L’esplorazione floristica in Sardegna, e più in particolare nell’Iglesiente, ebbe inizio in epoca molto antica, già i popoli nuragici scambiavano spezie, erbe, olio e la preziosa ossidiana con fenici e punici. Di tali fatti purtroppo rimangono solo citazioni molto vaghe e di dubbia attribuzione. Questa esplorazione del territorio sardo aveva d’altronde come unico scopo la conoscenza delle località nelle quali le risorse vegetali necessari alle società dell’epoca ed in particolare per usi alimentari, medicinali, per il pascolo o il prelievo di legname. Per avere delle notizie certe, e perché si parli di esplorazione floristica con modalità e scopi scientifici bisogna attendere la prima metà del ‘700 e gli studi botanici condotti dal chirurgo torinese Michele Antonio Plazza di Villafranca, pubblicati postumi dal suo maestro Carlo Allioni nel 1759. Il Plazza deve essere perciò ritenuto il primo botanico moderno che ha esplorato l’isola ed in particolare l’Iglesiente; lo fece seguendo le indicazioni del suo maestro e le allora recentissime teorie contenute nelle opere di Linneo del 1758 e del 1764. Visse a Cagliari nel periodo compreso tra il 1748 ed il 1791, qui progettò il primo Orto Botanico di Cagliari, posto sotto il bastione di San Remy in località Su Campu de su Re, e fondò la prima clinica chirurgica dell’isola, secondo quanto riportato da Mattirolo nell’introdurre il lavoro postumo redatto dal Terracciano. Negli scritti ritrovati e pubblicati dal botanico partenopeo è presentata una vera e propria flora redatta dal Plazza, da questa risultano le escursioni compiute nei territori di Gonnosfanadiga, Villamassargia, San Gavino, Guspini, Fluminimaggiore, durante le quali sono state erborizzati campioni di almeno cinque taxa. Quel che noi possediamo è comunque solo una piccola parte del lavoro realizzato dal chirurgo torinese, molti suoi scritti e l’intero erbario sono andati persi. Rimangono solo il lavoro di Allioni ed i testi posteriormente pubblicati dal TERRACCIANO (1914a; 1914b;
1930). Il Moris, nonostante sia vissuto per ben cinque anni in Sardegna, nel periodo compreso tra il 1824 ed il 1828, non citò mai campioni d’erbario o scritti del Plazza, e nella prefazione della Flora Sardoa si limitò solo a ricordarlo come discepolo
dell'Allioni dicendo: “…siquidem numero paucas species in diocesi caralitana lectas a
Michaele Antonio Plazza chirurgo recensuerat anno MDCCLIX praeclarus noster Allionius”. I primi studi floristici sono quindi quelli del Plazza, ma è indubbio che la
prima vera flora sarda sia stata quella realizzata dal Moris con l’aiuto dei suoi tre fedelissimi assistenti: Domenico Lisa, Filippo Tome e Franz Müller. Nella prefazione dell’opera egli ricorda che, dopo essere sbarcato in Sardegna ed aver trascorso un periodo presso il Doctor J. Baptista Berterus, iniziò a perlustrare assiduamente l’isola: “Post Berterum sardoas stirpes assidue mecum perquisivit Dominicus Lisa
strenuus, atque aculatissimus juvenis, cui complures specie acceptae referendae sunt: egregis insuper viris Philippo Thomae et Francisco Mullero Sardiniae provincias meridionales, et montanam centralem perlustrantibus plantae se praebuerunt, et Mullero quidem Musci praesertim, benevole mihi collati”. Moris citò anche il conte
Alberto Ferrero Della Marmora per il ricordo delle escursioni con lui compiute e l’importanza dell’opera da quest’ultimo realizzata. Nel fare questo evidenziò come gli studi naturalistici e le varie osservazioni fatte dal generale dell’esercito piemontese gli fossero servite per conoscere la Sardegna e poterla perlustrare: ”res postulare
videtur, postquam ea commemoravi, quae a rationem suscepti operis spectabant, ut ea persequar, quae ad insulae chorographiam physicam, agricolturam, geographiam, vel geognosiam attinent; sed haec omnia sic concinne tradidit, appositisque libris latius proferet eques Albertus A Marmora, ut iisdem enarrandis locus mihi amplius esse nequeat. Caeterum regiones Sardiniae, quod spectat ad vegetabilia, breviter expensurus, thermometricas, atque barometricas ex eodem auctore acceptas abservationes memoranbo, ei interea, qui a labore invictus Sardiniam etiam nunc illustraturus peragrat, mihique itinerum socius amantissimus fuit, ob praeclara in me merita sinceras ago gratias”.
