2. La storia a pezz
2.6. Sopravvivenze: storia di una paradigma da Vico, Vignoli, Usener e Warburg.
La via alla comparazione è percorribile in ambito storico solo qualora si adotti una nozione di tempo non lineare né continuo o teso verso un telos. Un tempo continuo, come può essere quello dell’ipotesi evoluzionistica, assorbe la molteplicità delle forme storiche che lo attraversano senza che queste lascino tracce non spiegabili nella sintesi superiore. In questo tempo è esclusa ogni forma di comparazione. Occorre ipotizzare una temporalità diversa, la cui superficie è increspata come quella dell’ipotesi morfologica goethiana, un tempo pieno, costellato di sopravvivenze che si depositano sul fondo del corso della storia ma possono riemergere e arrivare alle rive del presente sospinte da qualsiasi imprevedibile corrente. Il tempo delle sopravvivenze è disorientante perché non ci offre la possibilità immediata di una periodizzazione, ma è un tempo aperto e anacronico, descrive un passato che si impone sul presente e non si fa metabolizzare da esso. Un tempo così configurato è un tempo dalle infinite possibilità combinatorie, dove la comparazione e il montaggio, due modi di descrivere visivamente la discontinuità del tempo, creano ordini inavvertiti di
coerenza136. Ricordiamo che il montaggio, specificamente il montaggio letterario, è
il metodo rivendicato da Benjamin per il suo Passagen-Werk: «Metodo di questo lavoro: montaggio letterario. Non ho nulla da dire. Solo da mostrare. Non sottrarrò nulla di prezioso e non mi approprierò di alcuna espressione ingegnosa. Stracci e rifiuti, invece, ma non per farne l’inventario, bensì per rendere loro giustizia nell’unico modo possibile: usandoli»137. Le “sopravvivenze” vichiane
segnano effettivamente un bello scarto rispetto al modello di cumulatività del concetto storicistico di sviluppo storico; esse non sono riassumibili sotto la nozione di “individualità”, perché l’individualità è sempre una figura determinata da cui si irradiano le direttrici del proprio tempo, e non resiste al fluire del tempo, ma ne è trascinata. Lo storicismo, comunque inteso, non può fare a meno della nozione di tempo cumulativo, sia che con ciò si intenda l’attività dello spirito che, attraverso la memoria, fa proprie le esperienze storiche soggettive, sia che, mutato l’orizzonte e «in funzione di una Bildung divenuta innanzitutto individuale», si intenda l’esperienza della singola coscienza storica, vissuta o rievocata nel presente della memoria. Su questo punto è molto chiara S. Caianiello: «Uno dei punti di intersezione tra storicismo assoluto e storicismo critico mi sembra ravvisabile nell’assunto della cumulatività del tempo storico. Nella direzione hegeliana essa è garantita nella soggettività unitaria dello spirito, cui è demandata l’organizzazione e l’assimilazione del particolare in un meccanismo generale e in qualche modo finalistico. Ma anche nella direzione dello storicismo critico è implicata parimenti la cumulatività, che trova espressione nell’idea di esperienza storica come tessuto strutturante del soggetto concreto, deposito dell’eredità di un percorso macrostorico che unifica tutte le storie»138.
Vico è conosciuto dai più per la cosiddetta teoria dei ‘corsi e ricorsi storici’; più che una teoria ci sembra che la ricorsività sia il movimento stesso della Scienza
136 Sul “montaggio” come metodo di conoscenza cfr. G. Didi-Huberman, Storia dell'arte e anacronismo delle immagini, Bollati Boringhieri, 2007.
