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il reato permanente come risultato del perdurare della con dotta (e degli altri elementi costitutivi del reato)

Occorre, a questo punto, prendere in analisi la concezione di reato permanente che gode del più ampio consenso da parte della dottrina italiana.

277 A. DAll’ORA, Condotta, cit., 213, nota 82.

278 L’opera di Giuliani, curiosamente, è di regola presa in considerazione soltanto per criticare la tesi, avanzata dallo stesso A., per la quale il reato permanente è costituito da unità processuale di illeciti autonomi (c.d. concezione pluralistica della permanenza, cfr. u.

GIulIANI, Sulla struttura, cit., 3 ss. ed in particolare 59 ss.), ma non viene mai analizzata in

relazione alla definizione strutturale del reato permanente ivi proposta. La teoria secondo la quale il reato permanente è un’unità processuale, per quanto, a nostro avviso, non condivisibile, si colloca su un piano diverso e indipendente da quello dell’individuazione della struttura del reato permanente e merita pertanto di essere accennata in altra sede: v. in particolare infra par. 10.

Nella tesi maggioritaria possono individuarsi, a nostro avviso e al netto delle varie differenze tra i vari Autori, almeno un paio di co- ordinate costanti, rappresentate, da un lato, dal riferimento al perdurare

– quantomeno – della condotta tipica quale elemento essenziale del reato

permanente e, dall’altro, dalla tendenziale rinuncia ad individuare un carattere distintivo del reato permanente, rispetto al reato istantaneo, sul- la base del tipo di prescrizioni contenute nel precetto penale o della sua natura279.

Tale impostazione si differenzia, quindi, dalle tesi finora esaminate che, ad es., ritengono decisivo ai fini della qualificazione di un reato come permanente il fatto che il precetto sia formulato in termini omissivi280,

oppure incrimini anche la mancata rimozione dello stato antigiuridico281

o anche il suo mantenimento282.

Tuttavia, a parte questo nucleo comune che, a nostro parere, appa- re comunque sufficiente per differenziare la tesi in analisi dalle altre, si può osservare come sussistano divergenze di opinione anche notevoli fra gli Autori che afferiscono alla tesi maggioritaria.

Talvolta, infatti, si individua, quale seconda caratteristica essenzia- le del reato permanente, il fatto che al perdurare della condotta si accom-

279 Riteniamo di poter includere in questo gruppo, pur con le precisazioni che seguiranno a breve, nella manualistica: F. ANTOlISEI, l. CONTI, Manuale, cit., 267; A.

CADOPPI, P. vENEzIANI, Elementi, cit., 198; S. CANESTRARI, l. CORNACChIA, G. DE SIMONE,

Manuale, cit., 256; I. CARACCIOlI, Manuale, cit., 82; G. CONTENTO, Corso, cit., II, 441-

442; G. DE vERO, Corso, cit., 433; C. FIORE, S. FIORE, Diritto, cit., 205; A. GAMBERINI, Il

tentativo, cit., 307; C.F. GROSSO, M. PElISSERO, D. PETRINI, P. PISA, Manuale, cit., 213; A.

MANNA, Corso, cit., 207 ss.; v. MANzINI, Trattato, cit., i, 701 ss.; G. MARINI, Lineamenti, cit.,

595; G. MARINuCCI, E. DOlCINI, Manuale, cit., 244-245; T. PADOvANI, Diritto, cit., 268; F.

PAlAzzO, Corso, cit., 240-241; D. PulITANò, Diritto, cit., 184-185; B. ROMANO, Diritto, cit.,

288; M. ROMANO, Pre-Art. 39, cit., 344-345. Nel resto della dottrina, sostanzialmente in

questo senso: l. AlIBRANDI, voce Reato, cit., 2; R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 149 ss. ed

in particolare 158 ss.; F. COPPI, voce Reato, cit., 323; G. DE FRANCESCO, Profili, cit., 565

ss.; D. FAlCINEllI, Il tempo, cit., 50-51; G.l. GATTA, Trattenimento, cit., 203; G. GRISOlIA, Il

reato, cit., 4 ss.; v.B. MuSCATIEllO, Pluralità, cit., 251 ss.; A. PECORARO-AlBANI, Del reato,

cit., 416 ss.; S. PROSDOCIMI, Profili, cit., 175 ss.; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 20 ss.

