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Il restauro come atto critico

2. Materiali non tradizionali: teorie “classiche”

2.9 Il restauro come atto critico

Il restauro come “riconoscimento metodologico” situa l'azione della salvaguardia nel campo della critica, del giudizio formulato dalla coscienza del singolo, come Brandi dichiarava già nel Carmine: “Rientrano perciò nella critica, non solo la designazione e la promulgazione dell'opera, ma anche tutti i procedimenti che assicurino e conservino l'opera, senza manomissioni e senza aggiunte alla cultura del futuro. Quindi anche il restauro è critica, anche la collocazione di un'opera...”125.

Sebastiano Barassi, storico del restauro e responsabile delle collezioni del Kettle's Yard Museum di Cambridge, è intervenuto nel dibattito italiano sulla Teoria nel 2004, esaminando da curatore le incompatibilità di questa con l'arte contemporanea126. Il suo intervento è uno dei 121 MUÑOZ-VIÑAS S., 2005, pp. 47-48.

122 BONAMI F., 2007.

123 Come testimonia la soppressione della PARC (Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee) e l’accorpamento delle sue funzioni alla BASAE (Direzione generale per i beni architettonici, storico artistici ed etnoantropologici) sotto la nuova denominazione Direzione generale per le belle arti e il paesaggio. Si veda La rivoluzione di Bondi nasce il supermanager dell' arte, La Repubblica, 13 novembre 2008. Il documento di riorganizzazione del Mibac è stato firmato nel marzo 2009. 124 Convegno Allarme Beni Culturali. Conoscenza, Tutela, Valorizzazione, a 60 anni dall’entrata in vigore

della Costituzione (1 gennaio 1948) e a 70 anni dal Convegno dei Soprintendenti (4-6 luglio 1938),

organizzato dall'Associazione Bianchi Bandinelli, Sala dello Stenditoio del San Michele, Roma, 17 novembre 2008.

125 BRANDI C., 1945, p. 164. 126 BARASSI S., 2004, pp. 2-6.

primi a leggere analiticamente la Teoria in questo contesto, al di là dei richiami costanti nei convegni italiani degli anni Novanta; Barassi è stato invitato nel 2007 a ritornare sul tema nel ciclo di seminari organizzati da GNAM, MAXXI e Associazione Amici di Cesare Brandi127.

Altro riferimento di Barassi è Riegl, che utilizza come fonte storica riadattabile rispetto al contemporaneo nel convegno A Inherent Vice, organizzato dalla TATE modern nel novembre 2007, sulla copia e la replica della scultura contemporanea128.

Barassi ritiene che l'”imperativo etico” alla conservazione, che deriva dal riconoscimento dell'opera d'arte, venga a decadere di fronte ad opere concepite per non durare, e descrive la Teoria brandiana come fondata su presupposti oggettivi: “dall'indiscusso bisogno dell'opera di essere per sua natura conservata e trasmessa al futuro”129. Oblitera in questa lettura, come

molti altri (Muñoz-Viñas), il fondamento del restauro in un atto critico, cioè atto di un soggetto giudicante (e si è visto quanto Brandi sia recisamente giudicante), interdipendente da altri soggetti giudicanti: la nota “triade” interdisciplinare storico dell'arte-restauratore- scienziato che è nella struttura dell'operare dell' ICR dalla sua fondazione.

In più, in Brandi è esplicitato come l'atto critico si compia esclusivamente nel presente, nel cosiddetto “terzo tempo” dell'opera d'arte130, che è quello della sua percezione, e si rapporta di

necessità a condizioni storiche e letture estetiche differenti da quelle in cui l'opera fu concepita.

2.10 “Si restaura solo la materia dell'opera d'arte”

“I mezzi fisici a cui è affidata la trasmissione dell'immagine, non sono affiancati a questa, sono anzi ad essa coestensivi: non c'è la materia da una parte e l'immagine, dall'altra. [...]Una certa parte di codesti mezzi fisici funzionerà da supporto per gli altri ai quali più propriamente è affidata la trasmissione dell'immagine [...]. Così le fondamenta per un'architettura, la tavola o la tela per una pittura e via dicendo”131.

È questo un concetto brandiano in sé liberatorio, in quanto assegna massima libertà di intervento sui “supporti”, fino alla sostituzione, e inventa tecniche di reintegrazione materiali che agiscono, più o meno visibilmente e reversibilmente, sull'immagine dell'opera.

Un concetto criticato ad esempio dagli archeologi, perchè nel suo retaggio idealista, sembrava

127 BARASSI S., 2008, pp. 37-40.

128 BARASSI S., 2007, http://www.tate.org.uk/research/tateresearch/tatepapers/07autumn. Si vedano i paragrafi 8.5, “I Valori di Riegl e la replica del contemporaneo”, e 8.6, “Repliche d'artista”.

129 BARASSI S., 2004. p. 5. 130 BRANDI C., (a) 1963, p. 26. 131 BRANDI C., (a) 1963, p. 7.

privilegiare l'immagine alla materialità dei “supporti”, condannando allo stato di rudere tutte le vestigia archeologiche132. In effetti, come ricostruisce bene Carboni nella monografia del

1992133, l'atteggiamento di Brandi nei testi di teoria dell'arte riflette una concezione della

materia come necessaria ma non essenziale all'estrinsecazione dell'(idea) immagine: “la concezione dell'arte come realtà pura non è inficiata dal fatto che essa «debba servirsi come tramite di una fisicità, poiché la fisicità rappresenta allora solo il supporto, non la sostanza, di quella realtà»”134. Questo “disagio teoretico (e solo teoretico) di Brandi verso la materia, la

struttura tettonica dell'opera”135 sarebbe colmato nella Teoria del restauro dalla considerazione

storica della materia come luogo di sedimentazione del travaglio temporale dell'opera, da salvaguardare nel bilanciamento dialettico con l'istanza estetica, in ogni caso prevalente. Paolo D'Angelo ha sviluppato questo punto136, sottolineando come l'estetica di Brandi non

possa dirsi pienamente idealistica, in quanto la sua designazione della materia segue una via fenomenologica: la materia è “il luogo stesso della manifestazione dell'immagine”137.

