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a. Alla ricerca di “qualcosa di universale”

Uno spunto quasi ideale è l’interpretazione di passi dei testi. Se si accetta il presupposto vichiano dell’unità delle epoche, ogni testo deve offrire la prospettiva che permette la sintesi. Ho spesso applicato questo metodo, specialmente in Mimesis, ed esso mi collega al gruppo dei filologi interpreti dello stile: soprattutto a Leo Spitzer, la cui attività da lungo tempo ha avuto importanza per la mia. Ma fra la sua e la mia applicazione del metodo c’è una grande differenza. […] Le interpretazioni dello Spitzer mirano sempre all’esatta comprensione della singola forma linguistica, della singola opera o del singolo poeta. In perfetta armonia con la tradizione romantica e con la sua ulteriore elaborazione impressionistico-individualistica, egli tende soprattutto a cogliere esattamente le forme individuali. A me invece interessa qualche cosa di universale158.

Il testo è tratto dall’introduzione Sullo scopo e il metodo a Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, e fin da una prima lettura risulta chiaramente il distacco che Auerbach opera dallo storicismo romantico dell’individuale nella definizione del suo metodo. Qui distingue il suo approccio alla materia letteraria da quello dello Spitzer, precisando che entrambi adottano una sensibilità storicistica di analisi del testo, sebbene applicandola diversamente. Spitzer coglie le forme individuali, Auerbach cerca invece in quelle forme individuali qualche cosa di universale, che non intende codificare attraverso leggi generali, ma sintetizzare intorno ad uno “spunto/Ansatz” interno all’oggetto. Lo spunto non deve essere una categoria da noi trasferita sull’oggetto, nella quale esso deve essere classificato,

158 E. Auerbach, Literatursprache und Publikum in der lateinischen Spätantike und im Mittelalter, Francke, Bern 1958, trad. it: id, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, Feltrinelli Editore, Milano 1960, pp. 25-27.

ma una caratteristica storica interna, in esso osservata, che una volta messa in rilievo e spiegata chiarisce l’oggetto stesso nella sua peculiarità e altri oggetti in rapporto con quello. La critica classicamente rivolta a Vico dagli autori storicisti, ovvero di aver concesso troppo alla ricerca dell’universale senza cogliere pienamente il peso specifico della individuale, si trasforma qui in una rivendicazione positiva di metodo. Ma vediamo di che forma di universalità sta parlando Auerbach:

L’universale che io ho in mente non è costituito da leggi o categorie classificatorie. […] L’universale che a me sembra rappresentabile è la concezione di un corso storico: qualche cosa come un dramma, che non contiene neppure esso alcuna teoria, bensì una concezione paradigmatica del destino umano. L’oggetto, nel senso più largo, è l’Europa; io cerco di coglierlo in alcuni temi di ricerca. Ciò facendo si può aspirare al massimo a penetrare i molteplici rapporti di un accadere dal quale noi deriviamo e al quale partecipiamo; a determinare il luogo al quale siamo arrivati e magari anche a intravedere le possibilità immediate che ci attendono; ma in ogni caso a partecipare più intimamente a noi stessi, e ad attualizzare la coscienza: “noi qui e ora”, con tutta la ricchezza e le limitazioni che ciò comporta159.

Un dramma, che sia una concezione paradigmatica del destino umano, protagonista l’Europa, per descrivere chi siamo “noi qui e ora”; questo è l’universale di Auerbach.

b. Corso storico. Un’idea di sviluppo

Il passo sopra citato è intriso di riferimenti al dibattito sullo storicismo di cui Troeltsch è uno dei principali attori. Vedremo come proprio la riconsiderazione

dei temi di questo dibattito, alla luce delle sue personali ricerche, conducano Auerbach a formulare una proposta di storicismo alternativa a quella del maestro, sia per prospettive sia per metodo. Noi crediamo che lo studio approfondito dell’opera vichiana sia il fattore dirimente per definire la distanza che separa Auerbach da Troeltsch: lo notiamo sicuramente nella introduzione, Sullo scopo e il metodo, ma soprattutto nel saggio Filologia della letteratura mondiale (1952), pubblicato prima di Lingua letteraria e pubblico, uscito postumo nel 1957.

