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LA RESPONSABILITA’ SOCIALE D’IMPRESA NELLE POLITICHE DELL’UNIONE EUROPEA E DELL’ITALIA.

95 4.1 LA CSR NELLO SVILUPPO DELLE POLITICHE COMUNITARIE

Nel 1993 l’allora Presidente della Commissione europea Jacques Delors con il Libro Bianco Crescita, competitività ed occupazione. Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, raccomandava le imprese europee di utilizzare le loro risorse e i loro talenti affinché potessero affrontare i problemi strutturali dell’Unione con particolare riguardo alla disoccupazione e all’esclusione sociale: raccomandava, cioè, di assumere una nuova visione del business, di porre in essere “comportamenti responsabili” nei confronti dei propri stakeholder.

Nel 1996 veniva lanciato l’European Business Network for Social Cohesion (EBNSC) che nel 2000 sarebbe diventato CSR Europe, The European Business Network for Corporate Social Responsibility,101organizzazione volontaria costituita da imprese di vari Paesi europei, promossa e sostenuta dalla Commissione europea. All’interno di CSR Europe si incontrano e si integrano le esperienze di responsabilità sociale che prendono vita nell’Unione, e vengono lanciati specifici progetti rivolti alle imprese per rendere più coerente il mondo dell’economia e la società: formazione sociale dei manager, reporting sociale, partnership tra pubblico e privato, coinvolgimento dei lavoratori.

La CSR entrava a far parte formalmente dell’Agenda europea nel marzo del 2000 quando a Lisbona il Consiglio Europeo adottava l’obiettivo strategico di fare dell’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.102

La responsabilità sociale delle imprese occupava un ruolo predominante all’interno della Strategia 2010: infatti il Consiglio rivolgeva un particolare appello al mondo imprenditoriale in materia di buone prassi concernenti l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, l’organizzazione del lavoro, le opportunità, l’inclusione sociale e lo sviluppo sostenibile.

Nel 2001 veniva pubblicato il Libro Verde: Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese con l’obiettivo di “lanciare un ampio dibattito sui

101 www.csreurope.org (consultato il 10/07/2013).

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modi nei quali l’UE potrebbe promuovere la responsabilità sociale delle imprese a livello sia europeo che internazionale, e in particolare su come sfruttare al meglio le esperienze esistenti, incoraggiando lo sviluppo di prassi innovative, migliorando la trasparenza e rafforzando l’affidabilità della valutazione e della convalida delle varie iniziative realizzate in Europa. Il documento propone un approccio basato su partnership più strette nell’ambito delle quali tutti gli interessati hanno un ruolo attivo da svolgere”. La Commissione riteneva che le imprese europee dovessero raccogliere le sfide poste dai cambiamenti mondiali inserendo strategicamente la responsabilità sociale tra le loro scelte gestionali, considerandola un investimento e non un costo. Naturalmente l’approccio europeo alla responsabilità sociale avrebbe potuto arrecare valore aggiunto alle iniziative già esistenti realizzate dalle organizzazioni internazionali quali il Global Compact, la Dichiarazione tripartita dell’OIL e i Principi direttivi dell’OCSE.

La Commissione si impegnava a sostenere tali orientamenti favorendo l’elaborazione di principi e strumenti atti a promuovere nuove prassi e idee innovative che garantissero valutazione e verifica delle procedure di responsabilità sociale delle imprese.

Il Libro Verde elencava sia i campi d’azione della CSR sia gli strumenti di certificazione e di rendicontazione esistenti; auspicava, inoltre, che si implementassero nuove ricerche congiunte da parte dei pubblici poteri, delle imprese e degli istituti universitari per ottenere una migliore conoscenza dell’impatto della responsabilità sociale delle aziende sulle loro prestazioni economiche.

La Commissione riteneva che la responsabilità sociale rivestisse importanza per tutti i tipi di imprese e per tutti i settori di attività, dalle PMI alle multinazionali e che il suo impatto economico potesse ottenere effetti sia diretti che indiretti. Come risultati diretti possiamo riscontrare un migliore ambiente di lavoro e una efficace gestione delle risorse naturali; tra gli effetti indiretti, un’attenzione positiva da parte dei consumatori e degli investitori e, di conseguenza, maggiore competitività sul mercato.

Il Libro Verde faceva riferimento ad una dimensione interna e ad una esterna della CSR. Nella prima rientravano la gestione delle risorse umane, la salute e la sicurezza nel lavoro, l’adattamento alle trasformazioni oltre che la gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali.

