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La responsabilità penale del medico: dalla legge Balduzzi alla legge Gelli - Bianco. Analisi della disciplina e orientamenti della giurisprudenza

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Academic year: 2021

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Scuola Superiore Sant’Anna

di Studi Universitari e di Perfezionamento

Classe Accademica di Scienze Sociali

Settore di Scienze Giuridiche

Tesi di Licenza

La responsabilità penale del medico: dalla legge Balduzzi alla legge Gelli

- Bianco. Analisi della disciplina e orientamenti della giurisprudenza

Candidato: Relatore:

Matteo Di Donato Chiar.ma Prof. ssa Gaetana Morgante

Allievo Ordinario Scuola Superiore Sant’Anna

Tutor:

Chiar.ma Prof.ssa Maria Gagliardi

Scuola Superiore Sant’Anna

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Semel, semper Felice di aver fatto parte di questa comunità

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I

NDICE

Introduzione ………p. 4 Capitolo primo

1. La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria prima della legge Balduzzi. Le letture dell’art. 2236 del codice civile………..p. 7 Capitolo secondo

2. 1 La codificazione della legge Balduzzi e il nuovo regime della responsabilità penale………...p. 10

2.2 Il ruolo delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e la loro incidenza sul giudizio della colpa medica………p. 16

2.3 La valutazione del grado della colpa ...………...p. 22

Capitolo terzo

3.1 La necessità di un nuovo intervento legislativo: il regime previsto dal testo della Gelli – Bianco………...p.25

3.2 Il regime della colpa penale del medico dopo l’intervento delle Sezioni Unite. Luci e ombre sulla sentenza Mariotti……….p.34

3.3 Le critiche alla nuova colpa penale del medico dopo le Sezioni Unite: quali le prospettive future ?...p.43

Conclusione………..p.47

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Introduzione

La disciplina della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria ha subito diverse trasformazioni negli ultimi anni. Le leggi Balduzzi (prima) e la legge Gelli – Bianco (poi) hanno tentato di fornire un inquadramento sistematico della materia, cercando di regolare un settore molto complesso e intricato. Da un lato l’esigenza dei pazienti di ancorare la responsabilità penale del medico a precisi parametri di riferimento entro cui far valere le doglianze di interventi mal riusciti, dall’altro quella degli stessi operatori sanitari che chiedono tutela dai rischi connessi allo svolgimento della professione. È d’altronde per ovviare allo sviluppo della c.d. medicina difensiva che il legislatore ha tentato, in più occasioni, di definire una disciplina precisa ed omogenea, capace di individuare le soglie della punibilità. Non sempre però gli interventi normativi sono riusciti a raggiungere gli obiettivi prefissati. La responsabilità penale del medico ha subito diversi revirements nel corso del tempo e finanche la giurisprudenza non è riuscita a fornire interpretazioni e orientamenti chiarificatori. Il tema, come si vede, è di difficile analisi e coinvolge diversi istituti di diritto e procedura penale. La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria non si rivolge soltanto all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato e al grado della colpa, ma ricomprende anche valutazioni sulla causalità dell’evento e – in caso di interventi in équipe – sul concorso di persone nella determinazione della fattispecie criminosa. Si possono individuare, a mò di esposizione, tre fasi di sviluppo della tematica: prima della legge Balduzzi, la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria era ancorata all’art. 2236 del codice civile, sulla base di diverse interpretazioni analogiche che tendevano a rendere operativo, anche nel settore penale, la disposizione relativa alla responsabilità del prestatore d’opera in caso di interventi tecnici di speciale difficoltà. Seppur con letture differenti, sulla diversa operatività della norma ai vari tipi di colpa, l’articolo in esame era volto ad escludere la punibilità del medico nei casi in cui, a determinare l’evento lesivo ai danni del paziente, fosse stato un grado di colpa lieve, scusabile in base alle difficoltà tecniche e specifiche dell’intervento.

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L’entrata in vigore della legge Balduzzi, nel 2012, sembrava recepire questa impostazione, tutta civilistica, della responsabilità del medico, incorporandola anche nella disciplina penalistica. La nuova normativa sembrava, quindi, trovare un buon punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, definendo in maniera organica il fenomeno e preoccupandosi di conciliare le esigenze di pazienti, sempre più informati e consci delle procedure da adottare, e le tutele invocate dalla c.d. medicina difensiva, se non quanto meno nella prevedibilità delle conseguenze derivanti dal rispetto delle regole d’arte e in modo da assicurare sufficiente certezza ai comportamenti penalmente rilevanti. Ci si chiedeva, quindi, se il mero rispetto delle linee guida da parte dell’esercente la professione sanitaria potesse bastare per escludere, almeno presuntivamente, la colpa grave, salvo prova contraria. I contorni definiti dalla nuova legge Gelli – Bianco, nel 2017, invece di risolvere definitivamente la questione, rappresentando l’evoluzione dello stato dell’arte in materia, non hanno fatto altro che complicare ulteriormente la situazione. La nuova causa di esclusione della punibilità prevista ora dall’art. 590 sexies del codice penale ha reso estremamente confusionaria la disciplina, stravolgendo peraltro le tradizionali distinzioni sulla colpa mantenute in vigore dalla legge Balduzzi. Venuta meno la gradazione dell’elemento soggettivo, la scusante in esame, che pure aveva l’intento di accogliere le ulteriori rimostranze della c.d. medicina difensiva, allargando il campo di esenzione della responsabilità penale del medico, ha invece limitato la sua operatività all’imperizia nell’esecuzione delle linee guida o delle buone pratiche assistenziali appropriate al caso concreto. Di male, in peius: l’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, con la celebre sentenza Mariotti, ha di nuovo rivoluzionato la disciplina; peraltro l’interpretazione nomofilattica fornita dalla Suprema Corte non sembra per niente corrispondere al dettato letterale del testo legislativo, ideando, con tecniche di giurisprudenza creativa, nuove maglie di applicazione della nuova scusante. Insomma, quello che doveva essere un intervento riformatore e risolutivo del sistema non ha fatto altro che mischiare di nuovo le carte e ravvivare gli scontri (dottrinali e non ) tra le diverse fazioni. Sembra

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quindi che vi sia ancora molto da fare per giungere ad un inquadramento omogeneo della materia, ma è nelle more della presente trattazione tentare di esaminare le prospettive future. Partendo da un’analisi ricognitiva delle diverse fasi della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria si cercherà, in primo luogo, di ricordare la disciplina in vigore prima della riforma del 2012. Si passerà quindi allo studio della legge Balduzzi tanto dibattuta e tanto amata prima della nuova rivoluzione del sistema. Nell’ultimo capitolo si passerà in rassegna l’ultimo intervento di modifica della legge Gelli – Bianco, con l’analisi della famosa sentenza Mariotti e della giurisprudenza susseguente. Obiettivo, come si è detto, è quello di fornire un quadro sistematico della materia, tentando di avanzate proposte di riforma della disciplina. La tematica della responsabilità penale del medico impone valutazioni di chiarezza, a fronte degli importanti (e sensibili) interessi sottesi al settore. Il rapporto medico-paziente si è evoluto nel corso del tempo sulla scia del consenso informato; qualsiasi intervento di natura terapeutica è ormai sottoposto all’attenzione del paziente e sussistono obblighi informativi a carico del professionista; l’evoluzione della tecnologia ha inoltre facilitato il controllo e l’esecuzione della prestazione, se conforme o meno a regola d’arte. Tutto questo ha amplificato l’importanza della disciplina, che merita di essere approfondita con sguardo critico e propositivo.

