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Rideterminazione della pena in executivis in materia d

5. Declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale non

5.1. Rideterminazione della pena in executivis in materia d

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014186 è sorta la problematica concernente la rideterminazione in sede esecutiva del trattamento sanzionatorio, divenuto definitivo prima di detta sentenza, per reati riguardanti “droghe leggere”. Con tale sentenza la Consulta si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della

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modifica apportata dalla c.d. legge “Fini-Giovanardi”187 alla fattispecie di reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 – con la quale si era uniformato il trattamento sanzionatorio relativo alle ipotesi di reato concernenti le c.d. “droghe leggere” con quelle riferite alle c.d. “droghe pesanti” – annullando tale equiparazione quoad poenam e ripristinando l’originario testo dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990.

In particolare, l’art. 73, T.U. stupefacenti, così come modificato dalla legge Fini-Giovanardi, parificava ai fini sanzionatori le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV previste dal previgente art. 14 (“droghe leggere”) a quelle di cui alle tabelle I e III (“droghe pesanti”), inasprendo il trattamento sanzionatorio previsto per le condotte illecite relative alle “droghe leggere”: «Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000».

Mentre l’art. 73, T.U. stupefacenti, nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla norma dichiarata incostituzionale e quindi nuovamente in vigore, prevede un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello caducato per gli illeciti concernenti le “droghe leggere”, puniti con la pena della reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 5.164 a euro 77.468, stabilendo, viceversa, sanzioni più severe per

187 In particolare, artt. 4 bis e 4 vicies ter, del decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure

urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, Testo Unico stupefacenti), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49 (c.d. legge Fini-Giovanardi).

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i reati concernenti le droghe “pesanti”, puniti con la pena della reclusione da otto a venti anni con la multa da euro 25.822 a euro 258.228.

Dunque, con riferimento alla specifica vicenda Gatto188 – ove l’imputazione era di detenzione al fine di cessione a terzi di sostanze stupefacenti “leggere” (marijuana) e “pesanti” (cocaina) – il giudice dell’esecuzione, nella rimodulazione della pena, dovrà senz’altro tenere conto della versione originaria dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, tornata ipso iure in vigore a seguito dell’intervento del giudice delle leggi: la declaratoria di incostituzionalità, avendo forza invalidante ex tunc, va ad incidere sull’esecuzione ancora in corso della pena illegittimamente inflitta al condannato, imponendone la rideterminazione. Inoltre, è il caso di precisare che, quand’anche si ritenesse che la recente l. 21 febbraio 2014, n. 10189 e quella 16 marzo 2014, n. 79190, che hanno, ancora una volta, travolto l’art. 73, comma 5, d.P.R n. 309/1990 – la prima, trasformando la circostanza attenuante del “fatto di lieve entità” in una fattispecie autonoma di reato191, la seconda,

modificando ex novo il quadro edittale192 – abbiano introdotto un regime

188 V. supra par. 5.

189 Recante «Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione

controllata della popolazione carceraria», di conversione del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146.

190 Recante «Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze

psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinali», di conversione del d.l. 20 marzo 2014, n. 36.

191 L’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, così come interpolato, stabiliva che: «Salvo che

il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000»

192 Secondo l’ultima formulazione, l’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 sancisce che:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329». Dunque, con quest’ultimo intervento

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sanzionatorio complessivamente di maggior favore per il reo193, la questione non avrebbe rilievo nella vicenda in esame: intervenuta l’irrevocabilità della sentenza di condanna, al giudice dell’esecuzione è inibito ex art. 2, comma 4, c.p., applicare norme più favorevoli successivamente approvate dal legislatore, dunque la pena inflitta non potrebbe essere rideterminata sulla base della nuova norma, sopravvenuta al passaggio in giudicato della sentenza.

Ritornando alla problematica prospettata ad inizio paragrafo, ossia quella della rideterminazione in sede esecutiva delle pene per reati riguardanti “droghe leggere” divenute definitive prima della sentenza n. 32/2014 della Corte Costituzionale, assume una particolare rilevanza la sentenza n. 53793 del 22 dicembre 2014 della Cassazione194.

Nel caso specifico, un condannato alla pena di due anni e otto mesi di reclusione per la detenzione di sostanza stupefacente rientrante nella categoria “droga leggera” (nella fattispecie, canapa indiana) aveva presentato al Tribunale di Milano, in funzione di giudice dell’esecuzione, istanza di rideterminazione della pena sulla base del trattamento sanzionatorio più favorevole conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge Fini-Giovanardi. Tale istanza veniva rigettata in ragione del supposto vincolo del giudicato. Secondo il giudice dell’esecuzione la pronuncia della Consulta determinava la reviviscenza della normativa anteriore alla riforma del 2006, con

normativo, si è ripristinato il vecchio quadro edittale fissato nel testo originario del T.U per i fatti di lieve entità aventi ad oggetto le “droghe leggere” estendendolo, peraltro, anche ai fatti corrispondenti aventi ad oggetto “droghe pesanti”, per i quali il T.U. originario prevedeva, invece, la pena, più afflittiva, della reclusione da uno a sei anni.

