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L’in house providing come forma di affidamento dei servizi pubblici.

3. Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in materia di in house providing.

3.1 La sentenza Teckal del 18 novembre 1999.

3.1.2. Il requisito dell’attività prevalente.

Il criterio dell’attività prevalente richiede che l’ente beneficiario “realizzi la parte più importante della propria attività” a favore dell’amministrazione aggiudicatrice e che “ogni altra attività risulti avere solo un carattere marginale”.

La Corte di Giustizia ha provveduto a chiarire in quali casi sussista tale secondo requisito solo in un secondo tempo, accontentandosi di escludere la sussistenza dell’in house providing unicamente sulla base dell’assenza del controllo analogo.

In mancanza di più precise indicazioni da parte del Giudice comunitario, gli interpreti hanno ritenuto che l’espressione “parte più importante” dovesse essere interpretata secondo un criterio di carattere quantitativo e individuata sulla base del fatturato prodotto dal soggetto prestatore con l’autorità committente.

Solo con la pronuncia Carbotermo la Corte di Giustizia ha chiarito che, per verificare la sussistenza del criterio dell’attività prevalente, “il giudice competente deve prendere in considerazione tutte le circostanze del caso di specie, sia qualitative sia quantitative”. Di conseguenza, l’accertamento del fatturato tra autorità committente e soggetto prestatore, pur continuando a rilevare come elemento indiziario, non avrebbe più assunto un carattere dirimente per valutare la sussistenza del requisito dell’attività prevalente. Come chiarito dalla Corte “il fatturato determinante è rappresentato da quello che l’impresa in questione realizza in virtù delle decisioni di affidamento adottate dall’ente locale controllante”, non interessando, ai fini della ricostruzione di una relazione in house, i flussi economici generati in altro modo tra ente conferente e operatore incaricato191.

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3.2 Le sentenze Stadt Halle e Co.Na.Me.

L’esame dei diversi passaggi della giurisprudenza comunitaria evidenzia a prima vista un netto revirement da parte del giudice comunitario, tale da consentire l’individuazione di un gruppo omogeneo di sentenze anteriori al 2005 e una seconda tranche di sentenze emesse dal 2005 in poi. Il 2005, in particolare, è stato identificato come l’annus horribilis per l’in house providing in quanto la giurisprudenza comunitaria, impegnata a verificare ex professo la compatibilità con il modello in house di società miste e società a totale partecipazione pubblica, ha deciso di adottare un orientamento restrittivo in relazione al modello delle società miste.

Nella sentenza Stadt Halle RPL Recyclingpark Lochau GmbH c. Arbeitsgemeinschaft Termiche Restabfall und Energieverwertungsanlage TREA Leuna192 i giudici hanno delimitato l’operatività della deroga in ordine all’affidamento diretto di un servizio nel caso in cui l’amministrazione aggiudicatrice possegga il pacchetto azionario di maggioranza del soggetto affidatario. La questione interpretativa sottoposta alla Corte di Giustizia, sollevata dalla società Arbeitsgemeinschaft Termiche Restabfall und Energieverwertungsanlage TREA Leuna, riguardava l’affidamento di un appalto di servizi (rectius: trattamento dei rifiuti) operato senza il ricorso alla gara ad evidenza pubblica dalla Città di Halle in favore di una società partecipata in via maggioritaria, la RPL Recyclingpark Lochau Gmb. La Stadt Halle aveva affidato alla RPL Lochau, con delibera comunale e senza avviare alcuna formale procedura d’appalto, un contratto per lo smaltimento e un progetto per il recupero, in materia di trattamento dei rifiuti urbani. La RPL Lochau era una società a responsabilità limitata, il cui capitale era sottoscritto in via maggioritaria dalla Città di Halle e in via minoritaria da privati, mentre la sua direzione commerciale e tecnica era stata attribuita ad un’impresa terza dalla Città di Halle che manteneva potere di verifica contabile.