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1. La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria prima della legge Balduzzi. Le letture dell’art. 2236 del codice civile

Prima dell’entrata in vigore della legge Balduzzi, la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria era vista e valutata dal giudice con “larghezza di vedute e comprensione1”. Tale atteggiamento di favore, nei

confronti del medico, era dettato da una visione di fondo che sminuiva le aspettative del paziente, spesso inconsapevole e ignorante: il professionista era un esperto al quale interamente e fideisticamente affidarsi nella speranza di una eventuale guarigione. Diversi orientamenti giurisprudenziali dell’epoca facevano per associare alla prestazione del medico la responsabilità del prestatore d’opera prevista dall’art. 2236 del codice civile secondo cui: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria era quindi esclusa tutte le volte in cui l’evento lesivo a danni del paziente si fosse verificato a causa di una condotta viziata da colpa lieve, stante la difficoltà dell’operazione e le particolarità del caso concreto2. Non era qui effettuata nessuna distinzione tra i tipi di colpa e

l’esclusione della punibilità era prevista, tout court, per qualsiasi ipotesi di colpa lieve. Altra parte della dottrina riteneva, invece, che l’applicazione analogica del principio contenuto nelle disposizioni del codice civile riguardasse esclusivamente situazioni di imperizia mentre, in caso di negligenza o imprudenza, il medico rispondesse anche per livelli di colpa non gravi3. Questa

1 Si fa riferimento alla sentenza della VI sezione della Cassazione penale del 6 marzo 1967,

pubblicata con nota di Izzo in Mass. Cass. pen. 1968, p. 420.

2

Di questa interpretazione Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 1970, Lisco, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1973, p. 255, con nota di A. Crespi, La “colpa grave” nell’esercizio dell’attività medico-chirurgica.

3 Sul punto, tra tutti, si veda A. Crespi, I recenti orientamenti giurisprudenziali nell’accertamento della colpa professionale del medico chirurgo: evoluzione o involuzione?,

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lettura restrittiva dell’orientamento in precedenza seguito dalla giurisprudenza effettuava un primo bilanciamento di interessi tra le parti, avvertendo le crescenti necessità di tutela a favore del paziente. Ed invero era così recepito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 166 del 28 novembre 19734. Una prima distinzione della colpa, quindi, influiva sulla

configurabilità della responsabilità penale del professionista; la negligenza, intesa come mancanza di attenzione, e l’imprudenza, quale mancanza di cautela della condotta, avrebbero comportato la punizione del medico anche per colpa lieve; al contrario l’imperizia, in caso di mancato rispetto di regole d’arte, avrebbe determinato la fondatezza della responsabilità soltanto quando versata in colpa grave. Tralasciando le possibilità di sovrapposizione delle singole nozioni, i cui contorni sono effettivamente assai labili da individuare nella prassi, questa impostazione poneva l’attenzione sul rispetto delle tecniche professionali da parte dell’agente nell’esecuzione dell’intervento terapeutico richiesto. Altra parte della giurisprudenza, seppur successiva, riteneva invece che l’operatività dell’art. 2236 del codice civile non potesse essere pronunciata direttamente in sede penale; l’ingresso della disposizione nella valutazione della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria poteva cioè avvenire come regola massima di esperienza (id quod plerumque accidit) nell’accertamento dell’imperizia e con riferimento a situazioni di particolare complessità5. Altra parte della dottrina

riteneva, invece, che l’esclusione della punibilità non potesse essere ammessa in nessun caso e che la responsabilità penale del medico doveva essere soggetta alle regole ordinarie di accertamento della colpevolezza. Anche in caso di colpa lieve, quindi, l’esercente la professione sanitaria sarebbe stato punibile per il danno cagionato, senza alcuna distinzione. Si voleva cercare così di eliminare qualsiasi

4 Si veda B. Romano, La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria tra antichi dubbi e nuovi problemi; Pacini Giuridica, Pisa, 2019.

5 Cass. pen., 21 giugno 2007, Buggè, n. 39592, in C.E.D. Tra le più recenti e dello stesso

avviso invece, prima dell’entrata in vigore della legge Balduzzi, Cass. pen., 22 novembre 2011, Di Lella, n. 4391, in C.E.D.

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trattamento di favore a carico del professionista; veniva cioè criticata “un’ingiustificata posizione di privilegio per gli esercenti la professione medica, nei confronti dei quali l’indagine in materia avrebbe dovuto, semmai, essere più attenta, tenendo conto della tutela della salute degli ammalati”6. Le diverse

letture date al principio sancito e riportato dall’art. 2236 fornivano un quadro piuttosto confusionario. L’atteggiamento solito della giurisprudenza, così come recepito dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 1973, era quello però di escludere la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, quantomeno per i casi di imperizia viziata da colpa lieve. A parere di chi scrive, tale impostazione, seppure in un certo senso condivisibile e volta a bilanciare gli interessi tra le parti, si mostrava tuttavia molto complicata da attuare e incapace di rassicurare le esigenze della medicina difensiva sulla prevedibilità delle conseguenze della condotta posta in atto dagli operatori. La facile sovrapposizione tra i diversi tipi di colpa e l’esclusione della punibilità per la sola colpa lieve attribuita all’imperizia poneva non poche difficoltà ermeneutiche di accertamento della responsabilità. Ed invero se già nella teoria, la distinzione tra negligenza, imperizia ed imprudenza tende a sfumare e a non essere perfettamente delineata, si può ben immaginare come, nella prassi, questa suddivisione non sia affatto utile a rassicurare l’operato del medico, spesso tenuto a decidere e intervenire in un tempo strettamente limitato. Alla luce di quanto detto e secondo lo scrivente, un’esenzione tout court della punibilità per colpa lieve avrebbe forse reso più facile il compito sia del giudice che del medico, confermando comunque la tutela del paziente al risarcimento del danno in sede civile e la condanna in sede penale in casi di colpa grave e manifesta. Di questo avviso, d’altronde sembrava orientarsi anche la successiva legge Balduzzi che intervenne, nel 2012, proprio per disciplinare in maniera più precisa la materia.

6 Così A. Manna, Profili penalistici del trattamento medico-chirurgico, Giuffrè, Milano,

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2. 1 La codificazione della legge Balduzzi e il nuovo regime della responsabilità penale

