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Ricerca quantitativa, qualitativa e metodi misti

SEZIONE 2: LA RICERCA

10.2 Ricerca quantitativa, qualitativa e metodi misti

Il disegno di ricerca prende avvio dalle scelte paradigmatiche che il ricercatore effettua prima di avviare il percorso esplorativo, sulla base delle diverse concezioni della realtà e delle differenti strategie da adottare per rilevare, analizzare e interpretare i dati. Il risultato delle scelte sfocia in una ricerca quantitativa, in una ricerca qualitativa, o nell’integrazione delle due forme adottando i metodi misti.

Storicamente le due diverse forme di ricerca sono state contrapposte dagli studiosi, accendendo diversi dibattiti in merito all’adozione di metodi quantitativi o qualitativi, se privilegiare il dato numerico o le parole dei soggetti. Oggi nella ricerca educativa si tende a un uso integrato delle due forme (Coggi, Ricchiardi, 2005) per cercare di studiare il fenomeno in modo globale. Il combinare i metodi di ricerca sembra essere una modalità vincente per rispondere alle domande di ricerca (Picci, 2012). Per alcuni studiosi, Lumbelli (1984), Calvani (1998), Campelli (1996), Mantovani (1998) e Pellerey (2011) ci sarebbe una falsa dicotomia tra quantitativo e qualitativo: entrambi sarebbero necessari per studiare un fenomeno e offrire una versione più simile possibile alla realtà. All’opposto, c’è chi sostiene che i due metodi siano inconciliabili (Brady, O’Regan, 2009), in quanto ci sarebbero due diversi obiettivi: quantificare o capire. A partire dal primo articolo che contiene l’espressione mixed methods (Parkhurst et al., 1972) c’è una vasta letteratura che sostiene l’efficacia dell’integrazione dei due metodi per: dimostrare un legame teorico tra aspetti diversi di un medesimo fenomeno e spiegarne la natura (Teddlie, Tasakkori, 2009); per migliorare le inferenze, incrementare la validità dei dati e approfondire la compresione utilizzando, appunto, entrambi i modi per esplorare la realtà (Johnson, Onwuegbuzie, 2004). I metodi si possono integrare in tutte le fasi della ricerca (disegno integrato) o si possono alternare, per esempio il disegno sequenziale esplicativo prevede una prima fase quantitativa e poi un approfondimento attraverso l’analisi qualitativa; al contrario si parla di disegno sequenziale esplorativo quando si inizia la ricerca adottando un metodo qualitativo

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esplorativo e si approfondisce il fenomeno costruendo strumenti di indagine di tipo quantitativo sulla base dei dati raccolti durante la prima fase esplorativa.

Per capire meglio i metodi misti, cercheremo di mettere in luce alcuni aspetti della ricerca quantitativa, distinguendoli da quelli propri della ricerca qualitativa.

La ricerca quantitativa ha come scopo quello di spiegare o descrivere o prevedere eventi osservabili, studiando le relazioni tra i fattori. La realtà empirica viene studiata attraverso l’individuazione e la misurazione di alcune variabili, previa la formulazione di ipotesi che il ricercatore formula sulla base di teorie e ricerche precedenti. Le ipotesi, nella ricerca quantitativa, sono le fondamenta di tutto lo studio, in quanto l’obiettivo è verificare la veridicità attraverso l’analisi dei dati empirici (vedi paragrafo 10.5).

La validità delle conclusioni, che porta a ritenere vere o false le ipotesi iniziali, è data dall’identificazione e dal controllo delle variabili attraverso un rigore metodologico (quest’ultimo è proprio anche della ricerca qualitativa) derivato dall’utilizzo di strumenti di rilevazione fortemente strutturati, attraverso la classificazione dei dati in categorie prefissate e la misurazione di frequenze o intensità di una o più variabili. Le suddette misurazioni sono tipiche della ricerca quantitativa, in quanto i risultati sono di tipo numerico e le analisi si avvalgono della logica (quest’ultima riguarda anche la ricerca qualitativa) e della statistica.

L’analisi di un determinato fenomeno avviene considerando una grande quantità di soggetti (diversamente dalla ricerca qualitativa) in quanto si crede che la realtà rispecchi una maggioranza, di conseguenza più è ampio un campione, più un fenomeno si ripete, maggiore è la probabilità che tale risposta sia generalizzabile e vera per tutti; per questo la ricerca quantitativa è anche detta nomotetica, perché mira a formulare teorie generali o modelli che si spingono oltre il campione utilizzato nello studio.

