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2. LA STRATEGIA TRADUTTIVA

2.2 I realia

In ogni lingua ci sono parole che, senza distinguersi in alcun modo nell’originale dal co-testo verbale, ciò nondimeno non si prestano a trasmissione in un’altra lingua con i mezzi soliti e richiedono al traduttore un atteggiamento particolare: alcune di queste passano nel testo della traduzione in forma invariata (si trascrivono), altre possono solo in parte conservare in traduzione la propria struttura morfologica o fonetica, altre ancora occorre sostituirle a volte con unità lessicali di valore del tutto diverso di aspetto o addirittura “composte”. Tra queste parole s’incontrano denominazioni di elementi della vita quotidiana, della storia, della cultura, ecc. di un certo popolo, paese, luogo, che non esistono presso altri popoli, in altri paesi e luoghi. Proprio queste parole nella teoria della traduzione hanno ricevuto il nome di “realia”. (Vlahov e Florin 1969: 432)50

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M.Morini, La traduzione: teorie, strumenti, pratiche, Milano, Sironi, 2007, p.29

A proposito dei termini culturospecifici presenti in Ichi rittoru no namida, non sempre si è potuta applicare un’unica strategia traduttiva, e ogni caso è stato analizzato singolarmente. Come già discusso, la priorità è stata favorire la comunicazione verso un pubblico estraneo al Giappone, pertanto, lì dove è stato possibile, mi sono permessa di operare adattamenti che ricreassero un significato simile seppur non identico.

A riguardo si consideri l’adattamento di uwagutsu上靴 e bentō弁当 operato nel

passaggio successivo:

わたしが 上 靴上 靴上 靴上 靴 (みんなはスリッパ)にはきかえている間に、母は、 カバンと弁当弁当弁当弁当を、二回の教室まで走っておいてくる。(p.59)

Mentre mi infilo le pantofole (tutti gli altri portano le ciabatte), la mamma corre fino alla mia classe al primo piano per portare su la mia borsa e il mio pranzo.

Per la traduzione di bentō 弁当, il contesto in cui il termine è inserito ne ha aiutato e

completato il significato: anche se in italiano è diventato semplicemente “pranzo”, la situazione descritta fa supporre che si tratti di un cestino da consumare a scuola (inoltre un corrispondente molto vicino a bentō 弁 当 potrebbe essere il “pranzo al sacco”,

sebbene quest’ultima scelta non descriva la foggia e il contenuto del termine giapponese). uwagutsu 上 靴, invece, difficilmente trova un corrispettivo italiano, in

quanto, generalmente nelle culture occidentali non esistono calzature dal design analogo allo uwagutsu (anche detto uwabaki 上 履 き), e pensate specificatamente per essere

utilizzate in edifici pubblici come le scuole. Tuttavia, per agevolare la comprensione del periodo cercando al contempo di mantenere il contrasto tra uwagutsu 上靴 e surippa ス リッパ come in originale, ho optato per il termine “pantofole” da opporre a “ciabatte”.

Un lettore estraneo all’usanza può sempre servirsi della specificazione presente “tutti gli altri portano le ciabatte” per intuire le abitudini degli studenti giapponesi.

Differentemente, sono ricorsa all’utilizzo delle note del traduttore quando il contesto presente nel prototesto si manifestava povero e privo di indizi da cui poter ricavare una traduzione mirata all’adattamento. Si consideri il passaggio seguente:

コタツに足をつっこんで、妹が残しておいてくれたお菓子を食べ た。妹は、「がんばりんよ」と言ってくれた。(p.143)

Ho ficcato le gambe sotto il kotatsu e ho mangiato i dolci che mia sorella aveva lasciato per me. «Metticela tutta » mi ha detto.

Per la cultura giapponese il kotatsu è uno tra i simboli che richiamano fortemente le stagioni autunnale e invernale, e tale allusione si può ritrovare anche nel breve periodo

kotatsu ni ashi wo tsukkonde コタツ に足を つ っこんで, dove si possono percepire

ampiamente le sensazioni dell’autrice, proprio perché il termine da solo specifica il gesto e le riassume in esso. Tuttavia, spiegare il significato figurativo evocato dal

kotatsu (in aggiunta alla descrizione fisica di tale oggetto) al lettore modello che mi

sono immaginata, determinerebbe un’invasione nozionistica del traduttore nelle note a pié di pagina. Ma tradutte kotatsu con “tavolino”, oltre che rivelarsi una soluzione drastica sarebbe stata anche inopportuno per il passaggio in questione, di conseguenza ho risolto aggiungendo una nota esplicativa, confidando che il lettore modello, figurandosi l’oggetto descritto potesse comprendere uno degli aspetti che contraddistingue la vita casalinga e tradizionale dei giapponesi. Analogamente:

ドラゴンズ優勝!なぜか赤飯と茶碗むしがつく。(p.220)

I Dragons hanno vinto! Senza apparente motivo mi hanno portato riso bollito con fagioli rossi e crema farcita al vapore.

Dalla traduzione prescelta per chawanmushi 茶碗むし, “crema farcita al vapore” (e

che ho preso in prestito dal dizionario giapponese-italiano Shogakukan) non è difficile individuare l’identità del piatto in questione e identificarlo come una portata “speciale”,

nonostante l’omissione dei dettagli che riguardano l’aspetto nello specifico o la sua tipologia. Diverso è il discorso per sekihan 赤飯, il “riso bollito con fagioli rossi (azuki 小豆)” (altra soluzione traduttiva ripresa dal dizionario Shogakukan), che, in assenza

del necessario background culturale, finisce per mimetizzarsi con un qualsiasi altro pasto e non esprime il reale significato all’eventuale lettore straniero. Per questo motivo ho ritenuto opportuno utilizzare una nota esplicativa che suggerisse che il sekihan fosse un piatto atto a simboleggiare un festeggiamento o un’occasione particolare.

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