193 La nuova disciplina è, rispetto alla precedente, senz’altro più favorevole per quanto riguarda

i fatti aventi ad oggetto “droghe pesanti”, mentre rispetto ai fatti aventi ad oggetto droghe “leggere” si dovrà stabilire caso per caso quale sia la disciplina più favorevole, in relazione alla natura meramente circostanziale del comma 5 nella sua versione originaria e alla sua attuale natura di fattispecie autonoma.

194 Cass. pen, sez. I, 22 dicembre 2014 (dep. 30 dicembre 2014), n. 53793, in

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conseguente impossibilità di intervento in fase esecutiva volto ad incidere sulla pena inflitta con la condanna definitiva: non solo mancava una norma idonea ad attribuire in via generale al giudice dell’esecuzione l’eccezionale potere di incidere sul giudicato, ma sussistevano ragioni per ritenere che la mancanza di una norma del genere – salvo che per casi eccezionali – fosse frutto della volontà del legislatore. Non soccorrevano allo scopo né l’art. 2 c.p., né l’art. 673 c.p.p., norma eccezionale che non lasciava spazio ad interpretazioni estensive o ad applicazioni analogiche; né, infine, il combinato disposto degli artt. 136 Cost. e 30, comma 4, l. 87/1953. Poiché l’effetto della sentenza della Corte era quello di una successione di leggi nel tempo, l’art. 30 di cui sopra non poteva trovare applicazione, essendo applicabile solo in caso di declaratoria di illegittimità di una norma incriminatrice. Sulla base di tali argomentazioni, secondo il Tribunale di Milano doveva trovare applicazione la regola generale dell’intangibilità del giudicato, dovendosi considerare eccezionali e tassativi i poteri di intervento sul giudicato da parte del giudice dell’esecuzione.

Avverso tale ordinanza di rigetto il condannato proponeva ricorso per Cassazione. La prima sezione penale, recependo l’orientamento dettato dalle Sezioni Unite secondo cui gli effetti retroattivi dell'illegittimità costituzionale di una norma penale sostanziale diversa da quella incriminatrice non trovano il limite del giudicato, ma solo quello della totale espiazione della pena, ha annullato l'ordinanza impugnata. In aderenza all'orientamento delle Sezioni Unite, la Prima sezione penale ha ritenuto che nel caso in questione dovesse trovare applicazione l'art. 30, comma 4 della l. n. 87/1953, interpretato nel senso che il concetto di “norma dichiarata incostituzionale" ricomprende anche le norme penali sostanziali diverse da quella incriminatrice che abbiano inciso sulla determinazione della pena.

La seconda parte della sentenza affronta poi la questione del tipo di intervento che il giudice dell'esecuzione è chiamato a compiere.

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La sentenza non motiva sulla competenza del giudice dell'esecuzione, che è infatti un punto non controverso: pur in mancanza di una attribuzione espressa, si ritiene pacificamente che tale organo abbia il compito di decidere su tutte le questioni relative al rapporto esecutivo. Tuttavia, è controversa la questione dell'ampiezza dei poteri che il giudice dell'esecuzione può e deve esercitare nell'ambito della rideterminazione della pena: la norma su cui tale facoltà viene fondata (art. 30, comma 4, l. 87/1953) si limita infatti ad indicare il caso in cui ciò può avvenire, ma è muta quanto alle modalità da seguire in concreto per la nuova commisurazione della pena. Sulla questione si riscontra una diversità di orientamenti sotto due aspetti: in primo luogo, in relazione alla possibilità di rideterminare la pena quando questa risulti comunque già compatibile con i limiti edittali vigenti; in secondo luogo, in relazione ai criteri con cui deve essere operata la rideterminazione.

