esperien-za della totalità delle condizioni per un singolo condizionato). Dal punto di vista cosmico Verstand e Vernunft appaiono, semmai, come i due differenti, ma criticamente integrati, versanti della stessa razionalità pratica e speculativa umana: i due versanti convergenti, entro i quali si instaura, perennemente, una profonda dialettica di critica e di crescita del sapere umano, mediante la quale i confi ni del patrimonio conoscitivo vengono continuamente ridi-scussi e ridisegnati, secondo un complesso processo storico che non è mai esaurito e che non risulta essere mai programmaticamente esauribile per la sua stessa intrinseca natura conoscitiva oggettiva.
In questa prospettiva l’«interesse speculativo e pratico» della ragione umana si confi gura in tutta la sua eminente plasticità critica, come, appun-to, un approccio trascendentale e critico in cui l’aspirazione alla totalità delle condizioni per un singolo condizionato si trasforma in un vitale pun-golo critico-metodologico che, incessantemente, sospinge la conoscenza analitica a trascendere i suoi stessi limiti, onde conquistare spazi di ogget-tività conoscitiva sempre più ampi, concernenti nuovi ambiti dell’esperien-za umana possibile. Pertanto la ragione kantiana, lungi dal trasformare la
Vernunft in un contenuto speculativo del Verstand, lo confi gura, semmai,
come uno stimolo metodologico asintotico, mediante il quale è possibile rimodellare, creativamente, il sapere analitico posto in essere dal Verstand. Il Verstand trova in tal modo nella Vernunft la sua più feconda inquietu-dine critica, mentre, di contro, la stessa Vernunft trova nell’analiticità del
Verstand il suo contraltare più idoneo, entro il quale può esercitare le sue
molteplici suggestioni metodologiche. Non per nulla questa specifi ca dia-lettica tra i due versanti della razionalità umana entro l’ambito conoscitivo oggettivo è poi, a sua volta, integrata e completata da una più ampia e com-plessa dialettica tricotomica e critica, instaurantesi tra il piano del sapere rispetto a quello del dovere morale e della stessa escatologia utopica. Il che ci riporta, nuovamente, all’«interesse», ad un tempo speculativo e pratico, della ragione umana la quale, a passo di marinaio, non può che incedere, con un equilibrio dinamico, mai garantito, entro una specifi ca condizione umana assai precaria, la cui linea di congiuntura critica più feconda e deli-cata è fornita, ancora una volta, proprio dalla stessa trascendentalità critica. Ma se questo costituisce il grandioso esordio programmatico del raziona-lismo critico kantiano, occorre anche riconoscere come alle sue spalle si sia
immediatamente consumata quella che con Jean Petitot possiamo qualifi ca-re come l’autentica catastrofe della ragione post-kantiana3. L’impostazione cosmica precedentemente accennata consente infatti di cogliere immediata-mente tutta la portata specifi cataimmediata-mente concettuale e dinamica dello stesso sapere scientifi co. In termini kantiani la dimensione concettuale della scienza si radica, infatti, non solo nella dimensione trascendentale del Verstand, ma è pure presente anche nella specifi ca tensione critica che sempre può (e dovreb-be) instaurarsi tra le istanze dell’analiticità trascendentale con le suggestioni e gli input della dimensione dialettica del Vernunft. Lo spazio concettuale e di pensiero specifi co della conoscenza scientifi ca oggettiva si instaura proprio in questa tensione critica, mediante la quale la scienza non solo si confi gura come un’impresa in grado di produrre pensiero, ma qualifi ca questo suo stes-so contributo teoretico, come un apporto conoscitivo contraddistinto da un pensiero forte, in grado di scuotere criticamente, dalle fondamenta, il nostro stesso tradizionale patrimonio conoscitivo, etico, civile e sociale. Ma proprio rispetto a questa visione cosmica unitaria e critica delle molteplici tensioni che sempre si instaurano tra i differenti livelli della razionalità umana entro lo spe-cifi co patrimonio conoscitivo di cui l’uomo storicamente dispone, si è invece realizzata – per complesse cause teoriche, storiche e, naturalmente, anche so-ciali e civili – una progressiva, ma sempre più radicale, rottura di quell’unità dialettica, critica e trascendentale che Kant aveva intuito essere presente nel nesso tra i tre ordini trascendentali del sapere, del dovere e della speranza. Conseguentemente si è così verifi cata, culturalmente, una profonda e distor-cente scissione tra l’ambito del sapere e quello della morale, con la conse-guenza, reifi cante, che la stessa dimensione utopica, invece di riconnettersi criticamente con l’intreccio problematico instaurantesi tra il sapere e il dovere, si è concepita in modo sempre più mitico e narrativo, secondo una curvatura di pensiero che ha paradossalmente relegato la scienza al di fuori dall’ambi-to della vera conoscenza, costringendo, peraltro, l’ordine della morale e del dovere ad autofondarsi su narrazioni mitologiche che, a loro volta, hanno fi nito per incrementare un sempre più diffuso approccio complessivamente