La tensione tra universale e individuale, ovvero tra intuizione e norme, tra ricerca empirica e trascendentalismo logico, percorre tutta l’opera di Troeltsch, fino a Lo storicismo e suoi problemi, che non manca di riproporla, cercando un compromesso che salvi la possibilità di orientarsi nella storia senza perdere la bussola del presente, senza perdersi nel relativismo estetizzante romantico. L’interesse primario de Lo storicismo è quello di costruire una logica della storia, e di distinguerla dalla logica generale degli elementi mantenendo in essa, sotto l’abito di un concetto universale, una concreta intuitività. Il pericolo maggiore che, nell’ottica di Troeltsch, corrono le scienze storiche è di essere assimilate alle scienze naturali e sottoposte al loro metodo, un pericolo che è stato salutato da altri come redenzione di quelle stesse scienze dalla pretesa di trovare un senso complessivo al corso storico in virtù della generale applicabilità dell’idea a tutti i fenomeni storici, come era nella legalità della histoire philosophique e nella Weltgeschichte hegeliana, ovvero come soluzione alla deriva relativistica dello stesso storicismo. Troeltsch intende restituire la storia alla filosofia della storia e ad entrambe un senso e una processualità orientate non da un punto di vista sovrastorico o ideale ma dalla posizione concretamente determinata dal presente dell’osservatore che sceglie e circoscrive, in conformità al proprio interesse particolare, le individualità. Questa attività dell’osservatore attribuisce senso alle formazioni individuali che scopre, nello stesso tempo in cui scopre il senso proprio di queste formazioni, costituente la loro universalità: «Ogni universale ha

un riferimento all’individuo ed ogni individuale ha un riferimento all’universale, dove per universale è da intendersi l’unità di senso della totalità che costituisce propriamente l’oggetto». La possibilità stessa poi di stabilire una connessione di senso e di valore tra individualità determinate o tra il proprio presente e qualsiasi formazione individuale lontana nel tempo e nello spazio implica il difficile problema della comprensione dell’alterità, che Auerbach aveva annoverato come motivo cruciale del suo interesse per Vico.160

L’astrazione determinata dell’individuale dal corso storico ha evidenziato la sua staticità, mettendo in secondo piano il fluire dinamico dello stesso rispetto a se stesso e rispetto agli altri oggetti: «Il concetto fondamentale della individualità storica implica così quello della continua connessione dinamica, o, come oggi si suole dire: il concetto di sviluppo. Per il pensiero storico, cioè, gli eventi e i processi, nell’ambito di un intero di questo tipo, non sono determinati semplicemente dalle singole relazioni causali tra i diversi eventi e processi psichici, da cui poi le posizioni creative emergerebbero come particolari compenetrazioni ed intrecci. Piuttosto gli eventi e i processi puramente causali appaiono ad un tempo dominati e determinati da una tendenza o unità di senso che si dispiega in essi, che spesso è difficile conoscere e che di quando in quando viene spezzata nel gioco reciproco degli influssi o addirittura può anche confondersi e del tutto smarrirsi»161. Questa unità di senso di cui parla Troeltsch è difficilmente definibile

dal punto di vista logico e normativo, eppure essa costituisce una certa forma di universalità, rispetto alla quale prendono significato i singoli oggetti ed eventi storici che ne fanno parte e che possono essere compresi solo all’interno di essa. Sciolti dal vincolo causale gli eventi si fondono in una formazione, «in una unità

160 Troeltsch, salvo ricorrere alla fondazione di un piano metalogico e metafisico in cui sarebbe possibile la comprensione intersoggettiva delle coscienze, al livello quindi di una coscienza- universale di cui tutte le coscienze parteciperebbero, esclude che il problema della comprensione sia applicabile all’umanità in generale, ritagliando lo spazio della comprensione alla cerchia culturale europea e occidentale. Ma torneremo su questo punto quando prenderemo in considerazione il passaggio da una prospettiva europea ad una prospettiva più universalistica negli scritti di Auerbach.