Con la sentenza in esame, la prima sezione penale della Cassazione prende una posizione precisa su entrambi gli aspetti. Coerentemente con l'indirizzo fatto proprio dalle Sezioni Unite, la prima sezione ritiene che il giudice dell'esecuzione sia tenuto a compiere due valutazioni successive. Dapprima, il giudice deve «verificare l’incidenza concreta della decisione irrevocabile, all'atto della domanda, sulla libertà personale per essere in effettiva esecuzione la pena derivante – anche in parte – da norma di diritto sostanziale dichiarata incostituzionale». Si tratta, cioè, di verificare che la pena (o la parte di pena) di cui si richiede la rideterminazione non sia stata completamente eseguita, il che renderebbe gli effetti della sentenza irreversibili e, dunque, non più rimuovibili nonostante la sopravvenuta incostituzionalità della norma penale sostanziale. Infatti, la norma che legittima l'intervento in fase esecutiva, ossia il più volte citato art. 30, comma 4, l. 87/1953, prevede espressamente la cessazione dell'esecuzione della pena, da intendersi riferita – nei casi come quello in esame – alla quota di pena eccedente la misura legittima: se l'esecuzione è già terminata per integrale

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espiazione della pena, non c'è intervento che il giudice dell'esecuzione possa porre in essere195.

Successivamente, qualora la prima valutazione abbia dato esito positivo, il giudice dell'esecuzione deve procedere alla «ricostruzione del contenuto della decisione irrevocabile nel senso della concreta incidenza sul trattamento sanzionatorio determinato in sede di cognizione della specifica norma dichiarata incostituzionale, con conseguente rideterminazione del trattamento sanzionatorio, tenendo conto della compiuta ricostruzione del fatto da parte del giudice della cognizione nonché delle norme applicabili al momento della decisione in punto di commisurazione della sanzione».

Quanto alla “concreta incidenza della norma incostituzionale”, la prima sezione osserva che l'incostituzionalità dichiarata con la sentenza n. 32/2014 ha colpito un intervento di complessiva riforma dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, con conseguente e automatica riespansione della previgente disciplina, certamente più favorevole al reo per la drastica riduzione dei minimi e massimi edittali. La prima sezione ritiene che ciò sia sufficiente per considerare che siano viziate tutte le condanne per i fatti commessi durante la vigenza della norma illegittima e divenute definitive prima della declaratoria di incostituzionalità: «risulta in ogni caso illegale il trattamento sanzionatorio delle condotte illecite concernenti le droghe c.d. “leggere” [...] atteso che, in relazione a tali sostanze, l'intervento normativo dichiarato illegittimo aveva comportato un massiccio incremento dei limiti edittali della sanzione detentiva». È chiaro che, seguendo questa impostazione, il solo fatto che le cornici edittali introdotte con la legge Fini-Giovanardi fossero illegittime e non sovrapponibili a quelle che sono state ripristinate rende

195 Al riguardo, nella sentenza Gatto si osserva che «tutti gli effetti pregiudizievoli derivanti da

una sentenza penale di condanna fondata, sia pure parzialmente, sulla norma dichiarata incostituzionale devono essere rimossi dall'universo giuridico, ovviamente nei limiti in cui ciò sia possibile, non potendo essere eliminati gli effetti irreversibili perché già compiuti e del tutto consumati» (cons. in diritto, p. 5.2).

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automaticamente “illegali” tutte le condanne definitive, senza che sia necessario valutare caso per caso se le singole pene irrogate siano o meno compatibili con la normativa ritornata in vigore196.

Nell’occasione, la Cassazione dimostra quindi di adottare un concetto di “pena illegale in astratto”,per cui l'illegalità della sanzione discende non da un superamento dell'attuale e ripristinato limite massimo (come invece richiede il concetto di pena illegale in concreto), bensì dal fatto che in ogni caso si tratta di pena determinata sulla base di una forbice edittale dichiarata illegittima e nettamente più sfavorevole197. La prima sezione esclude dunque che la rideterminazione possa essere limitata a una mera sottrazione del

quantum di pena eccedente i limiti massimi vigenti. Né viene accolta

l'ipotesi di effettuare una proporzione matematica fra i vecchi e i nuovi estremi della cornice edittale, in modo da riprodurre la medesima collocazione della pena concretamente inflitta nell'arco compreso tra il minimo e il massimo della pena alla luce della normativa ripristinata

196 Di diverso avviso, nella giurisprudenza recente, Cass. pen., sez. VI, 14 gennaio 2015, n. 1409,

in www.dirittifondamentali.it, 26 gennaio 2015, secondo cui solo le pene quantitativamente incompatibili con i nuovi valori edittali sono illegali, conseguendone che, qualora il valore della pena della sentenza emessa dal giudice della cognizione risulti compatibile con i limiti edittali ripristinati dalla Consulta, la pena stessa non possa considerarsi illegale.