280 V. supra par. 6.

281 V. supra par. 2.

pagni «una situazione dannosa o pericolosa che si protrae nel tempo» causata proprio dal protrarsi nel tempo della condotta283; talaltra, invece,

tale opinione si reputa errata, affermando che «il c.d. stato antigiuridi- co», «la lesione giuridica [...] non è elemento del reato, non appartiene alla sua struttura e, quindi, resta fuori causa, anche nella determinazione del reato permanente» poiché ne costituisce solo «il contenuto»284.

Non infrequente, inoltre, l’asserzione – fatta propria, peraltro, an- che da coloro che ritengono che il reato permanente sarebbe caratte- rizzato dall’instaurazione e dal mantenimento della situazione antigiu- ridica285 – secondo la quale «il protrarsi della situazione antigiuridica»

dovrebbe essere «dovuto alla condotta volontaria del soggetto»286. Alcuni

fautori della concezione in analisi, tuttavia, negano che la dipendenza dello stato antigiuridico dalla volontà dell’agente possa realmente consi- derarsi elemento caratterizzante del reato permanente287.

Un’altra parte degli Autori, poi, considera insoddisfacente men- zionare quale caratteristica essenziale del reato permanente soltanto il protrarsi nel tempo della condotta tipica, puntualizzando invece che «per potersi parlare di reato permanente» non solo la condotta, ma «tutti gli elementi costitutivi di cui il reato si compone, oggettivi e soggettivi» dovreb-

bero poter essere riconosciuti «nel fatto», «qualunque momento [...] si

283 Così F. ANTOlISEI, l. CONTI, op. loc. cit. in questo senso anche: S. CANESTRARI, l.

CORNACChIA, G. DE SIMONE, op. loc. cit.; F. COPPI, op. loc. cit.; G. DE vERO, op. loc. cit.;

C. FIORE, S. FIORE, op. loc. cit.; A. GAMBERINI, op. loc. cit.; G. GRISOlIA, Il reato, cit., 31;

C.F. GROSSO, M. PElISSERO, D. PETRINI, P. PISA, op. loc. cit.; A. MANNA, op. loc. cit.; G.

MARINuCCI, E. DOlCINI, op. loc. cit.; v. MANzINI, op. loc. cit.; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 25;

M. ROMANO, Pre-Art. 39, cit., 344.

284 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 405. in senso adesivo, R. BARTOlI, Sulla struttura,

cit., 146 e 161; G. DE FRANCESCO, Profili, cit., 564-565.

285 V. amplius supra par. 4.

286 Così F. ANTOlISEI, l. CONTI, op. loc. cit. in questo senso anche: C. FIORE, S. FIORE,

Diritto, cit., 206; v. MANzINI, Trattato, cit., i, 701-702; R. RAMPIONI, op. loc. cit.; M.

ROMANO, op. loc. cit. Nello stesso senso, usando l’espressione «autonoma determinazione»,

G. MARINI, op. loc. cit.

287 in questo senso: R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 145; S. PROSDOCIMI, Profili, cit., 167-

prenda in considerazione»288.

Si riscontra, comunque, sostanziale unità di vedute sul fatto che il reato permanente, in linea di principio, possa essere integrato indiffe- rentemente da condotte di natura commissiva o omissiva, fintantoché, beninteso, queste ultime possano comunque considerarsi conformi al

Tatbestand di parte speciale di riferimento289.

Le opinioni tornano, tuttavia, a essere non del tutto uniformi in relazione all’individuazione dei presupposti necessari perché un reato possa

qualificarsi come permanente. Una parte della dottrina, infatti, afferma che presupposto necessario (ma non sufficiente) perché un reato possa configurarsi come permanente sarebbe comunque da rintracciarsi nel fat- to che i beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice siano, per così dire, “comprimibili”, «suscettibili di essere limitati nel loro godimento e non

integralmente distrutti»290; mentre da più parti si afferma che il presuppo-

sto decisivo sarebbe, in definitiva, semplicemente che la norma «ammetta [...] una realizzazione [del reato] che si protrae nel tempo»291, il che si po-

288 Così G. DE FRANCESCO, Profili, cit., 575. in senso (esplicitamente) conforme: R.

BARTOlI, Sulla struttura, cit., 149-150; F. COPPI, op. loc. cit.; T. PADOvANI, op. loc. cit.; M.

