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La rappresentazione bidimensionale: prodotti vettoriali e raster

4.4 La restituzione fotogrammetrica

L’immagine fotografica, raccogliendo una complessa quantità di informazioni, rappresenta senza dubbio uno strumento insostituibile per chi, nel campo dei Beni Culturali, si trova a dover studiare le forme, le tecniche costruttive e tutti i fenomeni che hanno attinenza con la storia, l’arte, la sociologia dell’ambiente e dell’urbani- stica.

La fotografia però, pur prestandosi a molteplici analisi e costituendo una fonte mnemonica importante, è sog- getta alle leggi della luce e delle deformazioni prospetti- che, che le impediscono di essere utilizzata, così com’è, come strumento di misura e di reperimento di informa- zioni metriche accurate.

Il disegno invece seleziona e dà forma all’informazione geometrica, registrandola e rappresentandola in modo più o meno complesso a seconda dello scopo della rap- presentazione.

Riunendo i vantaggi descrittivi della fotografia con la possibilità di ottenere diverse informazioni metriche, la fotogrammetria risulta indispensabile per documentare l’archeologia e l’architettura; inoltre non va dimenticato che un’immagine è una memoria globale di cui si può sempre disporre per produrre, attraverso un ampio ven- taglio di elaborazioni numeriche e grafiche, un’analisi più o meno accurata delle forme, dimensioni e propor- zioni di un oggetto, in certi casi senza simbolismi e in- terpretazioni soggettive, anche nel caso estremo in cui questo non esista più.

Rispetto ai sensori attivi, i rilievi fotogrammetrici uti- lizzano immagini che contengono tutte le informazioni (geometria e tessitura) utili alla restituzione di modelli 3D. Inoltre con la fotogrammetria è possibile rilevare, impiegando immagini di archivio, oggetti o scene che non sono più disponibili o sono state danneggiate2. Gli

strumenti fotogrammetrici (camere e software) sono ge- neralmente meno costosi (è possibile utilizzare camere

digitali commerciali, oltre che telefoni cellulari), porta- tili e semplici da utilizzare.

La fotogrammetria può essere applicata utilizzando una singola immagine (ad esempio per applicazioni quali il fotoraddrizzamento e il monoplotting), o coppie (ste- reo) o più immagini (bundle-block adjustment). Per ap- plicazioni di fotoraddrizzamento, una singola immagine viene rettificata rispetto ad un piano di riferimento uti- lizzando una trasformazione proiettiva e conoscendo le coordinate di almeno 4 punti.

La fotogrammetria, nasce come applicazione della to- pografia per il rilievo di zone impervie e inaccessibili e si sviluppa dalla metà dell’800, quando il fisico Arago presentò all’Accademia francese un trattato sull’utilità delle fotografie nel rilievo dei monumenti e nell’ese- cuzione dei lavori topografici.

Dopo qualche anno gli italiani Porro e Paganini con l’aiuto di altri stranieri diedero un contributo ulteriore al suo sviluppo impiegando camere fotografiche co- struite per lo specifico impiego.

La restituzione del terreno graficamente veniva fatta per punti eseguendo le misure con regoli e settori gra- duati e risolvendo i problemi di livellazione trigono- metrica e di intersezione in avanti.

Con l’avvento del digitale le operazioni fotogramme- triche si sono fortemente semplificate, ma in definitiva che cosa è cambiato con l’introduzione del digitale? Sintetizzando, potremmo così definire quanto è avve- nuto: è stato “semplicemente” sostituito il supporto di registrazione delle immagini, si è passati dalla pellico- la, ai sensori al silicio, lasciando che i supporti emul- sionati con sali di argento venissero utilizzati solo per alcuni grandi formati o per un impiego riservato agli amanti del genere.

Nella fotografia l’immagine si realizza per mezzo del- la registrazione di una radiazione su di un supporto,

quando avviene attraverso la reazione di sali di argen- to, spalmati su pellicola o su carta, è detta analogica, quindi si realizza attraverso un processo di tipo chimi- co. Mentre, quando la registrazione avviene attraverso un “chip”, è detta digitale, il sensore infatti è deputato a convertire le onde luminose in cariche elettriche che vengono trasformate in informazioni digitali, attraver- so un processo elettrico, pertanto fisico. E’ questa, in estrema sintesi, la grande differenza fra la fotografia

analogica e la fotografia digitale.