dinamica che li compenetra, li dissolve l’uno nell’altro e perciò li rende continui – una unità che è molto difficile descrivere logicamente, ma costituisce nondimeno l’essenza del senso storico, che è da vedere e da sentire»162. L’intuizione dello

storico risponde al nome di senso storico, quasi un particolare organo della conoscenza che ordina il dato evenemenziale a partire dalla sua propria determinatezza culturale e valoriale secondo un diverso concetto di tempo. Questo dipende dal senso interno e dalla memoria e quindi orienta i contenuti a servizio del presente, da cui parte, e verso il futuro. Questo è il senso delle parole di Auerbach: «Ciò facendo si può aspirare al massimo a penetrare i molteplici rapporti di un accadere dal quale noi deriviamo e al quale partecipiamo; a determinare il luogo al quale siamo arrivati e magari anche a intravedere le possibilità immediate che ci attendono; ma in ogni caso a partecipare più intimamente a noi stessi, e ad attualizzare la coscienza: “noi qui e ora”, con tutta la ricchezza e le limitazioni che ciò comporta»163.

Il «noi qui ed ora» è quindi una bussola dello storiografo come del teorico della letteratura e del filologo per costruire quella forma di universalità che è il corso storico di cui parla Auerbach. Un altro importante riferimento a questo proposito è sicuramente Montaigne, che fa del primato della conoscenza di se stessi un principio gnoseologico più che un’esigenza pratica e morale. A lui Auerbach dedica un capito di Mimesis:

Il primato della conoscenza di se stesso acquista però un’importanza positiva gnoseologica solo nell’indagine morale dell’uomo, poiché Montaigne, con lo studio della sua propria vita integrale d’uomo qualunque, mira all’indagine della condizione umana stessa, e con ciò rivela il principio euristico di cui, consapevolmente o inconsapevolmente, noi ci serviamo di continuo quando ci sforziamo

162 Ibid.

di comprendere e di giudicare le azioni di altri uomini, siano esse azioni di coloro che ci circondano più da vicino o di uomini politicamente e storicamente più lontani. Noi applichiamo ad essi le misure che ci offrono la nostra propria vita e la nostra propria intima esperienza, sicché la nostra conoscenza dell’uomo e della storia dipende dalla profondità della conoscenza di noi stessi e dall’ampiezza del nostro orizzonte morale.164

Il riferimento a Montaigne è funzionale ad Auerbach per parlare della creaturalità, ovvero della concezione cristiana dell’uomo come creatura, come via per il superamento della classica divisione degli stili, un tema che gli è molto caro e che fa da filo conduttore in Mimesis. A noi interessano particolarmente le implicazioni gnoseologiche che questo autore porta con sé, e quindi soprattutto l’attenzione che Montaigne dice mettere nel considerare se stesso e la propria vita, anche negli aspetti più fisici e materiali, come punto di partenza per comprendere quella degli altri. La comprensione dell’altro è qui veicolata da una profonda conoscenza di sé: «Essendomi abituato fin dall’infanzia a guardare la mia vita riflessa in quella altrui, ho acquistato in questo un’indole osservatrice»165. Partire dalla propria condizione

determinata, storica, culturale, assiologia o addirittura materiale e biologica, quindi da un particolare kairós, come Vico «collocato in un determinato momento culminante della storia, il quale alla luce di questo kairós (in cui il segreto della Provvidenza si rivela «alla ragione umana tutta spiegata») è capace di interpretare tale segreto», consente di illuminare il corso storico della chiara luce del presente per vedere e sentire l’essenza del senso storico. Da ciò risulta la necessità di approntare i criteri per una duplice valutazione di culture estranee e del passato come di epoche passate della nostra propria cerchia culturale. Troeltsch delinea così due modalità di relazione:

164 E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur, Franke, Bern 1946, trad. it. A. Roncaglia (a cura di): Id., Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 2000, p. 49.

In primo luogo ai criteri immanenti della valutazione in base al loro proprio senso e contenuto effettivi quali di fatto si sono dati e che bisogna ricavare dal patrimonio della tradizione, con il maggior grado possibile di fedeltà, esattezza, obiettività e spersonalizzazione. In secondo luogo però, anche alla relazione con il nostro proprio ideale culturale, che dev’essere costruito nel momento attuale, e che si riempie e si alimenta di esse attraverso assimilazione o opposizione. Nella prima relazione domina la maggiore obiettività possibile, nella seconda la soggettività che assimila e prende posizione, che combina e discerne166.

