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con riferimento ai fatti accaduti successivamente, e cioè durante la fase di dismissione dell’operazione

suprema olandese ha liquidato le madri di Srebrenica

2) con riferimento ai fatti accaduti successivamente, e cioè durante la fase di dismissione dell’operazione

UNPROFOR, il governo olandese è in parte responsabile per non aver offerto ai Bosniaci musulmani rifugiati dentro il com- pound delle Nazioni Unite la possibilità di rimanere ivi protet- ti, ciò che avrebbe assicurato, secondo la Corte suprema, il 10% di possibilità di salvarsi dall’avanzata delle truppe della repubblica serba di Bosnia (per un riassunto efficace, v. senten- za, par. 5.1).

Al fine di comprendere le ragioni delle critiche che ver- ranno rivolte all’iter argomentativo della Corte suprema è op- portuno riprendere il caso dall’inizio, cioè dalla sentenza di primo grado, concentrandosi – giova ripeterlo – sulle condotte poste in essere prima della caduta di Srebrenica, cioè prima dell’11 luglio 1995.

È interessante notare che, nonostante le differenze di scenario, la Corte distrettuale dell’Aia, decidendo sul ricorso presentato dall’associazione Madri di Srebrenica, si ispirava lar- gamente ai ‘precedenti’ Nuhanovic e Mustafic, in primo luogo affermando l’applicabilità dell’art. 7 dei DARIO. Tale scelta, criticata da alcuni (Palchetti), aveva permesso, già in Nuhanovic e Mustafic, di applicare lo standard del controllo effettivo enunciato nell’art. 7 anche allo Stato e non solo

all’organizzazione ricevente (Spagnolo). In estrema sintesi, la Corte distrettuale dell’Aia, per valutare l’esercizio del controllo effettivo da parte dello Stato, valutava sia elementi normativi – il transfer of authority sulle truppe dallo Stato alle Nazioni Uni- te – sia elementi fattuali specifici relativi alle singole condotte contestate. Un simile approccio sembra(va) in linea con una corretta interpretazione dell’art. 7 dei DARIO. E così, in primo grado, i giudici, dopo aver esaminato l’effettivo inquadramento del Dutchbat all’interno della catena di comando delle Nazioni Unite in virtù del transfer of authority, passavano a valutare quale fosse il soggetto che esercitasse un «actual say over speci- fic actions whereby all of the actual circumstances and the par- ticular context of the case must be examined».

Tra le varie specifiche azioni valutate dalla Corte supre- ma, sembra interessante citare l’abbandono, da parte del Dutchbat, di alcuni posti di blocco (blocking positions) che avrebbero dovuto arginare l’avanzata delle truppe serbo- bosniache. È utile prendere a esempio tale condotta perché permette di capire non solo la tipologia di azioni/omissioni im- putabili alle forze di peacekeeping, ma anche l’evoluzione del ragionamento giuridico che ha portato all’ultima sentenza della Corte suprema.

Con riferimento a tale condotta, dalla sentenza di primo grado si evince che il 9 luglio 1995 il contingente olandese ave- va ricevuto dal comando delle Nazioni Unite di UNPROFOR, con sede a Zagabria, l’ordine di mantenere le posizioni nei po- sti di blocco «to prevent any further breach in the line of de- fence and advance by the VRS units in the direction of Srebre- nica town. Everything possible must be done to further rein- force these positions including arming them. These blocking positions must be recognisable on the ground» (Madri di Sre-

brenica, primo grado, par. 2.29). Nonostante l’ordine proma-

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soldati del Dutchbat, il giorno successivo, abbandonavano le

posizioni, attuando, nella tesi dei ricorrenti, l’istruzione del

Ministro della Difesa olandese di evitare perdite, di dare prece- denza alla propria sicurezza. Come si evince dagli atti in causa, il Ministro Voorhoeve avrebbe dichiarato che:

«In the next few weeks we have to give topmost priority to the safety of Dutch military personnel. The commanders are instructed to avoid victims first and foremost. I want to see all men and women return home safely. (…) We have spoken to all those commanders, by telephone and otherwise in the past few days. We do not want Dutch personnel to be at risk, to hold untenable positions. Be sensible and bring all our boys and girls home safe and sound».

Le dichiarazioni del Ministro e l’effettivo – e conseguen- te – abbandono dei posti di blocco da parte dei soldati del Dutchbat inducono la Corte distrettuale dell’Aia ad affermare che, in quel momento e in relazione a quella condotta, il gover- no olandese stesse esercitando una forma di controllo sulle proprie truppe, un ‘actual say’, per usare le parole della stessa Corte. In sintesi, la regola di attribuzione dell’art. 7 dei DARIO aveva permesso ai giudici di primo grado di valuta- re in maniera ragionevole e piana uno scenario usuale nelle operazioni di peacekeeping: i continui contatti tra i governi na- zionali e le proprie truppe; d’altronde, come si diceva, queste ultime rimangono pur sempre ‘organi’ dei primi.

