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Onorevole Palazzolo, insiste sul suo articolo aggiuntivo li-bis?

Palazzolo.

L

o

ritiro e aderisco all’ articolo aggiuntivo 12

-bis

To

gni Giulio Bruno.

Presidente.

Pongo in votazione l ’articolo 12-bis Togni Giulio

Bruno al quale lia aderito anche l’onorevole Palazzolo, accettato dalla

Commissione e dal Governo, del quale è stata già data lettura.

[È approvato).

Gakdinek C. Means, Pricing Power and The Public Interest, A Study Based on Steel, Harper and Brothers, New York, 1962, p. 359, $ 7.50.

Il M. ritorna, qui, suU’argomento di due sue indagini precedenti del 1935 e del 1959, che destarono un grande interesse tra gli studiosi e sollevarono un ampio dibattito (si vedano, da ultimo, le due inchieste parlamentari svolte, nel 1958 e nel 1959, negli Stati Uniti sui « prezzi amministrati », sui loro effetti in­ flazionistici e sulle alternative di intervento delle politiche pubbliche).

In entrambi i lavori, il M. cercava di dimostrare, con un’importante docu­ mentazione empirica, l’esistenza, in una larga parte dell’economia industriale americana, di « prezzi amministrati » o « non flessibili », fìssati da chi ammini­ stra l’impresa e mantenuti invariati per un certo periodo di tempo. Ma tra i due saggi vi è una differenza di impostazione : nel 1935 il M. desiderava sottolineare che la non flessibilità verso il basso dei prezzi delle imprese concentrate aveva impedito, durante gli anni della crisi, il riequilibrio tra la domanda e 1 offerta, ed era, quindi, stata una delle cause principali della depressione che seguì la crisi borsistica del 1929. La rigidità dei prezzi è spiegata empiricamente con la dimostrazione che, ove i prezzi erano più rigidi, vi era un più elevato grado di concentrazione. Cioè, la rigidità sarebbe una caratteristica essenziale della con­ centrazione e la causa principale della depressione. Il M. assumeva, pertanto, una posizione opposta a quella successiva di certi Keynesiani, che nella rigidità vedevano un sostegno della domanda globale.

Nel 1959, invece, il M., correggendo in parte le conclusioni precedenti per le quali i prezzi « amministrati » sarebbero rigidi — intendeva dimostrare che essi sono flessibili verso l’alto e che tale caratteristica è stata una causa deci­ siva di inflazione nelle fasi di ristagno, che si sono succedute nel 1953 e nel 1958. Egli .inoltre, allargava la classe dei prezzi « amministrati » anche ai salari.

In questo volume il M. prende come base di riferimento l’industria dell ac­ ciaio, sia perchè si tratta di un settore cruciale per lo sviluppo economico, sia perchè in esso il controllo pubblico presenta problemi assai delicati, a causa di un aumento di prezzi, che dal 1953, in cinque anni, ha raggiunto circa il 45 %, senza essere giustificato da un parallelo aumento dei costi. Il discorso, tuttavia, afferma il M. — e questa tesi sembra essere confermata da altre indagini, quale quella svolta nel 1959 dal Blair — può valere, in generale, per i settori concen­ trati, che controllano circa i due terzi della produzione industriale degli Stati Uniti.

Il M. comincia osservando che la teoria economica delle forme di mercato diverse dalla concorrenza e dal monopolio si trova in uno stato fluido e che al cune impostazioni, apparentemente assai logiche, non hanno, ancora, subito il vaglio di una verifica empirica.

In effetti, come scrive il Blair, il fenomeno dei «prezzi amministrati» si trova tuttora « alla ricerca di una teoria ». Il M., però, trascura alcune delle teorie più interessanti, che possono spiegare la rigidità dei prezzi. Egli, nella

recente letteratura teorica sull’oligopolio e sui prezzi, si rifa quasi solo ai con­ tributi del Gordon e del Lanzillotti (fra gli autori trascurati: Hall e Hitch, Andrews, Sweezy, Fellner, Bain, Galbraith, A. Philips, Baumol, Sylos-Labim, Modigliani).