Nell’opera “Voyage en Sardaigne” del 1826 ed ancor più in “Itinerarie” del 1860, Della Marmora fa riferimento a specie vegetali ritrovate durante le sue escursioni nell’Iglesiente.
Per tale ragione può essere considerato, con tutto diritto, il terzo esploratore botanico dei monti dell’Iglesiente. Della Marmora accompagnò Moris in alcune escursioni e fu prezioso per le informazioni date al botanico piemontese che, nelle sue numerose esplorazioni dell’Iglesiente visitò in particolare le zone di Iglesias, Fluminimaggiore, Gonnosfanadiga, Guspini, Villamassargia, Portoscuso. Per questi itinerari si avvalse della collaborazione di Filippo Toma e del briologo tedesco Franz Müller, il quale parrebbe essere considerato il primo specialista ad aver condotto studi sulle tallofite dell’Isola. Nello stesso periodo anche il De Notaris effettuò escursioni nell’Iglesiente ad nei dintorni di Iglesias, lo testimoniano i campioni d’erbario del 1833 conservati a Firenze, nulla di scritto rimane però a testimonianza di tali escursioni.
Dopo questi tre grandi personaggi di origine piemontese (Plazza, Moris, Della Marmora), bisogna attendere trenta anni prima che un botanico visiti questi territori.
Nel giro di pochi anni, quattro botanici tedeschi compirono spedizioni in Sardegna ma toccarono solo marginalmente l’Iglesiente. Nel 1856 Bornemann, accompagnò Della Marmora nelle sue ultime escursioni in Sardegna, ma senza passare nell’Iglesiente.
Il 17 marzo del 1858 arrivò in Sardegna Georges Schweinfurt, dottorando tedesco che, sbarcato a Porto Torres, si soffermò sull’isola per 44 giorni. Durante la sua permanenza visitò alcune località Iglesientine secondo quanto riportato da Barbey l’11 Aprile era a Iglesias e il 12 era a Monte Poni.
Nel maggio del 1863, Paul Frierich August Ascherson con Otto Rheinardt, accompagnati dal Gennari, visitarono la zona di Rio Manno e Piscinas. Nelle
escursioni si soffermarono sulle piante acquatiche delle sorgenti, dei corsi d’acqua dolce, degli stagni e delle paludi salmastre costiere. La loro attenzione si concentrò sul genere Isoetes sp. pl., in particolare sul taxa che successivamente lo stesso Gennari, nel 1861 descrisse come Isoetes tegulensis e che oggi risulta essere
Isoetes velata A Braun ssp. tegulensis Batt et Trabaut, endemismo sardo-siculo-
tunisino.
Dopo i botanici tedeschi fu la volta di Patrizio Gennari, professore ordinario di botanica dal 1854 e fondatore dell’Orto Botanico della Regia Università di Cagliari. Egli compì alcune escursioni nell’Iglesiente, in particolare nel territorio di Iglesias, sia per chiarire i dubbi tassonomici sulle diverse Isoetes sp. pl. da lui rinvenute e descritte che per apportare nuovi dati al conoscimento della flora sarda e dell’Iglesiente in particolare. Ricordiamo ad esempio la scoperta della sottospecie del
Bellium crassifolium Moris ssp. canescens Gennari fatta sul litorale di Buggerru.
