• Non ci sono risultati.

Negli studi sull’immigrazione, il termine “giovani” è stato quasi sempre utilizzato per definire i figli degli immigrati, ovvero la seconda generazione. Su di essi, come è stato già detto, c’è una grande attenzione, probabilmente perché la loro educazione e il loro inserimento è responsabilità del paese ospitante. Però, l’etichetta di “immigrati” non è sempre del tutto adatta a definirli poiché essi, nascendo e crescendo in Italia, dell’esperienza migratoria conoscono ben poco.

Pertanto, a rientrare nella categoria dei giovani immigrati ci sono, anche,tutti quei ragazzi e ragazze che lasciano la loro patria nella cosiddetta età adulta, ovvero dopo aver concluso la fase della scolarizzazione primaria e secondaria. Per loro, lasciare la terra d’origine non è un’imposizione dettata dalle esigenze dei genitori, ma è una vera e propria scelta di vita che il più delle volte viene vissuta entusiasticamente. Essi rappresentano quasi la maggioranza tra il totale degli immigrati e i motivi sono facilmente intuibili. Innanzitutto, è la stessa struttura demografica italiana a richiedere più giovani soprattutto per tutti quei lavori relegati agli immigrati perché troppo “pesanti” o poco apprezzati, come l’assistenza agli anziani. In secondo luogo, la scelta migratoria è vissuta diversamente da un ragazzo di vent’anni piuttosto che da un uomo adulto, anche per una questione di elasticità mentale e di capacità di adattamento. Per un ragazzo o una ragazza emigrare significa sapersi e volersi adattare in un paese completamente nuovo e diverso da quello natale. Questo aspetto è facilmente visibile anche a colpo d’occhio; “essere alla moda” è una vera e propria esigenza per rendersi “simili”.

Sono i cosiddetti ragazzi e ragazze delle “terre di mezzo”41, impigliati tra due mondi, quello da cui provengono e quello in cui vivono quotidianamente. Concentrarsi su di essi è interessante quanto stimolante perché vivono camaleonticamente ogni esperienza, abituati a cambiare “colore” per rispondere ad aspettative e a sollecitazioni differenti. Ma non sono solo gli atteggiamenti a cambiare. Entrano in questo processo di creolizzazione42 tutti gli aspetti della propria cultura tra cui anche la religione. È questo l’aspetto che verrà approfondito nel prossimo capitolo, lasciando, come detto più volte, spazio alle parole e ai racconti dei giovani migranti.

41 G. Favaro, Le ragazze e i ragazzi delle terre di mezzo, disponibile al sito www.alef-fvg.it/immigrazione/ temi/giovani/reggio2005/favaro.pdf 42 L. Salviati, Made In.It, Le seconde generazioni di migranti in Italia, disponibile al sito www.cestim.org/35secondegenerazioni.htm

CAPITOLO 4

GIOVANI IMMIGRATI E RELIGIONE IN ITALIA: L’ISLAM COME FATTORE IDENTITARIO

“La religione fornisce un codice quando la cultura è in crisi: permette di trovare un’identità quando non ci sono più punti di riferimento culturali” (Oliver Roy, 1996)

4.1 Introduzione

I ragazzi che arrivano in Italia non sono semplicemente degli immigrati ma sono portatori di una cultura nuova che sarà ricchezza anche per il paese ospitante. Essi saranno costantemente in bilico tra istanze culturali diverse e, a volte, in contrasto: quelle di cui sono portatori e che sono strettamente legate al paese d’origine e quelle del nuovo contesto in cui vivono. Ciò li porterà a vivere intimamente una sorta di “ricostruzione” dell’Io dove ogni “tassello” avrà diversa origine e fattezza.

La religione è di certo uno tra i fattori più importanti per la realizzazione di quelle che Oliver Roy chiama neoetnicità43, ovvero nuove identità sintetiche costituite mettendo in risalto tutti quei “marcatori” etnici e culturali che aiutano a definire il sé.

Per un giovane migrante, darsi un’etnicizzazione di tipo religioso è un modo per auto-definirsi all’interno di un contesto nuovo e plurale. In alcuni casi la religione sarà il principale punto di riferimento per orientarsi nella nuova società, per cui la pratica regolare del proprio credo è la risposta ad un’esigenza interiore. In altri casi, la religione è vissuta più sul registro dell’identificazione simbolica che su quello della pratica reale. Comunque sia, l’universo religioso non si limiterà solo a rafforzare le identità preesistenti dei giovani migranti, ma offrirà risorse per costituire quelle che Appadurai chiama ideoscape44, ovvero paesaggi mentali, mondi in cui rientrano tutti quegli aspetti etici e sociali desiderabili.