Per quanto concerneva la dimensione esterna, la Commissione riteneva che la responsabilità sociale si estendesse al di là del perimetro dell’impresa e integrasse la

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comunità locale oltre ai dipendenti e agli azionisti e a varie parti interessate, tra cui partnership commerciali, fornitori e consumatori.

Si considerava la necessità di porre in essere una gestione integrata della responsabilità sociale in modo che le imprese potessero realizzare audit sociali e ambientali e instaurare programmi di formazione continua.

Con il Libro Verde veniva lanciata la Strategia dell’Unione europea per lo sviluppo sostenibile che si fonda su quattro pilastri: economico, sociale, ambientale e governance mondiale.

Il documento si chiudeva con la richiesta a tutte le istituzioni europee di sensibilizzare e stimolare il dibattito e di organizzare uno scambio di informazioni e di conoscenze sulle nuove forme di promozione della responsabilità sociale delle imprese.

Il Libro Verde, comunque, “oscilla tra una visione riduttiva della responsabilità sociale (caratterizzata da volontarietà e dalla valorizzazione dei benefici sotto il profilo prettamente aziendale) e una visione estesa della responsabilità che comprende anche una maggiore relazione con gli stakeholders e rapporti più consolidati e “responsabili” con il territorio di riferimento”.103

Anche altri organismi europei contribuivano al tema della responsabilità sociale: il Consiglio dell’Unione europea con una risoluzione dava mandato alla Commissione di valorizzare le conclusioni raggiunte nelle discussioni portate avanti negli Stati membri e di avviare una serie di consultazioni sia a livello nazionale che europeo.

Nel 2002 la Commissione, in merito alla consultazione lanciata dal Libro Verde, pubblicava una Comunicazione che esponeva la strategia comunitaria di promozione della CSR. Dopo aver riassunto le reazioni, tutte favorevoli, al Libro Verde, venivano evidenziate le divergenze emerse, comunque, dalle diverse posizioni assunte dalle varie parti.

Le imprese sottolineavano la necessità che l’impegno sociale avesse carattere volontario, poiché non vi sono soluzioni “adatte a tutti” e una eventuale regolamentazione dovrebbe confrontare realtà con differenti priorità. I sindacati e le organizzazioni della società civile sostenevano, invece, una regolamentazione “che stabilisca norme minime e assicuri parità di condizioni. Gli investitori, a loro volta,

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chiedono trasparenza nelle pratiche delle imprese e la necessità di migliorare la metodologia delle agenzie di rating oltre che la gestione dei fondi pensione e dei fondi d’investimento socialmente responsabili. Le organizzazioni dei consumatori, per loro conto, richiedono informazioni esaurienti sulla produzione e sulla vendita dei prodotti che li aiutino a compiere scelte consapevoli.

La Commissione riferisce, inoltre, che “il Parlamento europeo propone di integrare la CSR in tutte le sfere di competenza dell’UE, in particolare nel finanziamento delle azioni sociali e regionali e di creare, a livello dell’UE, un Foro multilaterale sulla CSR.” (COM (2002) 347 def. G.U.C.E. n. 364 C del 18/12/2003).

La Comunicazione riconosceva a tale concetto un’importanza crescente oltre ad una dimensione mondiale, anche se non disconosceva gli ostacoli che si frappongono ad una maggiore presa di coscienza, diffusione e adozione delle prassi socialmente responsabili. Riteneva che l’azione comunitaria dovesse basarsi su principi fondamentali fissati nel quadro di accordi internazionali e uniformarsi al principio della sussidiarietà.

Il documento sosteneva anche la necessità di promuovere la convergenza e la trasparenza delle pratiche della CSR e dei suoi strumenti nei seguenti ambiti:

1) codici di condotta; 2) norme di gestione; 3) contabilità;

4) etichette;

5) investimento socialmente responsabile.

Al centro dell’analisi della Commissione rimaneva l’impresa per la quale la responsabilità sociale si identificava attraverso l’assunzione di volontari comportamenti responsabili, attraverso la consapevolezza delle ripercussioni sociali, economiche ed ambientali delle proprie prassi ed infine con l’integrazione della CSR nelle stesse scelte gestionali.

La Commissione comunicava di voler integrare la CSR in tutte le politiche dell’Unione Europea ed in particolare nelle politiche dell’occupazione e degli affari sociali, nella politica d’impresa, nella politica dell’ambiente, nella politica dei consumatori, nella politica degli appalti pubblici, nelle politiche estere, di cooperazione allo sviluppo e del commercio.

