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I L REGIME DELLA LEGGE ITALIANA INCOMPATIBILE E DISAPPLICABILE

Nel documento L'atto amministrativo anticomunitario (pagine 57-64)

appare opportuno affrontare un ulteriore problema di non poco conto e cioè chiarire il regime giuridico della legge italiana incompatibile e disapplicabile per contrasto con quella comunitaria.

Come si è ricordato, la Corte Costituzionale – con la sentenza Granital in particolare – ha affermato che la norma italiana, contrastante con quella comunitaria, dovesse essere disapplicata dal giudice comune pur essendo valida ed esistente a tutti gli effetti. Tale tesi, alla luce delle successive evoluzioni pretorie e delle modifiche legislative di diverso rango, non appare sostenibile anche alla luce della giurisprudenza comunitaria e dei principi dalla stessa elaborati che ostano una simile interpretazione.

In proposito, taluni autori77 hanno sostenuto che la soluzione si rinverrebbe nel principio lex posterior generalis non derogat priori specialis. Tuttavia, la tesi non convince, non solo per ragioni di carattere generale – l’ordinamento comunitario, per come già innanzi motivato, non è assimilabile ad alcuna organizzazione internazionale ma presente profili di assoluta originalità che ne fanno un

77 F. POCAR, Lezioni di diritto delle Comunità europee, Milano, 1979, I196, in G. GRECO, I rapporti

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ordinamento tipicamente sovranazionale78 – quanto e soprattutto per l’unicità ordinamentale in forza della quale non può sostenersi, almeno a livello di teoria generale, che in un medesimo ordinamento la ripartizione delle fonti determini sempre specialità di quelle comunitarie e sempre generalità di quella nazionale.

La generalità e la specialità, per come è noto, sono attribuite caso per caso e non sono predeterminate. Nemmeno sotto il profilo dell’efficacia spaziale può trovare accoglimento questa tesi, se si considera che la norma comunitaria ha un ambito di applicazione certamente più ampio – ed omogeneo – di quella nazionale.

Sul punto appare opportuno ragionare secondo i classici canoni ermeneutici e condividere, dunque, la decisione assunta dalla Corte Costituzionale la quale, pacificamente, ha riconosciuto che il contrasto tra norma nazionale antecedente a quella comunitaria va interpretato nel senso che la seconda abroga, tacitamente, la prima.

Così argomentando, resta da affrontare il regime delle norma italiana successiva a quella comunitaria e con essa incompatibile. La soluzione di detta questione, si badi bene, risulterà esiziale anche ai fini della successiva e più pregnante problematica dell’anticomunitarietà degli atti amministrativi.

78 Corte di Giustizia, sentenza Van Gend en Loos, cit., p. 3 e Corte di Giustizia, sentenza Costa c.

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Secondo taluni Autori79, in questo caso la norma italiana sarebbe radicalmente nulla con la sua conseguente disapplicazione. Invero, sul punto, la Corte Costituzionale80 ha, giustamente, affermato che un ipotesi del genere presupporrebbe l’incompetenza assoluta del legislatore italiana. E così non è.

In linea con quanto sostenuto nel presente lavoro ed in coerenza con quanto affermato da dottrina e giurisprudenza, è chiaro che il rapporto tra i due ordinamenti si informa al criterio gerarchico e non a quello della competenza. Difatti, è evidente che al Legislatore nazionale non è preclusa la competenza su talune materie piuttosto ad esso è proibito legiferare in maniera difforme e contrastante al diritto comunitario.

Dunque, è di tutta evidenza come il giudice comune, posto dinanzi alla scelta tra una norma nazionale successiva contrastante con norma comunitaria antecedente, debba scegliere, in via gerarchica, la seconda, salva l’ipotesi dei controlimiti di cui si è ampiamente detto. Conseguentemente, viene meno l’ipotesi della nullità della norma italiana restando in piedi, invece, l’ipotesi dell’illegittimità ed

79 Come riporta G. GRECO, I rapporti tra ordinamento comunitario ed ordinamento nazionale, cit.,

p. 847 in riferimento a M. CAPURSO, Criteri ermeneutici in ordine all’applicazione di norme comunitarie convenzionali e derivate, configgenti con norme primarie di diritto interno, in Riv. Trim. dir pubbl., 1975, pp. 1057 e 1087.

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escludendo che la disapplicazione possa assurgere a nuova categoria patologica.

In ragione dei principi e dei canoni elaborati dalla Corte di Giustizia in tema di primazia ed effetto diretto del diritto comunitario, può affermarsi che, stante il divieto di discriminazione nell’applicazione del diritto comunitario e in forza del vincolo di adeguatezza – che impone, a sua volta, una sorta di giudizio di assimilazione degli ordinamenti nazionali a quello comunitario – risulta agevole affermare l’assoluta equiparazione tra la legge comunitaria e quella nazionale81; la soluzione, in definitiva, passa attraverso il giudizio accentrato di costituzionalità della norma nazionale essendo ciò precluso attraverso il ricorso incidentale82.

In sintesi, se adita in via principale, la Corte Costituzionale deve pronunciarsi in ordine al contrasto tra norma comunitaria e norma nazionale con esclusione, ovviamente, delle ipotesi in cui ricorre l’istituto della disapplicazione.