43 O. Roy, Global Muslim. Le radici occidentali del nuovo Islam, Feltrinelli Editore, Milano 2003, pag. 52

44 A. Appadurai, Cultura globale: nazionalismo, globalizzazione e

modernità, Seam, Roma 1996 citato in J. Cesari, La leadership islamica in Europa: tra fondamentalismo e cosmopolitismo in J. Cesari, A.

Pacini, Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza

religiosa e dinamiche socio-culturali, Edizioni Fondazione Giovanni

Ciò che è importante sottolineare è che per i giovani immigrati o figli di immigrati, l’identificazione religiosa non è mai, neanche nel caso di praticanti perfetti, totalizzante, ovvero non è l’unica identificazione possibile, ma essa emerge in mezzo a tante altre di diversa natura: appartenenza etnica, ruolo sociale, posizione all’interno di una rete di relazioni, ecc. A tal proposito, Annalisa Frisina, ricercatrice da sempre impegnata sul fronte del rapporto tra giovani musulmani e società, individua tre tipi di identificazioni45:

- “identificazioni larghe”, come quelle legate a una cultura giovanile di appartenenza in cui rientrano diversi aspetti come la musica, la vita della strada, ecc.

- “identificazioni conflittuali” legate a trasformazione di genere (e generazione)

- le molteplici espressioni dell’identificazione religiosa e dei suoi legami con l’appartenenza territoriale.

Tra le “identificazioni religiose” possibili ritroviamo quella con l’islam che rappresenta per molti giovani immigrati una 45 A. Frisina, Musulmani e italiani, tra le altre cose. Tattiche e strategie

identitarie di giovani figli di immigrati musulmani in J. Cesari, A.

Pacini, Giovani musulmani in Europa. Tipologie di appartenenza

religiosa e dinamiche socio-culturali, Edizioni Fondazione Giovanni

grande risorsa poiché permette loro di intessere legami di gruppo che vanno ben oltre l’appartenenza etnica. Questa identificazione li aiuta a non sentirsi e a non essere etichettati solo come immigrati, ma fornisce loro un universo di senso in cui possono tracciare un nuovo percorso religioso del tutto personale e intimo.

Alcune stime recenti fanno ipotizzare che i giovani musulmani in Italia siano circa 300.000, di cui 140.000-160.000 nati e scolarizzati in Italia46.

Ad ogni modo, i dati quantitativi aiutano solo in parte a cogliere l’effettiva appartenenza religiosa dei giovani musulmani, soprattutto perché nella vita quotidiana

“l’identità religiosa è molto più mobile di quanto siamo abitualmente abituati a pensare”47. Infatti, come non esiste in assoluto l’homo islamicus48, non esiste neanche un esclusivo “percorso” religioso vissuto similmente da tutti i giovani musulmani in Italia poiché ognuno avrà un modo individuale e unico di vivere l’islam.

46 Op. Cit. pag. 140; questa stima è stata realizzata dalla Fondazione Giovanni Agnelli e non è una ufficiale. Essa tiene conto dei dati provenienti dalla regolarizzazione del 2002/2003 e dei successivi ingressi per ricongiungimento.

47 E. Pace, L’islam in Europa: modelli di integrazione, Carocci, Roma 2004, pag. 11

48 R. Gritti, Conduttori di modernità in R. Gritti, M. Allam, Islam,Italia.

Chi sono e cosa pensano i musulmani che vivono tra noi, Edizioni

In questo capitolo, viene presentata una ricerca in cui alcuni giovani immigrati musulmani e figli di immigrati raccontano il loro essere religiosi all’interno della società italiana. Questa identificazione passa attraverso l’esperienza del viaggio e della socializzazione in un nuovo ambiente sociale e culturale con cui hanno dovuto fare i conti per reimpostare una nuova prospettiva di vita. Nelle loro parole si ritrovano tutte quelle strategie di adattamento più volte citati all’interno del testo: assimilazione, disagio, resistenza culturale e doppia eticità49.