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E, per concludere, la Comunicazione si rivolgeva alle Amministrazioni pubbliche invitandole a sottoscrivere il programma EMAS, come la stessa Commissione aveva fatto, e ad integrare nelle loro prassi concetti di natura sociale ed ambientale.

La Commissione proponeva, tra l’altro, di organizzare ogni due anni circa un “EU Multi-Stakeholder Forum on CSR”104a livello comunitario, destinato a tutte le parti interessate.

Il Forum, fruendo delle risorse finanziarie, umane e amministrative della Commissione, veniva aperto nell’ottobre 2002 per esaminare e concordare gli orientamenti riguardanti:

1) le relazioni tra CSR e competitività (business case); 2) il contributo della CSR allo sviluppo sostenibile, 3) le specificità delle piccole e medie imprese,

4) l’efficacia dei codici di condotta, basati in particolare sui principi informatori dell’OCSE destinati alle imprese multinazionali,

5) i criteri per la misurazione delle prestazioni,

6) la definizione di linee direttive comuni per programmi di marchi di qualità, 7) le informazioni sulle politiche d’investimento socialmente responsabile dei fondi

d’investimento e dei fondi di pensione.

Tra gli obiettivi del Multistakeholder Forum vi erano quelli di migliorare la conoscenza delle relazioni tra responsabilità sociale e sviluppo sostenibile e di sostenere iniziative comunitarie, tenuto conto delle pregresse esperienze europee e internazionali.

La Commissione europea ha agevolato e presieduto il Forum che riuniva membri di organizzazioni imprenditoriali, gruppi finanziari, sindacati ed organizzazioni non- governative. Al Forum veniva richiesto di presentare prima dell’estate 2004 alla Commissione europea un report e un quadro di conclusioni e raccomandazioni.

Il Forum nel 2002 innanzitutto riaffermava i principi, gli standards e le convenzioni internazionali ed europee, quindi sottolineava gli strumenti di responsabilità sociale su cui era stata raggiunta un’intesa: il coinvolgimento dei manager, l’inserimento della CSR nel core business, la comunicazione chiara circa i benefici risultanti da pratiche di responsabilità sociale.

104 European Multistakeholder Forum on CSR ec.europa.eu/.../corporate-social-responsibility/mul...

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Il Forum raccomandava inoltre alla Commissione di accrescere le competenze di soggetti quali i consulenti d’impresa, le associazioni dei consumatori, gli investitori, i sindacati, i media affinché si aumenti la consapevolezza della CSR, anche attraverso la realizzazione di indagini conoscitive.

Il 29 giugno 2004 a Bruxelles veniva organizzato un meeting finale che presentava, discuteva e approvava i punti di consenso identificati durante i venti mesi di lavoro del forum.

Nel 2006 la Commissione pubblicava la Comunicazione Il partenariato per la crescita e l’occupazione: fare dell’Europa un polo di eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese.

La Commissione evidenziava che erano stati compiuti molti progressi da quando, nel 2000, il Consiglio di Lisbona aveva rivolto un appello al senso di responsabilità delle imprese.

Comunque, dopo aver espresso apprezzamento per il lavoro del Forum, si rivelavano le differenze di opinione emerse in tale sede tra il mondo imprenditoriale e le altre parti in merito agli obblighi di informazione delle imprese o alla necessità di norme europee sulla CSR.

In ogni caso, in tale Comunicazione si enfatizzava la necessità di promuovere l’ulteriore adozione di pratiche di CSR, dedicando particolare attenzione a diversi aspetti: sensibilizzazione, scambio di buone pratiche, sostegno delle iniziative multistakeholder, collaborazione con gli stati membri, informazione rivolta ai consumatori e trasparenza, ricerca, educazione, piccole e medie imprese, dimensione internazionale della responsabilità sociale.