Nel 1866 anche il Marcucci, durante il suo viaggio in Sardegna, visitò le zone di Gonnosfanadiga, Montevecchio, Portoscuso, Capo Pecora. In particolare erborizzò briofite e pteridofite. Successivamente si ha notizia di brevi escursioni realizzate nel territorio di Iglesias e Domusnovas, da Porto Paglia al Marganai, dal botanico toscano Antonio Biondi nel 1879, grazie ad alcuni campioni conservati presso l’erbario di Firenze e per merito del Barbey che nel 1884, pubblicando l’opera Flora
Sardoae Compendium, fece un riepilogo di tutte le erborizzazioni e dei dati fino a
quel momento noti per la Sardegna. Nel suo libro sono infatti pubblicate tutte le entità ritrovate dal Moris (1824-1828), Muller (1827), Bornemann (1857), Schweinfurth (1858), Ascherson e Rheinhardt (1863), Marcucci (1866), Biondi (1874 e 1879), De Sardagna (1883), Magnus (1884), sino alle ultime aggiunte fatte dal Gennari poco prima della pubblicazione dell’opera. Negli anni che seguirono diversi botanici italiani e stranieri fecero viaggi in Sardegna, ma per l’Iglesiente vi sono pochissimi dati e non si hanno pubblicazioni che indichino con precisione le escursioni realizzate. Solo Ugolino Martelli erborizzò nel 1894 nelle zone di Gonnesa, Marganai, Grotta di S. Giovanni e Villacidro lasciando a testimonianza di tali escursioni numerosi campioni conservati presso l’erbario di Firenze. Bisogna così attendere il nuovo secolo per avere dei dati certi sulle escursioni botaniche realizzate nel massiccio iglesientino. In particolare nel periodo antecedente la prima guerra mondiale, diversi botanici italiani e stranieri visitarono l’Iglesiente e compirono studi mirati. Primo fra tutti Fridiano Cavara che nel 1901 pubblicò un contributo molto interessante sulla flora e vegetazione della Sardegna meridionale. Il Cavara nell’introduzione del suo lavoro ricorda come sul finire del secolo, la maggior parte degli studi botanici siano stati compiuti nel Nord Sardegna da lui definito il “Capo di Sopra” ed evidenzia la necessità di approfondire le ricerche botaniche nella parte meridionale dell’isola. Oltre a ciò dice: “mi sono perciò proposto un piano di ricerche e di studi da compiersi
in un tempo non certo breve, se le forze mie ed il mio destino lo consentiranno: quello cioè di fare , mediante escursioni, uno studio minuzioso della vegetazione della Sardegna, col visitare il maggior numero possibile di località, incominciando dal Cagliaritano ed estendendo via via le osservazioni al centro dell’isola ed al Capo di sopra”. Nel fare questo Cavara si avvalse della preziosa collaborazione di Ananio
Pirrotta, capogiardiniere dell’Orto Botanico di Cagliari, dice infatti: “Tracciatomi così il
piano di lavoro io incominciai le mie escursioni ed erborizzazioni nel Febbraio scorso, da solo ovvero in compagnia del giardiniere capo dell’Orto Botanico, egregio signor Ananio Pirrotta, ottimo conoscitore dei luoghi e della flora sarda. Per ogni località ho cercato di rendermi conto delle condizioni fisiche e geologiche, per l’accertamento
delle quali assunsi anche notizie del ch.mo collega prof. Lovisato”. Seguendo
geologi per poter così correttamente interpretare il paesaggio e l’ecologia delle specie rinvenute. Il Cavara, inoltre, nel 1908 diede alle stampe un secondo, più breve contributo, dal titolo “Un escursione botanica in Sardegna” nel quale vengono citate diverse specie del territorio compreso tra Domusnovas e Musei.
