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Le regole europee e la discrezionalità

Italia: la previdenza obbligatoria, la pensione di vecchiaia

Sezione 2. La situazione finanziaria del sistema pensionistico italiano

1.4 Le regole europee e la discrezionalità

Il contesto dell’ordinamento europeo ha sicuramente pesato sulle innovazioni apportate dalle manovre nazionali.

Eppure, alla base delle riforme vi è sempre la volontà dei singoli Stati, e mai un’imposizione dall’alto. Specificamente nel settore pensionistico, prova ne è che la Germania ha voluto e potuto deliberare una legge che prevede una decina di miliardi di euro di spese sociali, quando il resto d’Europa ha provveduto a tagliare risorse al settore (v. supra, § 1.4).

Evidentemente, le pressioni economico-finanziarie esercitate dalla Banca centrale europea e da altre Autorità hanno avuto risultati diversi.

Si premette che, dal punto di vista del sistema delle fonti, una lettera della Banca centrale europea – quale quella ricevuta a metà 2011 dall’Italia – non assume il valore di fonte normativa in senso proprio: essa non si inserisce nel sistema normativo dell’ordinamento europeo, non detta norme destinate ad operare negli ordinamenti giuridici, non può essere invocata dinanzi al giudice per la regolazione di rapporti363. Essa altro non è che una pressione in sede di negoziazione per la realizzazione di determinati investimenti finanziari a livello europeo, a sostegno dell’economia italiana in crisi364.

Orbene, secondo l’Istat l’Italia è stato uno dei pochi Paesi della Uem a non avere attuato politiche espansive, assieme a Svezia, Finlandia e Ungheria. Nel periodo tra il 2008 e il 2012 sono stati registrati in Italia effetti cumulati restrittivi per oltre 5 punti di PIL, mentre le diverse ricette

362 Cfr. id., Tableau V. Indicateurs de viabilité, p. 52. 363

G. RIVOSECCHI, Il governo europeo dei conti pubblici tra crisi economico-finanziaria e

riflessi sul sistema delle fonti, in Osservatorio sulle fonti. n. 1, 2011, p. 1.

364 P. SANDULLI, Il nuovo sistema delle fonti nel diritto del lavoro, in Mass. giur. lav., 2012,

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adottate dagli altri Paesi producevano effetti diametralmente opposti: 6 punti di PIL in Germania e 14 in Francia365.

L’Italia ha registrato nel periodo 2008-2012 un avanzo primario cumulato pari a circa il 5,4 per cento del PIL 2012, contro un disavanzo medio del 7,4 per cento nell’area dell’euro. La Germania ha conseguito un avanzo primario pari a 4,7 punti percentuali di PIL, mentre la Francia ha conseguito un disavanzo primario per 7,4 punti percentuali.

La posizione dell’Italia è definita “virtuosa”, poiché tra i paesi ad elevato debito iniziale è stato l’unico che ha conseguito un consistente avanzo primario. Francia e Germania, entrambe con un rapporto debito/PIL iniziale di poco superiore al 60 per cento, hanno adottato politiche fiscali divergenti, con un disavanzo primario prossimo al 3 per cento del PIL la prima, e un avanzo primario superiore all’1 per cento del PIL la seconda, nel periodo considerato. L’Italia si distingue quindi come il paese che ha attuato il maggiore sforzo di consolidamento fiscale: un avanzo primario medio pari a circa 1,3 punti percentuali di PIL, a fronte di una recessione economica tra le più profonde dell’Ue. Per quanto riguarda Francia e Germania, l’azione governativa di contrasto alla crisi ha determinato un aumento del rapporto debito/PIL rispettivamente di circa 11 e 5 punti.

Per valutare la sostenibilità del debito pubblico, la Commissione europea adotta un approccio di medio-lungo termine, che considera le prospettive macroeconomiche future e tiene conto dei costi sanitari e dell’incremento delle prestazioni sociali e pensionistiche derivanti dall’invecchiamento della popolazione.

In tutti i paesi presi ad esame, con l’eccezione della Spagna, l’azione di consolidamento della finanza pubblica ha portato a una riduzione dei rischi di sostenibilità del debito pubblico, in particolare per l’Italia. Tale riduzione è effetto di rilevanti miglioramenti delle posizioni iniziali di bilancio (soprattutto in Italia e Germania) e della riduzione dei costi

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collegati all’invecchiamento della popolazione per le riforme pensionistiche e sanitarie (soprattutto in Francia e Italia). In Spagna, invece, la forte riduzione dei rischi conseguente alla riforma del sistema pensionistico, risulta più che compensata dal peggioramento della posizione di bilancio e dall’aumento del debito pubblico durante la crisi366.

L’Italia, a detta dell’Istituto Nazionale di Statistica, ha dunque agito in linea con quanto richiesto da Bruxelles. Trova ulteriori conferme il sospetto che le politiche sociali siano state modellate, anche negli altri Paesi membri, più che dal timido metodo aperto di coordinamento (art. 156 TUE), dagli sforzi tesi al riordino del bilancio.

In questo difficile panorama, col Libro Bianco la Commissione ha fatto mostra di una visione positiva per il futuro delle pensioni in Europa. Essa ha infatti spiegato come fosse possibile garantire prestazioni adeguate in un sistema pensionistico sostenibile, anche in un contesto demografico sfavorevole, attraverso le giuste politiche.

Sia consentito affermare, al termine di questo studio, che la questione non è quanto il Libro bianco sia stato determinante nelle riforme adottate dai Paesi membri, o se invece siano state le regole finanziarie europee ad avere avuto un ruolo preponderante.

Una ricerca in tal senso non è correttamente impostata. Come si è suggerito sin dall’inizio della presente trattazione, il Libro bianco è la naturale declinazione, in un settore specifico, quello pensionistico, delle regole finanziarie europee. In altre parole, è la stessa logica che suggerisce che, se si deve raggiungere un certo risultato finanziario entro un certo periodo di tempo, le misure da prendere non possono che andare per tutti verso la stessa direzione.

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L’armonizzazione sociale tra gli Stati europei, così, è ottenuta agendo sui bilanci, tramite misure autonome (nel senso letterale) dei singoli governi, piuttosto che attraverso norme eteronome (direttive, regolamenti).

L’impostazione si riflette sulla qualità del progresso sociale. Quando la finanza – ossia i vari dogmi numerici volti all’assestamento del bilancio – è preordinata al sociale, e il secondo si realizza nei termini imposti dalla prima, il progresso sociale risulta menomato e privo di ambizioni.

Gli obiettivi sanciti dall’art. 151 TUE sono nobili e ricalcano decenni di lotte dei popoli dell’Unione: promozione dell’occupazione, miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro che consenta la loro parificazione nel progresso, protezione sociale adeguata, dialogo sociale, sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e lotta contro l’emarginazione. Eppure, al preambolo dell’articolo, in cui si dice di tener presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, sarebbe più coerente aggiungere una clausola di salvezza: “per gli Stati membri aderenti, nei limiti del Fiscal Compact”.