1. L’ANALISI TRADUTTOLOGICA
1.5 Uso dei tempi verbali
Il tempo dei verbi nella lingua giapponese si può dividere essenzialmente in passato (-ta) e non passato (-ru, -u), dal momento che è il contesto in cui il predicato è inserito ciò che ne definisce con più chiarezza le caratteristiche.43 Al momento di operare una traduzione tuttavia emerge la necessità di discernere e scegliere quale tempo verbale della lingua italiana sia più consono di situazione in situazione. Nel caso di Ichi rittoru
no namida, nella traduzione italiana prevalgono soprattutto il presente, corrispettivo
dello –ru e dello –u giapponesi, e il passato prossimo, che è la scelta fatta per tradurre il –ta della maggior parte degli interventi di Aya.
Il passato prossimo si riferisce a un’azione passata ma, a differenza dell’imperfetto, implica compiutezza e, differentemente dal passato remoto (comunemente indicato per la narrativa), situa il significato psicologicamente vicino a chi lo racconta, permettendo di accordare i verbi con gli avverbi di tempo come “oggi”, “stamattina”. Dal momento che Ichi rittoru no namida è una raccolta di pagine di diario, è difficile immaginarlo come resoconto di di avvenimenti lontani o antichi; inoltre l’alternanza tra il tempo passato e quello non passato (quest’ultimo usato prevalentemente per illustrare i pensieri dell’autrice), permette di supporre una notevole vicinanza degli eventi narrati.
Il discorso narrativo nella lingua giapponese utilizza un differente approccio nell’impiego dei tempi verbali, prediligendo più il piano espressivo, considerazione assente nella nostra lingua di arrivo, piuttosto che quello cronologico. Ciò prevede che il passato o il presente di un verbo non vengano decisi in base a quale azione precede e
quale segue, ma all’importanza e all’incidenza. Naturalmente la lingua giapponese non per questo è priva di regole a riguardo, al contrario, non è possibile trovare un’unica spiegazione che possa semplificare e rendere conto di tutti i casi possibili. Nel passaggio seguente si può trovare un esempio concreto di questa peculiarità:
朝、風呂に入入入入 るるるる(体を柔らかくするため)。
母が、暑い暑いと言って動きまわっているいるいるいる。私は”暑くない”では 申しわけないと思って、計算実技を汗をかくまでやった。(p.157)
Stamattina ho fatto il bagno (per ammorbidire il corpo).
La mamma si muoveva indaffarata ripetendomi: «È calda, è calda.» Mi sarebbe dispiaciuto dirle che non sentivo affatto caldo, così mi sono messa a fare calcoli mentali finché non ho sudato.
Questo breve paragrafo costituisce un’unica annotazione del diario di Aya e il motivo principale per cui l’autrice decide di raccontarlo è da individuare nell’ultimo periodo, in cui spiega l’azione che ha intrapreso e ciò che le è accaduto. I tempi verbali usati in questo caso sono di non passato nei primi due periodi e di passato nell’ultimo e conclusivo.
Roy Miller analizza come diverse lingue presentano diversi modi di esprimere il tempo e i tempi verbali:
“Tense” is a grammatical term that is generally reserved for the verb systems of languages in which the different forms of the verbs are essentially, or mainly, concerned with identifying, marking, or […] “expressing” differences in time, indicating when the action or event to which the verb has reference took place […] “Aspect” is a grammatical term that is generally reserved for the verb systems of languages in which the different forms of the verb are concerned not with when something was done, but how, particularly and typically (e.g. the Slavic languages),
with whether or not a given action was or is completed (over and done with) or was or is still continuing (not over and done with, uncompleted or incomplete).44
Prendendo in considerazione la lingua giapponese nello specifico, e i suoi testi di narrativa, la tendenza che si riscontra maggiormente è quella a non distinguere i tempi verbali tra perfetto e imperfetto (completezza o no del periodo), ma a mostrare le intenzioni implicite dell’autore. Come accennato prima a proposito dell’utilizzo del passato prossimo, esso è stato considerato nella sua funzione di avvicinare gli eventi narrati al parlante, non perché mostrasse un grado più o meno di compiutezza dell’azione rispetto al perfetto, ma perché psicologicamente esprime un senso di vicinanza di cui il perfetto è privo. Analogamente, l’utilizzo dei tempi verbali in giapponese si concentra sulle percezioni del parlante e le convoglia attraverso il diverso uso del tempo passato o non passato.