137 W. Benjamin, I “Passages” di Parigi, trad. it., cit., p. 514. 138 Ivi, p. 93.
Nuova, quasi la chiave di lettura principale di essa come opera e come figura del corso storico. Il lettore che si avvicini alla Scienza Nuova potrà aprirne a caso una pagina e seguire Vico per alcuni capoversi rendendosi conto dell’andamento sinusoidale del discorso e dei continui riferimenti interni che riempiono il testo. La Scienza Nuova è un’opera densa, nel senso che non ha spazi vuoti, spazi deliberatamente lasciati da Vico perché siano riempiti e interpretati dal lettore; è l’autore stesso ad interpretarsi continuamente e a infittire la trama dell’opera con ridondanze e ripetizioni. L’esperimento del lettore poco avveduto che apre una pagina a caso della Scienza Nuova rappresenta, al contrario di quanto si possa immaginare, il miglior esempio di lettura esperta del testo. Vico ci ha lasciato un’opera senza inizio e senza conclusione che è la perfetta immagine del corso storico che intendeva rappresentare: la sua ‘Storia ideale eterna’ non è una storia universale ordinata teleologicamente verso un eschaton ma l’incessante ritornare di momenti, simboli, strutture, miti che si risemantizzano insieme con lo scorrere del tempo, acquisendo nuove forme e significati. La metafora dell’acqua del fiume, che Vico usa per rappresentare visivamente l’avvicendarsi delle epoche storiche, è utile per comprendere la costruzione vichiana, della sua opera e della sua ‘Storia ideale eterna’: il lettore e l’interprete, anche immergendosi in punti diversi del libro o del tempo storico, troveranno persistenze e continuità, avvertiranno i mutamenti di temperatura e di corrente, ma sapranno di muoversi nelle stesse acque, «come i grandi rapidi fiumi si spargono molto dentro il mare e serbano dolci l'acque portatevi con la violenza del corso». Auerbach descrive con precisione questa condizione della storia universale vichiana: «La storia universale è in continuo movimento ma pur nel suo movimento è un eterno stato platonico»139. Rispetto alle storie universali di matrice illuminista e poi idealista, la
storia di Vico non trova ordinamento nella coscienza tassonomizzatrice dell’uomo moderno, essa è refrattaria a incasellamenti e a linearità e lascia tracce difficilmente
139 E. Auerbach, Vico und der Volksgeist, in Wirtschaft und Kultursystem. Festschrift für Alexander Rüstow, Eugen Rentsch, Erlenbach-Zürich/Stuttgart 1955, trad. it. Id., Vico e il Volksgeist, in Id., San Francesco, Dante e Vico, Editori Riuniti, Roma 1987, p. 245.
inscrivibili in un continuum storico-temporale. «L’affinità tra Vico e il nuovo pensiero filologico si salda proprio nella concezione di uno sviluppo che per sua natura lascia e deposita “rottami”140, residui, persistenze che offrono all’interprete
l’attrito necessario alla “presa” ermeneutica»141. In questo panorama di rottami e
residui della storia la filologia è lo strumento metodologico e ermeneutico più adeguato per comprendere il passato che si affaccia sul presente. La filologia, come sostiene a ragione Silvia Caianiello in un confronto con il modello cumulativo dello storicismo di matrice illuministica e idealistica, «approfondisce la percezione della “resistenza” fattuale del passato all’assimilazione senza residui in una cumulatività ascensionale dell’esperienza storica, passibile di concludersi in una ragione assoluta»142. Come dimostra l’analisi di Cristofolini sulle streghe, il
“rottame” è la figura del significante originario (nel caso delle streghe, la ferocia del diritto eroico), che acquisisce un nuovo significato, denso della tradizione di cui è portatore, nel presente. L’etimologia è così importante per Vico, accanto alla filologia, perché nella storia delle parole, anch’esse vestigia del corso storico, e nella storia degli usi che se ne è fatti risiede non solo il loro significato ma la chiave per interpretare le epoche e gli uomini. L’etimologia vichiana risale fino alla preistoria del discorso, fino ai parlari concreti dell’età degli eroi e al significare attraverso le cose stesse:
Per questi stessi princìpi, perché non intendevano forme astratte, ne immaginarono forme corporee, e l'immaginarono, dalla loro natura, animate. E finsero l'eredità signora delle robe ereditarie, ed in ogni particolar cosa ereditaria la ravvisavano tutta intiera: appunto come una gleba o zolla del podere, che presentavano al giudice, con la formola della revindicazione essi dicevano «hunc fundum». E così, se
140 Sul concetto di “rottame” in Vico cfr. P. Cristofolini, Scienza nuova. Introduzione alla lettura, Roma 1995, § 5.3.I: Piccola digressione sulle streghe, riferita alla degnità XL della Scienza nuova del 1744. 141 S. Caianiello, Vico e lo storicismo tedesco, ed. cit.
non intesero, sentirono rozzamente almeno ch'i diritti fussero indivisibili.
