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La progressiva erosione della stabilità del giudicato penale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

LA PROGRESSIVA EROSIONE DELLA

STABILITÀ DEL GIUDICATO PENALE

Candidata: Relatrice:

Carolina Casotti Prof.ssa Valentina Bonini

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Ai miei genitori

e ai miei fratelli Maria Teresa e Giovanni

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INDICE SOMMARIO

pag.

Premessa ... 4

CAPITOLO I

IL GIUDICATO PENALE: INQUADRAMENTO GENERALE DELL’ISTITUTO

1. Evoluzione storica dell’istituto del giudicato penale: dall’esperienza giuridica romana al codice di rito del 1930 ... 7 2. Disciplina costituzionale del giudicato penale ... 12 3. Disciplina codicistica del giudicato penale: giudicato in senso formale e giudicato in senso sostanziale ... 14 3.1. Efficacia “negativa” del giudicato: il divieto di bis in idem ... 17 3.2. Efficacia “positiva” del giudicato ... 24 3.2.1. Efficacia del giudicato penale in altri procedimenti penali ... 24 3.2.2. Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio

civile o amministrativo di danno: art. 651 c.p.p. ... 25 3.2.3. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno: art. 652 c.p.p. ... 27 3.2.4. Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare:

art. 653 c.p.p. ... 29 3.2.5. Efficacia della sentenza penale in altri giudizi civili o amministrativi: art. 654 c.p.p. ... 30 4. Il giudicato parziale ... 32 5. Il giudicato “allo stato degli atti” ... 36

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5.1. La sentenza di non luogo a procedere quale ipotesi di giudicato “allo stato degli atti” ... 38 5.2. Il giudicato cautelare ... 42

CAPITOLO II

FLESSIBILITÀ DEL GIUDICATO PENALE

1. Il passaggio da un modello di giudicato “rigido” ad un modello di giudicato “flessibile” ... 45 2. La revisione ... 48 3. Gli interventi sul giudicato per effetto di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ... 56 3.1. Una prima soluzione giurisprudenziale: l’incidente di esecuzione ... 58 3.2. Il ricorso straordinario in Cassazione per errore materiale o di fatto ... 63 3.3. La revisione europea ... 71 4. Le sorti del giudicato penale in casi analoghi a quelli decisi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: i “fratelli minori di Scoppola” ... 78 5. La rescissione del giudicato ... 84

CAPITOLO III

ABROGAZIONE E DICHIARAZIONE DI ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELLA NORMA PENALE: INCIDENZA

SUL GIUDICATO

1. Giudice dell’esecuzione e poteri di incisione sul giudicato penale ... 90 2. Abrogazione della norma incriminatrice ... 93

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3. Dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma

incriminatrice ... 103

4. Revoca della sentenza per abrogazione o dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice: art. 673 c.p.p. ... 106

4.1. Irrilevanza del mutamento di indirizzo giurisprudenziale ai fini dell’operatività dell’art. 673 c.p.p. ... 109

4.2. Revoca del giudicato per intervenuta abolito criminis non rilevata o esclusa dal giudice di cognizione ... 121

5. Declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma penale non incriminatrice ed effetti sul giudicato ... 135

5.1. Rideterminazione della pena in executivis in materia di stupefacenti ...144

5.2. Rideterminazione della pena in executivis: profili critici ...154

BREVI CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ... 158

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PREMESSA

La naturale fallibilità del giudizio e l’intrinseca imperfezione dei mezzi di cognizione umani hanno indotto gli ordinamenti penali moderni a dotarsi di strumenti di controllo della decisione del giudice, «al fine di ripararne i possibili errores e consentire così il perfezionamento per gradus delle pronunce penali»1.

Tuttavia, il bene primario della giustizia sostanziale, tutelato, per l’appunto, mediante la previsione di diversi gradi di giudizio, deve confrontarsi e bilanciarsi con un altro interesse parimenti meritevole di tutela: la certezza del diritto. Difatti, ove le cause giudiziarie fossero illimitatamente oggetto di riesami e contestazioni, nella prospettiva di perseguimento di una utopica verità storica, si finirebbe per negare qualsivoglia giustizia concreta. Se si badasse solo a soddisfare l’esigenza di giustizia sostanziale, ossia «ad assicurare la riduzione al minimo possibile del rischio dell’errore giudiziario, bisognerebbe rassegnarsi all’idea di un processo penale caratterizzato da un numero astrattamente illimitato di controlli, e quindi destinato, potenzialmente, a non produrre mai risultati definitivi. L’ordinamento deve farsi carico di garantire anche il rispetto del principio di certezza del diritto, che viceversa impone di chiudere in tempi accettabili il processo [...]2». Pertanto, si pone l’esigenza politica3 di un limite pragmatico all’istanza euristica di indefinita riapertura dei processi penali4, oltre il quale il provvedimento giurisdizionale assume l’autorità di regolare le situazioni

1 F. CALLARI, La firmitas del giudicato penale: essenza e limiti, Milano, 2009, p. VIII. 2 M. CERESA-GASTALDO, Esecuzione, in AA.VV., Compendio di procedura penale, a cura

di G. CONSO - V. GREVI - M. BARGIS, VII ed., Cedam, Padova, 2014, p. 1104.

3 F. LOPEZ DE OÑATE, La certezza del diritto, Milano, 1968, p. 48.

4 Già in passato G. CHIOVENDA, Sulla cosa giudicata, in Rivista italiana per le scienze

giuridiche, 1907, ed ora in Saggi di diritto processuale civile (1894-1937), II, Milano, 1993, p.

400, ha rimarcato come «sono ragioni d’opportunità, riguardi di utilità sociale che fanno porre un termine alla indagine giudiziaria, e trattare la sentenza come legge irrevocabile pel caso concreto».

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giuridiche in maniera tendenzialmente stabile e definitiva, conseguendo quello che è il fine ultimo dell’attività giudiziaria: un accertamento definitivo5. Efficaci, in tal senso, le parole di Giovanni Leone: «è nella natura delle cose e nei limiti delle umane possibilità che ad un certo momento – esperiti tutti i rimedi predisposti a rimuovere le cause di ingiustizia – il processo sbocchi nella decisione irrevocabile, come le onde agitate di un fiume anelano a sfociare nella riposante quiete dell’estuario»6.

Provvedimento definitivo ed irrevocabile che potrebbe, peraltro, non ancora rispondere ad un modello di giustizia sostanziale: qualora emergano «fatti, prove, situazioni nuove non valutate nel giudizio conclusosi con la sentenza irrevocabile che, se conosciute, ed apprezzate tempestivamente, avrebbero condotto al proscioglimento dell’imputato, è da ritenersi che la firmitas iudicati debba cedere il passo all’evidenza del novum, per poter porre rimedio alla palese antinomia tra l’accertamento processuale e la realtà materiale disvelatasi»7.

Sacrificando, in parte, il profilo della certezza del diritto, si affermano progressivamente rimedi “straordinari” in grado di intaccare ed erodere il giudicato penale, configurando come recessiva la stabilità del giudicato medesimo rispetto alla necessità di tutela dei diritti

5 Così Corte Cost., 5 luglio 1995, n. 294, in Cass. Pen., 1995, p. 3244. Cfr. anche M. SCARDIA,

Relazione, in AA.VV., Errore giudiziario e riparazione pecuniaria, in Atti del Convegno di Lecce, 1962, Galatina, 1963, p. 35, secondo cui è necessario «che le controversie abbiano un

fine. Se fosse consentito rinnovarle continuamente sotto il pretesto di errore, si perpetuerebbero in modo che il mondo sarebbe pieno di liti».