Anche Herzog studiò gran parte dell’isola dal punto di vista briologico pubblicando nel 1905 un lavoro in cui enumera 113 entità e descrive specie, varietà e forme nuove; nel 1909 un ulteriore contributo in cui elenca 230 taxa e nel 1926 la brioflora del M. Gennargentu. Nel 1909 Terracciano pubblicò un elenco sistematico critico di muschi acrocarpi citando per ciascuna specie i luoghi di ritrovamento, fra cui molte località dell’Iglesiente. Tale opera, secondo le intenzioni dell’autore, si sarebbe dovuta articolare in tre parti ma, la sua prematura scomparsa nel 1917, ne impedì la realizzazione. Un manoscritto inedito della seconda parte è stato rinvenuto all’Herbarium Neapolitanum del Dipartimento di Biologia Vegetale dell’Università di Napoli e pubblicato nel 1997 da Aleffi e Cortini Pedrotti.
Nel 1913 Adriano Fiori pubblicò i risultati delle sue erborizzazioni primaverili in Sardegna, compiute l’anno precedente nel periodo compreso tra il 13 marzo ed il 4 aprile in compagnia i Negri. Nell’introduzione Fiori rammenta come in Sardegna rimanga ancora molto da indagare. “…benché esplorata da molti botanici, rimane
ancora imperfettamente nota dal lato floristico, fatta eccezione i alcuni distretti, quali i dintorni di Sassari e Cagliari ed i gruppi montuosi del Limbara e del Gennargentu”.
Durante il suo viaggio nell’Isola, visitò nell’Iglesiente il territorio circostante la città di Iglesias.
Con la prima guerra mondiale, i viaggi e le escursioni botaniche subirono una battuta d’arresto. Bisognerà attendere quasi la fine della seconda guerra mondiale per trovare dei lavori di carattere botanico relativi all’area Iglesiente.
A partire dal 1939 e anche durante il secondo conflitto mondiale Giuseppe Martinoli compì una serie di escursioni in diverse parti dell’Iglesiente, ed in particolare presso Gonnesa, sul Marganai, a Buggerru, Monteponi e presso le Grotte di S. Giovanni. Dopo questi lavori pubblicati a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta. bisogna attendere gli studi di Arrigoni e della Cortini per l’area di Pixinamanna compiuti agli inizi degli anni sessanta. I lavori portati avanti da questi due autori interessarono sia la flora e la vegetazione fanerogamica che la brioflora e ancor oggi rimangono tra i più articolati per queste aree.
Nel 1957 Chiappini, direttore dell’Orto botanico dell’Università di Cagliari, realizzò uno studio su Leucanthemum flosculosum (L.) P. Giraud nella Sardegna meridionale, descrivendo molto minuziosamenente tutte le stazioni dell’Iglesiente fino a quel ,momento conosciute e quelle di nuova segnalazione. Lo stesso fece assieme a SILECCHIA (1967) per Barbarea rupicola, a DIANA (1978) per Brassica insularis, a
RIOLA (1978) per Bellium crassifolium, a PODDA & ANGIOLINO (1983) per Taxus baccata.
A parte questi lavori, in questi anni vi sono pochi studi di carattere floristico sull’Iglesiente. Si possono citare le escursioni compiute nel giugno del 1977 da RASABACH e REICHSTEIN vi effettuarono escursioni al fine di verificare la presenza di Cheilanthes fragrans (L.) Swartz var. gennari Fiori segnalata a Arrigoni per l’area. Il
risultato di tali escursioni fu pubblicato l’anno successivo e portò alla definizione del genere Cheilanthes Swartz per l’Iglesiente e per la Sardegna.
Nel 1978 lo speleologo Angelo Berta, insieme a Chiappini, pubblicò un primo contributo sulla conoscenza speleobiologica vegetale della Sardegna, analizzando la componente algale, fungina, briofitica e pteridiofitica di diverse grotte sarde. In particolare i loro studi si concentrarono nell’area carbonatica carsica posta nella parte meridionale dell’Iglesiente.