E nelle epoche più avanzate della storia dell’uomo non si persero del tutto i significati legati a questi referenti oggettivi, rimasero piuttosto, seppur svuotati del loro significato letterale, come reperti, nascosti nell’oralità e nel modo di dire, rintracciabili nelle pieghe opache della lingua astratta e dei concetti. Di questi reperti, come dei reperti archeologici, il filologo misura la radioattività e le mutazioni genetiche, gli slittamenti di significato e le permanenze. Così moltissime sono le vestigia rimaste dall’antica barbarie nella «barbarie ritornata»:
Della qual «autorità» della barbarie seconda, alla quale, come ad innumerabili altre cose, noi in quest'opera facciam luce con le antichità della prima (tanto ci sono riusciti più oscuri de' tempi della barbarie prima questi della seconda!), sono rimasti tre assai evidenti vestigi in queste tre voci feudali: prima nella voce «diretto», la qual conferma che tal azione dapprima era autorizzata dal diretto padrone; dipoi nella voce «laudemio», che fu detto pagarsi eziandio per lo feudo che si fusse dovuto per cotal laudazione in autore che noi diciamo; finalmente nella voce «laudo», che dovette dapprima significare sentenza di giudice in tali spezie di cause, che poi restò a' giudizi che si dicono «compromessi».
Chi si è posto in termini analoghi il problema di una concezione più aperta di tempo e di corso storico è stato sicuramente, dalla prospettiva di storico dell’arte, Aby Warburg. In una importante conferenza del 1912, concludendo il suo intervento sui motivi astrologici degli affreschi di Francesco del Cossa a Ferrara, Warburg richiamava il suo uditorio alla necessità di aprire la disciplina della storia dell’arte, «un’arringa a favore di un ampliamento metodologico dei confini
tematici e geografici della nostra disciplina [eine methodische Genzerweiterung unserer Kunstwissenschaft]»143.
Studiare la storia dell’arte significava principalmente per Warburg mettersi davanti al tempo complesso delle immagini, come fonti. Da questo confronto risulta immediatamente, come scrive Didi-Huberman, che il tempo dell’immagine non è il tempo della storia, Warburg «sente di dover prendere un altro tempo rispetto al tempo vasariano delle “storie” autocelebrative, o al tempo hegeliano del “senso universale della storia”. Egli crea un tipo inedito di rapporto tra il particolare e l’universale»144. L’immagine ricercata da Warburg è portatrice tanto di fitti legami
con il contesto di estrazione quanto di possibilità di risignificazione nel contesto di interpretazione; essa non è solo immagine, ma anche simbolo, figura e atto. “Il tipo inedito di rapporto tra il particolare e l’universale” risiede quindi nella stessa complessità dell’immagine come punto di partenza, dato singolo da cui ricostruire le concatenazioni morfologiche e i rapporti antropologici che rendono queste singolarità storicamente e culturalmente operanti145. Il paradigma alla base di
questa interpretazione dell’immagine come singolarità aperta a connessioni figurali è quello di “sopravvivenza” [Nachleben]. Il corso storico è permeato di continuità e sopravvivenze che inanellano sequenze di immagini, atti, e eventi richiamantisi per affinità morfologiche. Il Nachleben di Warburg non è testimonianza di un’evoluzione in corso, impone piuttosto un disorientamento: come un fossile vivente reca testimonianza di uno stato più originario ma non porta con sé le tracce di un’evoluzione, così la sopravvivenza warburghiana apre la storia verso il passato, portando nel presente un altro tempo, un racconto anacronistico.
143 A. Warburg, Italienische Kunst und internationale Astrologie im Palazzo Schifanoja zu Ferrara, in D. Wuttke (a cura di), Ausgewälte Schriften und Würdigungen, Koerner, Baden-Baden 1980, trad. it.: Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoja di Ferrara, in La Rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della cultura raccolti da Gertrud Bing, La Nuova Italia, Firenze 1966, p. 268.
144 G. Didi-Huberman, L’immagine insepolta, Aby Waarburg, la memoria dei fantasmi e la storia dell’arte, Bollati Boringhieri, Torino 2006, p. 41.
Con il metodo del mio tentativo di interpretare di Palazzo Schifanoja spero di aver mostrato che un’analisi iconologica la quale non si lasci intimorire da un esagerato rispetto dei confini, e consideri antichità, Medioevo ed evo moderno come una epoca connessa, e interroghi altresì le opere dell’arte autonoma e dell’arte applicata in quanto sono entrambe e a pari diritto documenti dell’espressione, spero di aver mostrato che questo metodo, cercando di illuminare con cura ogni singola oscurità, illumina i grandi momenti dello sviluppo generale nella loro connessione. A me premeva meno l’elegante soluzione che l’enucleazione di un nuovo problema che vorrei formulare in questo modo: “in che misura l’avvento della trasformazione stilistica della figura umana nell’arte italiana è da considerarsi come il risultato di un confronto su base internazionale coi sopravviventi concetti figurativi della civiltà pagana dei popoli del Mediterraneo orientale?”146.