Perchè i prezzi delle imprese sono rigidi verso il basso e flessibili verso l’alto? La risposta del M. nei suoi precedenti saggi dipendeva dal riconoscimento che, ove vi è rigidità, vi è un alto grado di concentrazione. In questo lavoro, egli aggiunge alla concentrazione un nuovo fenomeno, che avrebbe una rile­ vante responsabilità del determinare la politica di prezzi « amministrati » delle imprese, il cosidetto « target pricing calculus ». Si tratta di una tecnica di fis­ sazione dei prezzi assai vicina a quella del «cost-plus» o del « full-cost ». Essa consiste di varie operazioni, che si articolano nel decidere un certo tasso di pro­ fitto medio lungo un periodo di vari anni, che sia sufficiente all’espansione, ma non così alto da stimolare l’entrata di nuove imprese, nello stabilire il tasso di sfruttamento degli impianti da raggiungere, nello stimare il costo unitario me­ dio di produzione a quel livello di capacità, nel calcolare il prezzo di vendita, sommando tale costo con il tasso di profitto, nel considerare, infine, se il prezzo, che, così, risulta, è adatto alle condizioni di mercato esistenti in quel parti­ colare momento.

Non vi è dubbio, secondo il M., che l’applicazione di questa tecnica ha de­ terminato gravi inefficienze nell’uso e nella distribuzione delle risorse ed e stata un fattore inflazionistico nelle recenti depressioni. Nel senso dei rialzi dei mar­ gini dei profitti, ha operato anche un nuovo sistema di incentivi, introdotto^ di recente in molte grandi società, e consistente nella possibilità, offerta ai diri­ genti di grado elevato, di acquistare azioni della società da loro guidata, al prezzo prevalente del mercato durante l’anno in cui l’operazione era concessa. Gli aumenti dei margini di profitto, accrescono il valore capitale delle azioni e danno così un guadagno di capitale ai dirigenti che esercitano la suddetta opzione. I sindacati operai, poi, hanno spuntato aumenti salariali, puntando sui forti guadagni delle grandi compagnie.

Tale esercizio del potere di mercato, afferma il M„ non è stato conforme agli interessi collettivi. L’esistenza di prezzi troppo alti, in relazione ai costi, ha impedito l’uso più efficiente dell’acciaio e stimolato la produzione di beni ad esso surrogati. Inoltre, l’aumento dei prezzi dell’assiaio è stato un fattore inflazionistico, che ha aggravato la depressione dell’economia americana.

Il M. non ritiene, però, accettabile, nè la tesi di coloro che vorrebbero esclu­ dere la pratica dei « prezzi amministrati » mediante i controlli previsti per le imprese di pubblica utilità, nè la tesi di coloro che propongono una legislazione antimonopolistica. Il primo tipo di politica, cioè la regolamentazione dei prezzi, avrebbe troppi inconvenienti, quali il costo della regolamentazione, lo spreco di energie imprenditoriali per convincere le commissioni di controllo, l’incapa­ cità di sostituire al profitto un altro incentivo alla massima efficienza, l’indebo­ limento dell’attitudine ad assumere rischi, i pericoli delle interferenze politiche. Una legislazione, invece, che intendesse rompere le grandi imprese concentrate in unità Più Piccole, avrebbe altri svantaggi, e, in particolare, comporterebbe una grande perdita di efficienza.

Egli comunque è a favore di una abrogazione dei premi-opzione di cui

dell’impresa e i suoi obiettivi sono diversi da quelli del proprietario e non sono soddisfatti dalla massimizzazione dei profitti. Infatti alcuni obiettn 1, qua 1 1

prestigio, il potere, la soddisfazione di un lavoro ben fatto, non sono raggiunti dalla massimizzazione dei profitti, mentre la ricerca di un certo guadagno per­ sonale può essere conseguita anche con sistemi diversi da quelli di massimizza

zione dei profitti. .

La proposta-base del M. è di emanare un « Economie Performance Ac », che individui una nuova categoria giuridica, quella delle grandi imprese « n>- lettive ». L’appartenenza di un’impresa alla categoria sarebbe decisa in base a considerazioni sulla dimensione assoluta e relativa dell’impresa, sullnnpoi tanza dei beni prodotti per il benessere collettivo, sulla dispersione della pro­ prietà delle azioni e sul livello ottenuto di profitti. Agli imprenditori di tali imprese, che dimostrino di fissare i prezzi con un margine di profitto legato a costo del capitale - comprendente, nel caso di una programmata espansione, anche una quota per essa - verrebbero attribuiti dei premi, esenti da imposte, legati al raggiungimento documentato di uno degli obiettivi compresi nell «eco­ nomie performance» (dal M. individuati, oltre che nell’espansione dell’impresa nel miglioramento dei prodotti, nella riduzione dei costi e nello sviluppo tecl“ c°>-Le difficoltà tecniche e politiche per attuare tale proposta, sulla quale il - . brevemente si sofferma, a suo parere, dovrebbero essere abbastanza facilmente superate; tuttavia, egli pensa che, anche se rimanesse qualche arbitrio, ciò che importa è che si riesca a ridurre l’attuale margine di profitto delle grandi imprese — che oscilla tra il 16 e il 20 % — portandolo vicino, anche se al­ quanto superiore, a quello delle imprese di pubblica utilità (6-7 %).