La ricerca qualitativa, invece, ha l’obiettivo di comprendere la realtà e approfondire alcune specificità mediante il coinvolgimento del ricercatore. In questo senso, si parla di approccio idiografico, in quanto, lo scopo è di studiare il particolare, il singolo, le ripetizioni di un fenomeno e non lo studio della legge generale, come avviene nella ricerca quantitativa.

La ricerca qualitativa procede in maniera induttiva: dall’osservazione dei particolari si avviano le interpretazioni, senza la pretesa di generalizzare.

Come sostengono Coggi e Ricchiardi (2005) ci sono due filoni di pensiero in merito alla formulazione delle ipotesi nella ricerca qualitativa: chi ritiene che la ricerca debba fondarsi su delle ipotesi, anche generiche, per poi confrontarle con i dati raccolti e riformularle sulla base delle osservazioni; c’è chi pensa, invece, che il ricercatore non debba formulare delle ipotesi in quanto esse devierebbero le modalità di raccolta dati e la loro interpretazione; inoltre, esse indurrebbero il ricercatore a

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sottovalutare aspetti nascosti, proprio a causa dei pregiudizi che potrebbero sorgere dalle stesse ipotesi. La ricerca qualitativa, proprio per evitare che il ricercatore si faccia condizionare dalle proprie attese, fondate sulle ipotesi di partenza, evita tesi rigide e categorie predeterminate per l’analisi dei dati. Chi aderisce ai metodi qualitativi sceglie delle modalità di rilevazione flessibili, lasciando spazio al cambiamento che potrebbe verificarsi nel contesto.

La ricerca qualitativa in educazione si propone di studiare ciò che avviene nei contesti educativi e formativi, tenendo in considerazione forme di intersoggettività. Durante tutto il percorso di ricerca il contesto, inteso come storico- culturale e non solo “fisico”, risulta essere un componente fondamentale, a differenza della ricerca quantitativa dove esso assume un peso inferiore, privilegiando così un approccio olistico. La ricerca qualitativa predilige lo studio degli esseri umani nel loro contesto naturale attraverso le interazioni.

Il ricercatore che sceglie di utilizzare approcci qualitativi tende a studiare piccoli gruppi di soggetti o un unico caso per approfondire alcuni fenomeni, tralasciando le frequenze, per riflettere sulle diverse sfumature che offre l’essere umano e, nel nostro caso, la relazione educativa. La selezione del campione non avviene sulla base di tecniche di generalizzazione dei risultati, come nella ricerca quantitativa, ma sulla base di gruppi di soggetti interessanti di per sé, come casi unici e irripetibili, per le loro peculiarità o per un particolare legame con una determinata realtà storico-sociale. La selezione del campione avviene sulla base della rappresentatività, che dunque per alcuni aspetti potrebbe essere una condizione necessaria anche se non sufficiente per la generalizzazione dei risultati. Quest’ultima, se da un lato, non avrebbe senso nella ricerca qualitativa, se si ritiene che sia impossibile tenere in considerazione tutte le differenze individuali e le variabili contestuali, ritenendo che i soggetti, seppur con dei tratti in comune, non sarebbero paragonabili l’un l’altro; dall’altro lato si crede che quando si raggiunge il livello di saturazione sia possibile generalizzare (vedi paragrafo 10.6). Infine, se da una parte si potrebbe mettere in discussione la generalizzazione, in quanto il tempo sarebbe un aspetto fondamentale nel mutamento delle interpretazioni di un medesimo individuo per lo stesso fenomeno, dall’altra parte ogni ricerca tende a “cristalizzare” il fenomeno e dunque il fattore tempo non verrebbe considerato.

La validità dei risultati, nella ricerca qualitativa, viene promossa attraverso la triangolazione degli osservatori e dei punti di vista, condividendo la banca dati con altri ricercatori che possono offrire diverse interpretazioni.

In educazione le principali forme di ricerca qualitativa sono: la ricerca etnografica, lo studio di caso, la ricerca-azione (Baldacci, Frabboni, 2013).