6 G. LEONE, Il mito del giudicato, in Riv. it. dir. proc. pen., 1956, p. 179. Tale concezione

risponde, del resto, ad un’esigenza logica, prima che giuridica, che le linee del procedimento siano tracciate in modo che esse abbiano a progredire verso la soluzione finale attraverso la concatenazione di atti aventi valore definitivo (v. Corte Cost., 21 gennaio 1999, n. 11, in Giur.

Cost., 1999, p. 69; Corte Cost., 3 luglio 1996, n. 224, ivi, 1996, p. 2089; Corte Cost., 4 febbraio

1982, n. 21, ivi 1982, I, p. 206).

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inviolabili costituzionali e sovranazionali, la cui violazione sia divenuta manifesta dopo la pronuncia irrevocabile8.

8 Già Corte Cost., 9 aprile 1987, n. 115, in Riv. Pen., 1987, p. 719, rimarcava la necessità che il

principio dell’intangibilità del giudicato fosse «rettamente inteso»: «è proprio l’ordinamento stesso che è tutto decisamente orientato a non tenere conto del giudicato, e quindi a non mitizzarne l’intangibilità, ogniqualvolta dal giudicato resterebbe sacrificato il buon diritto del cittadino». Che l’intangibilità del giudicato possa essere sacrificata in nome di esigenze che rappresentano l’espressione di superiori valori costituzionali, è ben evidenziato anche da Cass., SS.UU., 26 settembre 2001, n. 624, Pisano, in C.E.D. Cass., n. 220441.

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Capitolo I

IL GIUDICATO PENALE: INQUADRAMENTO

GENERALE DELL’ISTITUTO

SOMMARIO: 1. Evoluzione storica dell’istituto del giudicato penale: dall’esperienza giuridica romana al codice di rito del 1930. – 2. Disciplina costituzionale del giudicato penale. – 3. Disciplina codicistica del giudicato penale: giudicato in senso formale e giudicato in senso sostanziale. – 3.1. Efficacia “negativa” del giudicato: il divieto di bis in idem. – 3.2. Efficacia “positiva” del giudicato. – 3.2.1. Efficacia del giudicato penale in altri procedimenti penali. – 3.2.2. Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno: art. 651 c.p.p. – 3.2.3. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno: art. 652 c.p.p. – 3.2.4. Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare: art. 653 c.p.p. – 3.2.5. Efficacia della sentenza penale in altri giudizi civili o amministrativi: art. 654 c.p.p. – 4. Il giudicato parziale. – 5. Il giudicato “allo stato degli atti”. – 5.1. La sentenza di non luogo a procedere quale ipotesi di giudicato “allo stato degli atti”. – 5.2. Il giudicato cautelare.

1. Evoluzione storica dell’istituto del giudicato penale: dall’esperienza giuridica romana al codice di rito del 1930.

Per meglio comprendere il significato e le funzioni attuali dell’istituto del giudicato penale, è opportuno ripercorrere, seppur in maniera essenziale, le più rilevanti concezioni ed esperienze storiche del passato rispetto al valore del dictum penale9.

Pur rimanendo dubbia, a tutt’oggi, la genesi di tale istituto, è possibile affermare con certezza che già gli antichi Greci conoscessero il concetto di giudicato penale10; tuttavia, furono i Romani ad elaborare in modo organico il principio di intangibilità del dictum penale. Sono diverse le fonti del passato che testimoniano l’esistenza di un’antica

9 Per una più ampia ed attenta ricostruzione storica, F. CALLARI, op. cit. pp. 59 - 106. 10 PLATONE, Critone, XI, «ti par possibile o Socrate che possa sussistere e non essere sovvertito

uno Stato nel quale le decisioni emanate dai giudici sono prive di ogni forza e sono eluse ed annullate per opera dei privati cittadini?».

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regola, già nel periodo arcaico, valevole sia per le cause civili che penali, tesa a precludere la possibilità di rimettere in discussione una questione che fosse già stata giudicata11. Nell’esperienza giuridica romana la definitività era un attributo che la sentenza acquisiva quando, successivamente alla condemnatio o alla absolutio, la pronuncia non poteva più essere revocata e corretta: non vi era ancora, prima del principato, un vero e proprio giudizio d’appello nel senso moderno del termine12. L’introduzione dell’appello nel sistema processuale, durante il periodo del principato, non mise comunque in discussione il valore dell’intangibilità del giudicato penale. Piuttosto, andò a delineare l’accertamento giudiziale come un’articolata fattispecie progressiva, condizionando, necessariamente, il momento logico del passaggio in

iudicatum della sentenza stessa, ossia il profilo genetico della res iudicata. Inoltre, costruendo già le fondamenta dell’attuale giudicato

penale, venne fissato un certo lasso di tempo perentorio entro il quale sarebbe stato possibile appellare e, ove inutilmente decorso, sarebbe scattato il giudicato che avrebbe posto fine per sempre alla questione giudiziaria.

Crollato l’impero romano d’occidente, andò perduta tutta la preziosa elaborazione giuridica romana sull’istituto della res iudicata, lasciando il passo alla cieca ignoranza e superstizione fondanti il sistema dell’ordalia e lo iudicium Dei, per i quali il valore del giudicato divenne

11 Sul punto v. ART. ROCCO, Trattato della cosa giudicata come causa di estinzione

dell’azione penale, in Opere giuridiche, II, Roma, 1932, pp. 39 ss.; G. RÜMELIN, Zur Lehre von der Exceptio rei iudicatae, Tübingen, 1857, p. 15.

12 A tal riguardo, ancora, ART. ROCCO, op. cit., cit., p. 71: «Roma, ancora ai tempi della

repubblica, era un popolo in via di consolidazione politica: perché essa potesse resistere alle lotte interne ed esterne occorreva il più rigoroso rispetto e la più stretta obbedienza all’autorità pubblica, ciò che non si sarebbe ottenuto se i pareri resi sulle controversie giuridiche dell’autorità giudiziaria avessero potuto essere discussi e disconosciuti non pure dagli stessi magistrati in nuovi giudizi, bensì anche dalle parti e dai cittadini in genere. Quindi una cosa, una volta e definitivamente giudicata, non doveva essere una seconda volta ridiscussa e rigiudicata. Solo quando lo Stato romano si fu consolidato e fortificato poté permettere che sorgesse l’appello».

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assoluto, poiché la divinità si era espressa e nessuno avrebbe potuto rimettere in discussione il giudizio da essa emanato. Successivamente, si rivelarono fondamentali la nascita dello ius commune e il periodo del rinascimento giuridico del XI secolo, durante il quale sorse un movimento di recupero del diritto romano, teso alla riscoperta della compilazione giustinianea e dei libri del Digesto.

Fu poi nella Francia dell’età moderna e, contestualmente, nella maggior parte delle esperienze giuridiche europee che alle due classiche forme di sentenza – assolutoria o di condanna – si aggiunse un terzo modello, creduto, erroneamente, in uso anche presso gli antichi romani: l’absolutio pro nunc quale sentenza assolutoria rebus sic stantibus. «Solution intermédiaire»13 che si risolveva nel rilascio momentaneo

dell’imputato per difetto di prove, il quale, si sarebbe però dovuto ripresentare in giudizio ogni qualvolta si fossero scoperte nuove prove del reato per cui era stato processato, con buona pace del principio di certezza del diritto.