La riflessione warburghiana sulle sopravvivenze matura alla luce di studi di antropologia e filologia; fra gli autori più significativi per la sua formazione è sicuramente Hermann Usener. Il suo I nomi degli dèi è un trattato a cavallo fra la filologia e la morfologia della religione che ha a oggetto la formazione dei concetti astratti attraverso le parole e utilizza come banco di prova la storia delle parole che sono servite per designare le essenze divine. «Nei nomi degli dèi noi quindi cercheremo la spiegazione documentaria del modo in cui si formarono rappresentazioni dell’infinito»147. Le lunghe etimologie dell’opera di Usener fanno
emergere nella parola, grazie al lavoro filologico, l’intreccio di sacro e poetico, edificando un lungo richiamarsi di permanenze nella rappresentazione del mondo, per mezzo del linguaggio, dalla preistoria dell’uomo al suo presente, attraverso le “modificazioni” dell’animo umano:
146 A. Warburg, Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoja di Ferrara, trad. it. cit., p. 268.
Cerchiamo una storia delle rappresentazioni che costituisca la preistoria delle cose fuori di noi e in noi e se seguiamo il molteplice formarsi e riformarsi delle singole rappresentazioni, prepareremo i mattoni per la grande costruzione di una storia dello sviluppo dello spirito umano148.
La “storia dello sviluppo dello spirito umano” di Usener richiama da vicino la warburghiana “psicologia storica dell’espressione umana” che, «brancolando cerca di trovare la propria teoria dello sviluppo fra gli schematismi della storia politica e le teorie del genio»149. Entrambe le proposte di ridefinizione delle rispettive
discipline, la storia dell’arte per Warburg, la filologia per Usener, partono dalla consapevolezza vichiana di una “comune natura umana di tutte le nazioni” di un persistere funzionale delle rappresentazioni della preistoria dell’uomo nelle “modificazioni” dell’animo umano. Il lavoro filologico consente di risalire la corrente della storia dello sviluppo dello spirito umano e di descrivere, o quantomeno elencare, le tappe di questo percorso, rendendo perspicue le connessioni tra queste e il presente.
Visto che noi per il momenti non troviamo nella nostra coscienza fatti che possano renderci perspicui gli impulsi e i processi spirituali dei popoli preistorici, un procedimento di tipo speculativo qual è quello esercitato dalla cosiddetta filosofia della religione è escluso. È soltanto immergendoci con abnegazione in queste tracce spirituali di un tempo trascorso, vale a dire mediante il lavoro filologico, che noi possiamo educarci al sentire quel che altri hanno sentito: allora, pian piano, quelle corde che in noi stessi sono affini potranno vibrare e risuonare,
148 Ivi, p. 366.
149 A. Warburg, Arte italiana e astrologia internazionale nel Palazzo Schifanoja di Ferrara, trad. it. cit., p. 268.
inducendoci a scoprire nella nostra coscienza quei fili che collegano l’antico al nuovo150.
Il positivista Tito Vignoli, che costituisce il tramite tra i due autori e Vico – Warburg frequenta le lezioni di Usener a Bonn tra il 1886 e il 1887, lezioni nelle quali Usener farà esplicita menzione di Vignoli – sente la necessità addirittura di ritrovare una legge intrinseca psico-organica per giustificare il persistere e il ricomparire dell’attività mitica nella storia dell’uomo151. Queste persistenze o
sopravvivenze, come le chiama Warburg, sono testimoniabili nell’ambito della storia della religione e delle rappresentazioni divine, nei mutamenti che subiscono i nomi degli dei che assecondano la progressiva formalizzazione del linguaggio: dagli dei momentanei, il cui esistere coincide con un contenuto intuitivo immediato, fino agli dèi personali, la cui denominazione rappresenta un progressivo allontanarsi dal ricordo dell’impressione singola – il fulmine di Giove – del dio momentaneo il cui nome perdura come attributo del nuovo dio.
