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La ricerca condotta da chi scrive è stata realizzata con lo scopo di indagare sulle modalità di espressione del sentimento religioso da parte dei ragazzi immigrati in un contesto plurale come quello italiano. L’attenzione si è concentrata soprattutto sulla religione musulmana poiché, riproponendo un discorso di tipo identitario, l’islam rappresenta sicuramente il terreno meno stabile su cui i giovani migranti possono creare, nel paese ospitante, una nuova “faccia” del proprio essere. Per questa ragione è 49 L. Salviati, Made In.It, Le seconde generazioni di migranti in Italia, disponibile al sito www.cestim.org/35secondegenerazioni.htm

interessante notare come i ragazzi e le ragazze musulmane gestiscono la “diversità” all’interno di una società che continua a percepire “il musulmano” come una categoria stabile nel tempo, identica in ogni contesto e immune a ogni processo di modernizzazione.

Invece, i giovani di religione islamica con la loro presenza e attività mettono a dura prova i pregiudizi e gli stereotipi della società italiana, presentando un nuovo tipo di islam che si discosta molto da quello mostrato dai media, soprattutto dopo i fatti dell’11 settembre. È un islam plurale, in cui convergono diverse realtà, e in cui si supera, grazie alla spinta innovatrice delle nuove generazioni, l’islam etnico. Una delle conseguenze di questa disgregazione dell’islam etnico è, per questi ragazzi, sia la creazione di una dimensione religiosa più privata e soggettiva e sia la scoperta del gruppo, delle associazioni, della “militanza” per rivivere le proprie origini. In tutto questo, converge sempre l’esperienza migratoria e l’abbandono della terra natia. Inoltre, la ricerca si concentra particolarmente sui giovani musulmani immigrati perché è utile rilevare come l’interesse e la curiosità dell’opinione pubblica, soprattutto dopo i recenti fatti di cronaca, li impegni costantemente in

quello che Sayad chiama “rivolta dello stigma”50, ovvero un tentativo continuo di liberarsi dall’immagine distorta di sé stessi che i media proiettano sulla società.

Dunque la domanda di fondo della ricerca è: cosa significa essere in Italia un giovane-immigrato-musulmano? Si tratta di comprendere come “le pratiche discorsive degli attori

sociali siano inestricabilmente legate agli affanni e ai piaceri della vita quotidiana”51.

Metodologia della ricerca

Le narrazioni dei giovani intervistati sono state raccolte nell’arco di quattro mesi (marzo-aprile-maggio-giugno 2006). Nel corso di questi mesi, chi scrive ha svolto anche un’osservazione partecipante che, di regola, ha seguito la fase dell’intervista. Lo scopo di tale osservazione è stato, principalmente, quello di rilevare la veridicità delle affermazioni e delle auto-definizioni del sé fatte durante l’intervista; tali dichiarazioni potevano essere condizionate 50 A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle

sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, pag.

330

51 M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001 citato in J. Cesari, A. Pacini, Giovani musulmani in Europa.

Tipologie di appartenenza religiosa e dinamiche socio-culturali,

dalla voglia di dare una buona impressione, giustificata dalla presenza non solo dell’intervistatrice, ma anche di una videocamera impostata a primo piano. In secondo luogo, l’osservazione partecipante è servita per socializzare con gli intervistati e per conoscere realmente e praticamente la loro vita quotidiana, a volte intrisa di un’assidua pratica religiosa. Per tutti questi motivi, è stata molto utile la presenza e partecipazione alle diverse attività culturali e folcloristiche in cui i soggetti intervistati sono stati impegnati, come la festa organizzata nella ricorrenza del capodanno del Bengala (dal 21 al 25 aprile), la “fiera della cultura islamica” ( dal 29 giugno all’ 1 luglio) e ad alcune attività della moschea Al-Huda di Roma.

Le interviste vere e proprie sono state svolte dopo aver sempre stabilito con l’intervistato/a un contatto diretto e confidenziale che permetteva una più libera espressione delle proprie idee. Si è trattato di interviste in profondità, di colloqui basati su uno schema di domande stabilite all’inizio della ricerca per dare una minima omogeneità a tutte le narrazioni52. La tipologia delle domande rispondeva all’esigenza di indagare su tre aree tematiche principali: l’ 52 Lo schema integrale delle interviste si trova in appendice. Le domande non sono mai state fatte in modo identico per ogni intervista poiché si è preferito seguire la specificità di ogni conversazione.

esperienza migratoria personale e in alcuni casi quella dei genitori (paese di partenza, età, motivi della scelta, ecc..), il rapporto con il paese ospitante (accoglienza, lavoro, gruppo dei pari, ecc..) e infine l’identificazione religiosa (pratica, associazionismo, ecc.). Come è stato già detto precedentemente, l’intervistato/a è stato invitato/a a parlare di fronte a una videocamera impostata a primo piano. La proposta non ha sempre ricevuto consensi, almeno in un primo tempo. È interessante notare come la presenza della videocamera sia stata un buono stimolo per la ricerca perché il fatto di non rendere anonimi i racconti ma di dargli una “faccia”, rendeva i ragazzi/e particolarmente attenti nel “misurare” le parole e nel renderle a tutti i costi chiare. In alcuni casi, la videocamera ha “costretto” qualcuno a vestirsi anche in un modo inconsueto per la propria persona (vestiti etnici), ma adatto a rappresentarlo.