Tornando al paragrafo citato da Ichi rittoru no namida, in cui si assiste al passaggio repentino tra due tempi verbali distanti secondo un uso estraneo alla lingua italiana (come a molte altri sistemi linguistici), possiamo intravedere principalmente due diverse possibilità di traduzione. Se il passaggio in questione si trovasse in un’opera di narrativa impostata al perfetto sin dalla prima pagina, trasportarlo al passato remoto sarebbe la scelta più immediata, ma essendo parte di un diario in cui passato e non passato si alternano e spesso si equivalgono, la traduzione non è così semplice. Esso, infatti, potrebbe essere reso anche in questo modo:
La mattina faccio il bagno (per ammorbidire il corpo).
La mamma si muove indaffarata ripetendomi: «È calda, è calda.» Mi
dispiacerebbe dirle che non sento affatto caldo, così mi metto a fare
calcoli mentali finché non sudo.
In questo caso le azioni descritte nel paragrafo ricorrerebbero nella vita dell’autrice come una routine.
Hopper, considera il discorso narrativo diviso in due categorie: quello che sviluppa il filo principale della narrazione (“primo piano”) e quello che fornisce informazioni
44
aggiuntive (“di sfondo”). I verbi del “primo piano” svilupperanno una narrativa impostata cronologicamente e si serviranno di perfettivi, mentre i verbi che servono gli eventi “di sfondo” saranno di tipo statico e imperfetti.45
Soga rimanda a questa divisione (115):
With the exception of the uses of –ru required by grammatical restrictions, it is quite possible for an author to use only the –ta form regardless of whether an event is “foreground” or “background”. Likewise, although it may not be very common, it should be possible to use nothing but the non-past tense from regardless of the types of the events described. In the former case, the story will be perceived only in a matter-of- fact way, while in the latter it will be perceived as if the reader is experiencing the events himself. In this sense, therefore, it seems that proper uses of tense forms constitute an element of the effective specific style of an author or of a story.46
Il passaggio tratto da Ichi rittoru no namida ci pone davanti a un caso analogo. Esso è soltanto un estratto di un paragrafo redatto quasi completamente nella forma non passata, ma è proprio analizzando il resto del testo che ho potuto decidere per una o l’altra traduzione. Di fatto, gli eventi che seguono il bagno mattiniero47 sono tutti eventi unici (il dente che duole, l’esito di una partita a gomoku narabe, ecc.) che, anche se narrati tramite un tempo non passato, vengono raccontati perché trascorsi e appartenenti a un tempo definito. Per riprendere Hopper, in questo caso, abbiamo una “sequenza di fatti”, che utilizzano un tempo presente, anziché uno passato, e che in una lingua come l’italiano si serviranno del passato prossimo, come abbiamo convenuto fosse la scelta più consona a raccontare gli eventi di un diario.
45
P. Hopper, “Aspect and foregrounding in discourse”, Syntax and Semantics, vol.12, New York, Academic Press, 1975, pp.213-241.
46 M. Soga, Tense and Aspect in Modern Colloquial Japanese, Vancouver, University of British
Columbia Press, 1983, p.219
47 Per quanto, fare un bagno al mattino non è un’abitudine propria dei giapponesi, e le circostanze in cui
esso avviene – la madre lavoratrice che aiuta la figlia – mi fanno pensare a un’occasione speciale più che di routine.