L'immagine trascende la materia (la statua non è il marmo di cui è fatta), ma consiste in (esiste grazie a ) quella materia, che va indagata e preservata: “pertanto, se dal punto di vista del riconoscimento dell'opera d'arte come tale ha preminenza assoluta il lato artistico, all'atto che il riconoscimento mira a conservare al futuro la possibilità di quella rivelazione, la consistenza fisica acquista un'importanza primaria”138.

Oggi l'assunto “si restaura solo la materia” è vissuto come limitante perchè obbligherebbe ad agire sulla materia originaria dell'opera, cioè appunto la facies storica, vincolando la conservazione del concetto a materiali molto degradati, perchè intenzionalmente effimeri o impiegati senza coscienza della loro evoluzione nel tempo.

Sebastiano Barassi sottolinea l'impossibilità di adeguare concetti brandiani come “si restaura solo la materia” ad opere che hanno intenti estetici effimeri o di purezza formale (monocromi). Soprattutto contesta l'identificazione dell'opera con la sua immagine, e una definizione dell'arte come assoluta: i molteplici significati del contemporaneo sfuggirebbero a una griglia univoca.

Barassi esordisce con il caso del monocromo: “caso esemplare in cui preservare il materiale originale comporta quasi sempre un'alterazione del messaggio”139. Si noti la definizione del 132 MELUCCO VACCARO A., 1989.

133 CARBONI M., 1992-2004, pp. 140-147.

134 CARBONI M., 1992-2004, p. 141, dal Carmine, p. 48. 135 CARBONI M., 1992-2004, p. 143.

136 D'ANGELO P., (a) 2006; D'ANGELO P., (b) 2006, pp. 315-327. 137 D'ANGELO P., pp. 47-48.

138 BRANDI C., (a) 1963, p. 6. 139 BARASSI S., 2004, p. 2.

“messaggio” (meaning) dell'opera come “ciò che è da conservare”. Gli esempi che Barassi porta vanno dagli Achrome di Manzoni ai Monologues di Callum Innes, pittore scozzese nato nel 1962, che realizza quadri ad olio aggiungendo e asportando strati di colore: in occasione di una sua esposizione al Kettle's Yard Museum (28 luglio-23 settembre 2007) l'artista, in accordo con il curatore, ha ridipinto in prima persona un suo monocromo danneggiato, ritenendone irrestaurabile la delicata texture140. Insieme alle ragioni formali, va considerato

che l'opera era ancora di proprietà dell'artista, condizione che lo ha messo in condizione di operare senza limitazioni istituzionali. I diritti d'autore, uniti a quelli di proprietà, hanno reso questa un'opera “riattivata”, nuova.

“Restaurare solo la materia” impedirebbe di conservare opere immateriali, o costituite da materiali deperibili come quelli dell'arte povera. In sostanza da questo assunto deriverebbe l'attuale cosiddetto “feticismo della materia”: una incerta effettiva resistenza all'idea di sostituire il “materiale originario”, anche nel caso si tratti di motori inservibili di opere di arte cinetica, o della Cornice di fieno di Pascali (1968, GNAM, non esposta) 141 .

La proposta della TATE di replicare le opere di Naum Gabo in plastiche ormai collassate non ha in effetti corrispettivi in Italia, in virtù di un concetto di “autenticità” storicizzato e legato ad una considerazione dei materiali originari come fonte storica insostituibile di studio per gli specialisti, e di fruizione per il pubblico. Questa attitudine, che da un lato tende ad evitare un effetto “luna park” per i musei, si confronta anche con gli effetti della legislazione italiana per la tutela che subisce tagli economici generalizzati e spinte privatistiche142.

Il primo limite della Teoria per Barassi è nella sua “idealistica idiosincrasia per la materia”: la “coestensività” di materia-struttura e materia-aspetto risulta indiscernibile nei 32 mq di mare circa (1967) di Pascali e in un Sacco di Burri, in cui materia e immagine coincidono143. In

verità, come si vedrà in merito al “Progetto Burri”, l'identità di materia e immagine (sacco come materia e come immagine) non implica l'identità di struttura e aspetto: nel Sacco di Burri la struttura c'è, ed è di telaio ed altri tessuti, e il sacco è una pesante pelle superficiale. Quindi Burri non è un caso di studio così lontano da un'opera antica, non fosse per la differenza nei materiali144.

140 BARASSI S., Comunicazione, seminario Varchi brandiani, MAXXI, Roma, 5 novembre 2007. 141 Si veda il paragrafo 6.1 “Il caso Pascali”.

142 Si veda il capitolo 8, “Impertinenza della materia: teorie semiotiche (del meaning)”; in particolare i paragrafi 8.4, “Materiali irrecuperabili: repliche”, 8.5, “I Valori di Riegl e la replica del contemporaneo”.

143 BARASSI S., 2004, p. 3.

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