L’interesse per la flora dell’area si è risvegliato a partire dagli anni ’90. In questi ultimi 15 anni, infatti, sono stati realizzati numerosi lavori di carattere floristico, vegetazionale e di descrizzione di nuovi taxa, ad opera di botanici sardi e della penisola. Si possono citare i lavori di BALLERO & ANGIOLINO (1991) sulla flora del
Monte Marganai, BALLERO et al. (2000) sulla flora del Fluminese, BOCCHIERI et MULAS
(1992) sulla flora di Capo Frasca, MOSSA (1990) sulla vegetazione del campo dunale
di Portixeddu. ed inoltre diversi lavori di tipo tassonomico quali quelli di VALSECCHI
(1993) sulle Geniste della sezione Erinacoides, BRULLO (1993) su Salix arrigonii,
BRULLO & DE MARCO (1996) su Genista valsecchiae, BACCHETTA et al. su Echium
anchusoides, BACCHETTA et al. (2003) su Hypochaeris sardoa, Bacchetta et al.
(2003) sul genere Helichrysum, BACCHETTA et al. (2004) sul ciclo di Dianthus
C
ONSIDERAZIONI DI CARATTERE TASSONOMICOIl primo tentativo di classificazione di cui si è a conoscenza è l'opera in nove libri “Historia Plantarum” di Teofrasto (370-285 a.c.) che classificò circa cinquecento specie in base al portamento (alberi, frutici, suffrutici ed erbe) e ad alcune caratteristiche del fiore. Dioscoride, medico e naturalista greco del primo secolo d.c. considerato il fondatore dell’erboristeria farmaceutica, ordinava invece le piante secondo le caratteristiche medicinali e il loro impiego. Il suo “De materia medica”, in cui descrisse circa seicento specie vegetali allora note, fu per molti secoli un testo fondamentale per gli studi botanici.
A partire da questi primi tentativi è stato costante lo sforzo dei botanici per giungere ad un sistema di classificazione che fosse funzionale. Di volta in volta si sono privilegiati gli aspetti legati all’utilizzo, in particolare farmaceutico, delle piante oppure si è cercato di raggrupparle secondo delle affinità di tipo morfologico. È questa seconda impostazione che si è imposta in epoca moderna, a partire dal XVI secolo, quando, grazie allo stimolo dato dai viaggi di scoperta geografica, che facevano affluire in Europa dagli altri continenti specie sconosciute, si rese impellente un nuovo sistema di classificazione. Si ricorda in particolare l’Opera di Andrea Cesalpino (1519-1603) che nel “De plantis” così definisce le sue intenzioni: “Poiché la scienza consiste nel raggruppare gli esseri vicini e di distinguere quelli che
non lo sono, e poiché questo equivale alla divisione in generi e specie, che è basata su dei caratteri che descrivono la natura fondamentale delle cose, ho cercato di fare questo nella mia storia delle piante...”. Si può definire questa impostazione del tutto
affine a quella della Botanica sistematica moderna. Nella sua opera è stato utilizzato per la prima volta, tra l’altro, un sistema simile a quello delle moderne chiavi dicotomiche.
A Gaspard Bauhin (1560–1624) di Basilea si deve l’opera Pinax theatri botanici (1596), in cui introdusse elementi di riflessione sulla classificazione delle piante seguita fino allora, cercando di individuare dei gruppi omogenei di piante, tenendo conto delle loro somiglianze ed utilizzando, per la prima volta, la nomenclatura binomiale, che si impose poi definitivamente grazie a Linneo.
Il naturalista inglese John Ray (1628-1705) propose un nuovo sistema di classificazione che prendeva in considerazione il più gran numero possibile di caratteristiche morfologiche dei fiori e delle foglie e sviluppo una classificazione delle piante che può essere considerata il primo sistema naturale di classificazione.
La classificazione naturale, basata sulle affinità multiple, riflette le “parentele” entro i taxon. Essa non da a priori alcuna preponderanza all’uno o all’altro carattere di cui il valore tassonomico è stabilito dopo l’esperienza e la prova.
A Ray si deve la distinzione tra Angiosperme e Gimnosperme e, nell’ambito delle Angiosperme, tra Monocotiledoni e Dicotiledoni.