Ancor prima della legge Balduzzi, il tentativo di riformare la responsabilità colposa “medica” era stato posto in essere da Ferruccio Fazio, Ministro della Salute nell’ultimo Governo Berlusconi. La Camera dei Deputati aveva, infatti, approvato il suo disegno di legge nell’ottobre del 2011 ma la caduta repentina del Governo non aveva consentito il proseguimento dell’iter approvativo al Senato. Sarà Renato Balduzzi, succeduto a Fazio alla guida della Salute nel Governo Monti, a riprendere alcuni punti di quel progetto di legge, inserendoli nel suo “Decreto Sanità” (anche detto “Decreto Balduzzi”), il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158 , che sarà poi convertito, con modificazioni, nella Legge 8 novembre 2012, n. 189, anch’essa nota come “Legge Balduzzi”. L’intervento normativo, nella particolare fase politica di contenimento della spesa pubblica (cd. spending review), risponde, tra l’altro, all’esigenza di ottenere una riduzione della spesa prodotta dalla cd. “medicina difensiva” (specialmente diagnostica e radiologica) attraverso una riduzione dell’area della rilevanza penale per chi esercita le professioni sanitarie. Il fenomeno della cd “medicina difensiva”, infatti, aveva determinato la prescrizione di esami diagnostici inappropriati al solo fine di evitare responsabilità civili e penali (medicina difensiva cd. positiva)7

con gravi conseguenze sia sulla salute dei cittadini, sia sull’aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie. Negli ultimi anni, il contenzioso del settore è stato in vertiginosa crescita anche perché le moderne e sofisticate possibilità diagnostiche, in un’epoca che consente la loro divulgazione in tempo reale attraverso internet, permettono di evidenziare sempre di più l’errore dell’operatore sanitario. Si è assistiti ad un pericoloso crollo di fiducia reciproca tra paziente e medico che ha comportato un aumento del 225% di cause dal 1994 al 2013, con premi assicurativi sempre più elevati. E’ in questo clima,

7 La medicina difensiva è, invece, detta “negativa” quando il medico si difende da eventuali

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caratterizzato da un mutato rapporto tra medico e paziente, proprio durante l’attraversamento di una delicatissima fase della crisi economica, che è intervenuta in materia la legge Balduzzi. L’art. 3 della predetta legge individuava un nuovo regime di responsabilità del professionista: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.8

L’intento della norma era chiaramente quello di delimitare la responsabilità ai soli casi di colpa medica “grave” con parziale “abolitio criminis” nelle ipotesi di colpa “lieve”. Il novum legislativo lasciava, tuttavia, residuare numerose criticità interpretative e presentava diversi dubbi di legittimità costituzionale sul particolare trattamento di favore riservato ai solo esercenti la professione sanitaria, a confronto con altre attività egualmente utili e di analoga complessità e pericolosità. L’ordinanza del 21 marzo 2013 di presunta incostituzionalità sollevata dal tribunale di Milano9 veniva rimessa dalla Corte Costituzionale e

rigettata a causa dell’omessa descrizione, da parte del Giudice a quo, della fattispecie concreta sottoposta al suo giudizio e, conseguentemente, della

8A tale formulazione della norma si perviene soltanto con la conversione in legge del citato

Decreto Sanità, il cui corrispondente articolo, invece, recitava “Fermo restando il disposto

dell’art. 2236 del codice civile, nell’accertamento della colpa lieve nell’attività dell’esercente le professioni sanitarie, il giudice, ai sensi dell’art. 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell’osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale”.

Tale norma originaria, concepita nell’ambito della responsabilità civile, aveva il precipuo obiettivo di venire incontro alle esigenze della categoria medica per cui, in caso di colpa lieve, il professionista sanitario rispondeva del danno con analisi della diligenza apprestata nell’operazione ai sensi dell’art. 1176 del codice civile.

9Si fa riferimento all’ordinanza del Trib. Milano, Sez. IX, 21.3.2013 (est. Giordano)

pubblicata in rivista Dir. Pen. Cont., 29 marzo 2013, con nota di M. Scoletta, Rispetto delle

linee guida e non punibilità della colpa lieve dell’operatore sanitario: “la norma penale di favore” al giudizio della Corte Costituzionale.

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rilevanza della questione per la soluzione del caso concreto.10 I profili di

illegittimità costituzionale avanzati dal Tribunale di Milano, ancorché diversi ed articolati, erano destinati, dunque, a rimanere silenti perché elusi nel merito. In primis, si lamentava l’eccessiva genericità della causa di esclusione della punibilità e del parametro della colpa lieve integrando un evidente contrasto con i principi previsti dagli artt. 3 (sull’appunto già ricordato principio di uguaglianza) e 25, c. 2, Cost. nonché con la funzione rieducativa della pena (art. 27 Cost.). La novella, oltre ad essere destinata indistintamente a tutti gli esercenti la professione sanitaria, non faceva riferimento a particolari fattispecie penali cui applicarsi; la scusante copriva quindi l’intero campo penale ed era destinata anche a coloro chiamati ad adottare scelte diagnostiche o terapeutiche che non attengono affatto alla salute umana come i veterinari, i farmacisti, i biologi, ecc. Un ulteriore profilo di illegittimità riguardava, infine, il contrasto con l’art. 33 Cost. in quanto la disposizione normativa, ponendosi in contrasto con la tutela della libertà della scienza, accordava una un regime di maggior favore al medico accettante passivamente ed acriticamente le linee guida. Ciò “deresponsabilizza penalmente soltanto chi si attiene alle linee guida e alle buone prassi con l’effetto di inibire e atrofizzare la libertà di pensiero scientifico, la libertà di ricerca e di sperimentazione medica, la libertà terapeutica che costituisce una scelta del medico e del paziente, perché confina ogni scelta diagnostica e/o terapeutica all’interno di ciò che è stato già consacrato dalle linee guida o dalle buone prassi”.11 La riforma legislativa introdotta dalla legge Balduzzi, quindi, se da un

lato semplificava il regime della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, escludendo la punibilità per qualsiasi tipo di colpa lieve12,

10 La pronuncia in questione è l’ordinanza 6 dicembre 2013, n. 295 pubblicata in rivista Dir.

Pen. Cont., 9 dicembre 2013 con nota di G. L. Gatta, Colpa medica e linee-guida;

manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto Balduzzi sollevata dal Tribunale di Milano.

11 Ancora l’ordinanza del Trib. Milano, Sez. IX del 21.3.2013, vedi supra.

12Si veda, ad esempio, il chiaro orientamento giurisprudenziale emerso dalla sentenza n.

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d’altro canto poneva numerose perplessità con riferimento alla sua legittimazione costituzionale. A parere dello scrivente, la particolare tutela apprestata alla responsabilità penale del medico poteva dirsi giustificata dalle particolari esigenze del settore, con riguardo agli interessi sensibili sottesi alle parti. Non sussisterebbe quindi alcuna violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione13 con raffronto ad altre professioni analogamente

pericolose; in questo caso la particolare complessità ed incidenza dell’attività terapeutica nella vita quotidiana di tutti i giorni, l’aumento dei tempi e delle liste di attesa dei pazienti, l’aggravio dei costi e della spesa nazionale per pratiche di medicina difensiva volte ad escludere la responsabilità di scelte diagnostiche non sempre di facile risoluzione, meritavano una diversa gradazione della punibilità e un trattamento di favore nella sanzionabilità della condotta. La codificazione del nuovo regime della responsabilità medica sembrava perciò rispondere ad esigenze meritevoli tutela, tentando di salvaguardare i già precari equilibri del settore, il contenimento dei costi e il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Più problematiche da sciogliere sarebbero invece le altre questioni di incostituzionalità proposte dall’ordinanza in esame. Se il trattamento di favore, nel bilanciamento dei principi sopra riportati, poteva a buon diritto superare il vaglio dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza e rendere finalmente omogeneo, chiaro e preciso il tema della responsabilità del medico, non poteva dirsi lo stesso con riferimento all’estensione soggettiva ed oggettiva della nuova causa di non punibilità. Che l’esclusione della colpa lieve riguardasse indistintamente tutti gli esercenti la professione sanitaria, facendovi appunto ricomprendere anche veterinari, farmacisti e biologi, o coprisse qualsiasi nota di C. Cupelli, La colpa lieve del medico tra imperizia, imprudenza e negligenza: il

passo avanti della Cassazione (e i rischi della riforma alle porte).