La proposta del M. appare assai interessante, sebbene sia inquadrata un po’ semplicisticamente, non risponda ad alcuni grossi dubbi (chi decide e in base a (piali criteri l’obiettivo o l’insieme coerente di obiettivi che le singole imprese devono perseguire? Come si possono legare i premi ad obiettivi che sono diffì­ cilmente misurabili?) e sia, forse, un po’ ingenua di fronte al potere delle grandi compagnie. Comunque questa proposta fornisce materia per utili riflessioni, non solo nei riguardi degli interventi nel settore delle imprese private, ma anche con riferimento al settore delle imprese pubbliche e, in particolare, delle imprese a partecipazione statale.

Franco Reviolio

Sabino Cassese, Partecipazioni put)liliche ed enti di gestione, Collezione CIRIEC n. 2, ed. Comunità, Milano, 1962, pp. 224.

S. Cassese è, in questo momento, uno degli studiosi più attenti degli aspetti giuridici di ciò che correntemente si denomina intervento pubblico nellecono mia, e delle imprese pubbliche in particolare.

Adesso si presenta con questo lavoro di più ampia mole, che a me pai e molto importante per tre ragioni : anzitutto, perchè fa il punto della situazione in modo esatto e preciso; in secondo luogo, perchè contiene quel che si dire >e un inventario dei principali problemi giuridici posti dalla pratica e dalla teoria in materia di imprese pubbliche; in terzo luogo, perchè per quanto specifica mente attiene agli enti di gestione suggerisce una tesi molto interessante.

Il libro si divide in tre parti. La prima, dal titolo « morfologia dei gruppi pubblici» è sopratutto quella a cui alludevo nel dire che fa il punto della situazione. L’A. infatti accetta il suggerimento di studiare la materia delle imprese pubbliche dal punto di vista dei gruppi, e sulla base di esso dà un quadro delle imprese in partecipazione pubblica quanto mai chiaro e compren­ sibile ; quella che può sembrare semplice descrizione espositiva, al lettore attento si rivela invece come una ricostruzione della moltitudine di enti del settore delle partecipazioni statali, dietro la quale è evidente l’accurata informazione e la padronanza delle fonti. Con la sua impostazione, all’A. è possibile già in questa prima parte affrontare lo studio giuridico dell’organizzazione dei gruppi pubblici, puntualizzandolo nella distribuzione delle funzioni interne di gruppo, e nei collegamenti tra l’ente capogruppo e le imprese collegate.

Ciò porta anche il C. ad esaminare le applicazioni ai gruppi pubblici di problemi che il diritto commerciale si è posto a proposito dei gruppi privati: le società con funzioni di servizio, le locazioni interne di gruppo, i bilanci conso­ lidati, i programmi aziendali di gruppo. La tesi dell’A., che avrebbe però me­ ritato se non ricognizione più accurata, quantomeno un più disteso sviluppo, è che nei gruppi pubblici la problematica non è diversa da quella che si trova nei gruppi privati, anche se l’atto per effetto del quale si costituiscono o si estin­ guono rapporti giuridici intersoggettivi di gruppo può essere atto di un soggetto pubblico, talora perfino un atto che si potrebbe ritenere avente natura di prov­ vedimento amministrativo anziché di negozio privato.

La seconda parte è dedicata precipuamente agli enti di gestione. Che cosa siano essi è stato a lungo discusso, da quando la legge sulle partecipazioni sta­ tali li ha codificati, sia pur riconoscendo una realtà già parzialmente esistente. La tesi prevalente, che siano enti gestori di imprese pubbliche, e in particolare gestori di un’impresa finanziaria (holding : difatti holdings pubbliche erano stati sovente chiamati) è dall’A. ritenuta insufficiente a spiegare la struttura degli enti stessi, ed egli propone qui una nuova tesi, che pur riannodandosi al non recente spunto romaniano degli enti che sono pubblici per 1 esserci, lo rielabora in modo originale ed interessante. La funzione pubblica di questi enti sarebbe, secondo C., una funzione « neutra » di evidenzìamento pubblico di un settore imprenditoriale; essi quindi costituirebbero un’esperienza attenuata rispetto agli ordinamenti sezionali pubblici, ma più forte rispetto all ente capo di gruppo di imprese, la cui posizione sia di mero diritto privato, in quanto la funzione di capo di gruppo sarebbe qui resa pubblica, per essere affidata ad un ente ausiliare dello Stato, il quale come tale sottostà alla disciplina propria di tutti gli enti di questa categoria.