In appello, la specifica condotta che ho preso come esempio viene valutata diversamente:

«The procedural documents do not provide a basis for the conclusion that, through these remarks, factual control has been exercised over specific (certain military operations or oth- er specific) acts performed by Dutchbat. The said remarks

were of a general nature, and not intended for specific opera- tional (or other) acts, such as abandoning or not abandoning certain observation posts or blocking positions at some point in time, giving up and handing in arms and equipment, or provid- ing medical care, et cetera».

La Corte d’appello dell’Aia non chiarisce, come invece aveva fatto la Corte distrettuale, quale regola di attribuzione stia applicando. Essa non richiama l’art. 7 dei DARIO e sicu- ramente non applica lo standard del controllo effettivo enun- ciato in Nuhanovic e Mustafic; sembra invece constatare l’assenza di un preciso ordine di abbandonare le posizioni.

Le determinazioni della Corte d’appello vengono sostan- zialmente confermate nella decisione della Corte suprema che si premura di spiegare quale standard di controllo stia appli- cando, forse offrendo anche una lettura retroattiva della sen- tenza di appello. Giudicando sul ricorso per cassazione dell’associazione Madri di Srebrenica, che riteneva troppo re- strittiva l’interpretazione del controllo effettivo offerta proprio dalla Corte d’appello, la Corte suprema offre il quadro norma- tivo di riferimento argomentando così:

a. Considerato che si tratta di attribuire le condotte allo Stato d’invio delle truppe e non alle Nazioni Unite, le norme di diritto internazionale applicabili vanno ricercate nei DARSIWA (par. 3.3.1);

b. Le norme rilevanti dei DARSIWA sono l’art. 4 (attri- buzione di condotte poste in essere da organi de jure) e l’art. 8 (attribuzione di condotte poste in essere da individui o gruppi di individui) (par. 3.3.2);

c. L’art. 4 non è applicabile dal momento che il contin- gente olandese è organo delle Nazioni Unite e di conseguenza non può essere considerato un organo statale (par. 3.3.3);

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d. L’applicazione dell’art. 8 comporta l’adozione dello standard elaborato dalla Corte internazionale di giustizia nei casi Nicaragua e Genocidio (par. 3.3.5 e 3.4.2 e ss.).

La Corte suprema, in conclusione del suo ragionamento, afferma dunque che «effective control only exists in the event of actual participation of and directions given by that State» e che «[i]n attributing acts to a state by virtue of Article 8 DARS, what matters is factual control of the specific conduct», affer- mando in maniera esplicita che qualsiasi altra interpretazione del concetto di controllo effettivo non sia corretta, compresa quella elaborata dalle stesse corti olandesi nei ca- si Nuhanovic e Mustafic, in particolare la c.d. dottrina del ‘po- wer to prevent’ (cfr. ancora Dannenbaum).

L’applicazione dello standard di attribuzione di cui all’art. 8 dei DARSIWA non può che indurre la Corte suprema a escludere che l’abbandono dei posti di blocco potesse attri- buirsi al governo olandese, non essendo dimostrabile l’esistenza di ordini precisi da parte di quest’ultimo. Più in generale, nes- suna condotta antecedente le ore 23.00 dell’11 luglio 1995 vie- ne ritenuta imputabile al governo olandese.

Si è già detto in apertura quali siano le due principali ra- gioni che escludono categoricamente che l’art. 8 dei DARSIWA regoli l’attribuzione nel caso di operazioni di peacekeeping. Per assurdo, l’argomentazione della Corte su- prema olandese fondata su quella regola sembra mettere sullo

stesso piano contingenti statali prestati alle Nazioni Unite nell’ambito delle operazioni di peacekeeping e gruppi parami- litari quali i contras in Nicaragua. Non sembra di dover indu-

giare oltre su questo parallelismo, se non per rilevare che, seb- bene sia comunque criticabile (v. su tutti Cassese), uno stan- dard particolarmente severo di attribuzione appare giustificato

quando la condotta sia posta in essere da soggetti che non han- no alcun rapporto organico con lo Stato. Ma in questo caso la

condotta è posta in essere da… organi statali, che mantengono

il loro status anche quando vengono prestati alle Nazioni Unite e che financo continuano a ricevere ordini e istruzioni dai pro- pri governi.

Per quale ragione, dunque, la Corte suprema ha fatto ri- corso a questo schema argomentativo? Una risposta può (forse) essere trovata nel paragrafo 3.3.5:

«It should be noted that in these proceedings, unlike in the [Nuhanovic] and [Mustafic] judgments […] the question of whether making Dutchbat available to the UN implies that Dutchbat’s conduct can exclusively be attributed to the UN and not to the State, or that dual attribution (attribution to both the UN and the State) is possible, is not at issue. It was found in the [Nuhanovic] and [Mustafic] judgments that the latter was the case. This is why the provisions in DARIO con- cerning the attribution of conduct to an international organiza- tion are not directly relevant in these proceedings. (In this re- gard, see the [Nuhanovic] and [Mustafic] judgments, para. 3.9.1 et seq.)».

