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Il regime della colpa penale del medico dopo l’intervento delle Sezioni Unite Luci e ombre sulla sentenza Mariott

Quanto era stato affermato e recepito dalla legge Gelli- Bianco, con l’interpretazione fornita dalle sentenze Tarabori e Cavazza della Suprema Corte di Cassazione, aveva lasciato irrisolte non poche domande. Fino a che punto poteva, infatti, spingersi l’esimente di cui al nuovo articolo 590-sexies del codice penale nelle condotte viziate da imperizia dell’esercente la professione sanitaria ? La limitazione della responsabilità finanche alla colpa grave, pur nel rispetto e nell’esecuzione delle linee-guida, sembrava rappresentare un posizione troppo sbilanciata a tutela del professionista e ai danni del paziente. L’impunità del medico, che si fosse attenuto ai modelli scientifici, comportava la completa eliminazione dell’elemento soggettivo dei reati indicati nella rubrica della nuova scusante. Se l’intento, pur comprensibile, della legge era quello di sconfessare le continue pratiche di medicina difensiva, garantendo condizioni favorevoli di operatività all’esercente la professione sanitaria, il regime introdotto dall’art. 6 sembrava però andare un po’ oltre, sconfinando in ipotesi di totale privilegio. Forti dubbi restavano, inoltre, sulla legittimità costituzionale della disciplina, specialmente con riferimento all’art. 32 della Costituzione42 e alla salvaguardia

del diritto fondamentale alla salute. Né d’altronde l’obiettivo di soddisfare le esigenze degli operatori poteva dirsi pienamente raggiunto, stante la frammentarietà della disciplina, la non scusabilità della erronea scelta delle linee- guida e delle condotte viziate da negligenza ed imprudenza. Il regime così individuato lasciava comunque un ampio margine di incertezza e confusione a danno del professionista che, sebbene non punibile per qualsiasi grado di imperizia, diveniva invece responsabile (anche per colpa lieve !) in tutte le altre

42 Secondo cui : “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e

interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

situazioni. Per cercare, perciò, di bilanciare gli interessi di parte e giungere ad una interpretazione chiara e costituzionalmente compatibile, la sentenza Mariotti n. 8770 del 21 dicembre 2017 ha cercato di mettere a sistema la disciplina con risultati, si vedrà, non propriamente felici. Nella nuova definizione del regime della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, la pronuncia della Suprema Corte si allontana da entrambe le sentenze precedenti della IV sezione. Secondo la Corte, “la Tarabori giunge ad un’interpretazione abrogatrice, perché non assegna alcuno spazio applicativo rispetto a quanto già affermato dalla legge Balduzzi e della giurisprudenza e ciò in collisione con la chiara intenzione innovatrice della legge del 2017; la Cavazza invece assegna una portata impropriamente lata alla causa di non punibilità: troppo spazio applicativo, con ipotizzabilità di violazione dei principi costituzionali della parità di trattamento rispetto ad altre categorie di professionisti e della tutela della salute.”43 Se il primo orientamento, come si era già sottolineato, non può essere

accolto per incoerenza logica della pronuncia, sconfinando in un’interpretazione quasi tautologica, il secondo risulta invece troppo favorevole all’esercente la professione sanitaria, conferendogli una vera e propria immunità della funzione, di stampo quasi pubblicistico. Viene, quindi, qui accolta la critica prestata alla Cavazza con riferimento all’art. 32 della Costituzione, senza addivenire ad alcun ordinanza di rinvio alla Corte Costituzionale. La sentenza cerca così di trovare una soluzione, fornendo un ulteriore orientamento in materia. Nasce un nuovo regime, di tertium datur, tra quelli precedentemente esaminati. Secondo la pronuncia Mariotti, si ha non punibilità quando l’evento è causato per imperizia lieve nella fase d’esecuzione delle linee guida. Totale capovolgimento di fronte. Per rispondere ai dubbi di legittimità costituzionale, la Suprema Corte inserisce, nel dettato dell’articolo 6 della legge Gelli – Bianco, un elemento che non emerge in nessun modo nel testo normativo: la gradazione della colpa. L’art. 6 della legge Gelli – Bianco ( e quindi dell’art. 590 sexies del codice penale), si

43 Si veda P.Piras, Un distillato di nomofilachia: l’imperizia lieve intrinseca quale causa di non punibilità del medico, in Rivista dir. pen. cont. 2018.