Nel corso del XVIII secolo, autorevoli giuristi iniziarono a denunciare «quella grande infamia legalizzata»14 che fu l’absolutio pro nunc, riconoscendo come queste sentenze costituissero dei veri e propri

dinieghi di giustizia, consistenti nel non giudicare e lasciare sotto la perenne minaccia di una accusa pubblica l’inquisito, reclamandone l’abolizione. «Da questo momento l’intangibilità del giudicato penale non venne più considerata tanto un valore unitario che garantisce globalmente la certezza del diritto, quanto un grande e vitale presidio della libertà individuale e dell’innocenza, un limite invalicabile all’autorità dello Stato»15. Così, durante la Rivoluzione francese,

l’Assemblea costituente accolse l’affermazione generale per cui «tout

homme dont le crime n’est pas prouvé doit être acquitté comme

13 E. DETOURBET, La procédure criminelle au XVII siècle, Parigi, 1881, p. 85. 14 L. CREMANI, De jure criminali, lib. III, Ticini, 1793, p. 15.

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innocent», da cui si traeva, come diretta conseguenza del principio della

libertà individuale, l’abolizione dell’absolutio pro nunc, stabilendo che ogni giudizio in materia penale dovesse approdare fisiologicamente ad un esito definitivo, di condanna o di proscioglimento, e fissando l’operatività del principio del ne bis in idem. Il code d’instruction

criminelle del 1808 di Napoleone, all’art. 360 sancì, riprendendo la

formulazione già codificata nella Constitution del 1795, la previsione per cui: «toute personne acquittée légalement ne pourra plus être reprise ni accusée à raison du même fait». Il code d’instruction

criminelle fece da modello per le legislazioni preunitarie e per il codice

del 1865: il codice di procedura penale del Regno di Sardegna del 1847, il codice subalpino di rito del 1859 e, soprattutto, il codice di procedura penale del Regno d’Italia del 1865, ne riprodussero quasi letteralmente le previsioni fondanti16. Il poco longevo codice di rito del 1913 contribuì a disciplinare in maniera più organica l’istituto del giudicato penale, adottando, con l’art. 435, una disposizione più analitica in grado di specificare il concetto di idem factum: «l’imputato assolto, anche in contumacia, con sentenza divenuta irrevocabile, non può essere di nuovo sottoposto a procedimento per quel medesimo fatto, neppure se esso venga diversamente definito rispetto a titolo, grado o quantità del reato».

Fu con l’avvento del codice di rito del 1930 che il giudicato penale assunse un valore politico, prima ancora che giuridico, assurgendo nell’ideologia fascista «a simbolo dell’autorità dello Stato, dell’infallibilità della pretesa punitiva esercitata contro il singolo e dell’ineccepibilità della conoscenza acquisita attraverso il processo»17.

L’intangibilità della res iudicata abdicò dal ruolo primario di strumento

16 V. quanto affermato da N. NICOLINI, Della procedura penale del Regno delle Due Sicilie, I,

Napoli, 1828, pp. 33 ss. e F. CALLARI, op. cit., note 220 e 221 al testo.

17 P. TROISI, Flessibilità del giudicato penale e tutela dei diritti fondamentali, in

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di tutela dell’accusato, da garanzia di libertà contro il rischio di ulteriore persecuzione per il medesimo fatto, divenendo, piuttosto, affermazione insindacabile dell’imperatività della legge penale, ove la verifica operata dalla giurisdizione, una volta definitiva, assurgeva a legge del caso concreto18. Una visione che, incurante della possibile ingiustizia del

dictum penale, elevava l’irrevocabilità delle sentenze non più soggette

ad impugnazioni ordinarie a valore assoluto, limitando la possibilità di rimuovere il giudicato all’eccezionale rimedio della revisione. Tale impugnazione straordinaria non operava, però, nell’ottica dell’interesse della persona a ristabilire quella giustizia sostanziale violata dal dictum irrevocabile, bensì svolgeva unicamente funzione di salvaguardia dell’esigenza di coerenza logico-formale dell’ordinamento nei casi più evidenti di errore.

Resistente alle pur autorevoli doglianze sul deficit di verifica di errori giudiziari che attentavano alle prerogative individuali19, il dogma dell’intangibilità del giudicato iniziò a vacillare solo con la caduta del regime fascista e con l’avvento della Costituzione repubblicana. Con il sopravvenuto impianto costituzionale, «anche se radicati pregiudizi culturali ed ideologici continuavano a propugnare il mito dell’intangibilità del giudicato»20, si configura l’idea del processo

penale come garanzia di libertà e salvaguardia dell’individuo, iniziando ad emergere l’importanza di un valore preminente, quale quello della necessaria conformità della sentenza ad esigenze di giustizia sostanziale, anche successivamente all’irrevocabilità.

18 F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 1977, p. 732; E. M. MANCUSO, Il giudicato nel

processo penale, Milano, 2012, pp. 5 ss.

19 F. CARNELUTTI, Contro il giudicato penale, in Riv. dir. proc., 1951, p. 293 ss.; A. JANNITI

PIROMALLO, La revisione dei giudicati penali, in Riv. dir. pen. e proc. pen., 1954; G. LEONE,

op. cit., pp. 197 ss.

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2. Disciplina costituzionale del giudicato penale.

Lasciando in ombra previsioni, per così dire, marginali – quale l’art. 48, comma 4, Cost., che vieta di ricollegare limitazioni del diritto di voto alla pronuncia di una «sentenza penale» che non sia «irrevocabile» e l’art. 68 comma 2, Cost., che esclude l’inviolabilità del parlamentare solo ove si tratti di eseguire una «sentenza irrevocabile di condanna» – nella ricostruzione della «funzione costituzionale»21 del giudicato, assumono una rilevanza primaria gli artt. 24, comma 4 e 27, comma 2. Come già anticipato, l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha segnato una tappa fondamentale nel percorso evolutivo dell’istituto del giudicato penale. Il mutamento di prospettiva in favore della centralità della persona e dei suoi diritti inviolabili ha dato avvio ad un processo di graduale erosione delle rigidità autoritarie del modello pre-repubblicano.

Pertanto, la stabilità delle situazioni giuridiche e l’intangibilità delle pronunce passate in giudicato si configurano sì, come interessi fondamentali dell’ordinamento22, ma non assumono un valore assoluto,

dovendo il dictum penale cedere di fronte alle istanze di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, manifestatesi, per l’appunto, anche in un momento successivo al consolidarsi del giudicato. In una interpretazione di matrice personalistica del dettato costituzionale, buona parte della dottrina ritiene che il giudicato penale in sé non sia un principio costituzionalmente garantito, bensì trovino copertura costituzionale esclusivamente la formazione del giudicato ed il divieto di bis in idem

in malam partem, come portato di un interesse preminente alla sicurezza

individuale23. In questa lettura, la formazione del giudicato s’identifica

21 L’espressione è utilizzata da Corte Cost., 30 aprile 2008, n. 129, in Giur. Cost., 2008, p. 1506. 22 La stessa Corte Costituzionale, nella nota s. 5 marzo 1969, n. 28, sottolineò l’interesse

«fondamentale di ogni ordinamento, alla certezza e alla stabilità delle situazioni giuridiche ed all’intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato».

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con un’esigenza di difesa di libertà, alla stregua di diritto fondamentale dell’individuo a godere di un’ampia tutela contro le plurime persecuzioni de eadem re24.

Si tratta di una tutela genericamente ricondotta all’art. 2 Cost., ma variamente declinabile alla luce degli artt. 13, 14, 15 e, soprattutto, 27, comma 2 Cost. La presunzione di non colpevolezza, quale regola di trattamento che vieta l’anticipazione dell’esecuzione della pena sino a che la statuizione sulla responsabilità non sia divenuta definitiva proietta i suoi effetti anche oltre la soglia del giudicato. «La condanna definitiva, quale condizione posta per superare la presunzione di non colpevolezza e legittimare l’inflizione della pena e la limitazione della libertà personale, non può che intendersi come condanna resa al termine di un processo rispettoso dei diritti costituzionali dell’imputato. Di conseguenza, l’ingiustizia processuale o sostanziale della decisione di condanna, manifestatasi dopo il formarsi del giudicato, segnala la violazione del precetto di cui all’art. 27, comma 2, Cost., e pone l’esigenza di correzione dell’errore che abbia inficiato, anche per il tramite della lesione delle garanzie processuali, l’esito del giudizio. Di fronte all’ingiusta limitazione della libertà personale e all’ingiusto superamento della presunzione di non colpevolezza, la Costituzione impone, ai sensi dell’art. 24, comma 4, quale estremo baluardo di tutela dei diritti sanciti dagli artt. 13, 27, comma 2, e 111 Cost., la previsione di rimedi attivabili post iudicatum, funzionali a ripristinare una situazione di legalità e giustizia»25.