L’esito di tale iter argomentativo conduce ad affermare che, la norma italiana successiva contrastante con norma comunitaria anteriore è illegittima seppur efficace e sarà disapplicata dal giudice comune

81 Tanto è stato, peraltro, riconosciuto dal Cons. St., I, parere 9 aprile 1997 n. 372. 82

La Corte Costituzionale, difatti, in numerose pronunce, ha dichiarato l’inammissibilità della questione statuendo che spetta al giudice comune accertare il contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali disapplicando, se del caso, tal ultime (Sentenze nn. 47 del 1985, 48 del 1985, 168 del 1991 e 115 del 1993).

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oppure dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale qualora adita in via principale.

Del resto, tanto è stato ribadito dalla medesima giurisprudenza della Corte di Giustizia83 ed è in linea con quanto già avviene, nel nostro sistema di giustizia amministrativa nei rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo.

Esaurito l’argomento sui rapporti fra gli ordinamenti ed il regime giuridico delle leggi italiane contrastanti con quelle comunitarie, deve essere affrontato l’ulteriore rapporto fra le diverse tipologie di atti normativi comunitari e legge nazionale. Quanto esposto per i regolamenti comunitari vale, per come è noto, anche per le norme comunitarie originarie (contenute nei Trattati) e per le direttive direttamente applicabili o self-executing in virtù delle medesime argomentazioni84.

Il ragionamento è diverso in ordine all’illegittimità della normativa comunitaria derivata. Come è noto, in tal caso, le strade percorribili sono tre: l’impugnazione diretta dinanzi alla Corte di Giustizia ex art. 230 TCE85, in via incidentale in un giudizio avente ad oggetto

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Corte di Giustizia, Sez. Riunite, 9 settembre 2003, causa CC-198/01.

84 E, cioè, l’integrazione delle norme nell’ordinamento nazionale, superiorità gerarchica,

disapplicazione da parte del giudice comune, ricorso principale per la declaratoria di incostituzionalità, obbligo di abrogazione da parte del legislatore nazionale, oltre al giudizio di responsabilità per lo Stato inadempiente.

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l’impugnazione di altri atti ex art. 231 TCE86 o, infine, in via pregiudiziale sollevata dai giudici degli Stati membri ex art. 234 TCE87. Gli strumenti offerti dal diritto comunitario confermano che tanto il giudizio di annullamento quanto l’istituto della disapplicazione garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale88 comunitaria in forza del principio di legalità. Tal ultimo, opera “nell’ordinamento comunitario, in senso più ampio che nell’azione amministrativa nazionale: esso va inteso innanzitutto come principio del primato dell’ordinamento comunitario su quello derivato e a tale scopo il Trattato ha posto a presidio numerose azioni di tutela giurisdizionale”89.

Parimenti, pare che nulla osti a giungere alle medesime conclusioni anche nel caso di contrasto tra leggi italiane e norme comunitarie non direttamente applicabili, come per esempio le direttive non auto-

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Ora sostituito dall’art. 264 del TFUE. Recentissimamente, il giudice amministrativo si è pronunciato in merito a tale disposizione affermando che “Quanto alla rilevanza nel sistema nazionale dei principi europei (anch’essi richiamati dall’art. 1 del Codice), va premesso che - per l’articolo 264 del Trattato sul funzionamento della Unione Europea – la Corte di Giustizia, ove lo reputi necessario, può precisare ‘gli effetti dell’atto annullato che devono essere considerati definitivi’”, Cons. St., VI, sentenza 10 maggio 2011, n. 2755, con nota di M. SAPIO, Un caso di sospensione degli effetti caduca tori del giudicato amministrativo in applicazione della rilevanza del diritto europeo sul diritto processuale amministrativo nazionale, in www.giustamm.it.

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Ora sostituito dall’art. 267 del TFUE.

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“Il diritto dell’Unione, in particolare il diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale, osta ad una normativa nazionale, quale quella oggetto della causa principale, interpretata nel senso che i membri di un’associazione temporanea offerente in un procedimento di aggiudicazione di un pubblico appalto siano privati della possibilità di chiedere, a titolo individuale, il risarcimento del danno che ritengono di aver individualmente subìto a seguito di una decisione adottata da un’autorità diversa dall’amministrazione aggiudicatrice, implicata in tale procedimento conformemente alle norme nazionali applicabili, e che è tale da influire sullo svolgimento di quest’ultimo”, Corte di Giustizia, IV, sentenza 6 maggio 2010, cause riunite C-145/08 e C-149/08, Club Hotel Loutraki.

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esecutive. In questo caso, ex art. 249, co. 3°, TCE90, sussiste in capo allo Stato membro l’obbligo di dare attuazione alla direttiva che vincola nel risultato, ma lascia ampia libertà per le forme ed i mezzi di attuazione. Dunque, in ossequio ai principi elaborati dalla Corte di Giustizia ed in forza di quanto sopra argomentato sotto il profilo dell’integrazione ordinamentale, non può negarsi che un eventuale contrasto di tal sorta comporta che la legge italiana è illegittima costituzionalmente per violazione di norma interposta rispetto all’art. 117, 1° co., Cost.

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