ROMANO, op. loc. cit.

289 Nella manualistica: F. ANTOlISEI, l. CONTI, Manuale, cit., 268-269; C. FIORE, S.

FIORE, Diritto, cit., 206; A. MANNA, Corso, cit., 208; v. MANzINI, Trattato, cit., i, 702; D.

PulITANò, Diritto, cit., 185; M. ROMANO, Pre-Art. 39, cit., 345. Nel resto della dottrina,

in questo senso: R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 164; F. COPPI, voce Reato, cit., 324; G.

DE FRANCESCO, Profili, cit., 567-568; G. GRISOlIA, Il reato, cit., 36; v.B. MuSCATIEllO,

Pluralità, cit., 261-262; A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 428; S. PROSDOCIMI, Profili, cit.,

177; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 23. Per l’incompatibilità generale tra condotta omissiva

e permanenza, l. AlIBRANDI, voce Reato, cit., 2-3. Per la diversa questione relativa alla

natura permanente o istantanea dei reati omissivi propri, v. invece infra par. 10

290 Così ad es. S. CANESTRARI, l. CORNACChIA, G. DE SIMONE, op. loc. cit. Nello stesso

senso: l. AlIBRANDI, voce Reato, cit., 1-2; F. COPPI, voce Reato, cit., 323; G.l. GATTA, op.

loc. cit.; C.F. GROSSO, M. PElISSERO, D. PETRINI, P. PISA, op. loc. cit.; G. MARINI, Lineamenti,

cit., 596; v.B. MuSCATIEllO, Pluralità, cit., 253; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 9. Come si

ricorderà, questo aspetto era già stato notato da alcuni fautori della concezione bifasica e da coloro che ricostruiscono il reato permanente come creazione e mantenimento di uno stato antigiuridico: v. supra par. 2 e 4.

291 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 420. Nello stesso senso anche R. BARTOlI, Sulla

trebbe trarre da un’esegesi complessiva della norma incriminatrice, rispetto

alla quale l’analisi della natura comprimibile o meno de «l’oggettività giu- ridica» sarebbe soltanto uno degli strumenti a disposizione, assieme con «la logica, la semantica, la intenzione del legislatore, [...], ecc.»292; infine, la

necessità di rintracciare nella natura comprimibile del bene giuridico uno dei presupposti della permanenza è stata, talvolta, anche del tutto negata, in ragione del fatto che non si attaglierebbe «alla [...] struttura» di alcuni beni giuridici, come l’«ordine pubblico» o la «morale famigliare», che vengono tutelati da reati comunemente ritenuti permanenti293.

Analoga disparità di vedute sussiste, all’interno della teoria mag- gioritaria, in relazione all’individuazione delle categorie del reato perma-

nente. Accanto ad Autori che, come nella concezione che richiede il mantenimento di uno stato antigiuridico294, affermano che il reato per-

manente sarebbe tale solo necessariamente, nel senso che l’offesa dovrebbe

«perdurare per un tempo [...] apprezzabile perché si abbia la condotta tipica del reato»295, ve ne sono altri che riconoscono sia l’esistenza della

categoria del reato necessariamente permanente, sia quella del reato eventual-

mente permanente296 ed altri ancora che riconoscono solo la categoria del

reato eventualmente permanente297; mentre, per una parte ancora diversa

della dottrina, entrambe le categorie dovrebbero essere respinte298.

Profili, cit., 565; G. GRISOlIA, Il reato, cit. 5 e 7.

292 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 423.

293 C. FIORE, S. FIORE, op. loc. cit.

294 V. supra par. 2.

295 Così ad es. A. CADOPPI, P. vENEzIANI, Elementi, cit., 199. Conformi, talvolta senza fare

espresso riferimento alla categoria del reato necessariamente permanente: S. CANESTRARI,

l. CORNACChIA, G. DE SIMONE, op. loc. cit.; I. CARACCIOlI, op. loc. cit.; A. GAMBERINI, op. loc.

cit.; C.F. GROSSO, M. PElISSERO, D. PETRINI, P. PISA, op. loc. cit.; F. PAlAzzO, Corso, cit., 240;

B. ROMANO, op. loc. cit.; M. ROMANO, op. loc. cit.;

296 F. ANTOlISEI, l. CONTI, Manuale, cit., 269; M. GAllO, op. loc. cit.; v. MANzINI, Trattato,

cit., i, 703-704; G. MARINI, Lineamenti, cit., 595 e 597-598; T. PADOvANI, op. loc. cit.