Tale art. 24, comma 4, Cost., nasce proprio dalla presa d’atto dell’immanenza, nell’attività giurisdizionale, del rischio dell’errore, della fisiologica fallibilità del giudizio umano, insito persino nella sentenza passata in giudicato. La previsione in parola, nel devolvere alla legge la disciplina delle condizioni e dei modi della riparazione

24 G. DE LUCA, op. cit., p. 92. 25 Così, P. TROISI, op. cit.

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dell’errore giudiziario, rende dunque ineludibile l’apprestamento di rimedi all’ingiusta condanna definitiva. Ed è in tale articolo che è stato rinvenuto, sia in dottrina26, che in giurisprudenza27, il fondamento costituzionale della revisione.

3. Disciplina codicistica del giudicato penale: giudicato in senso formale e giudicato in senso sostanziale.

Per quanto concerne la collocazione sistematica, l’attuale codice di rito dedica all’istituto del giudicato il Titolo I del Libro X. Prima di addentrarsi nell’analisi dell’articolato codicistico, una breve puntualizzazione, al fine di una comprensione senza fraintendimenti, appare opportuna. Sotto il profilo prettamente terminologico, si è soliti distinguere tra due espressioni apparentemente equivalenti: “giudicato” e “cosa giudicata”. Mentre con il termine “giudicato” si esprime il momento imperativo della decisione e l’insieme degli effetti che essa è idonea a generare, con la locuzione “cosa giudicata” s’intende il tema del giudizio, il fatto, la fattispecie in contestazione così come confluita nel dispositivo28.

Altra distinzione, di portata ben più rilevante, è quella tra giudicato in senso formale e giudicato in senso sostanziale.

Il giudicato formale, disciplinato dalla normativa contenuta nell’art. 648 c.p.p., opera esclusivamente all’interno del processo. Esso assume le forme della irrevocabilità, prevedendosi che, con l’esperirsi dei mezzi

26 M. D’ORAZI, La revisione del giudicato penale. Percorsi costituzionali e requisiti di

ammissibilità, Padova, 2003, p. 198; M. GIALUZ, Il ricorso straordinario per errore di fatto,

Giuffrè, Milano, 2005, p. 82; P. MOSCARINI, L’omessa valutazione della prova favorevole

all’imputato, Cedam, 2005, p. 86. In senso contrario, F. CALLARI, La revisione. La giustizia penale tra forma e sostanza, II ed., Giappichelli, Torino, 2012, pp. 56 ss; A. SCALFATI, L’esame sul merito nel giudizio preliminare di revisione, Padova, 1995, p. 34.

27 Cass., SS.UU., 26 settembre 2001, n. 624, Pisano, in C.E.D. Cass., n. 220441. 28 E. M. MANCUSO, op. cit., p. 56.

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di impugnazione o con la scadenza dei termini per impugnare, si verifichi l’intangibilità del risultato del processo. Più analiticamente, il comma 1 prevede le due condizioni affinché possa realizzarsi l’irrevocabilità del provvedimento giudiziale: deve trattarsi di un provvedimento pronunciato in giudizio e, soprattutto, contro di esso non deve essere ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Il comma 2 esplicita il contenuto precettivo del citato comma 1 e puntualizza il momento logico-temporale del passaggio in giudicato: la sentenza diviene irrevocabile con l’inutile decorso del termine previsto per proporre il mezzo di impugnazione, altrimenti, se l’impugnazione risulta proposta, il giudicato si forma con l’inutile decorso del termine per impugnare l’ordinanza che abbia dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione medesima. Il comma 2 prosegue stabilendo che, qualora sia stato instaurato il giudizio di legittimità, l’irrevocabilità consegue alla pronuncia del provvedimento dichiarativo dell’inammissibilità del ricorso o della sentenza con la quale il ricorso viene rigettato. In chiusura, il comma 3 dell’art. 648 c.p.p, riproponendo la stessa disciplina di quella dettata per le sentenze, statuisce i presupposti per il verificarsi dell’irrevocabilità dei decreti penali di condanna: quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.

Fuori dal dettato codicistico, l’irrevocabilità del dictum può scaturire, altresì, dalla sentenza con la quale la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, adottando una pronuncia di annullamento senza rinvio, nelle ipotesi di cui all’art. 620 c.p.p. Inoltre, sebbene il tenore letterale dell’art. 648 c.p.p attribuisca l’idoneità ad assumere il carattere dell’irrevocabilità alle sentenze pronunciate all’esito del giudizio dibattimentale ordinario, in prime cure o nei gradi successivi, presentano la medesima attitudine anche le sentenze rese all’esito del giudizio abbreviato; nonché le sentenze che applicano la pena su richiesta delle

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parti, ai sensi degli artt. 444 ss. c.p.p. Diversamente, non assume il carattere dell’irrevocabilità la sentenza di non luogo a procedere29,

sempre soggetta a revoca nel caso sopravvengano o si scoprano nuove prove.

Tuttavia, l’incontrovertibilità del dictum penale non poggia esclusivamente sull’autorità endoprocessuale dell’irrevocabilità del giudicato formale. Occorre altresì garantire l’intangibilità della sentenza, impedendo un nuovo giudizio de eadem re. «L’irrefragabilità del giudicato sarebbe, infatti, del tutto vanificata se, successivamente, lo stesso fatto, per cui l’imputato è stato condannato o assolto con sentenza irrevocabile, potesse essere oggetto di un ulteriore processo penale [...]30».

A ciò provvede il giudicato sostanziale. Con tale locuzione si designa il complesso degli effetti che scaturiscono dalla formazione del giudicato, assumenti valenza esterna al processo nel cui ambito è stato emesso il provvedimento. In dottrina si suole distinguere tra «la forza positiva, coercitiva inerente all’autorità della cosa giudicata», consistente nel valore di titolo esecutivo assegnato al provvedimento irrevocabile e «la forza negativa, proibitiva, preclusiva» che ne scaturisce31. Non avendo alcuna pretesa di esaustività, e nella

consapevolezza che tale tematica meriterebbe attenzioni ben più ampie, si procede dapprima all’analisi della cd. “forza negativa” del giudicato sostanziale, tradottasi nel noto principio del ne bis in idem e, successivamente, allo studio della cd. “forza positiva” del giudicato,

29 Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale, in G.U. 24.10.1988, n. 250,

s.o. n. 2, 139. Contrariamente, nel senso di assegnare alla sentenza di non luogo a procedere la natura di provvedimento irrevocabile, G. TRANCHINA, L’esecuzione, in D. SIRACUSANO - A. GALATI - G.TRANCHINA - E. ZAPPALÀ, Diritto processuale penale, vol. II, Giuffré, ed. 2006, p. 583.

30 F. CALLARI, op. cit., p. 132.

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quale robur in grado di produrre conseguenze di natura costitutiva in procedimenti diversi da quello definito.