ricorderà, recitava in questo modo: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità' del caso concreto”. Nel testo integrale riportato dell’articolo, non emerge, infatti, in nessun momento la distinzione tra colpa lieve e colpa grave, che pure era presente nell’art. 2236 del codice civile e tanto cara all’articolo 3 della legge Balduzzi. In che modo, quindi, la Cassazione avrebbe rintracciato, di nuovo e ritornando al regime precedente, la non punibilità dell’esercente la professione sanitaria per la sola condotta di imperizia viziata da colpa lieve ? L’esclusione della colpa grave, per la pronuncia Mariotti, veniva giustificata sulla base di due esigenze: in primo luogo, con riferimento all’art. 3 della Costituzione, la parità di trattamento; con riguardo ad altre categorie di professionisti, la posizione dell’esercente la professione sanitaria versava in un trattamento di favore sproporzionato ed ingiustificato, tale da non giustificare una vera e propria immunità funzionale per imperizia. In secondo luogo, con riferimento al già citato art. 32 della Costituzione, l’esenzione della responsabilità penale del medico avrebbe comportato la restrizione della tutela di un diritto fondamentale ed incomprimibile, come quello posto a salvaguardia della salute dell’individuo e della collettività. Per queste ragioni e onde evitare una futura censura di illegittimità costituzionale, non poteva riconoscersi validità giuridica alla scusante in caso di condotte di imperizia viziate da colpa grave. Viene così ripristinato, sebbene in parte come si vedrà, il regime della responsabilità penale del professionista in vigore durante la legge Balduzzi; secondo la sentenza della Suprema Corte, l’imperizia lieve è rimasta intrinseca alla formulazione del nuovo precetto44. Nella Gelli – Bianco, quindi, la

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scelta del legislatore di escludere la punibilità per l’imperizia nell’esecuzione delle linee-guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali, qualora appropriate al caso concreto, senza l’indicazione del grado della colpa, avrebbe lasciato intendere, in re ipsa, che non poteva non trattarsi, comunque, di colpa lieve. Stante la precedente giurisprudenza di merito e di legittimità, intervenuta nell’applicazione della legge Balduzzi, la clausola di non punibilità non poteva non incorporare, al suo interno, l’elemento della colpa lieve ed escludere, invece, quello della colpa grave. Come se fosse nello stato delle cose e nell’evidenza delle parti che nessuna esimente avrebbe potuto configurarsi in caso di condotte viziate da errori importanti. Nel diffuso impianto motivazionale delle sentenza, venivano indicate tre diverse ragioni che comproverebbero una simile scelta. Veniva così affermata una creazione dogmatica, del tutto giurisprudenziale, che andava ben oltre la formulazione e la tipizzazione legislativa. Innanzitutto, veniva ripresa e chiamata a sostegno del nuovo orientamento la giurisprudenza affermatasi dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 197345, che seppur a

mò di principio e di regola di comune esperienza da applicare in sede penale, aveva favorito l’ingresso dell’art. 2236 del codice civile che escludeva la punibilità – per colpa grave - del professionista alle prese con problemi tecnici di particolare complessità. In questo modo, si ammetteva che la stratificazione giurisprudenziale della clausola di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria, per condotte viziate da colpa lieve, aveva di fatto incorporato la distinzione del grado della colpa nella stessa responsabilità dell’operatore; si era andata formandosi, nel corso del tempo, una definizione particolare della colpevolezza del medico che non poteva cioè prescindere dalla intensità dell’elemento soggettivo della condotta. Era quindi nelle cose che qualsiasi clausola di esclusione della punibilità dovesse necessariamente riferirsi alla colpa lieve del professionista, cui la tutela era rivolta, non essendo ammissibile una eliminazione della responsabilità tout court. In quest’ottica andava ad inserirsi la

causa di non punibilità del medico, in Rivista dir. pen. cont. 2018.