Le interviste registrate e trascritte sono state dieci in tutto, di cui quattro fatte a ragazzi musulmani e sei fatte e ragazze musulmane.

La costruzione del gruppo degli intervistati

Il gruppo degli intervistati non è stato scelto a priori, ma la sua composizione è stata decisa nel corso della ricerca. Tutti i ragazzi/e intervistate sono testimoni privilegiati di una particolare esperienza migratoria e di uno specifico rapporto con la religione. Per non ottenere racconti omogenei, si è deciso di non stringere rapporti solo con i giovani musulmani impegnati nella vita e nelle dinamiche della moschea, ma anche con i ragazzi che vivono la religione in una dimensione più intima e personale, a volte estranei all’associazionismo per paura di un giudizio perché poco praticanti.

In tutti i casi, essi rappresentano quelli che Chantal Saint-Blancat definisce come i “giovani musulmani della

diaspora”53, ovvero ragazzi che partecipano ad una doppia cultura e che difficilmente si lasciano imprigionare in una logica di identificazione essenzialista, tutti consci di non avere solo un’identità di tipo religioso, ma una pluralità di esperienze e volontà.

53 C. Saint-Blancat, La trasmissione dell’islam alle nuove generazioni

della diaspora, pag. 15 in J. Cesari, A. Pacini, Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza religiosa e dinamiche socio-culturali, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2005

Ecco una breve presentazione dei giovani musulmani intervistati:

- Aziz, 32 anni del Sudan. Vive da tre anni a Roma. In Italia ha asilo politico. Non lavora perché non può fare lavori “pesanti” o che richiedono di stare per molte ore in piedi perché ha una protesi alla gamba. Questo handicap è stato causato dallo scoppio di una mina-antiuomo in Sudan. Da quasi un anno vive in una struttura ricettiva composta da diversi appartamenti che il Comune di Roma ha fornito alla comunità africana. - Safi, 29 anni del Bangladesh. Vive da otto anni a

Roma. Ha viaggiato molto e conosce quasi tre lingue. Lavora come facchino e reception in un grande e prestigioso hotel di Roma. In più gestisce un’internet point con un suo connazionale.

- Assia, 23 anni del Marocco. Vive da quasi dieci anni a Roma. È arrivata in Italia per ricongiungimento familiare, poiché la madre lavorava già da qualche anno qui. Studia Lingue e letteratura straniera all’Università “la Sapienza” e lavora come centralinista in un call-center. Frequenta assiduamente la moschea.

- Ruben, 25 anni del Bangladesh. Vive da più di quattro anni a Roma. Lavora in un ristorante nel centro della capitale con clientela prevalentemente turistica. - Moe, 23 anni del Bangladesh. È a Roma da dieci

anni anche se ha viaggiato molto in tutta Europa perché impegnata nell’attività di fotomodella. Adesso ha lasciato questa professione per amore e lavora da tre anni in una gelateria.

- Karima, 18 anni italiana ma con origini palestinesi. È nata in Italia da padre palestinese, trasferitosi in Italia a 18 anni, e madre italiana. Ha vissuto per qualche anno a Modena e ora vive a Civita Castellana. Frequenta il quarto anno del liceo scientifico e il suo luogo di socializzazione è prevalentemente la moschea.

- Imen, 21 anni della Tunisia. È in Italia da sette anni perché figlia di un rifugiato politico. Attualmente il padre è presidente della moschea Al-Huda di Roma e lei è molto attenta alle attività culturali della moschea. Studia Economia, precisamente “Cooperazione e Sviluppo” all’Università “la Sapienza” di Roma.

- Fatma, 25 anni della Tunisia. È sorella di Imen, quindi anche lei è in Italia da sette anni. Studia Lettere e

Filosofia presso l’Università “la Sapienza” di Roma. È sposata e attualmente incinta.

- Pintu, 30 anni del Bangladesh. Vive a Roma da sette anni. Lavora in un negozio di arredamento etnico. In più gestisce con Safi un’internet point.

- Shaima, 21 anni della Tunisia. È a Roma da quattordici anni. Ha frequentato tutte le scuole dell’obbligo in Italia e, al momento, studia “Cooperazione e Sviluppo” all’Università “la Sapienza” di Roma. Frequenta assiduamente la moschea.

Dopo questa breve ma doverosa presentazione, verranno riprese le linee guida delle interviste e comparate tra loro procedendo, come è stato già detto, secondo tre grandi temi: l’esperienza migratoria, rapporto con il paese ospitante e identificazione religiosa.