I sensori digitali hanno rivoluzionato la fotografia andando a sostituire la quasi totalità delle pellicole e lastre presenti sul mercato. Il loro funzionamento si basa sulla capacità di cui dispongono i “fotodiodi” di convertire l’intensità della luce in una carica elettrica di modesta entità. Ogni fotodiodo corrisponde ad un elemento di immagine, ovvero un pixel. Ogni sensore per fotografia è formato da un certo numero di pixel,

Fotopiani della Sala del Pilastri Dorici a Villa Adriana, Tivoli.

nel numero di qualche milione, a seconda della tipolo- gia di fotocamera utilizzata. Quindi maggiore sarà il numero di pixel presenti sul sensore migliore sarà la definizione delle immagini che sarà in grado di fornire. E’ comunque necessario specificare che a formare la qualità dell’immagine non è solo il numero dei pixel ma anche la loro dimensione, assieme alla tipologia di sensore ed al processore e gli algoritmi che utilizzati per elaborare l’immagine.

Il componente principale del sensore è il fotodiodo, anzi i fotodiodi, che costituiscono la superficie del sensore. Per indirizzare meglio la luce verso la sua su- perficie sensibile ogni fotodiodo è provvisto di una microlente. Inoltre nel sensore sono presenti i circuiti elettronici per la trasmissione e la prima elaborazione del segnale. Con questa architettura un sensore sareb- be capace di restituire immagini in bianco e nero, ma non a colori, pertanto anche i sensori hanno necessità di filtrare la luce secondo i colori in cui questa è scom- ponibile: il rosso, il verde e il blu (Red Green Blue RGB). A tal fine è stato adottato un filtro posto davan- ti al sensore che dispone di un filtro mosaicato RGB dove sono filtrati con il colore verde il 50% dei pixel e con i colori blu e rosso per il 25% ciascuno, tale filtro è detto filtro Bayer3. Ad imitazione delle pellicole a

colori, è stato sviluppato un sensore che come la pelli- cola ha sovrapposto tre strati di pixel, il “foveon”4, che

riesce a produrre immagini molto definite con estesa gamma dinamica e di grande qualità, ma ha bassa sen- sibilità ISO e soffre le alte sensibilità.

Il segnale elettrico emesso dal fotodiodo deve comun- que essere convertito in immagine, pertanto necessità di essere elaborato. Alcune elaborazioni avvengono direttamente nei circuiti del sensore mentre altre sono effettuate dal processore che governa la fotocamera. A questo fine è opportuno specificare che esistono due tipologie ben distinte di sensori, i CCD (Charge- Coupled Device) ed i CMOS (Complementary Metal- Oxide-Semiconductor), la principale caratteristica che li differenzia, è che i primi hanno i circuiti di elabora- zione a valle del sensore mentre per i secondi la prima elaborazione del segnale avviene singolarmente per ogni pixel, ne consegue che i CCD avranno un nume- ro minore di circuiti elettrici al loro interno, mentre i CMOS ne hanno un numero maggiore, è evidente pertanto che la luce dovendo raggiungere l’elemento sensibile del fotodiodo che è posto sotto i circuiti ri- sulti maggiormente ostacolata nei sensori CMOS. Per ovviare a questo problema è stata messa a punto una nuova generazione di sensori CMOS nei quali si è riu- sciti a spostare i circuiti sotto l’elemento sensibile del fotodiodo. Grazie alla loro possibilità di gestire meglio gli alti ISO, i sensori CMOS, hanno ormai quasi satu- rato il mercato delle fotocamere reflex e delle compat- te, mentre i CCD rimangono ancora leader del mercato di dorsi digitali e fotocamere di medio formato. Il segnale ricevuto dal fotodiodo viene amplificato e convertito in codice binario: 1 (acceso), 0 (spento), dove 0 è il nero e 1 il bianco. Ma con una conversio- ne a un bit come quella appena descritta, si perdono tutti gli eventuali toni intermedi, pertanto è necessario un convertitore che permetta di ottenere un maggior numero di toni di grigio: con 4 bit si può disporre di 16 tonalità di grigio, con 8 bit 256 e con 12 bit 4096, quest’ultima rappresenta una scalatura ottimale fra il bianco ed il nero, ragion per cui i produttori sono orientati a produrre fotocamere con elaborazioni a 12 e 14 bit.

Schematizzazione dei componenti di una macchina fotografica reflex.

4.5 La restituzione della fotogrammetria non