La condizione che rende possibile la nascita degli dèi personali è rappresentata da un processo di tipo storico-linguistico. Nel momento in cui la denominazione di un dio particolare più importante, a causa di un chiaro mutamento oppure della caduta della radice verbale corrispondente, smarrisce il legame con il vivo patrimonio linguistico, e perde la sua autonomia, diventa un nome proprio. Solo in quanto connesso ad un nome proprio il concetto del dio mantiene la facoltà e l’impulso di creare forme personali nel mito e nel culto, nella poesia e nell’arte figurativa. [...] Non appena un dio è divenuto personale grazie al nome proprio, attrae nella sua sfera di influenza i singoli concetti affini degli dèi particolari: questi, se non sono in possesso di un particolare significato, deperiscono e muoiono, mentre se hanno
150 H. Usener, trad. it. cit., p. 43. 151 T. Vignoli, op. cit., p. 241.
maggior peso continuano la loro vita come appellativi della divinità personale oppure, come essenze subordinate, entrano a far parte del loro seguito152.
La stessa persistenza che hanno nel linguaggio i nomi degli dei si riscontra in quelle che Warburg chiama “Formule di pathos”. L’espressione compare nel saggio del 1905 Dürer e l’antichità italiana153 e poi la si trova diffusamente, come
documenta Carlo Ginzburg154, negli appunti accumulati nel corso degli anni. Con Pathosformeln Warburg voleva documentare «gesti di emozione tratti dall’antico, ripresi nell’arte del Rinascimento con significato rovesciato. Un esempio di quest’inversione energetica (termine di Warburg) è la Maria Maddalena raffigurata come una menade nella Crocifissione di Bertoldo di Giovanni, il plasticatore fiorentino discepolo di Donatello»155. Proprio la Maria Maddalena menadica è
rappresentata due volte, nelle tavole 25 e 42, del grande progetto che Warburg realizzò alla fine della sua carriera, l’atlante di immagini Mnemosyne. Un altro esempio di conservazione e contemporaneamente inversione della carica energetica di un’immagine è quella raffigurata sulla Colonna Traiana dell’imperatore che travolge un nemico sconfitto con il suo cavallo, immagine che nel medioevo viene interpretata come simbolo della pietà di Traiano che trattiene il cavallo dinanzi alla supplica della madre di un barbaro ucciso. Leggiamo l’episodio per come arriva a Dante:
La miserella intra tutti costoro pareva dir: "Segnor, fammi vendetta
di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro";
152 H. Usener, trad. it.. cit., pp. 350-351.
153 A. Warburg, Dürer und die italienische Antike, in Ausgewählte Schriften und Würdigungen, ed. cit., p. 126. Trad. it: Dürer e l’antichità italiana, in Id., La rinascita del paganesimo antico, ed. cit., p. 196.
154 C. Ginzburg, Paura reverenza terrore, Adelphi, Milano 2015, p. 12. 155 Ivi, p. 13.
ed elli a lei rispondere: "Or aspetta tanto ch’i’ torni"; e quella: "Segnor mio", come persona in cui dolor s’affretta,
"se tu non torni?"; ed ei: "Chi fia dov’io, la ti farà"; ed ella: "L’altrui bene
a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?";
ond’elli: "Or ti conforta; ch’ei convene ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova: giustizia vuole e pietà mi ritene".
La restituzione dell’antichità da parte degli artisti rinascimentali non fu soltanto frutto di consapevolezza storica o di empatia stilistica, ma anche di un’autonoma riflessione sulla valenza psichica di alcune rappresentazioni provenienti dall’antico, come se ciascuna delle immagini sopravviventi si collocasse nella cronologia del presente, assumendovi un nuovo significato, sulla base della datazione dell’isotopo radioattivo dell’animo umano e dell’epoca. A questo proposito risultano illuminanti le parole di Warburg nell’introduzione a Mnemosyne:
Caratterizzare la restituzione dell’antichità come risultato della nuova consapevolezza della fattualità storica e di un’empatia artistica dalla coscienza libera, resta un evoluzionismo descrittivo insufficiente se non si osa al contempo cercare di scendere nella profondità dell’intrico istintuale che lega lo spirito umano alla materia stratificata acronologicamente156.
156 A. Warburg, Presentazione del Bilderatlas, in Mnemosyne. L'Atlante della memoria di Aby Warburg, a cura di Italo Spinelli e Roberto Venuti, Roma 1988.
Wind, in un’indicazione inedita citata da Buschendorf nella sua postfazione alla traduzione tedesca di Pagan Mysteries in the Renaissance, definisce la logica adottata da Warburg per il montaggio dei suoi quadri storici per immagini una logica