297 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 423 ss.; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 12.

298 in questo senso, R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 159-160 e G. DE vERO, op. loc. cit.

Per una critica alla categoria del reato necessariamente permanente v. anche amplius supra

Un’ulteriore, rilevante divergenza di opinioni interna ai fautori della concezione in analisi riguarda poi la natura normativa o, per con-

verso, empirico-fattuale del concetto di permanenza. Il tema non è sempre

affrontato esplicitamente, e talvolta risulta difficile estrapolare la posi- zione tenuta, a riguardo, dai numerosi Autori che aderiscono alla tesi attualmente maggioritaria nella dottrina italiana; è possibile, tuttavia, raggrupparli attorno a due diverse visioni teoriche di fondo.

Un primo gruppo raccoglie gli Autori che, rimanendo sostanzial- mente nello stesso solco tracciato dalle tesi finora esaminate, ritengono di poter inferire esclusivamente dalle caratteristiche della norma incri- minatrice di parte speciale la natura permanente del reato e, pertanto, danno del reato permanente una definizione strettamente normativa. In

particolare, si afferma, «per stabilire la natura istantanea o permanente di una certa ipotesi delittuosa» occorrerebbe rifarsi «al dato primario di ogni esperienza giuridica: la norma che comanda o vieta determinati comporta- menti», per verificare «se la fattispecie ipotizzata ammette, o addirittura

esige, una realizzazione indefinitamente protratta nel tempo»299, discen-

dendo, in definitiva, «la natura permanente del reato soltanto dal fatto che la norma configura un reato che non si esaurisce nel momento in cui

si attuano i suoi elementi costitutivi»300.

Altra parte della dottrina afferma invece che «per stabilire la natura del reato, se permanente o meno» non sarebbe la norma incriminatri- ce «ad assumere esclusivo rilievo, [...] ma la fattispecie in concreto»301,

poiché «la permanenza» non sarebbe «un istituto giuridico, una entità normativamente creata, fissata dal legislatore, ma [...] un attributo che in- forma nella realtà una certa azione costituente reato»302. In altri termini,

299 Così già M. GAllO, Reato, cit., 332-333.

300 Con l’usuale chiarezza F. COPPI, op. loc. cit. Sostanzialmente in questo senso, a nostro

avviso, anche: G. DE vERO, op. loc. cit.; C. FIORE, S. FIORE, Diritto, cit., 205; T. PADOvANI, op.

loc. cit.; M. ROMANO, Pre-Art. 39, cit., 344.

301 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 419-420.

302 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 428. in questo senso anche: R. BARTOlI, Sulla

struttura, cit., 161-162; D. FAlCINEllI, Il tempo, cit., 67-68; G. GRISOlIA, Il reato, cit., 6 ss.;

risulterebbe sì necessario «determinare cosa la norma vieta, gli elementi costitutivi del “fatto”», ma al solo fine di determinare «se la norma, per il modo in cui lo formula, ne ammetta anche una realizzazione che si protrae nel tempo»303; una volta superata positivamente questa verifica,

occorrerà poi assodare «se e quanto un reato, in astratto suscettibile di permanenza, si sia concretamente protratto [...] nel tempo», per il tramite dell’osservazione del «fatto storico»304. Con ciò il concetto di permanen-

za assume natura esclusivamente empirico-fattuale, e non più normativa;

nell’ottica in esame, infatti, la norma non costituisce il fondamento “po- sitivo” della permanenza, ma solo il suo limite negativo: se pur «vi sono re-

ati necessariamente istantanei»305, «che si hanno quando la norma esclude

l’eventualità della permanenza perché anche soltanto uno degli elementi costitutivi del fatto non è suscettibile di protrarsi nel tempo»306, «tutti gli

altri reati possono assumere anche la forma della permanenza»307.

Al di là delle differenze di impostazione tra i fautori della teoria in esame, infine, è assolutamente unanime, nonché ribadita costantemente, l’asserzione per la quale nel reato permanente la fattispecie dovrebbe in ogni caso protrarsi «senza interruzione»308.