197 Per i concetti di “pena illegale in astratto” e “pena illegale in concreto” si veda G.

RICCARDI, Giudicato penale e “incostituzionalità̀” della pena. Limiti e poteri della

rideterminazione della pena in executivis in materia di stupefacenti, in

www.penalecontemporaneo.it, 26 gennaio 2015, il quale evidenzia due differenti nozioni di

“illegalità” della pena: ove si consideri «un concetto di pena illegale in astratto, la rideterminazione sanzionatoria sarà ammissibile anche nei casi in cui la pena irrogata rientri nell’attuale quadro edittale. Secondo tale orientamento, dunque, a prescindere dal quantum sanzionatorio concretamente irrogato, nei casi di “droghe leggere” occorre sempre provvedere ad una rideterminazione della pena in executivis, perché trattasi di pena determinata sulla base di una forbice edittale dichiarata illegittima». Invece, ove si consideri «un concetto di pena illegale in concreto, si afferma la rilevanza dell’incidente di esecuzione proposto per la rideterminazione della pena solo allorquando la pena irrogata sia concretamente “illegale”, in quanto la pena detentiva base individuata era, all’epoca del dictum giurisdizionale, superiore all’attuale forbice edittale, nel suo range massimo».

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dalla Corte Costituzionale. La soluzione qui seguita parte invece dalla considerazione che la commisurazione della pena «è frutto di una scelta che il giudice della cognizione compie, con discrezionalità guidata, in un ambito legislativamente definito tra il minimo e il massimo edittale», per cui «il profondo mutamento di cornice derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria una rivalutazione piena di tale aspetto in sede esecutiva, che il giudice dell'esecuzione deve compiere tenendo conto del fatto, così come accertato da quello della cognizione, ma non anche dei termini matematici espressi da tale giudice [...] trattandosi di scelte operate in un quadro normativo alterato dal criterio legislativo (legge del 2006)». Dunque, il giudice dell'esecuzione è chiamato a una rivalutazione che, pur dovendo basarsi sui fatti accertati in via definitiva dal giudice della cognizione, implica una nuova determinazione della pena tenendo conto dei principi generali del sistema sanzionatorio (tra cui quello per cui non può essere aumentata l'afflittività della pena stabilita nella sentenza di condanna).

Si tratta di una soluzione spiccatamente a tutela della libertà personale del condannato, al quale con la nuova determinazione della pena viene riconosciuto un trattamento sanzionatorio pienamente conforme al quadro edittale ripristinato dalla Corte Costituzionale.

Soluzione interpretativa – per cui l’illegalità della pena discende automaticamente dall'applicazione della cornice edittale incostituzionale e non, al contrario, da un superamento del tetto massimo di pena attualmente previsto – confermata anche dalla sentenza 26 febbraio 2015 delle Sezioni Unite198. Con quest’ultimo intervento il Supremo Consesso ha deciso le seguenti due questioni di diritto: «se per i delitti previsti dall'art. 73, d.P.R. 309 del 1990, in relazione alle droghe c.d. leggere, la pena applicata con sentenza di “patteggiamento” sulla base della normativa dichiarata incostituzionale con la sentenza n. 32

198 Cass. SS.UU., s. 26 febbraio 2015 (dep. 28 luglio 2015), n. 33040, in

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del 2014 della Corte Costituzionale debba essere rideterminata anche nel caso in cui la stessa rientri nella nuova cornice edittale applicabile; se sia rilevabile d'ufficio, nel giudizio di Cassazione, l'illegalità della pena conseguente a dichiarazione d'incostituzionalità di norme attinenti al trattamento sanzionatorio, anche in caso di inammissibilità del ricorso».

La soluzione adottata è stata affermativa per entrambi i quesiti. In particolare, per quanto riguarda il primo quesito, le Sezioni Unite hanno stabilito che «è illegale la pena determinata dal giudice attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato sui limiti edittali dell'art. 73, d.P.R. 309/90 come modificato dalla legge n. 49/2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato successivamente incostituzionale con sentenza n. 32/2014, anche nel caso in cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti dall'originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità. Nel patteggiamento l'illegalità sopraggiunta della pena determina la nullità dell'accordo e la Corte di Cassazione deve annullare senza rinvio la sentenza basata su tale accordo». Pertanto, la pena applicata su richiesta delle parti per i delitti in materia di “droghe leggere”, disciplinati dalla reviviscente legge 309 del 1990, deve essere necessariamente rideterminata in sede di esecuzione attraverso la “rinegoziazione” dell’accordo tra le parti, ratificato dal giudice dell’esecuzione; inoltre, in caso di mancato accordo, il giudice dell’esecuzione provvede alla rideterminazione della pena in base ai criteri di cui agli articoli 132 e 133 del codice penale.

Per quanto riguarda il secondo quesito, le Sezioni Unite hanno dettato il principio di diritto per cui «nel giudizio di Cassazione l'illegalità della pena conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d'ufficio

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anche in caso di inammissibilità del ricorso, tranne che nel caso di ricorso tardivo».

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