13 Secondo cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,

senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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fattispecie criminosa senza individuare il campo di applicazione della scusante, difficilmente poteva uscire indenne dalle critiche mosse da gran parte della dottrina e sollevate dalla giurisprudenza. L’indeterminatezza soggettiva ed oggettiva della disposizione sembrava infatti configurare una clausola in bianco, entro cui far valere, a mò di piacimento, la derubricazione della condotta delittuosa, in aperto contrasto con il principio di legalità sancito dall’art. 25 della Costituzione. Oltre alla vaghezza del testo normativo, se il nuovo regime della responsabilità penale del medico, così come recepito dall’art. 3 della legga Balduzzi, poteva dirsi fondato sulle particolari esigenze del settore, non si poteva di certo affermare lo stesso con riferimento alle altre professioni sanitarie, la cui importanza andava sfumata con riguardo ai differenti interessi in gioco. Da qui la nascita di una disciplina contradditoria che metteva a dura prova la stessa funzione ermeneutica della giurisprudenza. Sulla terza questione di legittimità costituzionale, l’argomentazione non sembrava cogliere nel segno le principali intenzioni dell’istituto. L’accettazione passiva delle linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali nel momento di esecuzione dell’intervento terapeutico non serviva certo a limitare la libertà della scienza o la libertà della ricerca ma ad ancorare la condotta del medico a precise regole d’arte in modo da presumere e valutare l’accortezza e la correttezza del suo operato. Non è, infatti, nel momento esecutivo della prestazione sanitaria che si può individuare il tempo della sperimentazione scientifica; la libertà della scienza e della ricerca si rivolgono a fasi precedenti l’intervento terapeutico e si basano, per l’appunto, sulla predisposizione e formazione delle linee guida necessarie allo svolgimento della professione. Se cadeva, quindi, nel vuoto l’ultima questione sollevata dall’ordinanza del Tribunale di Milano, essa si rivelava però utile nel segnalare un altro problema sul punto lasciato irrisolto dalla legge Balduzzi. Quali dovevano essere, infatti, le linee guida e le buone pratiche clinico-assistenziali cui l’art. 3 del testo legislativo farebbe riferimento? O meglio, in base a quali istruzioni l’operato del medico sarebbe scusabile e perciò non sottoposto a punizione penale ? Quali sarebbero i criteri da rispettare nell’esecuzione della

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prestazione sanitaria, la cui piena o quasi perfetta aderenza determinerebbe la qualificazione lieve della colpa del professionista ? La legge Balduzzi, a ben vedere, non rimandava e non diceva precisamente come rintracciare le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali di riferimento. In sede di applicazione della riforma, si poneva quindi il problema di come identificare le linee guida accreditate dalla comunità scientifica e come verificare il loro mutare nel corso del tempo14.

14 Sul punto, si interrogavano A.R. Di Landro, Dalle linee guida e dai protocolli all’individualizzazione della colpa penale nel settore sanitario, Giappichelli, Torino, 2012 e

M. Caputo, Filo d’Arianna o flauto magico? Linee guida e checklist nel sistema della

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2.2 Il ruolo delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica e la loro incidenza sul giudizio della colpa medica.

Il tentativo15 di perseguire una “positivizzazione” delle linee guida e di farle

assurgere, unitamente alle “buone pratiche”, a parametro di esenzione di responsabilità penale per colpa lieve, rappresenta il primo elemento di novità della legge Balduzzi. Le linee guida sono quelle “….raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche.”16 Esse rappresentano, dunque, “un percorso terapeutico ideale”17 e

sono suggerite sulla base della migliore scienza ed esperienza del momento e si distinguono dai protocolli, che individuano comportamenti definiti, precisi e vincolanti, ancorché, in giurisprudenza, i due concetti tendono a sovrapporsi e ad utilizzarsi indifferentemente. Le linee guida individuano comportamenti “possibili”, ma non imperativi, mirati ad appropriatezza e sicurezza della cura, mentre i protocolli e le procedure operative individuano comportamenti vincolanti, dettagliando una sequenza logica di azioni predefinita e standardizzata. Dubbi, invece, sono sorti in dottrina con riferimento alla definizione di “buone pratiche” mediche. Un primo orientamento le identifica con i protocolli medici o con le cd. Checklist. Secondo questo orientamento le “buone pratiche” sono protocolli di comportamento diagnostico-terapeutico che descrivono le procedure alle quali l’operatore sanitario deve attenersi nella situazione specifica. Se identificate con i protocolli medici risulterebbe difficile

15 Perché di questo si tratta, alla luce della sfuggevole definizione delle stesse operata dalla

norma che rimanda ad un generico “accreditate dalla comunità scientifica”.

16 Cfr. J. Field e K.N. Lohr, Guidelines for Clinical Practice: from development to use,

Institute for Medicine, Washington, National Accademy Press, 1992, p. 35 e ss.

17 Cfr. P. Piras e A. Carboni, Linee guida e colpa specifica del medico, in Medicina e Diritto

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considerare le buone pratiche quali esimenti della colpa, sia essa lieve o grave, atteso il loro carattere rigido ed imperativo, cui l’operatore sanitario deve scrupolosamente attenersi. Un secondo orientamento ritiene, invece, che “il concetto di buone pratiche sembra fare riferimento più che ad una disciplina regolamentata (come avviene nelle linee guida e nei protocolli) alla concreta attuazione delle medesime linee guida o a procedure non previste dalle linee guida ma comunemente applicate, e di cui sia riconosciuta l’efficacia terapeutica o comunque la non dannosità per il paziente.”18 Ma una ulteriore

difficoltà è data dal fatto che, tra tutti gli ambiti professionali in cui opera la colpa medica, quello sanitario è sicuramente il più restio a codificare le proprie “regole d’arte”. L’adesione di tali regole al livello legislativo rischia di schiacciare il medico nella tenaglia tra colpa “per adesione” e colpa “per divergenza”.19 Esse, poi, sono soggette a repentine modifiche, integrazioni e rielaborazioni sulla base di nuove acquisizioni provenienti dalla ricerca scientifica e dall’esperienza clinica diffusa attraverso le riviste e i siti del settore. Ma quali sono le linee guida (e le buone pratiche) “accreditate dalla comunità scientifica” e prese in esame dalla legge Balduzzi? La mancata certa individuazione delle fonti (linee guida e buone pratiche) da utilizzare per la valutazione del comportamento del medico rappresenta il vero limite della legge Balduzzi. Ed invero, gli stessi sostenitori della norma hanno convenuto che, sul punto, essa “..non brilla per chiarezza…”20. E’, difatti, unanime in dottrina la sottolineatura dell’eccessiva

18 C. Brusco, “Linee guida, protocolli e regole deontologiche”, in rivista dir.pen. cont., 2013,

cit., p. 64. Sostanzialmente concordi Di Giovine, “In difesa del cd. Decreto Balduzzi”, in rivista archivio penale 2014, cit.,p. 10 che interpreta la nozione di buone pratiche come “prassi non scritte purché rispettose degli standard scientifici” nonché P.F. Poli, “Legge

Balduzzi tra problemi aperti e possibili soluzioni interpretative: alcune considerazioni” in

rivista Diritto Penale Contemporaneo, n.4, 2013, 101; secondo cui il riferimento alle buone pratiche accanto alle linee guida avrebbe la funzione di evitare gli effetti pregiudizievoli di un’eccessiva standardizzazione del comportamento del medico.