4.1. Efficacia “negativa” del giudicato: il divieto di bis in idem.

Il divieto di un secondo giudizio rappresenta l’effetto tipico dell’irrevocabilità della sentenza e degli altri provvedimenti giurisdizionali ad essa assimilati32. La regola espressa dall’art. 649 c.p.p. esprime una garanzia di tipo soggettivo, tesa a «sottrarre l’individuo ad una teoricamente illimitata possibilità di persecuzione penale»33.

Stante la lettera dell’art. 649, comma 1, c.p.p, per cui «l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze, salvo quanto disposto dagli articoli 69, comma 2 e 345», si suole rinvenire la sussistenza di due presupposti fondativi il divieto di un secondo giudizio, complementari tra loro: uno soggettivo e l’altro oggettivo.

Il primo, soggettivo, non pone particolari problematiche interpretative. Esso è costituito dall’identità tra la persona già sottoposta al processo conclusosi con sentenza irrevocabile e quella che si vorrebbe sottoporre ad un nuovo procedimento penale (eadem persona). Tale per cui, si realizza la situazione di bis in idem solo allorquando la medesima persona abbia già in precedenza subito un processo per il medesimo fatto, e non anche nei confronti di eventuali concorrenti cui la sentenza

32 M. CERESA-GASTALDO, op. cit., p. 970; M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale, VI

ed., Torino, Utet, 2013, p. 593. Secondo autorevole, ma minoritaria dottrina, il divieto di un nuovo giudizio sarebbe l’unico effetto che il giudicato penale sarebbe idoneo a produrre. Per tutti, G. DE LUCA, op. cit., p. 3.

33 G. TRANCHINA, Il giudicato penale, in Diritto processuale penale, vol. II, 2011, p. 587;

significativamente F. CORDERO, Procedura penale, 2006, p. 1223 «se ogni affare deciso fosse riesumabile, sarebbe turbato l’equilibrio socio-psichico collettivo».

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irrevocabile non abbia fatto riferimento (es. partecipanti al fatto, successivamente scoperti). Quindi, assolta una persona da una determinata imputazione per insufficienza di prove e passata in giudicato la sentenza, il giudicato che riguarda esclusivamente il prosciolto, non impedisce che altre persone successivamente scoperte vengano sottoposte a procedimento penale e condannate per lo stesso fatto. Il divieto di bis in idem, si dice, «esplica una funzione di garanzia per la persona imputata nel nuovo processo e ne postula l’identità con il soggetto irrevocabilmente condannato o prosciolto. Pertanto, il giudice del procedimento penale a carico del concorrente può rivalutare il comportamento del soggetto già giudicato ma solo al fine di accertare la sussistenza e il grado della responsabilità dell’imputato da giudicare»34. Dottrina35 e giurisprudenza36, dall’altra parte, hanno puntualizzato che l’identità va stabilita anche in relazione alla qualità assunta nel processo dalla persona, per cui chi ha rivestito la qualità di imputato in un determinato processo può certamente essere assoggettato ad un secondo procedimento per il medesimo fatto in veste di responsabile civile o di civilmente obbligato per la pena pecuniaria. Tuttavia, vi è un caso nel quale l’efficacia del giudicato vale erga omnes, anche nei confronti di quelle persone alle quali la sentenza non si riferisce: è il caso in cui l’imputato sia stato prosciolto con la formula più ampiamente liberatoria della “insussistenza del fatto”.

Il secondo presupposto, oggettivo, merita più ampie attenzioni, anche alla luce delle diverse posizioni interpretative che di tale elemento sono state fornite da dottrina e giurisprudenza. Esso è rappresentato dall’identità tra il fatto su cui ha già deciso una sentenza irrevocabile ed il fatto per il quale si pretenderebbe di instaurare un

34 Cass. Sez. I, 16 novembre – 1 dicembre 1998, Hass e Priebke, in Cass. pen., 1999, 2176 e in

Foro it., 1999, II, 273.

35 P. TONINI, Manuale di procedura penale, XII ed., Giuffré, Milano, 2011, pp. 807 ss. 36 Cass., 3 maggio 2005, in C.E.D. Cass., n. 231924.

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nuovo processo penale (idem factum). Ed è proprio attorno al concetto di “medesimo fatto” che sono sorte le maggiori difficoltà interpretative. In particolare, si è posto il quesito se con il concetto di “medesimo fatto” rilevante ai fini dell’operatività del divieto di bis in idem debba considerarsi il “fatto giuridico”, così come ricostruito dal diritto vivente italiano, oppure il “fatto storico”, nell’accezione della giurisprudenza europea.

La questione è stata oggetto di una recente e nota sentenza della Corte Costituzionale, nell’ambito del c.d. processo Eternit bis, con la quale la Consulta si è allineata alla giurisprudenza di Strasburgo ed ha optato per la soluzione del “fatto storico”, dichiarando «l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza divenuta irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale»37. Nel giudizio a quo il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino si trova a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio di Stephan Schmidheiny, il quale – in qualità di effettivo responsabile della gestione delle società facenti capo al gruppo Eternit S.p.a. – avrebbe cagionato, nell’impostazione accusatoria, volontariamente e per mera finalità lucrativa, il decesso di 258 soggetti (tra lavoratori, abitanti delle zone site in prossimità degli stabilimenti e prossimi congiunti degli stessi). L’imputazione si fonda sulla fattispecie di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e dall’aver agito con mezzi insidiosi (artt. 61, n. 1, 575, 577, comma 1, n. 1 e n. 4, c.p.). Com’è facilmente evincibile dal nome del processo (“Eternit bis”), l’imputato era già stato chiamato a rispondere per condotte che, come si constaterà, risultano quasi interamente sovrapponibili a quelle oggetto del secondo procedimento. Lo Schmidheiny, infatti, era stato rinviato a giudizio, nel

37 Corte Cost., 31 maggio 2016 (dep. 21 luglio 2016), n. 200, in www.penalecontemporaneo.it,

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2009, per i delitti di cui all’art. 434 c.p. (disastro doloso c.d. “innominato”, aggravato dalla verificazione del disastro) e 437 c.p. (omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, aggravato dal verificarsi dell’infortunio). La vicenda processuale che ne è conseguita si è conclusa con la dichiarazione dell’estinzione di entrambi i reati contestati per intervenuta prescrizione.

L'inizio di un processo Eternit bis – quello per omicidio volontario – ha fatto immediatamente sorgere la questione di una possibile violazione del divieto di doppio giudizio per il medesimo fatto, divieto notoriamente sancito dall'art. 649 c.p.p., nonché dalla Convenzione europea (art. 4 Prot. n. 7 Convenzione E.D.U.).

Tale violazione sarebbe stata da escludere seguendo l'interpretazione dell'art. 649 c.p.p. fatta propria dal “diritto vivente” italiano, secondo la quale per “medesimo fatto” occorre avere riguardo al “fatto giuridico”, e dunque risulta possibile celebrare un nuovo giudizio nei confronti dello stesso imputato allorché le norme incriminatrici siano diverse e suscettibili di concorso formale. Applicando tale orientamento al caso di specie non si sarebbe in effetti profilata alcuna violazione del ne bis in idem, attesa la diversità strutturale che intercorre tra i due delitti contro l'incolumità pubblica contestati nel primo processo ed il delitto di omicidio contestato nel processo Eternit bis. La questione appare tuttavia assai più problematica adottando l'interpretazione del concetto di “medesimo fatto” offerta dalla Corte E.D.U. con riferimento all'art. 4 Prot. 7 della Convenzione, giacché in tal caso occorre avere riguardo al “fatto storico”, ossia alla dimensione squisitamente naturalistica e materiale della fattispecie concreta, da determinarsi con riguardo al contesto spazio-temporale di riferimento e senza prendere in considerazione la qualificazione giuridica datane dall'ordinamento.