Nel 1672 Morrison (1620-1683) elaborò un progetto di classificazione dei vegetali utilizzando principalmente la forma e la struttura dei frutti. Il suo lavoro ebbe un’importanza notevole nella sistematica perché la sua classificazione era basata su di un metodo logico rigoroso.
Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) creò una classificazione detta artificiale dei vegetali essenzialmente basata sulle caratteristiche dei fiori e in particolare della corolla. Nonostante le sue imperfezioni questo sistema segna un progresso considerevole: le piante sono riunite in gruppi gerarchici concettualmente simili agli attuali.
Nel 1694 Tournefort definì le linee guida chiare per la descrizione dei generi e specie ed il suo sistema divenne largamente utilizzato soprattutto in Francia.
Tra Tournefort e Ray si innesca una polemica riguardo la necessità di utilizzare per la classificazione numerosi caratteri (difesa da Ray) o di individuare alcuni caratteri che siano “essenziali ed universali” (Tournefort). Questi due approcci alla classificazione si sviluppano parallelamente durante questo periodo e filosoficamente sono interessanti perché diretta conseguenza della logica creazionista e fissista, entro la quale si muovevano gli studiosi dell’epoca.
Carl von Linné (1707-1778), esprime le sue idee teoriche in Philosophia botanica, pubblicato nel 1751. Egli considera la botanica come basata sulla “dispositio et
denominatio” ovvero sulla sistematica e nomenclatura. Il metodo della classificazione
diviene la questione principale dato che la classificazione è il fondamento stesso della nomenclatura. Linneo s’inspira sostanzialmente a Cesalpino, che considera come il primo vero sistematico. La scelta del frutto come carattere “essenziale ed universale” operata da Cesalpino è basata sull’osservazione e sul ragionamento accordante al frutto, in funzione della sua funzione di riproduzione, lo statuto d’organo più importante della pianta. Per Linneo il numero, la forma, la posizione degli organi deputati alla fruttificazione, che definisce come l’insieme dei fiori e dei frutti, fornisce sufficienti caratteri per permettere la definizione dei generi che considera essere la base della classificazione. Linneo, nel suo Genera plantarum (1735), opta quindi inizialmente per l’ipotesi di Tournefort, ma applica il suo metodo di delimitazione e definizione dei generi tenendo conto unicamente della fruttificazione. Questo metodo permette a Linneo di creare moltissimi generi naturali e ben definiti. Il sistema proposto da Linneo è un sistema artificiale, sceglie qualche caratteristica dei fiori e dei frutti considerati come essenziali e si limita a questi. Il suo obiettivo è di proporre un sistema pratico e non di riflettere sulle relazioni tassonomiche. Il sistema sessuale fa parte del manoscritto sistema naturae (1731). Linneo manifesta in Philosophia le basi di questo sistema in questi termini: “...ho
elaborato questo sistema sessuale secondo il numero, le proporzioni relative e la posizione degli stami e dei pistilli”. Questo lavoro sarà utilizzato per circa un centinaio
di anni e resterà da allora il miglior sistema artificiale mai elaborato, la sua semplicità è in gran parte responsabile del successo che durerà fino all’ inizio dello XIX.
Linneo si interessa anche dell’elaborazione di un sistema naturale. Questo progetto nasce dopo i suoi contatti con Boerhaave ed i botanici olandesi piu influenzati da Ray. In Classes plantarum (1738), Linneo definisce precisamente la classificazione naturale ed illustra una lista di 700 generi raggruppati in 65 ordini naturali. Dà il nome di Methodi naturalis fragmenta a questa lista d’ordini naturali costituita da generi affini. Questi fragmenta costituiscono la contribuzione pratica di Linneo allo sviluppo di un sistema naturale, l’autore, del resto riconosce l’utilità di un sistema naturale e lo esprime chiaramente in Philosophia botanica: “È e resterà
sempre lo scopo finale della botanica”. Nei Fragmenta, Linneo utilizza i caratteri del
fiore ma suo intuito lo spinge ad utilizzare anche dei caratteri morfologici per creare