Per scardinare l’asimmetria tra noi che conosciamo e noi che ci immedesimiamo nel contesto storico altro dal nostro, e soprattutto per evitare che il rigore dell’oggettività filologica e della storiografia erudita impedisca qualsiasi riferimento utile o attualizzabile nel presente, Troeltsch propone di distinguere i due momenti, di ricerca e di rappresentazione/presentazione, mantenendoli entrambi. Tuttavia, richiamando il principale problema a cui il suo studio si propone di dare risposta, la crisi attuale della storia e l’eccessivo specialismo seminariale degli studi storici, privilegia la dimensione dell’osservatore interessato alla formazione di criteri per una sintesi culturale del presente, aperta “praticamente” a realizzazioni future. La posizione dell’osservatore è molto diversa rispetto a quella del disinteressato spettatore della Rivoluzione francese di cui parla Kant nel secondo Conflitto delle facoltà; qui lo scenario della storia è uno scenario sublime, se vogliamo mantenere un lessico kantiano, totalmente altro da sé e in cui la cultura del presente non vuole vedere se stessa, perché «al cospetto della grandezza, severità e solennità di ciò che le è estraneo e distante, e come tale ha un proprio particolare sviluppo, vuole vedere chiaro in se stessa e conquistare una nuova profondità»167.

166 E. Troeltsch, Lo storicismo, I, trad. it. cit., p. 242. 167 Ibid.

Sia Auerbach che Troeltsch sono consapevoli che un punto di vista così circoscritto debba comportare un senso di rispetto “anticolonialistico” nei confronti delle culture lontane da quella dell’osservatore, il quale non può pretendere di immedesimarsi in contesti diversi dal proprio senza prima spogliarsi il più possibile della propria determinatezza culturale e valoriale. Questo però non toglie che ogni immedesimazione comporti anche una “riattualizzazione” del semplice dato storico, del nudo fatto, nel percorso che dal passato o da formazioni culturali lontane e altre da noi risale al presente e al “noi qui ed ora”. Le considerazioni fatte finora a proposito della determinatezza del punto di vista dell’osservatore, insieme ad una nozione di sviluppo che si distingue nettamente da quella di progresso propria dell’idealismo tedesco – per essere un’unità di senso riferibile a singole totalità individuali e non una teleologia secolarizzata della storia, né la teoria di uno sviluppo comune in vista della realizzazione di uno scopo – segnano profondamente la differenza tra la concezione hegeliana della storia, che ha un carattere molto contemplativo, e la filosofia materiale della storia di Troeltsch. Quest’ultima non può fare a meno del punto di vista e della posizione dell’osservatore, anzi, essa è la costruzione del processo storico-universale da questo punto di vista, che «non è quello del puro disinteressato soggetto epistemico o trascendentale, ma il soggetto vivente nella sua interezza, che entra con i suoi valori, le sue idee, le sue scelte nella configurazione stessa dell’immagine dello sviluppo»168: «La materialità di questa costruzione consiste nella positiva e

personale valutazione di questi contenuti di senso, dall’angolazione della loro visione d’insieme in un processo unitario»169. Auerbach ha chiaramente presente

questa riflessione sulla filosofia materiale della storia in tutta la sua produzione, qui vogliamo citare due tra i passi più significativi, sia rispetto al tema in questione, sia per gli scopi della nostra trattazione. Il primo ci è molto familiare perché ne abbiamo già ampiamente parlato nel primo capitolo: si tratta di un brano tratto

168 G. Cantillo, Ernst Troeltsch, Guida Editori, Napoli 1979, p. 251. 169 E. Troeltsch, Lo storicismo, I, trad. it. cit., p. 135.

dalla EE, nel quale si parla della personale prospettiva di Vico, un uomo del suo secolo o, come dice Auerbach, «collocato in un determinato momento culminante della storia, il quale alla luce di questo kairós (in cui il segreto della Provvidenza si rivela «alla ragione umana tutta spiegata») è capace di interpretare tale segreto»170.