Ebbene, preso atto dell'incompatibilità tra la nozione di “medesimo fatto” adottata dal diritto vivente italiano e quella fatta propria dai

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giudici di Strasburgo, il giudice torinese ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p nel senso già anticipato38.

Con la s. 210/2016 la Corte ha ritenuto sussistente il contrasto denunciato dal rimettente tra l’art. 649 c.p.p., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione E.D.U., che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo.

Circa l’impatto che tale pronuncia costituzionale potrà avere sul giudizio a quo, la Consulta ha chiarito che «sulla base della triade condotta – nesso causale – evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica, sicché non dovrebbe esservi dubbio, ad esempio, sulla diversità dei fatti, qualora da un’unica condotta scaturisca la morte o la lesione dell’integrità fisica di una persona non considerata nel precedente giudizio, e dunque un nuovo evento in senso storico». Pertanto, «la declaratoria, con ogni probabilità, non influirà in modo drastico sulla prosecuzione del processo Eternit bis, poiché il Giudice di merito dovrà limitarsi a valutare se i fatti storici (intesi come condotta, evento e nesso causale) del primo processo e del secondo sono i medesimi oppure no. Nel primo caso dovrà dichiarare bis in idem e pronunciare non luogo a procedere, nel secondo il processo potrà invece proseguire. Nel compiere siffatta valutazione, il Giudice dovrà considerare due elementi del tutto imprescindibili. D’un canto gli eventi dei reati contestati nei due procedimenti sono (almeno formalmente) diversi: a fronte di una

res iudicata consistente nell’evento del disastro (la dispersione delle

38 Trib. Torino, G.u.p., (ord.) 24 luglio 2015, Schmidheiny. Il testo dell’ordinanza è riportato,

con un primo commento a cura di I. GITTARDI, Eternit “bis in idem”? Sollevata la questione

di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. in relazione all'art. 4 Prot. 7 CEDU, in www.penalecontemporaneo.it, 27 novembre 2015.

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fibre di amianto), si pone una res iudicanda che considera l’evento di omicidio (la morte delle persone). Su questo punto il Giudice dovrà verificare se questi due eventi siano rimasti processualmente separati, senza che nel primo giudizio gli eventi morte abbiano trovato piena cognizione. Il positivo riscontro di tale verifica condurrebbe alla disposizione del giudizio per tutte le ipotesi di omicidio contestate. D’altro canto, quand’anche si ritenesse che nel primo procedimento gli eventi morte abbiano avuto rilevanza, ad una pronuncia secca di non luogo a procedere osterebbe il fatto che alcuni decessi sono avvenuti in epoca successiva al primo giudicato, con la conseguenza che almeno su questi, non potrà ritenersi sussistente l’ipotesi di bis in idem. Risultato in questo caso sarebbe, a ben vedere, la disposizione del giudizio per le sole morti successive e, contestualmente, la pronuncia di non luogo a procedere per le precedenti. Queste le ragioni che inducono a ritenere che il giudizio a quo (almeno in parte) può proseguire»39.

Nel completare la disciplina del divieto di un secondo giudizio, non sussiste alcuna preclusione, invece, ad un nuovo giudizio per lo stesso fatto nei confronti della medesima persona, nei due casi indicati nell’ultima parte dell’art. 649 c.p.p.: ex art. 69, comma 2, c.p.p., la sentenza di non doversi procedere per morte dell’imputato, pur dopo il conseguimento dell’irrevocabilità, non preclude l’instaurazione di un nuovo procedimento penale sulla medesima regiudicanda, qualora successivamente si accerti che la morte dell’imputato sia stata erroneamente dichiarata. La seconda deroga al divieto di bis in idem, prevista dall’art. 345 c.p.p., riguarda la sentenza di proscioglimento nella quale si dia atto della mancanza di una condizione di procedibilità. Siffatta sentenza, sebbene irrevocabile, non preclude l’instaurazione di un nuovo procedimento sul medesimo fatto, in caso di sopravvenienza di una condizione di procedibilità.

39 Così, Redazione (a cura di), Eternit: la Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.

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Infine, il legislatore si premura di indicare quelli che, nonostante la previsione dell’art. 649, comma 1, c.p.p., sono i rimedi attivabili in caso di instaurazione di un nuovo procedimento penale per il medesimo fatto nei confronti del soggetto già giudicato. Il comma 2 dell’art. 649 c.p.p. provvede per questa eventualità, configurando l’obbligo in capo al giudice adito successivamente, di pronunciare, in ogni stato e grado del processo, sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere dichiarando in dispositivo che la materia è stata già definitivamente accertata da altra autorità giurisdizionale40.

Altro rimedio, previsto in fase esecutiva per risolvere il conflitto pratico tra giudicati, è quello di cui all’art. 669 c.p.p., che mira a rimediare ai casi in cui, nonostante la sussistenza del divieto in analisi, siano state pronunciate contro la stessa persona, per il medesimo fatto, più sentenze irrevocabili, imponendo al giudice dell’esecuzione di ordinare l’esecuzione della sentenza meno grave e di revocare le altre.

40 Il giudice che rileva d’ufficio l’avvenuta violazione del principio di ne bis in idem, oppure

davanti al quale viene sollevata la exceptio rei iudicatae, pronuncia sentenza di non luogo a procedere, se ciò accade fino all’udienza preliminare compresa, oppure sentenza di proscioglimento, se interviene successivamente. Qualora, però, la suddetta violazione venga rilevata in sede di ricorso in Cassazione, la soluzione è differente in ossequio al principio generale del favor rei: ai sensi del combinato disposto degli artt. 620 lett. h e 621 c.p.p., disciplinanti rispettivamente l’annullamento senza rinvio ed i suoi effetti, emerge che la Corte pronuncerà sentenza di annullamento senza rinvio se vi è contraddizione fra la sentenza o l’ordinanza impugnata ed un’altra anteriore, concernente la stessa persona ed il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da altro giudice penale, già passata in giudicato, ordinando così l’esecuzione del primo provvedimento. Tuttavia, nell’ipotesi in cui si tratti di una decisione di condanna, la Corte ordinerà l’esecuzione del provvedimento che ha inflitto la condanna meno grave, determinata ai sensi dell’art. 669 c.p.p. Dunque, qualora il secondo giudizio giunga in sede di legittimità, il divieto ex art. 649 c.p.p. perisce e, nell’ipotesi in cui si ritenga più favorevole la sentenza sub iudice, l’annullamento senza rinvio riguarderà il provvedimento già irrevocabile. In tal senso, V. G. TRANCHINA, op. cit., p. 597 e M. CERESA-GASTALDO, op.

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4.2. Efficacia “positiva” del giudicato.

Oltre all’esaminato effetto preclusivo, il giudicato produce altresì effetti positivi o “riflessi”41. L’accertamento contenuto nella sentenza irrevocabile può, a determinate condizioni di legge, influenzare la progressione e la prova di ulteriori procedimenti aventi oggetto distinto da quello già risolto, ma che presentino elementi comuni in un rapporto di dipendenza logica rispetto al giudizio già concluso, rappresentando una deroga al principio di autonomia e separazione fra i giudizi. Tale efficacia vincolante, o parzialmente vincolante, del giudicato penale, può riflettersi, talora, in altri procedimenti penali (in forza degli artt. 236 e 238 bis c.p.p.), talaltra, e più frequentemente, su giudizi civili, amministrativi o disciplinari (come previsto dagli artt. 651-654 c.p.p.)42. Con le richiamate disposizioni, il legislatore limita l’esercizio del potere decisorio dei giudici civili ed amministrativi, «obbligandoli a considerare immodificabili determinati accertamenti compiuti dal giudice penale»43.