45 Si tratta della sentenza n. 166 del 1973 della Corte Costituzionale, richiamata, come si

prima argomentazione della sentenza Mariotti, giustificando che, nonostante la mancanza di un espresso richiamo al grado della colpa da parte dell’ art. 6 della Gelli – Bianco, il legislatore intendesse, nell’esclusione della punibilità per imperizia, far riferimento esclusivamente alla colpa lieve intrinseca. Orbene, questa prima interpretazione non sembra cogliere pienamente nel segno. Posto che il dettato normativo non effettua alcun riferimento all’intensità dell’elemento soggettivo della condotta, sembra, a parere dello scrivente, che il giudicante abbia voluto forzare un po’ troppo l’intenzione propria del legislatore. La creazione, tutta giurisprudenziale, della dogmatica della “colpa lieve intrinseca” non trova, di fatto, alcun appiglio nella lettera della nuova legge. Ed emergono già i primi dubbi che il nuovo orientamento più che assecondare il dettato normativo (secundum legem) o integrare quanto disposto (praeter legem) non faccia altro che contraddirlo (contra legem), inventandosi un’interpretazione che va ben oltre i limiti del giudicante. Chi può dire che il legislatore, non esplicitando la distinzione e il grado della colpa rilevante ai fini dell’operatività della scusante, non intendesse proprio escludere, in qualsiasi caso di imperizia, la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria ? Il primo argomento della Suprema Corte, a ben vedere, sembra rivelarsi piuttosto azzardato e fuorviante. Come seconda giustificazione, la pronuncia Mariotti avanzava un collegamento al regime precedente disciplinato dall’art. 3 della legge Balduzzi. Stante la continuità della disciplina, l’imperizia lieve intrinseca, che si voleva attribuire anche alla nuova scusante prevista dall’art. 590 sexies del codice penale, era fatta risalire alla qualificazione dell’elemento soggettivo introdotta proprio dal testo del 2012. Visto, quindi, che l’articolo 3 della legge Balduzzi aveva espressamente utilizzato e disciplinato la colpa lieve, era nelle cose che la nuova formulazione legislativa, riaffermando l’esclusione della punibilità dell’esercente la professione sanitaria in caso di imperizia, volesse collegarsi, sulla scia della continuità, alla medesima applicazione giurisprudenziale della materia. Anche questa interpretazione non sembra però fornire adeguati elementi di riscontro nella nuova formulazione della disposizione. Se l’intenzione della

legge era proprio quella di innovare la precedente disciplina, mettendo a sistema le critiche mosse alla legge Balduzzi, in che modo avrebbe potuto rispettare l’aderenza al vecchio regime ? Più che collegamento, soluzione di continuità: era forse proprio nella volontà del legislatore quella di riformare anche il grado della colpa della responsabilità del medico, prescindendo completamente da qualsiasi valutazione intrinseca all’intensità della condotta e in modo da rispondere in maniera più netta alle esigenze ed alle pratiche della c.d. medicina difensiva. Che poi non sia riuscito a raggiungere pienamente il suo intento è, per forza di cose, un’altra questione. Chi ci dice, insomma, che l’omissione non fosse propriamente voluta e volta a segnare il distacco con la precedente disciplina ? Anche su questo punto, l’orientamento della Suprema Corte non sembra essere pienamente condivisibile. E l’argomentazione secondo cui il legislatore minus dixit quam voluit rappresenta un ulteriore forzatura di sistema. Come ultima difesa, la pronuncia Mariotti si appellava quindi alle regole sull’interpretazione della legge previste dal codice civile e aventi quasi connotazione internazionalistica e pubblicistica. Fondava, cioè, la plausibilità della colpa lieve intrinseca sulla lettura dei lavori parlamentari o preparatori della legge Gelli – Bianco del 2017. L’originario testo approvato dalla Camera, infatti, differenziava l’imperizia lieve da quella grave e la successiva modifica non conteneva alcuna esplicitazione di un simile ripudio; il legislatore, cioè, avrebbe voluto semplicemente omettere questa distinzione nella forma, senza però abbandonare la regola generale ormai acquisita dalla dottrina e dalla giurisprudenza a partire dall’art. 2236 del codice civile46. Anche questa impostazione, però, non sembra dirsi adeguata

all’interpretazione del testo legislativo così come approvato nella versione

46Il testo precedente era il seguente: “Art. 590-ter. - (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario) - L'esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale della persona assistita risponde dei reati di cui agli articoli 589 e 590 solo in caso di colpa grave. Agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”. Per una lettura dei lavori preparatori si rimanda al sito

definitiva da parte del Parlamento. In che modo la successiva adozione, con tutte le modifiche del caso, costituirebbe un semplice avallo del precedente modello e non invece una volontaria sostituzione in seguito alla discussione parlamentare ? La lettura dei lavori preparatori quale ricerca delle vere intenzioni del legislatore è pratica diffusa nel diritto internazionale e nell’analisi dei Trattati, stante la molteplicità delle parti, la complessità degli accordi e le difficoltà dettate dalla differenze linguistiche e non può certo pienamente applicarsi anche nei confronti di un preciso iter legislativo, quale quello previsto dalla Costituzione47. Secondo