19 M. Paladini, “Linee guida, buone pratiche e quantificazione del danno nella cd. Legge Balduzzi”, Danno e resp. 2015, p. 881 ss.

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vaghezza e genericità dell’art. 3 della Legge Balduzzi, talché mancava qualsivoglia identificazione delle linee guida e delle buone pratiche. E’ pertanto, risultato fondamentale il diritto vivente che si è formato sulla legge Balduzzi. Già a pochi mesi dalla sua entrata in vigore, la sentenza Cantore (Cass., pen. Sez. IV, n. 16237 del 29 gennaio 2013)21, pur definendo la norma “… lacunosa ed

incompleta …”, ha fornito un’ interpretazione autorevole dei principi di diritto del novum legislativo e della sua portata nell’ambito delle tradizionali categorie penalistiche. E così, con riguardo al ruolo dirimente delle linee guida, nella sentenza Cantore è chiaramente affermato che le stesse vanno valorizzate in modo “non meccanicistico” in quanto “… vanno in concreto applicate senza automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico …” perché …”...potrà ben accadere che il professionista si orienti correttamente in ambito diagnostico o terapeutico, si affidi cioè alle strategie suggeritegli dal sapere scientifico consolidato, inquadri correttamente il caso nelle sue linee generali e tuttavia, nel concreto farsi del trattamento, commetta qualche errore pertinente proprio all’adattamento delle direttive di massima alle evenienze ed alle peculiarità che gli si prospettano nello specifico caso clinico. In tale caso, la condotta sarà soggettivamente rimproverabile, in ambito penale, solo quando l’errore non sia lieve”. Così come, “..potrà pure accadere che, sebbene in relazione alla patologia trattata le linee guida indichino una determinata strategia, le già evocate peculiarità dello specifico caso suggeriscano addirittura di discostarsi radicalmente dallo standard, cioè di disattendere la linea d’azione ordinaria. Una tale eventualità può essere agevolmente ipotizzata, ad esempio, in un caso in cui la presenza di patologie concomitanti imponga di tenere in conto anche i rischi connessi alle altre affezioni e di intraprendere, quindi, decisioni anche radicalmente eccentriche rispetto alla prassi ordinaria”. In entrambi i casi presi in esame dalla Corte di Cassazione, l’operatore sanitario è in colpa pur nella compiuta osservanza dei suggerimenti clinici. La Legge Balduzzi ha,

21 V. Cass. Sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 16237 in Dirittopenalecontemporaneo.it, con nota di

F. Viganò, Linee guida, sapere scientifico e responsabilità del medico in una importante

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pertanto, inteso escludere la responsabilità dell’operatore sanitario attenutosi alle linee guida nei casi di “adempimenti “imperfetti” ma non rimproverabili e inadempimenti “perfetti” perché diligenti”.22 Sempreché, ovviamente, si trattasse

di colpa lieve. Infatti, in caso di totale disapplicazione delle linee guida ovvero in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, o anche, per contro, nel caso in cui le linee guida risultassero inadeguate al caso specifico e l’operatore sanitario non se ne discostasse, la colpa sarebbe, in entrambe le fattispecie, grave.23La Corte di Cassazione, con la sentenza Cantore, indica,

dunque, un’interpretazione ermeneutica che è stata poi sostanzialmente recepita dalla successiva giurisprudenza di legittimità: nel valutare la rilevanza delle linee guide nell’ambito della colpa professionale non sono ammessi automatismi, né in chiave accusatoria né in chiave di esonero da responsabilità. Un prima criticità è, pertanto, rinvenibile dall’incerto status giuridico delle linee guida che non possono costituire regole cautelari sia perché prive della natura precettiva24

necessaria sia perché troppo variabili, essendo esse determinate da soggetti diversi e con metodi disparati. La difficoltà di riconoscere alle linee guida una natura cautelare è, poi, aggravata dall’incompletezza dell’art. 3 della Legge Balduzzi che fa riferimento in maniera semplicistica a codificazioni “accreditate dalla comunità scientifica”, senza aggiungere altro. E’ stato, infatti, rilevato che le linee guida non possono essere di per sé rilevanti perché si tratta di “… diverse fonti, diverso grado di affidabilità, diverse finalità specifiche, metodologie variegate, vario grado di tempestivo adeguamento al divenire del sapere scientifico. Alcuni documenti provengono da società scientifiche, altri da gruppi di esperti, altri ancora da organismi e istituzioni pubblici, da organizzazioni

22 D. Pulitanò, Responsabilità medica: letture e valutazioni divergenti del Novum legislativo, in rivista dir. pen. cont. 2013, cit., p. 79.

23 Ex multis: Cass., Sez. IV, 8 luglio 2014, n. 2168; Cass. Sez. Iv, 22 aprile 2015, n. 24455;

Cass., Sez. IV, 5 novembre 2013, n. 18430 in CED.

24 La mancanza di tassatività della norma, con conseguente violazione dell’art. 25 Cost., era

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sanitarie di vario genere. La diversità dei soggetti e delle metodiche influenza anche l’impostazione delle direttive: alcune hanno un approccio più speculativo, altre sono maggiormente orientate a ricercare un punto di equilibrio tra efficienza e sostenibilità; altre ancora sono espressione di diverse scuole di pensiero che si confrontano e propongono strategie diagnostiche e terapeutiche differenti. Tali diversità rendono subito chiaro che, come si è accennato, per il terapeuta come per il giudice, le linee guida non costituiscono uno strumento di precostituita, ontologica affidabilità.(…) Dunque, anche nell’ambito delle linee guida non è per nulla privo di interesse valutare le caratteristiche del soggetto o della comunità che le ha prodotte, la sua veste istituzionale, il grado di indipendenza da interessi economici condizionanti. Rilevano altresì il metodo dal quale la guida è scaturita, nonché l’ampiezza e la qualità del consenso che si è formato intorno alla direttiva. A tale riguardo è sufficiente rammentare sinteticamente che si è con ragione diffuso un orientamento che rapporta la qualità scientifica delle indagini e delle “istruzioni” che se ne traggono alle prove oggettive che le corroborano.25 Una siffatta logica che fa dipendere

l’applicazione della limitazione di responsabilità in ogni giudizio dalla valutazione del giudice e del consulente tecnico di ufficio sulla rilevanza scientifica della linea guida, vanifica, di fatto, l’obiettivo perseguito dal legislatore che consiste nel dare al personale esercitante le professioni sanitarie precise regole di comportamento. Se da un lato infatti la disciplina della legge Balduzzi sembrava dirimere, con particolare chiarezza, l’ambito di esclusione della punibilità per colpa lieve, rendendo omogeneo il trattamento di favore sia nella scelta dell’adozione delle regole d’arte che nella loro esecuzione (così come interpretato e confermato dalla sentenza Cantore), la mancata e puntuale indicazione dei protocolli di riferimento e delle buone pratiche clinico-assistenziali, cui guardare per l’operatività della nuova scusante, ha di fatto reso inutile qualsiasi tentativo di riforma del sistema, affidando alla mera

