Alla violazione delle misure di contenimento sopra ri-chiamate dovrebbero applicarsi la sanzioni ammini-strative previste dall’art. 4, comma 1, D.L. n. 19/2020, vale a dire il pagamento di una somma da 400 a 1.000
euro29. L’importo massimo di 3.000 euro è stato così
ridotto in sede di conversione del D.L. n. 19/2020 ad opera della L. n. 35/2020. Sanzioni che hanno dato luo-go a una serie di dubbi tanto in merito alla loro efficacia deterrente, quanto in relazione al rispetto del princi-pio di tassatività (Pascucci 2020). Le misure precauzio-nali dettate dal legislatore dell’emergenza, invece, non paiono soggette in linea di principio all’apparato san-zionatorio di cui al D.Lgs. n. 81/2008 in quanto con-template da un sistema speciale di contrasto alla
pan-demia. Peraltro, si discute se l’incipit dell’art. 4, comma 1, D.L. n. 19/2020 – “salvo che il fatto costituisca rea-to” – comporti l’applicazione, stante il fatto che le vio-lazioni di molti obblighi di cui al D.Lgs. n. 81/2008 in-tegrano reati contravvenzionali, delle relative sanzioni penali in luogo di quelle amministrative (Natullo 2020, 16). Stanti i generali principi di tassatività, specificità e stretta interpretazione delle fattispecie di reato e la ra-tio alla base della norma sanzionatoria dettata dal legi-slatore dell’emergenza, la prevalenza delle sanzioni pe-nali del D.Lgs. n. 81/2008 potrebbe postularsi purché tuttavia le misure di contenimento coincidano perfet-tamente con i precetti penalmente sanzionati del D.L-gs. n. 81/2008. La sostanza del problema non muta neppure alla luce dell’incipit dell’art. 2, comma 1, D.L. n. 33/2020 – “salvo che il fatto costituisca reato diverso dall’art. 650 c.p.” – poiché tutti i reati di cui al D.Lgs. n. 81/2008 sono diversi da quello previsto dall’art. 650 c.p.
Nel caso di mancato utilizzo dei DPI di cui all’art. 16, D.L. n. 18/2019 (le mascherine) sono invece cer-tamente applicabili le sanzioni del D.Lgs. n. 81/2008 in virtù dell’esplicito richiamo al suo art. 74, comma 1.
L’attuazione di tutte le misure di contenimento – comprese quelle che riguardano i contesti lavorativi – è assoggettata a uno speciale controllo statale che fa capo ai Prefetti, che hanno la competenza esclusiva a irrogare le sanzioni amministrative per la violazione di dette misure (fatta salva l’ipotesi relativa ai DPI).
L’art. 4, comma 9, D.L. n. 19/2020 prevede che il Prefetto si avvalga del personale delle Forze di polizia ed eventualmente delle Forze armate per svolgere la vigilanza, pur essendo discutibile che soggetti prepo-sti alla geprepo-stione dell’ordine pubblico possano svolge-re adeguatamente tale compito (Pascucci 2020). A ciò ha ovviato la L. n. 35/2020 che, nel convertire il D.L. n. 19/2020, ha incluso tra i soggetti deputati alla vigilan-za anche il personale ispettivo di ASL e ispettorato
na-zionale del lavoro (INL)30.
In caso di contagio di un lavoratore valgono i prin-cipi generali in tema di responsabilità civile e penale. Pertanto, ove il datore di lavoro non rispetti le
misu-31 Cfr. di recente Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 2020, n. 3282, www.olympus.unirb.it; Cass. civ., sez. lav., 6 novembre 2019, n. 28516, Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2020, con nota di Delogu, in corso di pubblicazione. 32 Come ha chiarito anche l’Inail dapprima con il comunicato del 15 maggio 2020 e successivamente con la circolare n.