le categorie nazionali di interpretazione della legge, quindi, è l’approvazione del testo finale a rappresentare il contenuto vincolante per gli operatori del diritto. E le modifiche intercorse durante l’iter parlamentare non possono essere considerate come non apposte o non effettivamente volute. Anche in questo caso, quindi, la giustificazione fornita dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza Mariotti non sembra possa rispecchiare quanto previsto dal dettato normativo. Comprensibile, tuttavia, è l’intento della Corte di restringere l’ambito di operatività della nuova scusante onde evitare le critiche ad essa sollevate con riferimento agli articoli 3 e 32 della Costituzione. Ad ogni modo, al di là della fondatezza delle argomentazioni qui riportate, quello che ne esce fuori è un regime ancora più confusionario e distorto. Come massima generale si ricava che l’esercente la professione sanitaria non è punibile per le condotte di imperizia viziate da colpa lieve nell’esecuzione delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali, qualora adatte al caso concreto. La limitazione, a differenza del regime precedentemente applicato dalla legge Balduzzi, non è di poco conto, limitandosi ad una fase operativa precipua e circostanziata. Si legge, infatti, che “l’art. 590-sexies c.p. richiede il rispetto delle linee guida, che dipende dalla scelta di quelle “adeguate” e quindi la sola possibilità interpretativa residua non

può che indirizzarsi nella fase attuativa delle linee guida48” Secondo questa

ricostruzione, quindi, l’esercente la professione sanitaria sarebbe sempre punibile in tutti gli altri casi di negligenza ed imprudenza, nonché nell’erronea scelta delle linee guida e delle buone pratiche adeguate al caso concreto49. Questa

impostazione, profondamente diversa da quella precedente disciplinata dalla legge del 2012, finisce per porre diverse criticità. È la stessa pronuncia della Suprema Corte, in effetti, che riconosce la complessità del sistema e la difficoltà di distinguo dei diversi tipi di colpa. La sovrapposizione delle nozioni, d’altronde, era già stata criticata dagli orientamenti applicativi emersi dalla legge Balduzzi che aveva finito, alla fine, per riconoscere l’estensione dell’operatività della scusante di cui all’art. 3 per tutte e tre le nozioni dell’elemento soggettivo e vale a dire negligenza, imperizia e imprudenza. Con il nuovo regime, di fatto, il problema si ripropone in tutta la sua vastità, stante la difficoltà di discernimento dell’operatore delle conseguenze della sua condotta. Il che, come si è già avuto modo di sottolineare in questa sede, non fa altro che acuire le reazioni praticate dalla c.d. medicina difensiva. Ad ogni modo, secondo la Suprema Corte, la valutazione del tipo e del grado di intensità della colpa va valutata con riferimento al caso concreto; il parametro di riferimento è infatti quello dell’agente modello o meglio dell’homo eiusdem professionis et condicionis, che è quello del professionista che opera nelle specifiche condizioni del caso. Anche questa impostazione, tuttavia, lascia diverse perplessità sul punto e ben si presta a letture critiche, visto l’ancoraggio a criteri astratti e di difficile ricognizione pratica. Ad ogni modo, il regime così individuato si rivela sicuramente più

48 Cass., Sez. Unite, sent. 21 dicembre 2017, n. 8770, cit., p. 20 e 21, con commento di

P.Piras, Un distillato di nomofilachia: l’imperizia lieve intrinseca quale causa di non

punibilità del medico, in Rivista dir. pen. cont. 2018.

49 Sul punto, però, la stessa sentenza Mariotti della Cassazione, così come veniva inteso

finanche dalla precedente applicazione giurisprudenziale della legge Balduzzi lascia qualche spiraglio aperto, affermando la non punibilità dell’esercente la professione sanitaria in caso di erronea scelta delle linee guida, purché lo scostamento risulti marginale e di minima entità. Sembrerebbe, quindi, ipotizzarsi una attenuazione della responsabilità per colpa lieve anche nell’elezione dei modelli scientifici di riferimento, così come veniva praticato dalla precedente disciplina, per ovvi motivi di tutela a favore dell’operato del professionista.

gravoso rispetto al precedente ed esclude la sua applicazione retroattiva. È quanto d’altronde riconosce la stessa Corte di Cassazione che esplicitamente, nel paragrafo 12 della motivazione, occupandosi dell’efficacia della nuova disposizione del codice penale, sottolinea la vigenza della legge Balduzzi per tutti i fatti precedenti all’entrata in vigore della Gelli – Bianco.

3.3 Le critiche alla nuova colpa penale del medico dopo le Sezioni Unite:

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