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CAPITOLO 3 LA MANCANZA DI TRASPARENZA NEL

3.2. I L FUNZIONAMENTO DI C ONTENT ID

3.3.1 Il regime di immunità

Un sistema come Content ID trova la sua ragione di esistere nella normativa sulla responsabilità degli OSPs. L’OECD definisce tali soggetti come «entità che permettono o facilitano transazioni tra terzi su internet. Essi forniscono accesso, ospitano, trasmettono e indicizzano contenuti, prodotti e servizi di terzi su Internet o forniscono servizi relativi a Internet a terzi»315. Questi intermediari svolgono un ruolo delicato perché, di fatto, controllano la rete e ciò che viaggia al suo interno316.

Da un punto di vista giuridico, questi soggetti godono generalmente di un regime di immunità (o safe-harbour) per l’attività illecita posta in essere dagli utenti. La logica alla base di un simile regime di immunità consiste nell’interesse a garantire certezza giuridica e incentivare la proliferazione di nuovi operatori digitali317. Ritenere gli intermediari responsabili per ogni attività illecita posta in essere dagli utenti indurrebbe i soggetti che dominano una grande fetta del mercato (come Google, Facebook, Twitter) a cambiare radicalmente il proprio modello di business limitando la libertà degli utenti o a stabilirsi nei Paesi che accordano loro il regime più favorevole318. Per quanto riguarda invece i nuovi soggetti interessati ad entrare nel mercato l’assenza di un simile regime costituirebbe una barriera all’ingresso, perché dovrebbero sopportare i costi di innumerevoli conteziosi legali.

Questa immunità però non può essere assoluta. Gli intermediari di Internet agiscono come “information gatekeepers”319, dal momento che controllano l’accesso e il transito di dati e informazioni. In forza della loro funzione di interesse pubblico non possono agire come meri soggetti privati. Un influente giurista statunitense nel 2000 scrisse: «in una società democratica, i soggetti che controllano l’informazione hanno la responsabilità di agire nell’interesse collettivo. […] Tali gatekeepers sono affidatari del bene

314Ibid.

315 OECD, The economic and social role of internet intermediaries, DSTI/ICCP(2009)9/FINAL, p. 9. 316 Pascuzzi G., Il diritto dell’era digitale, cit., p. 309.

317 Dinwoodie G. B., A Comparative Analysis of the Secondary Liability of Online Service Providers, in Dinwoodie G. B. (a cura di), Secondary Liability of Internet Service Providers, Springer, Oxford, 2017, p. 31

318 Pascuzzi G., Il diritto dell’era digitale, cit., p. 310.

319 Taddeo M., Floridi L., New Civic Responsibilities for Online Service Providers, in Taddeo M., Floridi L. (a cura di),

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comune320». Lo stesso autore ha criticato la dottrina del laissez-faire tecnologico secondo cui gli intermediari di Internet devono poter beneficiare di un ampio regime di immunità per stimolare l’avanzamento tecnologico, sottolineando che essi esercitano un potere particolarmente incisivo sulla direzione dell’informazione e per questo dovrebbero essere sottoposti a qualche tipo di controllo. Assicurare che questi soggetti non utilizzino il loro potere in modo illegittimo dovrebbe essere una priorità della nostra società321. Questa concezione si basa sull’assunto che, considerando il ruolo centrale degli intermediari nel mondo dell’informazione e la totale dipendenza della nostra società, non si possa sostenere che, essendo formalmente dei soggetti privati, tali soggetti siano esenti da responsabilità nei confronti della collettività322. Il ruolo “parapubblicistico” delle piattaforme è stato reso ancora più chiaro dalla pandemia globale da Covid-19 del 2020, che ha imposto a miliardi di persone in tutto il mondo il repentino passaggio al telelavoro e alla didattica a distanza, impossibile senza ricorrere ai servizi offerti dalle piattaforme digitali.