4.2.1. Efficacia del giudicato penale in altri procedimenti penali.

Per quanto concerne gli effetti della sentenza irrevocabile in altri procedimenti penali, tale sentenza, ai sensi dell’art. 236 c.p.p., può essere acquisita in altro processo penale ai fini del giudizio sulla personalità dell’imputato, sulla credibilità di un testimone o, se il fatto deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali della persona offesa dal reato, sulla personalità di quest’ultima. Il tema di prova rilevante ai sensi dell’art. 236 c.p.p. è limitato, dunque, al

41 F. CARNELUTTI, Efficacia diretta e riflessa del giudicato penale, in Riv. dir. proc., 1948,

pp. 3 ss.

42 G. DELLA MONICA, L’efficacia del giudicato penale in altri procedimenti, in Commentario

del codice civile, a cura di U. CARNEVALI, Milano, 2011, pp. 35 ss.

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giudizio sulla personalità dei soggetti processuali indicati dal legislatore, non potendo assumere alcuna valenza ai fini della dimostrazione delle altre circostanze afferenti al thema probandum.

Molto più vasta, invece, la portata dell’art. 238 bis c.p.p.: dopo le modifiche urgenti apportate al nuovo codice di rito con il d.l. 8 giugno 1992, n. 306, poi convertito con l. 7 agosto 1992, n. 356, il cui art. 3, comma 2, ha introdotto nel codice l’art. 238 bis c.p.p., sono state ampliate le ipotesi di circolazione delle prove tra processi. Alla luce di tale disposizione, le sentenze irrevocabili, siano esse di condanna o di assoluzione pronunciate all’esito del giudizio dibattimentale o del giudizio abbreviato, possono essere acquisite ai fini della prova del fatto in esse accertato.

4.2.2. Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno: art. 651 c.p.p.

In forza dell’art. 651, comma 1 c.p.p., «la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale».

Innanzitutto, quanto alla tipologia di provvedimenti idonei a produrre il vincolo, il comma 1 fa riferimento alla sola sentenza pronunciata a seguito di dibattimento che non sia più impugnabile con i mezzi ordinari. Sono dunque idonee a produrre l’effetto vincolante sul giudice extrapenale: le sentenze pronunciate in seguito a dibattimento, incluse quelle che concludono il giudizio immediato o il giudizio direttissimo, ed inoltre, per espressa previsione del comma 2

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dell’articolo in analisi, le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato, a condizione, però, che non vi sia opposizione della parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato. Per esclusione, non hanno alcuna efficacia sul giudizio civile o amministrativo di danno: il decreto penale di condanna, le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti e le sentenze di proscioglimento (per estinzione del reato, amnistia e prescrizione) o di improcedibilità (mancanza di condizione di procedibilità). Sotto il profilo della rilevanza soggettiva, il danneggiato si configura come parte avvantaggiata dal giudicato penale di condanna, potendo utilizzare tale pronuncia, siacontro l’imputato, nei cui confronti la sentenza può essere fatta valere incondizionatamente in quanto nel processo penale egli è posto in condizione di difendersi in ogni momento, sia contro il responsabile civile, che sia intervenuto o sia stato citato nel processo penale, a meno che ne sia stato escluso (art. 86, comma 2, c.p.p.).

In ordine all’oggetto del vincolo, il giudice adito per il risarcimento del danno non è vincolato ad ogni questione che sia stata oggetto di cognizione nel giudizio penale, ma solo in relazione «all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso». In questa sede, per “fatto”, deve intendersi il nucleo dell’imputazione, composto dalla condotta materiale, dall’evento e dal nesso di causalità, ossia il fatto considerato nella sua realtà oggettiva e fenomenica44, restando dunque, al di fuori del vincolo i profili soggettivi dell’illecito penale (dolo, colpa, preterintenzione). Di talché, questi ultimi potranno essere valutati diversamente, in tutto (escludendo la colpevolezza) o in parte (ad es.

44 In dottrina, F. CORBI - F. NUZZO, Guida pratica all’esecuzione penale, Torino, 2003, p. 63.

In giurisprudenza, Cass., 2 novembre 2000, n. 14328, DeG, 2000, 42: «il vincolo in sede civile derivante dal giudicato penale concerne i fatti, nella loro realtà oggettiva e fenomenica, presi in considerazione in sede penale (condotta, evento e nesso di causalità), mentre, al contrario, il giudice civile è del tutto libero di valutare quei fatti, storicamente accertati nel giudizio penale, in via autonoma».

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ritenendo sussistente la colpa in luogo del dolo e viceversa)45, dal giudice del risarcimento. Sono altresì preclusi il giudizio in ordine all’attribuzione del fatto all’imputato e il giudizio sull’illiceità penale del fatto. In ragione di tale ultima previsione, sono quindi vincolanti, per il giudice extrapenale del risarcimento, gli accertamenti relativi alla inesistenza di scriminanti e alle condizioni oggettive di punibilità eventualmente richieste dalla fattispecie incriminatrice. Il vincolo non può però coprire anche il tema della illiceità civile46.

4.2.3. Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno: art. 652 c.p.p.

Per converso, l’art. 652, comma 1, c.p.p. prevede che «la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato che si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo

45 In tal senso, Relazione al progetto preliminare, p. 142, ove si afferma che il legislatore ha

inteso limitare «l’efficacia vincolante della sentenza penale irrevocabile […] al solo accertamento del fatto materiale e della sua riferibilità all’imputato, così da escludere ogni efficacia vincolante per quanto riguarda l’accertamentodella colpa, della imputabilità e delle cause di giustificazione».

46 Il giudizio che esclude la sussistenza di cause di giustificazione ex artt. 50-54 c.p., non

impedisce al giudice extra penale di stabilire se il fatto sia civilisticamente antigiuridico o meno. Nell’ultimo caso, nonostante la sentenza di condanna, il giudice potrà escludere l’illecito e rigettare la domanda di danno. Precisa P. TONINI, op. cit., p. 905: «il giudicato ha per oggetto la “illiceità penale” del fatto, e cioè non il tema della illiceità civile, che non può essere esaminato nel processo penale. Infatti nel processo penale non può essere esercitata l’azione civile riconvenzionale, né si può valutare l’esistenza di esimenti civilistiche quale è quella prevista dall’art. 1227, comma 2 c.c. («danno evitabile con l’ordinaria diligenza del creditore»).

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penale, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75 comma 2».

Con riguardo alla tipologia di provvedimenti idonei a produrre il vincolo, l’esplicito riferimento alle «sentenze di assoluzione pronunciate in seguito a dibattimento», esclude la rilevanza di una serie di provvedimenti: le sentenze di improcedibilità (non luogo a procedere, art. 425 c.p.p.; non doversi procedere, art. 529 c.p.p.), quelle emesse prima del dibattimento, anche per motivi di merito (artt. 129 e 469 c.p.p.), quelle di proscioglimento per mancanza di una condizione di procedibilità o di estinzione del reato emesse all’esito del dibattimento (artt. 529 e 531 c.p.p.), le sentenze assolutorie emesse in base ad una prova assunta con incidente probatorio al quale il danneggiato non è stato posto in condizione di partecipare, per qualunque motivo, a meno che non ne abbia fatto accettazione, anche tacita.

Sotto il profilo della rilevanza soggettiva, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione viene individuata come strumento mediante il quale l’imputato o il responsabile civile possono opporsi alle richieste risarcitorie extrapenali del danneggiato (o promosse nell’interesse dello stesso). Ciò, però, a due condizioni: che il danneggiato si sia costituito parte civile o che sia stato posto nelle condizioni di costituirsi parte civile nel processo penale ed inoltre che non ricorra l’ipotesi dell’art. 75, comma 2 c.p.p. In definitiva, coordinando il testo dell’art. 652 c.p.p. con l’art. 75, comma 2 c.p.p., se ne ricava che l’eccezione di giudicato potrà essere fatta valere solo nei confronti del danneggiato che, posto in grado di partecipare al giudizio penale, abbia instaurato il giudizio civile dopo la sentenza penale di primo grado ovvero dopo essersi costituito parte civile.