Pluralità, cit., 250-251. Afferma che «la permanenza è nota naturalistica e non giuridica»

anche G. MARINI, Lineamenti, cit., 598. Sostiene che la permanenza «appartiene

essenzialmente alla realtà fattuale» anche l. AlIBRANDI, voce Reato, cit., 2.

303 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 420.

304 R BARTOlI, Sulla struttura, cit., 162.

305 A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 423.

306 R BARTOlI, op. loc. cit.

307 A. PECORARO-AlBANI, op. loc. cit.

308 F. ANTOlISEI, l. CONTI, Manuale, cit., 267. Nello stesso senso: R. BARTOlI, Sulla

struttura, cit., 162 e 174; S. CANESTRARI, l. CORNACChIA, G. DE SIMONE, op. loc. cit.; G.

CONTENTO, Corso, cit., II, 442; G. DE FRANCESCO, Profili, cit., 565 e 575; G. DE vERO,

Corso, cit., 434; G. GRISOlIA, Il reato, cit., 31; A. MANNA, Corso, cit., 210; v. MANzINI,

Trattato, cit., i, 704; G. MARINI, Lineamenti, cit., 595 e 598; v.B. MuSCATIEllO, Pluralità,

cit., 262; A. PECORARO-AlBANI, Del reato, cit., 431 ss.; R. RAMPIONI, Contributo, cit., 25-26 e

69; M. ROMANO, op. loc. cit. Parla di continuità «quanto meno tendenziale» S. PROSDOCIMI,

9. (Segue): critica

La concezione in esame, merita, a nostro avviso, di essere condivisa nel suo nucleo fondamentale, rappresentato dalla rinuncia a descrivere il reato permanente mediante asserite caratteristiche comuni a tutte le norme incriminatrici che prevedono reati permanenti, siano esse la pre- senza di un doppio precetto, il cui secondo aspetto riguardi l’obbligo di rimuovere309 o il divieto di mantenere310, o un precetto che prescrive un

“comando” invece che un “divieto”311.

Tuttavia, come si è visto, pur condividendo i fautori della conce- zione in analisi la medesima idea di fondo, sussistono notevoli divergen- ze, nell’ambito della dottrina maggioritaria, in relazione all’esatta indivi- duazione del concetto e della struttura del reato permanente. Si tratterà pertanto, qui di seguito, di verificare se tali divergenze d’impostazione abbiano natura meramente formale, consistendo soltanto in una diver- sa formulazione del medesimo concetto, oppure corrispondano a tesi realmente differenti, e, se del caso, di sottoporre alcune asserzioni della teoria maggioritaria ad analisi critica.

Innanzitutto, a fronte dell’affermazione, certamente condivisibile, per la quale il reato permanente si caratterizza per il protrarsi della con- dotta tipica nel tempo, una parte della dottrina, come si è visto, richiede anche il contemporaneo protrarsi nel tempo dello stato antigiuridico – id est, della lesione al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice –;

altri Autori, invece, ritengono che il protrarsi dell’offesa non potrebbe in alcun modo essere presa in considerazione nella definizione del reato permanente, non essendo quest’ultima «elemento del reato»312.

309 Così i fautori della teoria bifasica: v. supra par. 2.

310 in questo senso gli A. che ricostruiscono il reato permanente come produzione e mantenimento di uno stato antigiuridico: v. supra par. 4.

311 Questa l’idea di fondo della concezione omissiva del reato permanente: v. supra par.

6.

312 Così, come si è visto, R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 146 e 161; G. DE FRANCESCO,

A nostro modesto avviso, l’opinione di chi intende escludere l’of- fesa dalla struttura del reato non appare accettabile. A riguardo, occorre innanzitutto osservare come non sia del tutto chiaro a cosa esattamente intendano fare riferimento gli Autori che affermano che l’offesa non apparterrebbe alla struttura del reato, quanto al suo «contenuto»313, po-

sto che nessuno di loro, in definitiva, finisce per negare l’operatività del principio di necessaria offensività del reato314, così implicitamente

confermando – esattamente come sostiene il resto della dottrina – che l’offesa deve pur perdurare, in concreto, per tutto il tempo in cui perdura la condotta. In secondo luogo, ci pare invero che costituisca ormai un punto di arrivo consolidato della scienza penalistica italiana il ricono- scimento della «funzione dogmatica» del bene giuridico, che «non può che riverberarsi sulla determinazione delle componenti costitutive del reato» e che, «con riferimento alla categoria della tipicità, [...] consiste [...] nel far sì che la tipicità concettualmente includa la lesione del bene giuridico»315.