Tale preoccupazione è condivisa da numerosi autori: per esempio, il giurista italiano Stefano Rodotà sosteneva che l’entrata del cittadino nello spazio della rete non potesse essere accompagnata da una perdita di diritti, escludendo che in questo spazio possano agire poteri arbitrari e incontrollati323. In aggiunta, altri hanno sostenuto che gli intermediari sono gli unici soggetti in grado di controllare la rete, trovandosi nella posizione di poter intercettare e scoprire eventuali abusi324. I benefici conseguenti l’imposizione di un obbligo in capo agli intermediari di sorvegliare l’attività degli utenti e intervenire in caso di attività illecita devono però essere bilanciati con le problematiche sollevate dall’attribuzione ad essi di un potere censorio325, che porta alla privatizzazione della funzione giudiziaria, a discapito dei principi di trasparenza e accountability.

Queste due prospettive trovano un bilanciamento nelle normative che regolano il ruolo degli intermediari di Internet. È possibile individuare due modelli di regolamentazione: un modello che prevede diversi livelli di immunità e diversi obblighi a seconda dell’ambito di applicazione, come quello statunitense, ed un modello omnicomprensivo che si applica orizzontalmente a tutti gli ambiti del diritto, come quello europeo. Negli Stati Uniti, infatti, il regime di immunità degli intermediari varia a seconda che l’attività degli utenti sia ascrivibile alla libertà d’espressione oppure all’ambito del diritto d’autore. La Sezione 230 del Communication Decency Act326 statunitense del 1996 prevede uno dei più solidi e incondizionati regimi di immunità per gli intermediari di Internet che pubblicano informazioni postate da terzi. In particolare, la Sezione 230 afferma che: «nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi». Questa previsione normativa è stata interpretata in modo estensivo, arrivando ad includere tutti i casi di diffamazione, violazione della privacy, frode o spam327. L’effetto pratico della Sezione 230 è quello di permettere agli utenti di esprimersi liberamente sul web, senza temere di venire censurati o bloccati dalle piattaforme, le quali sono a prescindere protette. In questo caso, il regime di immunità è particolarmente forte poiché è coinvolta la libertà di

320 Shapiro, A. L., The control revolution: How the internet is putting individuals in charge and changing the world we know, Public Affairs, New York, 1999, p. 225.

321 Ivi, p. 226.

322 Taddeo M., Floridi, The Moral Responsibilities of Online Service Providers, in The Responsibilities of Online Service

Providers, cit., p. 25.

323 Rodotà S., Il diritto di avere diritti, Laterza, Bari-Roma, 2012, p. 393-395. 324 Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, cit., p. 310.

325 Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, cit., p. 309.

326 Communications Decency Act of 1996, 47 U.S.C.A. § 230(c)(1). 327 OECD, The economic and social role of internet intermediaries, p. 10

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espressione degli utenti, tutelata dal Primo Emendamento della Costituzione Federale, pilastro dell’intero sistema giuridico statunitense. Invece, il Digital Millenium Copyright Act, che ha introdotto nel 1998 la Sezione 512 del Copyright Act328, impone una serie di adempimenti che le piattaforme devono porre in essere in caso di violazioni del diritto d’autore da parte degli utenti per poter rientrare nel regime di immunità.

Al contrario, la direttiva UE 2000/31/CE (“direttiva e-commerce”) che regola il regime di responsabilità degli Internet Service Providers, pur differenziando a seconda della funzione svolta dall’intermediario, prevede un regime uniforme che si applica orizzontalmente a qualsiasi tipo di attività illecita (dalla diffamazione alle violazioni di diritti di proprietà intellettuale). Attualmente l’Unione europea sembra volersi dirigere verso l’imposizione di obblighi sempre più incisivi in capo agli intermediari, come dimostrato dalla nuova direttiva copyright approvata nel 2019329 e dal corrente dibattito intorno ad una proposta di Regolamento (“Digital Services Act” 330) che andrà ad inglobare il regime della responsabilità delle piattaforme previsto dalla direttiva e-commerce (in particolare gli articoli 12, 13, 14, 15331), introducendo regole aggiuntive per le piattaforme digitali.