La Commissione si faceva promotrice di un’alleanza europea per la CSR e la descriveva in un documento allegato. “L’alleanza è un quadro politico per iniziative nuove o esistenti in materia di CSR delle grandi imprese, delle PMI e delle parti interessate. L’alleanza è aperta alle imprese europee di qualsiasi dimensione, che sono invitate ad esprimere volontariamente il loro sostegno. Non è uno strumento giuridico che deve essere sottoscritto dalle imprese, dalla Commissione o da un’autorità pubblica … L’alleanza dovrebbe creare nuovi partenariati e nuove prospettive per le parti interessate nel loro sforzo di promuovere la CSR ed è quindi un fattore di mobilitazione di risorse e capacità delle imprese europee e dei loro partner … I risultati dell’alleanza andranno

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intesi come un contributo volontario delle imprese alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona ridefinita e della strategia riveduta per lo sviluppo sostenibile”. Nel 2007 il Parlamento europeo con la Risoluzione del 13 marzo sulla responsabilità sociale delle imprese: un nuovo partenariato, intervenendo sul tema, proponeva all’attenzione della Commissione europea criticità, osservazioni e richieste in materia di responsabilità sociale delle imprese.

Prendendo atto della decisione della Commissione di istituire un’alleanza europea, il Parlamento raccomandava che la stessa Commissione assicurasse un unico punto di coordinamento e concordasse obiettivi e calendari chiari ed una visione strategica che ispirasse l’attività della stessa alleanza.

Il Parlamento evidenziava il legame tra CSR e competitività sostenendo il principio della “competitività responsabile” quale parte integrante del programma della Commissione; riconosceva che la CSR è un motore importante per le imprese e chiedeva l’integrazione di politiche sociali e ambientali.

Per quanto concerneva gli strumenti della CSR, venivano riconosciuti i limiti in relazione alla misurazione della certificazione sociale delle imprese ma, al contempo, veniva ribadito il sostegno ai programmi di ecogestione e audit dell’Unione europea. Si auspicava, inoltre, un miglioramento della regolamentazione e l’integrazione della CSR nelle politiche e nei programmi dell’Unione. Il Parlamento riteneva, infine, che occorresse, da parte della Commissione, accordare maggiore priorità alla promozione di iniziative globali e la invitava, pertanto, ad elaborare linee guida per lo sviluppo di politiche analoghe in tutto il mondo.

Nel 2010 con la Strategia 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva la Commissione europea evidenziava l’impegno per “rinnovare la strategia UE per promuovere la responsabilità sociale come elemento chiave per assicurare nel lungo termine la fiducia dei lavoratori e dei consumatori”.

Negli anni successivi numerose iniziative della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, facevano riferimento alla CSR: tra queste possiamo citare la Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale COM (2010)758, Un’agenda per nuove competenze e per l’occupazione COM(2010)682, Youth on the Move (2010)477, l’Atto per il mercato unico COM (2011)206.

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Nel 2011 la Commissione con una Comunicazione affrontava nuovamente il tema della responsabilità sociale delle imprese presentando una Strategia rinnovata dell’UE per il periodo 2011-14 in materia di responsabilità sociale delle imprese. Questa nuova strategia rispondeva all’esigenza di affrontare le conseguenze della crisi economica che hanno scosso l’intero mondo imprenditoriale oltre che i consumatori. La Commissione intendeva sollecitare comportamenti responsabili delle imprese per una crescita sostenibile e per la creazione di occupazione nel medio e lungo periodo.

Dopo aver valutato positivamente l’impatto della politica europea in materia, la Commissione proponeva una nuova definizione di CSR come “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società” sostenendo che “per soddisfare pienamente la loro responsabilità sociale, le imprese devono avere in atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori, con l’obiettivo di:

- Fare tutto il possibile per creare un valore condiviso tra i loro proprietari/azionisti e gli altri loro soggetti interessati e la società in generale; - Identificare, prevenire e mitigare i loro possibili effetti avversi”.

Riconosceva quale guida autorevole i Principi direttivi dell’OCSE destinati alle imprese multinazionali, i dieci principi del Global Compact delle Nazioni Unite, la norma ISO 26000, la Dichiarazione tripartita dell’OIL e i Principi guida su imprese e diritti umani delle Nazioni Unite.

La Comunicazione presentava il programma d’azione 2011-2014 che intendeva: - promuovere la visibilità della CSR e la diffusione delle buone pratiche; - migliorare e monitorare i livelli di fiducia nelle imprese;

- migliorare i processi di autoregolamentazione e coregolamentazione; - aumentare gli incentivi di mercato per la CSR;

- migliorare la divulgazione da parte delle imprese delle informazioni sociali e ambientali;

- integrare ulteriormente la CSR nell’ambito dell’istruzione, della formazione e della ricerca;

- accentuare l’importanza delle politiche nazionali e subnazionali in materia di CSR;

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- migliorare l’allineamento degli approcci europei e globali alla CSR.