Quanto all’oggetto del vincolo, l’art. 652 c.p.p. assegna efficacia di giudicato alla sentenze che abbiano accertato «che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà

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legittima»47. In relazione alla prima formula, quella maggiormente favorevole all’imputato, questa viene pronunciata ove venga accertato il difetto anche di uno soltanto degli elementi costitutivi del reato. La pronuncia assolutoria “per non aver commesso il fatto” segue, invece, ad un giudizio storico che abbia escluso la riconducibilità all’imputato di un fatto di reato, che comunque è stato riscontrato sussistente. In questo caso, l’efficacia di giudicato andrà a favore del solo imputato e non impedirà che, in sede civile, altri soggetti vengano ritenuti responsabili del fatto. Infine, l’efficacia extrapenale del giudicato di assoluzione nel giudizio per il risarcimento, si produce quando il giudice penale ha positivamente accertato che la commissione del fatto di reato da parte dell’imputato è avvenuta in presenza di determinate cause di giustificazione. In particolare, quando abbia accertato che la condotta è stata attuata in adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.

4.2.4. Efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare: art. 653 c.p.p.

Proseguendo nello studio degli effetti extrapenali del giudicato, ai sensi dell’art. 653 c.p.p., assoluzione e condanna producono effetti anche nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità48.

Per quanto riguarda la sentenza di assoluzione, questa produce effetti vincolanti senza limiti soggettivi49 e, quanto al profilo oggettivo,

47 In ordine alla nozione di “fatto” ex art. 652 c.p.p. vale quanto affermato esaminando la

speculare situazione regolata dall’art. 651 c.p.p.

48 A seguito della l. 27 marzo 2001, n. 97, anche le sentenze irrevocabili di patteggiamento,

normalmente prive di efficacia extrapenale, fanno stato nel giudizio disciplinare.

49 L’effetto vincolante, nel caso previsto dall’art. 653 c.p.p, non presuppone la partecipazione al

giudizio penale dell’autorità investita del potere disciplinare, pregiudicata sempre e comunque dalla sentenza assolutoria a prescindere dalla violazione del diritto di difesa.

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soltanto quando attesta che «il fatto non sussiste, che non costituisce illecito penale o che l’imputato non lo ha commesso». Per la prima e per l’ultima formula, non si pongono particolari problemi: si fa riferimento, rispettivamente, alla mancanza di uno degli elementi oggettivi del reato e alla impossibilità di riferire il fatto all’imputato. All’interno della formula, piuttosto ambigua, «il fatto non costituisce illecito penale», vengono generalmente ricondotte le formule «il fatto non costituisce reato» e «il fatto non è previsto dalla legge come reato».

In maniera esattamente speculare, le sentenze di condanna hanno efficacia vincolante nel successivo giudizio disciplinare, «quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso». Sono ricomprese non soltanto le sentenze dibattimentali, ma anche quelle emesse all’esito del giudizio abbreviato o del procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti.

4.2.5. Efficacia della sentenza penale in altri giudizi civili o amministrativi: art. 654 c.p.p.

L’efficacia vincolante del giudicato penale, di condanna o di assoluzione, nei giudizi civili o amministrativi non di danno è regolata dall’art. 654 c.p.p.

Seguendo lo schema espositivo utilizzato per l'analisi degli artt. 651-652 c.p.p., pare opportuno in primo luogo individuare quale sia il novero delle sentenze penali idonee a produrre efficacia extrapenale nei giudizi civili non risarcitori. Al riguardo, l'art. 654 c.p.p. ricollega una tale efficacia extrapenale alle sole sentenze penali irrevocabili «di condanna o di assoluzione» pronunciate «in seguito a dibattimento». Dal combinato di tali elementi non produrranno alcun vincolo in sede extrapenale i decreti penali, le sentenze liberatorie di carattere processuale che accertino la mancanza di una condizione di procedibilità

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ovvero l'avvenuta estinzione del reato, le pronunce emesse all'esito del giudizio abbreviato e quelle che applicano la pena su richiesta delle parti, tutte quelle pronunce che siano state emesse prima del dibattimento, quali, ad esempio, le sentenze di non luogo a procedere.

Quanto al profilo soggettivo, l'art. 654 c.p.p. prevede che l'efficacia vincolante della pronuncia penale irrevocabile si produce nei confronti «dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale»: ciò sta a significare che l'autorità di giudicato della decisione penale può essere opposta soltanto a coloro che hanno effettivamente preso parte al giudizio da cui essa è scaturita, mentre, dall’altro lato, il giudicato penale potrà essere fatto valere da qualsiasi soggetto anche estraneo al processo penale.

Venendo ora all'individuazione dei limiti oggettivi del vincolo, l'art. 654 c.p.p. attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale nei giudizi civili o amministrativi non di danno quando in questi «si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa».

L’efficacia extrapenale del giudicato, pertanto, è circoscritta a quanto della realtà storico-fenomenica viene accertato dal giudice penale, senza che possano assumere rilievo valutazioni giuridiche espresse nel giudizio penale. Occorre inoltre che i fatti siano ritenuti «rilevanti», quindi, fatti utili e decisivi ai fini della pronuncia (quelli descritti nell’imputazione, ovvero le scriminanti, le cause di esclusione della pena o le circostanze attenuanti)50. Infine, affinché si produca il vincolo sui giudizi non di danno, è necessario che la legge civile non ponga «limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa». Tale ultimo presupposto si giustifica in base alla considerazione che, «se

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così non fosse, attraverso l'accertamento operato in sede penale, dove non vigono restrizioni alla prova del thema decidendum, potrebbe eludersi il divieto di utilizzazione di determinati mezzi di prova, che le esigenze tecniche dello strumento processual-civilistico talora impongono»51. Le limitazioni alle quali si fa riferimento, sono quelle di natura probatoria di cui agli art. 2721-2726 e 2729, comma 2, c.c., relative alla prova testimoniale e alle presunzioni.

Dunque, quando la legge civile pone dei limiti alla prova, il giudice civile non è vincolato agli accertamenti che il giudice penale ha compiuto e che hanno portato alla sentenza di condanna o di assoluzione. Ciò al fine di evitare che la costituzione nel processo penale possa costituire una scappatoia per aggirare i limiti probatori previsti dalla legge extrapenale.

5. Il giudicato parziale.

L’eterogeneità delle situazioni processuali che a tale istituto possono essere ricondotte, non consente, così come opportunamente rilevato in dottrina52, di poter considerare come esaurito lo studio del

giudicato parziale nella sola trattazione dell’art. 624 c.p.p. L’annullamento parziale disposto in sede di giudizio di legittimità, rappresenta, infatti, soltanto una delle possibili ipotesi afferenti al fenomeno della formazione progressiva del giudicato. L’altra grande espressione del giudicato parziale è costituita dalla stessa dinamica del giudizio di cognizione, che suggerisce ed evoca l’idea di un “divenire” della sentenza, del suo transire in rem iudicatam. Prendendo in esame la sentenza cumulativa, soggettivamente ovvero oggettivamente complessa, questa si compone di più capi, riferibili a ciascun fatto di reato contestato e a ogni singolo imputato. La parte può decidere di

51 Così G. TRANCHINA, op. cit., p. 628. 52 E. M. MANCUSO, op. cit., pp. 290 ss.

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