Il secondo passo invece è contenuto negli Epilegomena a Mimesis, una postfazione al testo pubblicata alcuni anni dopo la pubblicazione dell’opera in risposta ad alcune recensioni, provocazioni e richieste di chiarimento. In questo caso Auerbach non parla di altri ma di se stesso e dell’inevitabile determinatezza storica di ogni sua ricerca. Più volte, del resto, nei suoi scritti si legge, rispetto a Mimesis, l’ammissione che quel progetto non sarebbe potuto nascere altrove che in esilio, lontano dalle grandi biblioteche d’Occidente, con quella ristrettezza di fonti senza cui non avrebbe probabilmente visto la luce un’opera dal così ampio respiro. Cito qui dalla traduzione italiana inserita nella raccolta Da Montaigne a Proust. Ricerche sulla storia della cultura francese:

Un’altra obiezione al mio lavoro è che la mia esposizione è troppo legata al tempo e troppo condizionata dal presente. […] ormai nessuno può contemplare il contesto [europeo] se non dal punto di vista dell’oggi, un oggi determinato da origine, storia, cultura personali dell’osservatore. È meglio essere legati al tempo coscientemente piuttosto che inconsapevolmente. In molti scrittori eruditi s’incontra un genere di obiettività in cui, senza che l’autore ne abbia la minima coscienza, da ogni parola, da ogni fiore retorico, da ogni giro di frase parlano moderni giudizi e pregiudizi […]. Mimesis è coscientemente un libro scritto da una determinata persona, in una determinata situazione, all’inizio degli anni Quaranta.171

170 EE, app., p. 14.

171 E. Auerbach, Epilegomena a Mimesis, in Da Montaigne a Proust. Ricerche sulla storia della cultura francese, Garzanti, Milano 1970, pp. 252-253.

La storiografia non può fare a meno di partire da questa angolazione, sapendo che essa non esclude principi normativi e valori ai quali il senso e il valore immanente degli oggetti storici dovranno necessariamente parlare perché si inneschi la possibilità di una comprensione o di quello che Troeltsch chiama un «ri- sentimento ipotetico», in quanto cioè si impara a trasferirsi in quella determinata posizione, in virtù di un’entropatia di unità di senso passate nel sistema di possibilità e valori presenti. «Le nostre disposizioni d’animo, la nostra spiritualità deve contenere in potenza tutto il passato e perciò, immergendosi in epoche differenti, vi si può riconoscere. […] Da questo dato di fatto consegue, però, che la costituzione dell’oggetto storico implica il presupposto che nelle nostre possibilità spirituali sia compresa la possibilità di contenere tutto il passato»172. La

filosofia materiale della storia stabilisce a livello assiologico e culturale quello che, con un sapore più illuministico, Vico avrebbe chiamato «senso comune del genere umano», ovvero quella disposizione a ritrovare nelle «modificazioni della mente umana» le possibilità di comprensione del passato. Il superamento della dialettica “contemplativa” hegeliana, definizione molto discutibile sotto numerosi punti di vista ma che qui prenderemo come un dato di fatto della interpretazione troeltschiana, avviene attraverso un’apertura fondamentale alla nuova concezione della dialettica di Marx ed Engels, concentrata sulle categorie storiche e sociali e con una forte tensione verso il futuro. Il materialismo di Troeltsch non è tuttavia un materialismo scientifico, nel senso che le potenzialità future insite nella determinatezza del contesto presente non vengono presentate come la naturale soluzione delle contraddizioni del presente, ma come potenzialità attivabili solo in seguito ad un atto volontaristico di adesione o opposizione verso il presente. In questa direzione, citiamo Cantillo, cioè nella direzione del «pensiero del futuro», si muove il «superamento» del «mero Historismus» in Troeltsch: «Presente e futuro devono potersi annodare nella visione storica e dove non si possa parlare di un tale nesso, là manca ogni interesse per la storia – l’unità della connessione vivente,

da cui soltanto possiamo infondere al passato il sangue di una vitalità quanto meno storica. Adesione o opposizione verso il nostro presente e la nostra

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