Il passaggio, invero assai oscuro, sembra svelare come la Corte non abbia inteso avvalersi dei DARIO perché non era in discussione alcun profilo di attribuzione alle Nazioni Unite. La spiegazione pare ragionevole solo fino a un certo punto. È comprensibile che l’attribuzione delle condotte allo Stato si va- luti attraverso le regole dei DARSIWA (d’Argent e anco- ra Palchetti) e non attraverso le regole dei DARIO. Ciò può ac- cadere quando, ai sensi dell’art. 7 dei DARIO, le Nazioni Unite non esercitino un sufficiente controllo sulle condotte in que- stione che a quel punto si imputerebbero allo Stato fornitore delle truppe sul presupposto che queste siano (sono) da consi-

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derarsi propri organi de jure ai sensi dell’art. 4 dei DARSIWA (v. ancora d’Argent).

Il ragionamento appena svolto stimola due conclusioni: a) ammettendo che siano i DARSIWA il quadro norma- tivo di riferimento per l’attribuzione, a rilevare è l’art. 4, non l’art. 8;

b) in ogni caso non si vede come si possa ignorare l’art. 7

dei DARIO, anche solo per dimostrare che le Nazioni Unite esercitino o non esercitino una forma di controllo sui contin- genti nazionali, escludendo dunque l’attribuzione allo Stato oppure giustificandola ai sensi dell’art. 4 dei DARSIWA.

La spiegazione fornita dalla Corte suprema nel paragrafo 3.3.5, dunque, non tiene.

Non resta che provare ad andare oltre alle ragioni addot- te dalla Corte suprema, guardando alla vicenda giudiziale nel suo complesso e, di nuovo, ai casi Nuhanovic e Mustafic. Anzi, sono forse proprio le sentenze della Corte suprema in questi due ultimi casi ad aiutare a trovare la giusta chiave di lettura. Pur riconoscendo la responsabilità del governo olandese per le omissioni del Dutchbat durante l’evacuazione del compound di UNPROFOR successiva alla caduta di Srebrenica, la Corte su- prema aveva tratteggiato due scenari possibili nel corso di un’operazione di peacekeeping: 1) lo scenario normale, in cui i contingenti nazionali sono inquadrati nella catena di comando delle Nazioni Unite; 2) uno scenario ‘patologico’, quale, ad esempio, la fase finale di un’operazione, in cui la catena di co- mando delle Nazioni Unite si ritira a favore di quelle nazionali.

L’esito della vicenda giudiziale avviata dalle Madri di

attribuzione allo Stato dev’essere più severo che nel secondo. Occorre provare l’esistenza di ordini che interrompano la cate- na di comando delle Nazioni Unite, non bastando il mero ac- certamento di una certa influenza da parte dello Stato fornitore delle truppe. L’art. 8 dei DARSIWA e le forche caudine del controllo effettivo elaborato dalla CIG sono stati assunti a standard di attribuzione anche nel contesto di un’operazione di peacekeeping proprio perché funzionali all’obiettivo, sebbene la scelta non sia giustificabile alla luce del diritto internazionale. È più che lecito dubitare dell’opportunità di utilizzare uno standard di attribuzione così severo. La realtà delle opera- zioni di peacekeeping è fatta di continue consultazioni con i go- verni nazionali, che è possibile che non si sostanziano in ‘ordi- ni’ veri e propri. Alcune di queste consultazioni possono ben influenzare la condotta dei peacekeepers, come si è visto in rela- zione all’abbandono dei posti di blocco a Srebrenica.

Alla luce di ciò, è così certo ritenere che se il Ministro della Difesa impartisce una pur generale istruzione di dare pre- cedenza alla sicurezza del personale e se tale istruzione induce le truppe sul campo a tenere una condotta contraria a un ordi- ne promanante dalla catena di comando delle Nazioni Unite, sia sempre quest’ultima organizzazione a esercitare un control- lo effettivo?

Non è invece ragionevole ritenere che con riguardo a si- mili condotte sia lo Stato a esercitare un controllo? O che quanto meno si possa mettere in dubbio che l’organizzazione sia in pieno controllo di truppe che ricevono istruzioni dai loro governi?

E se a seguito di condotte che si compongono in tal mo- do, alcuni individui vedessero lesi i propri diritti fondamentali, non è ragionevole ritenere che quegli individui possano tentare di ottenere ristoro presso i tribunali nazionali degli Stati forni-

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tori delle truppe, dal momento che è impossibile, causa immu- nità, convenire in giudizio le Nazioni Unite?

Sulle risposte a tali domande, probabilmente, occorrerà tornare a riflettere.

Il risultato, per ora, è che gli spazi per invocare la re- sponsabilità per violazioni dei diritti umani nel contesto di ope- razioni di peacekeeping si sono drasticamente ristretti.

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