La Commissione concludeva invitando gli imprenditori europei ad adottare prassi responsabili e obiettivi chiari mentre ancora una volta veniva ribadito il carattere volontario della CSR e si riconosceva alle autorità pubbliche soltanto un ruolo di sostegno.

104 4.2 La CSR nelle politiche italiane.

Nel 2002 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, partendo dalla definizione di CSR contenuta nel Libro Verde della Commissione Europea, avviava, in collaborazione con l’Università Bocconi, il Progetto CSR-SC (Corporate Social Responsibility-Social Commitment)105 al fine di favorire lo sviluppo e la promozione della responsabilità sociale, con l’obiettivo di una maggiore trasparenza e convergenza degli strumenti di CSR.

Il progetto si caratterizzava per gli interventi nel sociale, definiti social commitment, che hanno lo scopo di favorire l’attiva partecipazione delle imprese al sostegno del welfare nazionale e locale secondo la moderna logica di integrazione pubblico-privato. Il ruolo del Governo doveva essere quello di identificare le aree e gli ambiti a livello nazionale e locale che necessitavano di interventi e di scegliere i progetti su cui orientare prioritariamente i finanziamenti mentre le imprese potevano volontariamente contribuire alle politiche di welfare. Quindi, secondo gli obiettivi del progetto, l’approccio alla CSR avrebbe dovuto rimanere volontario mentre la cultura della responsabilità sociale sarebbe stata promossa all’interno del sistema socio-economico nazionale.

Il Ministero prevedeva un sistema articolato su due livelli, di cui il Livello CSR, molto sintetico, di facile accesso, strutturato su schemi noti quali ad esempio l’approccio ISO. Prevedeva, per l’implementazione della responsabilità sociale nell’impresa, la definizione di specifiche Linee guida e aveva lo scopo di comunicare la performance aziendale a tutti gli stakeholder dell’impresa in maniera corretta, completa e consapevole. Il secondo livello, Livello Social Statement (SC), consentiva all’impresa che cofinanzi progetti nel sociale di beneficiare di bonus fiscali e di accedere in maniera facilitata al mercato finanziario attraverso i fondi etici.

Il Social Statement rispondeva, insomma, ad una logica di impegno sociale.

Il Ministero elaborava, inoltre, il Social Statement costituito dal set di indicatori che potevano essere usati come linee guida dalle imprese che per la prima volta si avvicinavano alle tematiche della CSR, e come strumento di auto-valutazione,

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monitoraggio e rendicontazione dalle imprese che avevano già applicato strategie di CSR e intendevano partecipare al sistema premiale del Livello SC.

La conformità a questo secondo livello sarebbe stata, in seguito, esaminata da un soggetto terzo per consentire all’impresa di accedere alle azioni di intervento sociale previste dal Ministero e alle agevolazioni fiscali.

Il Social Statement voleva guidare le imprese secondo un approccio flessibile evidenziando i possibili ambiti di applicazione della CSR e metteva in luce le aree critiche di miglioramento a supporto di obiettivi strategici.

Gli indicatori erano strutturati su tre livelli comprendenti le categorie degli stakeholder, le aree tematiche relative ad ogni gruppo di stakeholder oltre che gli indici che forniscono informazioni relative ad uno specifico aspetto.

Nel set di indicatori erano previste otto categorie di stakeholder: - Risorse umane

- Soci/azionisti e comunità finanziaria - Clienti

- Fornitori

- Partner finanziari

- Stato, enti locali e pubblica amministrazione - Comunità

- Ambiente.

Caratteristica distintiva era l’attenzione per le PMI (piccole e medie imprese) che rappresentano una importante componente del modello di sviluppo europeo e la garanzia per i cittadini che l’impegno sociale comunicato sia concreto ed effettivo. Il Progetto italiano rappresentava senz’altro un contributo concreto al raggiungimento di un quadro di riferimento comune utile a minimizzare il rischio di ambiguità legato al proliferare di numerosi standard e modelli di rendicontazione.

Il Progetto CSR-SC prevedeva un protocollo d’intesa con Unioncamere Nazionale e altre associazioni nazionali (Assolombarda, Confapi, ecc.) oltre all’apertura degli sportelli sulla responsabilità sociale d’impresa presso le Camere di Commercio.

Le attività degli sportelli spaziano dall’informazione e dall’orientamento sulla CSR e su temi correlati, all’attività di assistenza circa la compilazione del set di indicatori del

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Social Statement, all’informazione sulle opportunità ed agevolazioni previste per le

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