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discrezionalità del giudice l’analisi dell’accreditamento scientifico delle istruzioni eseguite. Ma il giudice non è un medico e quello che esorbita dai suoi compiti è proprio quello di valutare lo stato dell’arte della scienza medica nell’elaborazione dei suoi protocolli diagnostici e terapeutici. Di più: una simile impostazione di esclusione della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria avrebbe imposto all’operatore di conoscere, di volta in volta e perfettamente, non solo le linee guida di riferimento ma anche il loro repentino aggiornamento e il grado di attendibilità della fonte riconosciuta e accreditata presso la comunità scientifica all’atto dell’intervento terapeutico. Un compito, a ben vedere, di difficile risoluzione già nell’accademia scientifica, con l’analisi delle diverse scuole di pensiero e dei differenti risultati di indagine. Sarebbe come chiedere al giudice a quo di conoscere e applicare, nella definizione di un caso di specie, l’orientamento più diffuso e accreditato nella dottrina scientifica internazionale, al netto della sua cognizione personale e con una prontezza decisionale fuori dal comune. La chiarezza della disciplina di esclusione della punibilità della legge Balduzzi si scontrava quindi con l’indeterminatezza dei parametri di riferimento entro cui vagliare la sua operatività, contraddicendo lo spirito che aveva animato il nuovo testo legislativo; quello cioè di prevenire fenomeni di medicina difensiva, ancorando la responsabilità penale del medico a precisi schemi di azione, a tutela della prevedibilità delle conseguenze della condotta terapeutica.

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2.3 La valutazione del grado della colpa

Il secondo elemento di novità della nuova disposizione di legge (ed anche quello più controverso) era rappresentato dalla non punibilità della colpa lieve in caso di osservanza delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica da parte degli esercenti la professione sanitaria. In punta di diritto, per il solo ambito sanitario, la norma introduceva, in maniera inedita, direttamente in sede penale e non solo più ai fini della commisurazione della pena (quantum) una distinzione tra colpa lieve e colpa grave destinata a fondare la stessa responsabilità penale (an respondeatur). Com’è noto, infatti, l’art.43, c.3, c.p., prevede che la colpa è sempre punibile, senza alcuna distinzione per il grado di essa, che viene in rilievo, ai sensi dell’art. 133, n. 3, c.p. , soltanto con riferimento alla determinazione dell’entità della pena o come circostanza aggravante (art. 61, n.3 c.p.). La disposizione, in questo senso, rappresentava un primo esperimento in materia di gradazione della colpa e, al tempo stesso, un tentativo di recupero della cd. “misura soggettiva” della colpa in modo da stemperare l’impostazione eccessivamente rigorosa assunta sul punto dalla giurisprudenza di legittimità negli ultimi anni. Altro punto controverso dell’art. 3. c. 1 della Legge Balduzzi, di cui si è detto, era quello relativo all’ambito di applicazione in relazione alle tre species della colpa generica (imperizia, negligenza ed imprudenza).26 L’art. 3, c.

1 della Legge Balduzzi poteva, dunque, essere invocato anche qualora i profili di colpa avessero riguardato la negligenza e l’imprudenza o soltanto in caso di imperizia? Un primo orientamento giurisprudenziale sembrava preferire la tesi

26Si ha imperizia in presenza di una condotta in contrasto con le regole tecniche dell’attività

che si è chiamati a svolgere come è il caso del medico che, svolgendo gli esami diagnostici, non sia in grado di cogliere i sintomi di una malattia, differenziandoli da quelli di patologie analoghe.

Si ha negligenza in presenza di una condotta omissiva di chi svolga la propria attività in modo disattento o superficiale. Ad esempio, il medico che abbia adottato un approccio ingiustificatamente inerte omettendo di svolgere esami diagnostici.

Si ha, infine, imprudenza in presenza di una condotta attiva non accompagnata da quelle cautele che l’ordinaria esperienza suggerisce di impiegare. E’ il caso dei una scelta del medico immotivatamente azzardata, avendo optato per un percorso terapeutico a rischio.

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restrittiva, giacché le linee guida contengono solo regole di perizia e non afferiscono agli altri profili.27 Tale orientamento, in dottrina maggioritario, era

stato fatto proprio anche dalla Corte Costituzionale nel giudizio di illegittimità costituzionale di cui poc’anzi si è detto. Difatti, la Corte Costituzionale, rispondendo alle censure del Tribunale di Milano, sebbene in una decisione di mero rito, aveva, comunque, avallato la soluzione restrittiva, precisando che “… occorre anche considerare come, nelle prime pronunce emesse in argomento, la giurisprudenza di legittimità abbia ritenuto - in accordo con la dottrina maggioritaria – che la limitazione di responsabilità prevista dalla norma censurata venga in rilievo solo in rapporto all’addebito di imperizia, giacché le linee guida in materia sanitaria contengono esclusivamente regole di perizia: non dunque, quando all’esercente la professione sanitaria sia ascrivibile, sul piano della colpa, un comportamento negligente o imprudente”.28 Con il trascorrere del tempo, però, un secondo orientamento era passato in auge, avallando una lettura estensiva della nuova causa di non punibilità; come già si accennava nei paragrafi precedenti si riteneva che la limitazione di responsabilità del medico in caso di colpa lieve potesse venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della sua condotta, pur conforme alle linee guida e alle buone pratiche, fosse stato quello della diligenza o della accuratezza, facendo rientrare nella operatività del nuovo istituto, quindi, anche gli altri tipi di colpa sopra richiamati.29 A parere dello scrivente, come si è già avuto modo di

argomentare, questa distinzione sembrava porre più problemi che soluzioni; data la facile sovrapposizione delle nozioni, l’unificazione compiuta dalla legge Balduzzi, così come interpretata nell’ultima giurisprudenza di merito e di

27 Su questa tesi: Cass., Sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493; Cass., Sez. IV. 29 gennaio 2013,

n. 16237; Cass., Sez. III, 4 dicembre 2013, n. 5460; Cass. Sez. IV, 8 luglio 2014, n. 7346; Cass. Sez.IV, 20 marzo 2015, n.16944; Cass., Sez. IV, 27 aprile 2015, n. 26996; Cass., Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 18895 in CED.

28 Cfr. ordinanza 6 dicembre 2013, n. 295.

29 Di questo diverso avviso: Cass. Sez. IV, 1° luglio 2015, n. 45527; cass. , Sez. IV, 9 ottobre

2014, n. 47289; Cass. , Sez. IV, 19 gennaio 2015, n. 9923; Cass., Sez. IV, 11 maggio 2016, n. 23283 in CED.

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legittimità, è senz’altro più condivisibile, stante la già citata intenzione del testo legislativo di permettere all’esercente la professione sanitaria di prevedere compiutamente le conseguenze della sua condotta. E sarebbe d’altronde paradossale, che nell’esecuzione dell’intervento terapeutico, il medico si mettesse ad attenzionare i suoi comportamenti e la sua condotta, se rientrante tra i parametri dell’imperizia piuttosto che della negligenza o dell’imprudenza. Sarebbe difatti venuta meno l’azione di contrasto alle pratiche di medicina difensiva che pure il testo normativo del 2012 si impegnava a perseguire, nell’ottica di un equo bilanciamento degli interessi sottesi alle parti. La codificazione di tale nuovo regime, quindi, sembrava rispondere alle esigenze già enucleate dall’art. 2236 del codice civile, nonostante la necessità di un nuovo intervento normativo a risposta delle criticità precedentemente sollevate.