In questo modo si spiegherebbe perchè essi, enti necessari, non hanno nè autonomia politica nè autonomia normativa, nè autarchia, e agiscano essen­ zialmente come operatori privati, con capacità (legittimazione) non limitata ma piena; quindi, insieme siano soggetti agli atti d'indirizzo e di coordinamento del Ministero delle partecipazioni statali e del Governo in genere, e siano gestori di imprese pubbliche di partecipazione.

A questo punto si poneva il grave problema delle regole disciplinatrici dell’attività degli enti ; il C. ritiene che unica regola sia quella della riserva di investimenti nel Mezzogiorno, in quanto il c.d. criterio dell’economicità, su cui

tanto si è discusso, non avrebbe un contenuto preciso. La trattazione di questo punto è troppo sommaria, ed avrebbe richiesto più ampio studio.

Infine nell’ultima parte l’A. richiama l’attenzione sulle società con parte­ cipazione pubblica che esercitano pubblici servizi. Anche qui, dopo una descri­ zione ricostruttiva del fenomeno, il C. esamina la posizione di queste imprese in quanto concessionarie di servizi « riservati », quindi sottoposte a controlli e a guida da parte di amministrazioni pubbliche, e insieme a controlli e a guida da parte di enti di gestione.

Attraverso un’attenta analisi, l’A. mostra che essendo l’ente di gestione ob­ bligato a detenere la maggioranza delle azioni di tali società, in questi casi si viene ad avere una struttura del tutto particolare, in cui si concreta una forma di collettivizzazione o nazionalizzazione. L’ente di gestione cessa di essere, sempre limitatamente a questi casi, un ente neutro, per divenire un ente che cura fini pubblici in modo diretto, quali sono quelli dei servizi pubblici dati in concessione alle imprese.

Questa trattazione costituisce un apporto nuovo allo studio della materia, e prospetta una soluzione che sembra da accettare, anche se ne vanno ancora approfonditi alcuni profili, non proprio secondari, quali quelli dei rapporti tra l’ente di gestione e l’amministrazione statale concedente, e quindi di controllo, vi sarebbero poi dei non indifferenti problemi di politica legislativa, sui quali il C. non si sofferma, data l’indole prettamente giuridica della sua ricerca, ma che forse non sarebbe stato inutile trattare, stante che in questa materia, a mia opinione, l'opera del giurista scienziato non si disgiunge ancora da quella del giurista politico.

Nelle conclusioni l’A. espone, ma rapidamente, alcuni altri problemi che si son presentati e affaccia dei problemi generali, come la tipologia delle imprese pubbliche e le classificazioni dell’intervento pubblico. Problemi in buona parte estranei all’oggetto specifico del suo studio ; ma che è bene siano stati prospet­ tati, perchè in ordine ad essi l’A. ha voluto, con un atto di onestà scientifica, esporre propri dubbi ed introdurre propri spunti, quasi a titolo di contributo a future indagini, e va riconosciuto che le argomentazioni che si espongono col­ piscono sempre per la loro acutezza e aderenza alla realtà.

Dunque, in conclusione, un libro pieno di spunti acuti e intelligenti e di tesi interessanti. Se ci è capitato di rilevare varie volte che molte trattazioni avrebbero richiesto più diffuso discorso, abbiamo invero più manifestato un desiderio che proposto una critica, in quanto l’A. aveva fin dalla Prefazione avvertito quali fossero le proprie intenzioni.

Marina Barbieri, L ’im p o sizio n e sulle vendite, Associazione fra le Società ita­ liane per azioni, Roma, 1963, pp. 264.

È un’ampia e accurata rassegna ragionata della letteratura in materia eli imposte sulle vendite, divisa per principali argomenti: definizione, natura economica e giustificazione teorica delle imposte sulle vendite ; il problema teorico della traslazione in mercati concorrenziali e non concorrenziali; la traslazione nel tempo; l’incidenza di imposte sulle vendite generali e speciali e confronto con l’imposta sul reddito ; caratteri ed effetti dei vari tipi di imposte sulle vendite; i diversi tipi di imposte sulle vendite in relazione ai problemi fiscali del mercato comune.