22/2020.
re dei protocolli anti-contagio e da tale violazione di-scenda causalmente la malattia o la morte del lavo-ratore, il datore di lavoro ne risponderà ex art. 2087 c.c. sul piano civile ed ex artt. 589 e 590 c.p. sul pia-no penale. Tuttavia, la prova relativa al nesso
causa-le31 rispetto a un virus che può essere contratto nel
luogo di lavoro ma anche altrove rischia di essere
dia-bolica. Né, salve eccezioni, sembra si possa ricorre a
presunzioni, quali, ad esempio, la diffusione del virus in azienda per la presenza di colleghi, clienti o forni-tori contagiati (anche tenendo presente che, almeno in campo penale, la prova deve essere raggiunta ol-tre ogni ragionevole dubbio). Nei casi accertati di in-fezione da coronavirus in occasione di lavoro opera la copertura assicurativa contro gli infortuni sul lavoro. L’art. 42, comma 2, D.L. n. 18/2020 ha parificato, sulla
scorta di una giurisprudenza consolidata, la c.d. cau-sa virulenta alla caucau-sa violenta di infortunio (La Pec-cerella 2020; Giubboni 2020). Le circolari Inail 3 aprile 2020, n. 13 e 20 maggio 2020, n. 22 sono intervenu-te sul punto facendo ampio ricorso a una presunzione semplice di origine professionale per un’ampia serie di figure (operatori sanitari, ma anche lavoratori che operano in front-office, alla cassa ecc.). Secondo tali circolari, la prova dell’infortunio in occasione di lavo-ro può essere raggiunta anche in altri casi sulla base di indizi “gravi, precisi e concordanti” o attraverso un ac-certamento medico-legale che faccia leva sui seguenti elementi: “epidemiologico, clinico, anamnestico e cir-costanziale”. Se tali elementi indiziari valgono ai fini della copertura assicurativa, va però escluso che
pos-sano da soli fondare responsabilità civili o penali32.
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Angelo Delogu
Angelo Delogu è assegnista di ricerca in Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e avvocato. Ricopre l’incarico di caporedattore dell’Osservatorio ‘Olympus’, sulla legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza sul lavoro. Fra le pubblicazioni recenti si segnalano: Tutela della professionalità e mobilità del lavoratore in azienda dopo il Jobs Act, Alpa G., Bellomo S. (a cura di), Giuseppe Santoro-Passerelli. Giurista della contemporaneità, Liber Ami-corum Tomo I/II (Giappichelli, 2018); Salute e sicurezza sul lavoro (Voce), in Digesto Discipline Privatistiche-Sezione
Commerciale, UTET (2017).
Paolo Pascucci
Paolo Pascucci è professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. Ricopre l’incarico di presidente della Commissione tecnico-scientifica di ‘Olympus’, Osservatorio della legislazione e giuri-sprudenza sulla sicurezza sul lavoro e di direttore della rivista Diritto della Sicurezza sul Lavoro. Fra le pubblicazioni monografiche recenti si segnalano: La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Il Titolo I del d.lgs. n. 81/2008
dopo il Jobs Act, Aras edizioni (2017); Giusta retribuzione e contratti di lavoro: verso un salario minimo legale?,
Analizzare seppur brevemente le condizioni in cui versa la Pubblica amministrazione appare essenziale per comprendere la natura degli input, valorizzare al massimo gli output e raggiungere l’outcome del Public value. Quanto spende lo Stato italiano per mantenere i dipendenti pubblici? I dipendenti pubblici sono troppi? Qual è la performance della Pubblica amministrazione nella percezione di cittadini e imprese? Rispondere a queste domande ci darà modo di capire se gli investimenti dello Stato italiano nella Pubblica amministrazione risulta-no adeguati al perseguimento degli obiettivi, se gli output e soprattutto gli outcome sorisulta-no all’altezza delle aspet-tative dei destinatari dei servizi pubblici e se le risorse vengono utilizzate in modo efficace ed efficiente. L’Italia nel 2018 ha speso 172,36 miliardi di euro, il 10% del PIL, per pagare i dipendenti pubblici. Il costo delle
pubbli-che amministrazioni è assai più elevato, se si considerano le spese per consumi intermedi1, vale a dire l’insieme
dei beni e dei servizi che vengono utilizzati come input nel processo di produzione, che ammontano a 143,86 miliardi di euro. Secondo la vulgata, la Pubblica amministrazione italiana si colloca tra le più costose d’Europa. In realtà, dal confronto con i principali Paesi europei, emerge che la spesa per i redditi dei dipendenti pubblici nel 2018, registra un livello assai più contenuto rispetto alla Germania (-50,4%), Gran Bretagna (-24,7%) e Fran-cia (-70,7%) e più elevato solo rispetto alla Spagna (+25,9%) e alla media UE (+21,97%). Il grafico 1 mostra, inol-tre, che l’Italia ha registrato, nel periodo 2013-2018, l’incremento retributivo più basso, pari al 3,35% contro il 7,71% della Francia, il 17,60% della Germania, il 9,50% della Gran Bretagna, l’11,54% della Spagna e il 10,27%