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3.1 La necessità di un nuovo intervento legislativo: il regime previsto dal testo della Gelli – Bianco

I nodi interpretativi e le lacune della Legge Balduzzi hanno reso necessario, a distanza di pochi anni, intervenire nuovamente sul tema della responsabilità penale medica per regolamentare gli aspetti non ancora normati ed evitare di lasciare margini interpretativi eccessivamente ampi. La legge n. 24 del 8 marzo 2017, comunemente nota con il nome dei suoi relatori nei due rami del parlamento, Gelli-Bianco, ha cercato di rispondere a questa esigenza, tentando di riformare, in maniera precisa ed una volta per tutte, il sistema della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria. Se la legge Balduzzi aveva avuto il merito di unificare il regime di colpevolezza del medico, facendo valere l’esimente indistintamente per le ipotesi di negligenza, di imperizia o di imprudenza, sia all’atto di scelta delle linee guida, sia all’atto della loro esecuzione, aveva però lasciato irrisolte diverse questioni. Andando con ordine, tra le criticità, sottolineate nel capitolo precedente, veniva evidenziata 1) un’impropria estensione soggettiva ed oggettiva della fattispecie individuata dall’art. 3 del testo normativo; 2) la mancata qualificazione della colpa lieve; 3) la mancata indicazione delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali cui attenersi per valutare la colpevolezza della condotta dell’esercente la professione sanitaria. Alla luce di ciò, la legge Gelli- Bianco sembrava dover ovviare a tali problematiche, andando a definire compiutamente non solo l’ambito di applicazione della scusante ma finanche la procedura di individuazione e di rimando dei protocolli accreditati dalla comunità scientifica. Niente di tutto questo è stato attuato con il testo normativo del 2017. Ed invero, come si vedrà, la riforma voluta dai due rami del Parlamento non ha fatto altro che rivoluzionare, ulteriormente, il regime della responsabilità medica, cercando di riequilibrare (di nuovo) le pretese e gli interessi delle parti e sconvolgendo daccapo l’intera

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disciplina. Se il compito della Gelli-Bianco doveva essere quello di rispondere alle criticità della legge Balduzzi, fornendo chiarezza e visione, non si può dire che l’obiettivo sia stato raggiunto. Anzi, quanto modificato e riproposto nel testo del 2017 non fa altro che disorientare e confondere nuovamente l’interprete, costretto a rivedere le proprie posizioni e a monitorare l’evoluzione della giurisprudenza in materia. Sembra quasi che, per una maggiore tutela del paziente, si siano tralasciate le rinnovate esigenze della medicina difensiva, peggiorando la posizione del professionista, che tutto può tranne che prevedere con chiarezza le conseguenze del suo operato. A ciò si aggiunge che una macchinosa e creativa giurisprudenza, di cui la sentenza Mariotti della Suprema Corte di Cassazione sul finire del 2017, ha complicato ulteriormente la situazione, forzando non solo la lettera della nuova legge ma addivenendo anche a risultati piuttosto contrastanti con il dettato normativo. In quest’ottica, si impone un’analisi approfondita della materia e un nuovo inquadramento sistematico della disciplina che riorganizzi e proponga una soluzione definitiva di sistema. Nel primo articolo del nuovo testo normativo, si legge, che “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute (così come tutelato dall’art. 32 della Costituzione) ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l'insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all'erogazione di prestazioni sanitarie e l'utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale”30. Si individuano, quindi, fin da principio, le finalità del nuovo testo normativo, a tutela del diritto alla salute del paziente; la sicurezza delle cure è fatta rientrare nei fondamenti dell’art. 32 della Costituzione, quale aspetto di assoluto rilievo, in un’ottica che sembra già

30 Viene citato testualmente il primo articolo della legge n. 24 del 2017, pubblicata in

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privilegiare la posizione del paziente a discapito delle tutele da apprestare all’operato del professionista. Le novità introdotte con la legge Gelli – Bianco riguardano però principalmente gli art. 5 e 6 del testo approvato nel marzo del 2017. “Per quel che riguarda l’articolo 5 della legge n.24 del 2017, si ribadisce che gli esercenti le professioni sanitarie devono osservare – sempre salve le specificità del caso concreto –le regole dell’arte e, in particolare, con una scansione innovativa, le raccomandazioni previste dalle linee guida e, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali; le quali dunque assumono un ruolo di riserva, rispetto alle linee guida. Inoltre, da un lato si sono ulteriormente specificate le procedure di accreditamento di linee guida e buone pratiche; dall’altro, mentre nella versione originaria si faceva riferimento, per la loro elaborazione, a società scientifiche, iscritte in un apposito elenco, nella legge del 2017 il compito è – più ampiamente – attribuito ad enti e istituzioni pubblici e privati (rispetto ai quali il testo non pone altre specificazioni), nonché alle società scientifiche ed alle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, iscritte in un apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, aggiornato con cadenza biennale. Nell’art. 5 della legge del 2017, infine, è previsto, con maggiore attenzione rispetto al testo del 2016, che le linee guida siano integrate nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità, previa verifica sia della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto sia della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni”31. Con il nuovo articolo 5, della legge Gelli-

Bianco, veniva quindi, risolta una delle prime criticità affiorate con la legge Balduzzi32. Veniva espressamente regolamentato il rimando ai protocolli, alle

31B. Romano, La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria tra antichi dubbi e nuovi problemi; Pacini Giuridica, Pisa, 2019, cit., p. 7.

32 Si riporta il testo dell’art. 5 della legge Gelli – Bianco: “Gli esercenti le professioni

sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida

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linee guida ed alle buone pratiche clinico-assistenziali, per gerarchia e in quest’ordine; veniva individuato il procedimento di formazione, di aggiornamento e di accreditamento dei suddetti modelli scientifici da parte del Sistema Nazionale per le linee-guida (SNLG) e veniva definito un elenco di riferimento, cui rifarsi per la valutazione della responsabilità del medico nell’esecuzione delle diverse procedure terapeutiche, pubblicato sul proprio sito internet da parte dell’ Istituto Superiore della Sanità Pubblica, che aveva il compito, inoltre, di vagliare la conformità metodologica adottata dal SNLG, le rilevazioni scientifiche a supporto dei modelli e curare la loro continua evoluzione33. Tra i formanti dei protocolli, delle linee-guida e delle buone

pratiche clinico-assistenziali vi sono gli enti pubblici e privati a carattere tecnico-scientifico iscritti in un apposito elenco istituito e regolamentato dal Ministero della Salute, che si preoccupa di controllare i requisiti minimi di ingresso e la rilevanza scientifica delle predette società. In questo modo, finalmente, veniva trovata una soluzione alla vaghezza e indeterminatezza della norma prevista dall’art. 3 della legge Balduzzi che, riconoscendo l’operatività della scusante per colpa lieve nella scelta e nell’esecuzione delle linee-guida e delle buone pratiche, non indicava poi quali fossero i parametri di riferimento su cui basare la pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali (…).Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse elaborati dai soggetti di cui al comma 1 sono integrati nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG), il quale è disciplinato nei compiti e nelle funzioni con decreto del Ministro della salute (…) L'Istituto superiore di sanità pubblica nel proprio sito internet le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse indicati dal SNLG, previa verifica della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni”.