John F. Downs jr., G eo gra p h y a n d P la n n in g in thè U r b a n C om m u n ity, Uni­ versity of Mariland, 1963, pp. 40

Lo studio presenta un quadro dell’attività e degli obiettivi perseguiti negli Stati Uniti dagli « urban geographers » in connessione ai problemi delle trasformazioni delle città e dei rapporti tra centri urbani e aree metro­ politane. Segue una vasta bibliografia.

VI Congresso Internazionale dell’Economia collettiva. L 'o r g a n iz z a z io n e del­ l’econom ia al se rv izio d ell'uom o - L a p ian ifica zion e ne ll’im presa, nella n a zio n e e fr a le nazioni, Milano, Comunità, 1963, pp. 146.

Sono raccolte le relazioni di P. Saraceno ( L a p ro g ra m m a zio n e ne ll’im ­ presa pubblica), di G. Weisser { L a p ian ificazion e n e ll’im p re sa coopera­ tiva), di P. N. Rosenstein-Rodan ( L a p ian ifica zion e nella nazione), di P. Uri ( L a pian ificazion e europea), di M. L. Daurtwala ( I l problem a della lotta contro la fame),, di J. Timbergen (L ’o rg a n izz a z io n e dell’a ttiv ità p ro ­ duttiva al se rv izio dell’uomo).

Alan R. Rado, U n ite d Sta te s T a x a tio n of F o r e ig n Investm en t, International Bureau of Fiscal Documentation, Amsterdam, 1963. pp. 160.

L’a. espone e commenta analiticamente le modificazioni apportate dal

P e r e n n e A c t del 1962 al trattamento fiscale degli investimenti stranieri negli Stati Uniti. In appendice le parti essenziali dei testi parlamentari e legislativi in materia.

Piero Salati, L a finanza del com une d i M ila n o dalla fine del prim o con­ flitto m on diale ad oggi, Milano, Vallardi, 1963, pp. 93.

Diligente esposizione dei principali aspetti della finanza comunale di Milano negli ultimi decenni, con particolare riguardo al secondo dopoguerra

Giovanni Sartorati, L a sp e sa d egli enti loca li: a n a lis i d i recenti co ntrib u ti e proposte d i ricerca, Milano, I.L.S.E.S., 1963, pp. 93.

L’a. espone e commenta alcune ricerche di autori americani sui pro­ blemi finanziari delle metropoli, interessandosi particolarmente alle connes­ sioni da questi messe in luce tra le dimensioni e le caratteristche delle comunità e l'offerta e i costi dei servizi pubblici locali. Nella seconda parte, accogliendo i suggerimenti metodologici degli autori commentati e appro­ fondendoli con il ricorso al metodo dell’analisi fattoriale, 1 a. presenta un modello di analisi e di previsone delle spese locali di particolare rilevanza per lo studio dei comprensori intercomunali.

Mario Tai.amo.na, C o n sid e ra z io n i g e n e ra li su lla p ro g ra m m a zio n e m a cro eco­ n o m ica co n p a rticola re rig u a rd o alle im p re se pub b lich e come stru m en ti del piano, Torino, Boringhieri, 1963, pp. 73.

L’a. si propone di impostare, in una cornice metodologica rigorosa e sullo sfondo dell’attuale situazione economica e politica italiana, una discussione di carattere generale sulla funzione delle imprese pubbliche come strumenti di una programmazione democratica.

Nella prima parte si esamina il sorgere nei paesi occidentali dello « stato organizzatore » e si trattano i problemi derivanti dal rapporto tra le esigenze di programmazione di questa specie di stato e le caratteristiche « plurali­ stiche » della società moderna : si espongono, poi, i tratti essenziali dei modelli macroeconomici di decisione e, con riferimento ad essi, si affronta il tema centrale della funzione delle imprese pubbliche in un’economia mista programmata. Completa l’analisi generale un accennò ai problemi della politica congiunturale e ai rapporti tra programmi nazionale e regionali. Tax Institute of America, T a x P o lic y on U n ite d Sta te s In v e stm e n t in

L a t in A m e rica , Princeton, 1963, pp. X -f 275.

In questo volume sono raccolti relazioni e interventi sui problemi fiscali connessi con gli investimenti U.S.A. nei paesi dell’America Latina.

Nella prima parte, vengono esaminati i problemi più generali comuni a tutta l’area considerata ; nella seconda, si espongono le politiche fiscali,

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