Se, però, questa seconda obiezione è vera, appare allora superfluo considerare – come fa il resto della dottrina – quale requisito essenziale del reato permanente la protrazione dello stato antigiuridico, poiché tale requisito non ci sembra nient’altro che la declinazione, rispetto ai reati permanenti, del principio per cui non vi è reato senza offesa ai beni giuridici: al protrarsi della condotta corrisponde il protrarsi dell’offesa, non per via di qualche strano esoterismo, ma soltanto perché ad ogni condotta tipica corrisponde necessariamente un’offesa al bene giuridico tutelato; altrimenti, la tipicità è soltanto apparente. Ci sembra, insomma, che colga ancora una volta nel segno chi ha osservato come non vi sia, in realtà, «alcun bisogno di fare menzione dello stato, della situazione originata della condotta» per definire il reato permanente, perché «il co-

313 R. BARTOlI, op. loc. cit.; G. DE FRANCESCO, op. loc. cit.; A. PECORARO-AlBANI, op. loc. cit.

314 R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 161; G. DE FRANCESCO, op. loc. cit.; A. PECORARO-

AlBANI, op. loc. cit.

315 Così, per tutti, G. FIANDACA, E. MuSCO, Diritto, cit., 195; D. PulITANò, Diritto, cit.,

siddetto protrarsi della situazione antigiuridica [...] non è che il naturale persistere [...] dell’offesa tipica inerente al reato»316.

Del tutto fuorviante, a nostro avviso, anche rilevare che lo stato antigiuridico debba dipendere dalla volontà dell’agente317. Ci pare inutile

ripetere in questa sede osservazioni già svolte in precedenza; basti qui ri- cordare che qualunque fatto di reato dev’essere necessariamente sorretto da un coefficiente di imputazione soggettiva, sia esso permanente oppure istantaneo, e che comunque, non può certamente dirsi che lo stato anti- giuridico debba dipendere dalla volontà dell’agente nei reati permanenti colposi, della cui ammissibilità nessuno ha mai seriamente dubitato318.

Ci pare, invece, condivisibile la precisazione di quegli Autori che sottolineano che non solo la condotta tipica, ma tutti gli elementi costi- tutivi del reato debbano protrarsi nel tempo perché sia data permanenza. Tale precisazione è, infatti, chiaramente imposta dal «principio di lega- lità», che, come si è notato, non può certamente «essere accantonato e perso di vista» «una volta che il reato sia consumato»319.

Si muoverebbe, tuttavia, una critica ingiusta al resto della dottrina, se si lasciasse intendere che quest’ultima normalmente neghi la necessità del protrarsi nel tempo tutti gli elementi costitutivi del reato per il rico- noscimento della permanenza. Al contrario, il riferimento al protrarsi della sola condotta tipica da parte del resto della dottrina ha sempre rappresentato, a nostro avviso, soltanto una sineddoche: nessun Autore, infatti, ha mai sostenuto che un sequestro di persona debba essere adde- bitato all’agente per l’intero anche se, ad es., dopo un certo periodo di tempo questi sia improvvisamente divenuto non più imputabile, o sia intervenuta, per qualche motivo, una causa di giustificazione320.

316 S. PROSDOCIMI, Profili, cit., 175. Conforme sul punto R. RAMPIONI, op. loc. cit.

317 V. sul punto gli A. citati supra, nota 286.

318 Per ogni approfondimento del caso, v. supra par. 5.

319 S. PROSDOCIMI, Profili, cit., 177. La violazione del principio di «tipicità» che si

verificherebbe altrimenti è notata anche da R. BARTOlI, Sulla struttura, cit., 158. Nello

stesso senso: F. PAlAzzO, Corso, cit., 241.

320 V., con esempi differenti: ANTOlISEI, l. CONTI, Manuale, cit., 269; G. CONTENTO,

Del resto, la necessità che perdurino nel tempo di tutti gli elementi