Il giudice del rinvio, più precisamente, chiedeva alla Corte di Giustizia di chiarire, tanto in termini generali quanto con riferimento a norme specifiche, in relazione alla disciplina dell’impresa “pubblica o collegata” di cui alla direttiva 93/38/CEE, “in presenza di quali condizioni un organismo formalmente distinto da un’amministrazione aggiudicatrice, in cui vi sia la partecipazione societaria di privati (società mista a prevalente capitale pubblico), debba considerarsi come facente parte della pubblica amministrazione ossia come organismo di gestione economica dell’amministrazione aggiudicatrice”. Nel confermare l’eccezionalità della deroga al ricorso all’in house providing, i giudici hanno affrontato la specifica questione della natura mista del capitale della società affidataria, escludendo l’applicabilità della deroga per le forme di partenariato pubblico-privato. In base alle argomentazioni della Corte, “il rapporto tra un’autorità pubblica, che sia un’amministrazione aggiudicatrice, ed i suoi servizi è condizionata ad esigenze

136 proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico. Per contro, qualunque investimento di capitale privato in un’impresa pubblica obbedisce a considerazioni proprie di interessi privati e persegue obiettivi di natura differente”. Pertanto, l’affidamento diretto di un appalto pubblico ad una società mista pregiudica “l’obiettivo di una concorrenza libera e non falsata ed il principio di parità di trattamento degli interessi contemplati dalla direttiva 92/50/CEE, in particolare nella misura in cui una procedura siffatta offrirebbe ad una impresa privata presente nel capitale della detta società un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti”.

Da ciò consegue che, nell’ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda affidare un servizio ad una società nella quale detiene una partecipazione, ancorché prevalente, insieme con una o più imprese private, essa deve necessariamente espletare le procedure di affidamento degli appalti pubblici previsti dalla normativa comunitaria, in quanto la relazione che viene ad instaurarsi tra interesse pubblico e interesse dei privati si atteggerebbe in termini di vera e propria incompatibilità. Tale assunto venne successivamente ribadito dalla Corte di giustizia, pochi mesi dopo, nella

sentenza Consorzio Aziende Metano (Co.Na.Me.) c. Comune di Cingia dè Botti193, nella quale si escluse la perseguibilità degli affidamenti in house tutte le volte in cui il soggetto aggiudicatario è partecipato da privati, in quanto tale partecipazione sarebbe ex se idonea a precludere la spendibilità di un “controllo analogo”.

Nel caso di specie il Comune di Cingia dè Botti aveva attribuito con affidamento diretto il servizio di distribuzione del metano e di manutenzione degli impianti di gas

alla Padania Acque S.p.A., società a prevalente capitale pubblico detenuto dalla Provincia di Cremona nonché da quasi tutti i comuni di tale provincia. Con ricorso al giudice amministrativo, il Consorzio Aziende Metano lamentò che l’affidamento del servizio in parola sarebbe dovuto avvenire mediante una procedura d’aggiudicazione ad evidenza pubblica.

In questa occasione il giudice comunitario, dopo aver sottolineato che la controversia principale concerneva l’attribuzione di una concessione, ribadì che “il fatto che una società sia aperta, almeno in parte, al capitale privato impedisce di considerarla come una struttura di gestione interna di un servizio pubblico nell’ambito dei Comuni che ne fanno parte”, specificando inoltre come il requisito del “controllo analogo” fosse da considerarsi escluso anche in presenza di una partecipazione irrisoria da parte del comune al capitale della società costituita insieme ad altri enti locali per la gestione di un servizio pubblico.

La Corte, inoltre, in merito all’applicazione del modello dell’in house providing alla concessione, precisò come, a differenza che nel caso dell’appalto, non fosse possibile individuare criteri specifici tali da consentire un affidamento senza gara della concessione stessa, quali quello del controllo

137 analogo e dell’attività prevalente, ma fece riferimento a “circostanze obiettive” tali da giustificare una differenza di trattamento tra imprese. Di conseguenza, diversamente dalla giurisprudenza Teckal, nel caso de quo non si tratta di cogliere dei profili inerenti il rapporto instaurato tra amministrazione e prestatore al fine di dimostrare la sostanziale coincidenza tra le parti contrattuali, ma di identificare delle situazioni che, sulla base di un contemperamento d’interessi da valutare di volta in volta, consentano di escludere la messa in concorrenza del servizio in concessione.

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