L’Europa e il tema pension
Sezione 2. La politica economica dell’Unione Europea e i riflessi su Italia e Francia
2.4 Il rientro dal deficit e la riduzione del debito pubblico: la politica previdenziale come strumento di politica di bilancio
Il sistema di previdenza sociale, in ogni Paese membro, agli occhi dell’Unione Europea è pertanto divenuto un tassello imprescindibile per raggiungere la stabilità di bilancio86. L’aspetto sociale viene considerato solo in secondo luogo rispetto a quello finanziario, e si traduce, in ogni documento, in una formula di stile, limite dotato di ben poca autorevolezza alle manovre correttive che gli stessi documenti raccomandano vigorosamente.
Così viene rilevato87 che negli anni 2011, 2012 e 2013, l’AGS (Analisi annuale della crescita), documento che definisce le priorità per l’anno successivo in materia di promozione della crescita e dell’occupazione, ha costantemente sostenuto la necessità di interventi di riforma delle pensioni88. Lo stesso avviene nell’ultimo documento, quello relativo al 201489. Orbene, l’ammonimento – al pari dei precedenti – viene inserito proprio nei capitoli del testo relativi al risanamento del bilancio e non in quelli riguardanti le politiche sociali: è nel capitolo “3. Portare avanti un
risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita” e non nel
“6. Combattere la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi” che
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I dati registrano una spesa pubblica per le pensioni EU27 nel 2010 pari al 11,3% del PIL, che secondo proiezioni nel 2060 potrebbe arrivare al 12,9% (2012 Ageing Report - May 2012, p. 111).
87 D. NATALI e F. STAMATI, op. cit., pp. 20 ss. 88
Nel 2011 viene suggerito di «innalzare l'età pensionabile e collegarla alla speranza di vita» e «favorire lo sviluppo del risparmio privato» (nonché, oltretutto, di «ridurre l'eccessiva protezione dei lavoratori titolari di contratti permanenti»). Nel 2013 si sprona a «proseguire la modernizzazione dei regimi previdenziali per garantirne l’efficacia, l’adeguatezza e la sostenibilità», quindi «allineare l’età pensionabile alla speranza di vita, limitare l’accesso ai regimi di prepensionamento e consentire l’allungamento della vita lavorativa».
89 Communication from the Commission, Annual Growth Survey 2014, COM(2013) 800
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troviamo detto che «occorre rafforzare un po’ dovunque l’efficienza e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sociale, in particolare quelli pensionistici e sanitari, potenziandone al contempo l’efficacia e la capacità di soddisfare i bisogni sociali». In sostanza, si chiede di tagliare la spesa e al contempo di potenziare i servizi. Il documento continua: «in molti paesi le riforme delle pensioni vanno completate collegando più sistematicamente l’età pensionabile stabilita per legge e la speranza di vita». Nel capitolo 6 si accenna solo alla «riduzione delle conseguenze … dei gap contributivi sui diritti pensionistici delle lavoratrici».
Segno dell’accezione con cui ci si riferisca, in Europa, ai sistemi pensionistici, è che l’adozione di norme di legge per innalzare l’età pensionabile, l’uniformazione dell’età pensionabile per uomini e donne, l’introduzione di un collegamento chiaro e duraturo tra l’età pensionabile e i futuri aumenti della speranza di vita, e infine l’assunzione di provvedimenti per limitare l’accesso ai prepensionamenti, siano segnalati come «notevoli progressi in termini di risanamento di bilancio» e non di politica sociale90.
Infine, sempre nell’AGS 2014, nell’Allegato 1 – Panoramica delle raccomandazione specifiche per Paese dell’Ue per il 2013-2014, la voce “Sistemi pensionistici e sanitari” compare sotto la colonna “Finanze
pubbliche” assieme alle voci “Finanze pubbliche sane”, “Quadro di bilancio” e “Fiscalità”, piuttosto che sotto la colonna “Occupazione e politiche sociali”.
L’atteggiamento europeo, a ben riflettere, non è inusuale nella nostra materia.
Già in Italia la Corte Costituzionale, con sentenza del 12 gennaio 1994 n. 2, aveva optato per l’inammissibilità del referendum per l’abrogazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che dispone norme per il riordino del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, nonché
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dell’art. 2 del decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 373, attuazione della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante il calcolo delle pensioni per i nuovi assunti. I decreti attuavano alcune norme della legge di privatizzazione del pubblico impiego, la quale delineava nei suoi principi la revisione del sistema pensionistico, modificando requisiti assicurativi e contributivi per il pensionamento di vecchiaia. Secondo la Corte le due richieste di referendum potevano «essere […] egualmente valutate secondo il criterio di stretta connessione con le leggi di bilancio», poiché presentavano «le medesime implicazioni in ordine alla incidenza sulle leggi di bilancio». Viene sottolineato come le norme derivino dalla legge finanziaria per il 1993 (legge 23 dicembre 1992, n. 500), «la quale comprende espressamente tra i provvedimenti collegati la delega per la razionalizzazione e revisione della disciplina in materia di previdenza, considerandone gli effetti ai fini dell’equilibrio finanziario e di bilancio»; e «lo stesso documento di programmazione economico finanziaria per gli anni 1993-1995 […] indica le riduzioni di spesa determinate dalla legge delega in materia di previdenza tra quelle dirette ad assicurare l’azzeramento del disavanzo corrente».
Pertanto la Corte dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare con la motivazione che la materia previdenziale pubblica fosse materia rientrante nella legge finanziaria di bilancio, sottratta dalla Costituzione al referendum. Difatti «la sottrazione a referendum popolare, disposta dall’art. 75 Cost. per le leggi di bilancio, deve intendersi riferita non solo alla legge di bilancio, intesa come approvazione del bilancio annuale e pluriennale, ma anche alla legge finanziaria […], nonché alle
altre leggi che non si limitino a porre discipline ordinamentali prive di diretti effetti finanziari, ma incidendo in modo rilevante nell’ambito di operatività delle leggi di bilancio non sono suscettibili di valutazioni frazionate ed avulse dal quadro delle compatibilità generali» [corsivo di
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In tal modo la Corte Costituzionale italiana ha blindato l’intervento popolare sulle leggi previdenziali, evidenziandone l’indissolubile legame con le leggi di bilancio. La sentenza ebbe un iter travagliato (il relatore fu cambiato nel corso della stesura) e provocò vivaci discussioni; a fronte del grave vulnus nel potere popolare, a nulla poteva valere il bilanciamento offerto dalla sempre presente possibilità di promuovere giudizi incidentali di legittimità costituzionale per l’ipotesi in cui si fosse rilevata qualche violazione dei principi fondanti del sistema previdenziale (parità di trattamento, gradualità ecc.).
Il taglio dato dalla Corte alla dichiarazione di inammissibilità, oltre a precludere sindacati popolari, andava a sancire definitivamente l’inclusione della previdenza nell’alveo delle politiche di bilancio.