Qualora l’obiettivo di una ricerca sia comprendere o intervenire nei contesti educativi la forma qualitativa sembra in grado di rispondere meglio alla complessità, rispetto a quanto possa offrire la

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ricerca quantitativa. La ricerca qualitativa, come già detto, si distingue per un disegno complesso, globale e flessibile. Secondo Janesick (1998, p. 91), infatti, quest’ultimo sarebbe anche:

[…] olistico, finalizzato a comprendere l’immagine complessa del contesto sociale che viene studiato […] si centra sulle relazioni all’interno di un sistema o in una subcultura […] si riferisce alle interazioni personali immediate dirette in unn dato contesto […] si focalizza sulla comprensione del contesto sociale piuttosto che sulla previsione e il controllo […] richiede di dividere a metà il tempo tra il lavoro sul campo e l’analisi dei dati […] incorpora una descrizione completa del ruolo del ricercatore; interpreta il ricercatore come strumento di ricerca; incorpora la documentazione del consenso informato ed è sensibile alle implicazioni etiche dello studio.

In ambito internazionale, molti sono gli autori che sostengono che si possano integrare i due approcci, come già anticipato, fino a giungere alla tesi dei “metodi misti” (Johnson, Onwuegbuzie, 2004; Mason, 2006; Greene, 2008), basandosi sul cosiddetto pragmatismo riscoperto da Murphy (1990) e da Cherryholmes (1992), ripercorrendo gli studi di Dewey, Peirce e james (Vannini, 2012). Sembra, infatti, che nella pratica della ricerca siano molti i ricercatori che combinano approcci quantitativi e qualitativi.

Tuttavia, è importante sottolineare le diverse finalità del paradigma fenomenologico-qualitativo e quantitativo-sperimentale: il primo risponderebbe alla necessità di studiare le pratiche educative affinchè si possano cambiare le azioni di insegnanti ed educatori, mentre il secondo risponderebbe alla logica della politica scolastica, maggiormente orientata alle quantità di determinati fenomeni (Husen, 1993). Noi ci siamo orientati verso il primo.

Secondo Lumbelli (2001), l’approccio quantitativo è migliore quando si vogliono indagare alcune situazioni didattiche, in quanto, grazie alla scomposizione del fenomeno in variabili, si eviterebbe il coinvolgimento del ricercatore con il problema di ricerca, evitando dunque che la soggettività possa influenzare le diverse fasi di ricerca.

A partire dagli anni Ottanta, i metodi di ricerca qualitativi ed etnografici hanno dominato gli studi sulla didattica; la complessità dell’insegnamento, intesa come attività culturale, è stata indagata mettendo in evidenza come gli insegnanti, nonostante imparino le metodologie di insegnamento attraverso l’istruzione formale, essi però adottano tecniche didattiche che replicano sulla base dei loro vissuti passati, spingendo così i ricercatori a focalizzarsi sui livelli micro-etnografici (Dressman, Journell, Mann, 2012).

Come ritiene Dressman (2008) l’applicazione dei metodi qualitativi per studiare i fenomeni educativi sta aumentando. L’espansione sembra essere collegata a due fattori: la divisione all’interno delle scienze sociali tra la ricerca di narrazioni e il recupero di “leggi” del comportamento sociale, all’interno di contesti naturali e, in secondo luogo, la flessibilità dei ruoli tra ricercatore, l’attore

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indagato (talvolta gli insegnanti) e i laureandi (spesso coinvolti nelle ricerche). Si pensa che i metodi qualitativi non possano mancare nella ricerca in educazione, in quanto forniscono dati utili per capire e approfondire un fenomeno attraverso le possibili spiegazioni e interpretazioni dei soggetti coinvolti. I metodi qualitativi privilegiano alcune tecniche di rilevazione dei dati, come: le note di campo, le interviste, le foto, le videoregistrazioni o documenti che sembrano essere alla portata di tutti. Il rischio però è quello di produrre report informali anziché ricerche qualitative rigorose (Dressman, Journell, Mann, 2012).

Secondo noi, è indispensabile che il ricercatore sia consapevole delle diverse modalità di ricerca, scegliendo quella più adatta per rispondere al problema educativo, che si è posto di studiare. Ci orientiamo, quindi, verso un approccio qualitativo, senza precluderci la possibilità di integrare con delle analisi quantitative, al fine di capire la frequenza di una determinata risposta all’interno del campione selezionato.

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