33 Si spera, comunque, che il citato meccanismo non determini alcuna restrizione della libertà

della scienza e della ricerca, in rispetto dell’art. 33 della Costituzione. Contro la “medicina di Stato” si veda il monito di V. Nizza, La nuova colpa penale del medico. Analisi delle

principali linee guida per la valutazione della responsabilità sanitaria, Giuffrè, Milano,

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valutazione né tantomeno rimandava a una fonte precisa ove accorgere i predetti modelli. Tutto questo, risultando in palese contrasto con il principio di legalità e tassatività in materia penale di cui all’art. 25 della Costituzione, faceva sconfinare la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria in un campo incerto e fumoso, addossando al paziente e all’operatore, attraverso consulenze tecniche di parte, la ricerca e la probatio diabolica dei modelli a loro più congeniali. L’art. 5 della Gelli- Bianco, quindi, arrivava ad un primo risultato soddisfacente, cui si aggiungeva la limitazione dell’estensione soggettiva e oggettiva della nuova esimente, così come previsto in rubrica dalla nuova causa di non punibilità inserita nel codice penale all’art. 590-sexies, che attribuiva la propria operatività nell’esercizio della professione sanitaria per i delitti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale. A queste condizioni, se non fosse mutato anche il regime della responsabilità previsto dal vecchio articolo 3, la legge del 2017 poteva dirsi precisa e compiuta nel processo di riforma del sistema. Il nuovo articolo 6, andando a rivoluzione (di nuovo) quanto negli anni era stato codificato ed interpretato dalla legge Balduzzi e dalla giurisprudenza, non ha fatto altro che scompigliare, inutilmente, la materia. Si legge: “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell'esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità' del caso concreto34”. La

nuova formulazione dell’art. 6 della legge Gelli – Bianco stravolgeva completamente il sistema. Innanzitutto, veniva inserito un nuovo articolo, il 590-sexies all’interno del codice penale, rubricato: “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” e rifacente il testo sopra riportato. La

34 È riportato il testo integrale dell’art. 6 della legge n. 24 del 2017, recante Disposizioni in

materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

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nuova dicitura, anticipando le prime interpretazioni della giurisprudenza, sembrava già mutare il campo di operatività della nuova scusante; innanzitutto veniva effettuata una distinzione tra culpa in eligendo e culpa in executione delle linee guida. Soltanto l’appropriatezza e il rispetto di quest’ultime o, in subordine, delle buone pratiche cliniche, avrebbe comportato l’esclusione della punibilità nell'attuazione dell’intervento terapeutico. In secondo luogo veniva ristretto ancora di più il campo di operatività della nuova scusante: soltanto la condotta del medico viziata da imperizia poteva, infatti, risultare giustificabile, con buona pace per le ipotesi di negligenza ed imprudenza. Questa diversa impostazione, al netto del regime della ormai abrogata legge Balduzzi, poneva nuovi interrogativi da affrontare. A nulla era valsa la corposa acquisizione del sistema precedente nell’applicazione del diritto vivente. Si profilava all’orizzonte una disciplina poca organica e dagli schemi frammentati, a tratti profondamente contraddittoria. Alla luce della distinzione sopra effettuata, nulla diceva il testo legislativo con riferimento al grado della colpa. Era scomparsa, dopo esser stata appena introdotta nel 2012, la suddivisione tra colpa lieve e colpa grave tanto diffusa nelle aule giudiziarie; l’art. 6 tralasciava (volutamente ?) la disciplina che, senza alcuna specificazione terminologica, portava ad escludere la responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, pur nel solo caso d’esecuzione delle linee guida, anche per imperizia viziata da colpa grave. In quest’ottica, non sono tardate le reazioni della dottrina e della giurisprudenza, nei confronti di una configurazione in palese contrasto con il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione. Escludere la punibilità del professionista anche in caso di gravi errori di imperizia (rectius di imperizia viziata da colpa grave) avrebbe significato una restrizione eccessiva della responsabilità medica, tutelando in maniera evidentemente troppo sbilanciata la posizione dell’operatore sanitario. Come si poteva, per reati cui è prevista la sanzionabilità anche a titolo di colpa35,

eliminare completamente l’elemento soggettivo per gli esercenti la professione

35 Si fa riferimento agli artt. 589 e 590 del codice penale che puniscono le ipotesi

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sanitaria ? Evidentemente questa ipotesi non avrebbe retto ad un futuro giudizio di legittimità costituzionale. Sul punto la Cassazione aveva già cominciato a manifestare le proprie rimostranze. Nella sentenza n. 28187 del 20 aprile 2017 della IV Sezione penale (nota come sentenza Tarabori)36 , la Suprema Corte

aveva definito l’art. 6 della legge Gelli – Bianco come un sistema di drammatica incompatibilità logica viziato da incongruenze interne tanto radicali da mettere in forse la stessa razionale praticabilità della riforma in ambito applicativo. La Corte forniva qui un’interpretazione di fatto abrogatrice della riforma del 2017, palesando molti dubbi sulla meritevolezza della nuova esimente del codice penale37. Interveniva, quindi, nuovamente, seppur in composizione diversa, la IV

Sezione penale con la sentenza n. 50078 del 19 ottobre 2017 (nota come sentenza Cavazza)38 che tentava di rileggere il dettato normativo della legge, in maniera

36 Cass. pen., sez. IV, sent. 20 aprile-7 giugno 2017, n. 28187 in Riv. it. med. leg., 2017, p.

713 ss., con nota di M. Caputo, ‘Promossa con riserva’. La legge Gelli-Bianco passa

l’esame della Cassazione e viene ‘rimandata a settembre’ per i decreti attuativi; e in Dir. pen. proc., 2017, p. 1369 ss., con nota di G.M. Caletti e M.L. Mattheudakis, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”.

37 La sentenza c.d. Tarabori mette in luce le incompatibilità logiche che sembrerebbero

derivare dal testo della legge. Secondo la pronuncia della Suprema Corte, non può esservi imperizia in caso di rispetto delle linee guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali; il rispetto dei modelli accreditati dalla comunità scientifica, qualora adatti alle specificità del caso concreto, escludono in re ipsa la possibilità che la condotta del medico possa essere viziata da imperizia, in quanto ossequiosamente conforme alle regole d’arte e di scienza. Per questo motivo, l’esimente introdotta dall’art. 6 della nuova legge non avrebbe, in realtà, alcuna operatività se non quello di riaffermare, tautologicamente, che in caso di corretta scelta e rispetto delle linee guida, la condotta del medico non potrebbe di certo dirsi imperita. In quest’ottica, la sentenza effettuerebbe quasi un’abrogazione della nuova formulazione legislativa, limitando la responsabilità del professionista alla scelta propria delle linee guida. Verrebbe da chiedersi, il corretto attenersi ai modelli scientifici, determinerebbe, ancora ex

se, la mancanza presuntiva di negligenza ed imprudenza ? Secondo la Tarabori,

probabilmente sì e quindi a null’altro si ridurrebbe la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria se non nel mancato rispetto delle protocolli e delle buone pratico-assistenziali. Interpretazione, come si vedrà, che a parere dello scrivente, non può essere pienamente condivisibile.

38 Cass. pen., sez. IV, sent. 19 ottobre 2017, n. 50078, in Rivista dir. pen. cont. 7 novembre

2017, 11 p. 250 e ss. con nota di C. Cupelli, Quale (non) punibilità per l’imperizia? La

Cassazione torna sull’ambito applicativo della legge Gelli-Bianco ed emerge il contrasto: si avvicinano le Sezioni Unite.

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